Se tu avessi il coraggio di tornare, ricordati di restituirmi la vita.
Per favore, riportami la stessa che mi hai rubato anni fa.
Ti sei presentata ai piedi del mio letto azzurro.
Ti ho accolta senza stupore.
Sarebbe stato normale, vent’anni ignorandosi.
Ti ho fatto entrare nella mia nuova famiglia.
In quella vecchia già ci stavi.
Ho sospinto la flebo fino alla vetrina.
Ti ho mostrato la testolina calva.
Lui ti ha salutata puntandosi sui gomiti.
Mi hai chiesto quale regalo mi avrebbe fatto piacere.
Un ferro da stiro.
Davvero.
Ti ho ascoltata a lungo
Raccontare dei tuoi successi
Dalla tua laurea
Del tuo lavoro
Dei tuoi capelli
Che cambiavano colore ogni settimana.
Hai parlato per ore
Mentre cullavo il bimbo
Mentre gli davo il seno
Mentre leggevo le favole
Mentre intrecciavo i lunghi ricci neri
Sempre uguali.
Hai infilato nel mio armadio
Un cappotto firmato
Nella sua camera costose futilità.
Ti ho preparato il pranzo
A Natale.
Hai svuotato le borse dei miei amici
A Capodanno.
Che io non abbia capito mai nulla
È difficile da credere.
Lo ripeteva senza tregua il commissario della polizia.
Ti sedevi accanto a borse costose.
fingendo si aspettare il tuo turno.
Sfogliavi lo stesso loro libro.
Se ne andavano serene, lasciando ogni cosa nelle tue mani:
“ci dai un occhio tu?”.
Sottraevi portafogli, assegni, carte di credito e contanti.
Cosa c’entravo io?
Ricettazione.
Occultamento di prove.
Favoreggiamento.
Ninnavo il mio unico tesoro.
E cercavo le parole.
Non ho mai chiesto nulla.
Certo non avevo niente.
Ma non mi serviva altro.
Tranne un ferro da stiro.
Su un tavolo giacevano
Gli oggetti comprati con assegni rubati.
Persino a me pareva impossibile
Credere che ti fossi infilata nella mia vita
Fino a farmi venire a prendere dalla volante.
Ninnavo il mio unico tesoro
E cercavo le parole
Non ho mai chiesto nulla
Certo non avevo niente
Ma non mi serviva altro
Tranne un ferro da stiro.
L’infermità mentale ti ha fatto rinascere.
Nessuno ha più detto nulla della laurea che non hai mai preso
Degli anni in cui hai vissuto di furti ed espedienti
Raccontando una vita che non avevi.
Cose che non facevi.
Gente che non incontravi.
Clienti con cui non parlavi.
Giornate che non passavi.
Difficile credere che non sapessi nulla
Ma ancora più difficile credere che io fossi la mandante.
Perciò lo pensarono.
La dichiarata povertà in cui vivevo non era certo un buon alibi.
Vennero in mio soccorso solo gli angeli.
Ogni giorno in quel commissariato ripetevo con diligenza la stessa storia.
Quella vera:
“Non ci vedevamo da anni.
Si presentò in ospedale.
Perché non avrei dovuto crederle?
Credo sempre a tutto, a priori.
Era pur sempre mia cugina…
Cosa avrebbe fatto lei?”
Uscirne pulita non fu sufficiente.
L’aria si fece pesante nella cittadina universitaria.
Me ne andai.
Nel bel mezzo di una vita che prendeva forma.
Nel buio di una nazione nuova che forse mi avrebbe accolto.
Nel dubbio di non potermi mai più fidare, di nessuno.
Nel boato del solitudine dei rifugiati e dei rinnegati.
Nel vortice del silenzio, quando la lingua materna non parla più.
Me ne andai.
Costruii un’altra vita.
Però, quella che mi hai rubato tu,
Certi giorni mi manca.
Sbarco tra voi con questa partenza per un viaggio lungo, cari compagni...
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