Per i giornalisti abbattuti come quaglie in Palestina, silenzio di tomba ; per una "svampita" secondo molti detenuta in Iran, ricevimenti a Palazzo Chigi e consigli di ministri a spron battuto.Insomma, un pochino di equilibrio non farebbe male.Giustamente, (lo riscriviamo in maiuscolo: GIUSTAMENTE) le prime pagine dei giornali riportano la drammatica vicenda di una giornalista coraggiosa, che fa onore alla nostra tanto, e spesso a ragione, vituperata categoria. In Iran Cecilia Sala cecava di raccontare un Paese che ama, che conosce come pochi altri. Giornalista libera, con la schiena dritta. Per questo invisa dal regime teocratico-militare iraniano. Free Cecilia, Subito, è un impegno da ottemperare, innanzitutto
da chi ha responsabilità di Governo.Ma i giornalisti non sono invisi solo nei Paesi retti da regimi marcatamente autoritari. I giornalisti, quelli davvero indipendenti, sono testimoni scomodi, da neutralizzare, anche in Paesi che la nostrana stampa mainstream continua a narrare come l’”unica democrazia in Medio Oriente”, cioè Israele. Mai, come in questo conflitto, rimarca Daniele Mastrogiacomo per Professione Reporter, sono morti tanti giornalisti. Nemmeno durante i due conflitti mondiali. “Da quando è iniziata la guerra a Gaza”, conferma Carlos Martinez de la Serna, direttore del Programma Cpi, “i nostri colleghi hanno pagato il prezzo più alto, la vita, per i loro reportage. Senza protezione, equipaggiamento, presenza internazionale, comunicazioni, cibo e acqua, continuano a svolgere il loro lavoro cruciale per dire al mondo la verità”. Mai, come accade a Gaza, è stato vietato l’ingresso alla stampa internazionale, che dal 7 ottobre 2023, giorno della strage di Hamas nei kibbutz del sud di Israele, ancora oggi è costretta ad affidarsi alle notizie fornite dai colleghi che si trovano all’interno della Striscia. Un divieto imposto da Israele, su un territorio che non è il suo, sulla base di criteri di sicurezza che servono a tenere all’oscuro il mondo su quanto accade.È grazie ai giornalisti, operatori, fotografi e blogger palestinesi se abbiamo potuto vedere, non solo ascoltare o leggere, ma vedere con i nostri occhi il lento sterminio che sta avvenendo. Dietro ognuno di quei 202 operatori dell’informazione ci sono dei visi, dei nomi e delle storie. Ci vorrebbe un libro per raccontarle tutte. Qui possiamo solo ricordare quanto riporta il Cpi alla data del 20 dicembre 2024: 141 giornalisti e operatori dei media uccisi, di cui 133 palestinesi, due israeliani e sei libanesi. Feriti altri 49, due scomparsi, 75 arrestati. Senza considerare le aggressioni, le minacce, gli attacchi informatici, la censura, gli omicidi dei familiari, per ritorsione o vendetta. In un video messaggio, la giornalista Madlin Shaqaleh, 39 anni, ha dichiarato ad ActionAid: “La sfida più grande per noi è che abbiamo perso le nostre case e i nostri cari. Ho perso mia sorella e mia nipote e non ho potuto vederla né dirle addio. Questa è stata una grande sfida che mi ha fatto decidere di continuare la mia carriera giornalistica e di parlare della sofferenza dei giornalisti e della nostra sofferenza come cittadini e delle circostanze in cui viviamo, che sono davvero eccezionali. Le persone mi chiedono: perché continui ancora a lavorare? Ma io sento che, anche se un giorno mi aspetterà la morte, devo dar seguito al mio percorso, al messaggio, alla mia profonda fede e alla mia causa”.Riham Jafari, coordinatrice delle attività di advocacy e comunicazione di ActionAid Palestina, ha dichiarato: “Se non fosse per l’eroismo e il coraggio dei giornalisti palestinesi che lavorano in condizioni incredibilmente pericolose e difficili, il mondo sarebbe quasi del tutto all’oscuro della terribile situazione a Gaza. Le autorità israeliane devono consentire ai reporter internazionali un accesso libero e senza restrizioni a Gaza e garantire la sicurezza a tutti i giornalisti. L’entità della crisi è schiacciante: è necessario un cessate il fuoco immediato e permanente, per porre fine alle uccisioni e consentire l’ingresso di aiuti nel territorio”. Un appello da sostenere, quello lanciato da Paola Caridi, giornalista, scrittrice, profonda conoscitrice della realtà d’Israele e della Palestina.Cinque giornalisti uccisi. In un soffio. In un solo attacco aereo mirato. Bruciati vivi nel pulmino che recava la scritta Press ben in vista. Stampa. Stampa che documenta il massacro, i massacri. È stata superata quota 200. Oltre 200 giornalisti e operatori dell’informazione palestinesi uccisi a Gaza dalle forze armate israeliane dall’ottobre 2023. È una cifra in difetto, quota 200. Non comprende i familiari uccisi assieme ai giornalisti. La giustizia verrà, anche per quello che è a tutti gli effetti un crimine di guerra. Nel frattempo, vorrei che si levasse alta e all’unisono la condanna da parte di tutti noi giornalisti. Alta, all’unisono, compatta: mai nella Storia sono stati uccisi così tanti giornalisti e giornaliste in un solo territorio, in così poco tempo. Mai. Non è una richiesta corporativa. I giornalisti palestinesi sono i nostri occhi e la nostra voce. Testimoniano i fatti, documentano il genocidio in corso a Gaza. Ammazzarli significa tentare di coprire i crimini con il silenzio. La loro uccisione riguarda tutti.”Hai ragione, Paola. Riguarda tutti. O almeno dovrebbe. Un appello che va sostenuto, rafforzato, con la stessa determinazione con cui oggi diciamo alto e forte Free Cecilia.