finalmente Pietro Sini il 6\3\2011 ha ottenuto il riconoscimento dopo 4 anni di mobbing
SASSARI. Ha avuto un momento di commozione, il "rude" Pietro Sini, quando ha ricordato la morte di un commilitone che era riuscito a portare fuori dalla base Maestrale di Nassiriya, spirato mentre veniva trasportato in ospedale. Un racconto fatto sulle immagini di quell'attentato costato la vita a 19 italiani, e che ha preceduto la cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria a Pietro Sini da parte del sindaco di Porto Torres Beniamino Scarpa. Ora l'appuntato scelto Pietro Sini è in congedo a causa di uno shock post traumatico provocato proprio dalla strage di quel 12 novembre di otto anni fa. Ha ricevuto diversi riconoscimenti dal comune e non solo da quello di Porto Torres, dall'Ordine di Malta e da numerose associazioni. Ma da allora Pietro Sini è in lotta con le istituzioni, quelle con la "I" maiuscola. A differenza di tutti i colleghi coinvolti nell'attentato, non ha ancora la pensione dovuta a causa di servizio, e per questa ragione ha scritto anche al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Credo che il presidente, in questo momento, abbia altre gatte da pelare», glissa Pietro Sini. Che invece non riesce a mandare giù il fatto di essere stato dimenticato dall'Arma e dal ministero della Difesa. Un anno fa, per provare a smuovere le acque, aveva annunciato che avrebbe rifiutato la cittadinanza onoraria, ma neppure in quell'occasione i vertici dei carabinieri si erano fatti sentire. Eppure sono stati proprio i colleghi a raccontare del coraggio di quell'appuntato sardo, figlio di un paracadutista, che si era infilato nell'inferno della base Maestrale appena sventrata dall'esplosione di migliaia di chili di esplosivo. Non pretende una medaglia, Pietro Sini (anche se alcune onorificenze al valor militare gli sono state concesse per... aver distibuito coperte ai civili), ma un segno di apprezzamento per il lavoro svolto prima e dopo l'attentato del 12 novembre. Riconoscimento che è arrivato dalla truppe inglesi e dal comando internazionmale del Musu proprio a Nassiriya. È amareggiato anche se ieri non lo ha dato a vedere. Non lo dice, ma l'Arma fa ancora parte della sua vita visto che ha concluso la lettera inviata al Presidente Napolitano con un «viva l'Italia, viva a Repubblica, viva l'arma dei Carabinieri».
L'eroe di Nassiriya cittadino onorario
Il carabiniere Pietro Sini è stato insignito dal sindaco di Porto Torres
SASSARI. Ha avuto un momento di commozione, il "rude" Pietro Sini, quando ha ricordato la morte di un commilitone che era riuscito a portare fuori dalla base Maestrale di Nassiriya, spirato mentre veniva trasportato in ospedale. Un racconto fatto sulle immagini di quell'attentato costato la vita a 19 italiani, e che ha preceduto la cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria a Pietro Sini da parte del sindaco di Porto Torres Beniamino Scarpa. Ora l'appuntato scelto Pietro Sini è in congedo a causa di uno shock post traumatico provocato proprio dalla strage di quel 12 novembre di otto anni fa. Ha ricevuto diversi riconoscimenti dal comune e non solo da quello di Porto Torres, dall'Ordine di Malta e da numerose associazioni. Ma da allora Pietro Sini è in lotta con le istituzioni, quelle con la "I" maiuscola. A differenza di tutti i colleghi coinvolti nell'attentato, non ha ancora la pensione dovuta a causa di servizio, e per questa ragione ha scritto anche al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Credo che il presidente, in questo momento, abbia altre gatte da pelare», glissa Pietro Sini. Che invece non riesce a mandare giù il fatto di essere stato dimenticato dall'Arma e dal ministero della Difesa. Un anno fa, per provare a smuovere le acque, aveva annunciato che avrebbe rifiutato la cittadinanza onoraria, ma neppure in quell'occasione i vertici dei carabinieri si erano fatti sentire. Eppure sono stati proprio i colleghi a raccontare del coraggio di quell'appuntato sardo, figlio di un paracadutista, che si era infilato nell'inferno della base Maestrale appena sventrata dall'esplosione di migliaia di chili di esplosivo. Non pretende una medaglia, Pietro Sini (anche se alcune onorificenze al valor militare gli sono state concesse per... aver distibuito coperte ai civili), ma un segno di apprezzamento per il lavoro svolto prima e dopo l'attentato del 12 novembre. Riconoscimento che è arrivato dalla truppe inglesi e dal comando internazionmale del Musu proprio a Nassiriya. È amareggiato anche se ieri non lo ha dato a vedere. Non lo dice, ma l'Arma fa ancora parte della sua vita visto che ha concluso la lettera inviata al Presidente Napolitano con un «viva l'Italia, viva a Repubblica, viva l'arma dei Carabinieri».
unione del 10\10\2007
Nessuna medaglia per Pietro Sini, appuntato dei carabinieri, sopravvissuto nell'attentato Un eroe per caso, dimenticato Salvò cinque persone nel massacro di Nassiriya
Ha salvato cinque persone, ci sono le immagini di una emittente irachena a dimostrarlo, eppure Pietro Sini, dal giorno del massacro di Nassiriya, è stato umiliato e mortificato per sette lunghi anni. Dall'Arma dei carabinieri. Che lo ha riformato a 47 anni senza riconoscergli i benefici previsti dalle leggi per le vittime del terrorismo. A Sini è rimasta amarezza e molta rabbia.
VITO FIORI
PORTO TORRES Non ci sono eroi che tengano per i carabinieri. Non sia mai che possano oscurare qualche ufficiale con la divisa coperta dai nastrini di benemerenza acquistati all'emporio militare. Men che meno un eroe deve alzare la voce o, più semplicemente, farla sentire, anche se sussurrando.
Pietro Sini, 47 anni, appuntato scelto dell'Arma, ha salvato cinque suoi colleghi dalle macerie della caserma di Nassiriya, il 12 novembre del 2003, e per questo si è guadagnato una montagna di riconoscimenti. Sono arrivati da ogni dove, dalla Camera dei Deputati, dal Senato della Repubblica e da una lunga teoria di associazioni e di città. Neanche una medaglia, che pure non si nega a nessuno, dai vertici dell'Arma. Anzi, per sette lunghi anni ha subito una sorta di mobbing prima di essere riformato nel luglio del 2010. Congedato in anticipo, quasi con ignominia.
NASSIRIYA E tutto per quel maledetto giorno a Nassiriya. Che gli ha procurato il classico “disturbo post traumatico da stress”, quello - per intenderci - che in America chiamavano sindrome del Vietnam, riferito ai reduci della guerra nel sud est asiatico che tornavano in patria schizzati. Ma l'appuntato Sini non è uno schizzato, è solo amareggiato e molto, molto arrabbiato.
Si trovava a un centinaio di metri dalla base, a bordo di una Land Rover, di rientro da un giro di perlustrazione. L'onda d'urto sollevò di peso il mezzo facendolo ricadere pesantemente sul terreno. Una botta, ma nessuna ferita evidente.
«Per un attimo - racconta - ho pensato che fossimo passati sopra una mina. Invece no, non era così. Con gli altri della pattuglia siamo usciti dall'abitacolo che stavano ancora piovendo pezzi di metallo, calcinacci e lamiere. Ho visto una colonna di fumo che si levava sulla caserma, così ci siamo precipitati per capire cosa stesse accadendo».
L'APOCALISSE Un'ala dell'edificio non c'era più: era stata sbriciolata da quei tremila chili d'esplosivo stipati nella cisterna del camion guidato dal kamikaze. Sini si guardò attorno, sollevò lo sguardo e vide che la sua camera, al primo piano, non aveva manco le pareti. Uno choc. «Erano tutti impazziti, correvano da una parte all'altra, gli iracheni imbracciavano fucili e kalashnikov. Ho sentito lamenti e urla provenienti dalle macerie, non ho avuto il tempo di riflettere e ho deciso che dovevo fare qualcosa».
Lui chiama qualcosa entrare nell'edificio ancora in fiamme, con il fumo che non fa respirare, scoprire da dove provenivano le richieste d'aiuto e, una volta individuate, caricarsi in spalla uno, due, tre, cinque moribondi e portarli fuori per affidarli a medici e infermieri che nel frattempo erano arrivati. «Un gesto istintivo che non mi ha fatto ascoltare quelli che mi urlavano di tornare indietro, che sarei rimasto sepolto anch'io in quell'inferno. Ma se avessi dato retta a loro, mi sarei sentito un verme».
UN ANGELO Pietro Sini è stato definito angelo e salvatore. Il maresciallo Giorgio Cucca, suo comandante, è stato lapidario e preciso: «Se c'è qualcuno che merita di essere chiamato eroe, questo è Sini». Nemo propheta in Arma . Al rientro a Roma, il giorno dopo l'attentato, grande accoglienza all'aeroporto di Ciampino, quindi il volo ad Alghero con un velivolo militare in attesa dei funerali di Stato per le vittime: 12 carabinieri, 5 militari e 2 civili. Ma è in Sardegna che sono cominciati i guai di Sini. Ad attenderli, nello scalo turritano, giornalisti e telecamere. L'appuntato parla e racconta la drammatica esperienza di due giorni prima. Sbagliando: senza autorizzazione, l'obbligo è tacere. E poi, cos'ha da dire un piccolo e misero appuntato, è mica un generale?
SEGNALI Nel 2004, il maresciallo Vittorio De Rasis, uno dei sopravvissuti di Nassiriya, in una intervista a “Il Giornale” dice: «Io sono vivo grazie a Pietro Sini». Ma l'anno dopo, a “Il senso della vita”, la trasmissione televisiva di Paolo Bonolis, lo stesso sottufficiale racconterà di essere stato salvato da un poliziotto iracheno. Perché questo voltafaccia, dopo i ringraziamenti pubblici di De Rasis e della moglie? «Rimasi sconcertato nel sentire le sue parole alla tivù e lo chiamai per chiedere spiegazioni. Mi disse che non poteva parlarne al telefono e che mi avrebbe fatto sapere quando ci saremmo incontrati».
Di occasioni per ritrovarsi, ai reduci di Nassiriya non ne sono mai mancate. Così, Sini scoprì che il maresciallo aveva ottenuto il comando di una importante stazione dell'Arma a Roma. «Ci teneva molto. Gli ho detto che non valeva niente come uomo e come graduato, per ciò che poteva servire». Cioè a nulla.
Il problema, questo sì, piuttosto serio, era rimuovere la strage in Iraq e i suoi protagonisti. Soprattutto Sini che non sopportava che della questione si parlasse solo in termini retorici e pomposi senza che si affrontasse mai il nodo delle responsabilità e della verità dei fatti. C'è stata l'inchiesta e qualcuno è stato anche condannato. Forse è questa la vera ragione per cui altri avrebbero dovuto pagare in altro modo.
CALUNNIE Sono passati ormai sette anni e quattro mesi da quel 12 novembre 2003. A Sini è stato impedito di presenziare a ricorrenze e celebrazioni in divisa da carabiniere. A ogni sua lamentela gli capitava di peggio. Sino alla calunnia: denunciato dai colleghi di Sassari e Porto Torres per complicità con alcuni spacciatori di droga della zona. Un'inchiesta che il pubblico ministero archiviò perché priva di riscontri oggettivi ma che i vertici regionali dell'Arma hanno ritenuto meritevole di considerazione tanto da punire l'appuntato.
Questo pomeriggio, alle 17 e 30 nella nuova sala comunale, a Pietro Sini sarà conferita la cittadinanza onoraria di Porto Torres, città che lo ha adottato (è nato a Sassari) e che ora lo gratifica con un attestato che ha, a ben vedere, una valenza diversa. Non l'ha potuto ritirare nel 2008 perché gli era stato vietato. Oggi è in pensione, e delle piccinerie dell'Arma si disinteressa.
meglio tardi che mai .
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