Meriam, Mariam, Myriam. Ormai questo nome è diventato familiare alle
cronache, ma chissà quanti occidentali ne conoscono ancora l'origine.
Meriam, cioè Maria. Maria è la donna del maggio al tramonto. È la donna
della Visitazione che ha affrontato un lungo cammino, disprezzando i
pericoli, incinta (anch'essa!), per recarsi da un'altra donna e
proclamare un mondo nuovo, di eguaglianza, pace, liberazione dagli
oppressori. Una donna di giustizia prima che di carità. O meglio, d'una
carità nella giustizia.
Quel nome oggi vive in Sudan, in carcere e in catene. Come la sua
omonima, incinta. Anzi, quel figlio della pace e della liberazione l'ha
già dato alla luce: ed è naturalmente femmina, ed è nata prigioniera,
perché per lei non v'è posto nell'albergo, ma solo dietro le umide
sbarre d'un carcere. Prigioniera e fuggitiva, il sole visto dietro un
riquadro di pietra - così la immaginiamo -, è stata accolta dal padre
come un doppio dono: chissà se sarebbe stato lo stesso, fosse nata in
condizioni normali.
Maya, figlia di Meriam la cristiana, è nata in galera perché la madre
non ha abiurato la propria fede. Meriam è figlia d'una cristiana e d'un
musulmano, e per legge considerata islamica, anche se quel genitore non
l'ha mai visto, pur se quel padre ha abbandonato la famiglia quando lei
aveva pochi mesi. Come se una fede si potesse imporre.
Sposatasi con un cristiano, Meriam è stata così dichiarata "adultera",
il matrimonio considerato nullo, il primogenito - sbattuto in cella con
lei, a
venti mesi - un "bastardo". E lei, condannata all'impiccagione.
E poi, quella saccenteria cavillosa: ha un nome musulmano. Falsità.
Menzogne. Meriam Yahia Ibrahim sono nomi anche cristiani. Sono nomi.
Hanno radici bibliche, indicano unità, prosecuzione, crescita. Sono
espansioni, mentre la grettezza integralista separa, sgretola, fustiga e
uccide, specialmente se si tratta d'una donna.
Meriam ha resistito, resiste. Grazie all'intervento dei media cattolici
il suo caso è rimbalzato in tutto il mondo (ma un'altra donna, Faiza
Abdalla, rischia la medesima condanna). Fonti governative hanno appena
annunciato la sua prossima liberazione.
Ma libera, Meriam lo è già. Lo è "dentro", anche "da dentro". Una
vicenda, questa, talmente ricca di simboli, anzi, di allegorie, che
risulta difficile, se non impossibile, non vedere in essa un appello
alle coscienze morte, al lassismo del nostro cristianesimo fumigante.
Una vicenda capace di stordire, ammettiamolo. Anche, direi soprattutto,
certi/e difensori d'ufficio dei diritti umani, in particolare femminili,
che per Meriam e le donne come lei (la pachistana Asia Bibi ha
trascorso il suo quarto Natale in cella e da quell'antro sperduto ha
indirizzato al Papa una lettera colma d'amore e gratitudine verso Dio),
non hanno trovato parole adeguate né si sono mossi con la consueta
tempestività.
Cosa li ha bloccati? L'autocensura del politicamente corretto?
L'ostinazione nel non voler riconoscere che i cristiani, in Africa e in
Asia - quest'ultima, loro naturale culla - stanno subendo una violenta
persecuzione? Senza dubbio. Ma non basta. Meriam e le sue compagne
incarnano la sorpresa e lo scandalo. Non solo per gli integralisti. Ma
per il relativismo idiota e torpido delle nostre menti.
Meriam e le altre hanno infatti mandato in frantumi le tesi care ai
legulei dell'umanitarismo salottiero, secondo cui l'emancipazione delle
donne si manifesta nelle finte urla nude delle Femen. Meriam e le altre
sono perseguitate non per aver cercato d'occidentalizzarsi, né per aver
rinunciato alla propria cultura o credo; anzi, proprio in quest'ultimo
esse trovano la forza e il significato del loro esser donne. Stanno
dimostrando, a costo della vita, che esiste un altro modo di
testimoniare la propria dignità di persone: sì, nella fede "patriarcale,
misogina, oppressiva" che il conformismo progressista vorrebbe
estirpare.
In tal senso, poco importa Meriam sia cristiana. Potrebbe appartenere
benissimo a quell'Islam in nome del quale essa è stata condannata, o
all'induismo... a tutto. Le religioni sono costruzioni di uomini; di
uomini maschi. La religione (religare) è maschile, la fede femminile.
La religione fissa limiti, detta regole, impone riti. E pretende
sacerdoti, e quei sacerdoti, d'una religione simile, non possono essere
che maschi, poiché sono la parzialità fattasi totalità, la deificazione
d'una creatura misera e presuntuosa. La religione dei maschi è, al
massimo, il rudimento della fede, la sua lallazione, ma la maturità è un
cielo mistico e appartiene alla donna.
"Iddio ha creato l'uomo maschio e femmina, l'uno e l'altro a propria
immagine - scrive Edith Stein. - Solo quando le rispettive
caratteristiche maschili
E femminili sono pienamente sviluppate, si
raggiunge la massima somiglianza possibile col divino, e solo allora la
comune vita terrena viene tutta potentemente compenetrata dalla vita
divina". Fino ai giorni nostri, questo sviluppo non s'è attuato, perché
sotto diverse forme ha dominato soltanto un individuo sull'altro.
Origine d'ogni violenza, falsità, perversione. Dittatura, anche.
Così, i maschi-piccoli iddii che legiferano sul credo femminile, che
stuprano e impiccano ragazzine minorenni in India e crocifiggono misere
sventurate in Italia (con la giustificazione, rispettivamente
dell'avvocato e dello stesso assassino, "sono ragazzi, possono
sbagliare" e "ho fatto una bischerata"), attestano la persistenza della
struttura di peccato e della natura decaduta. Come ho scritto altrove è
questo l'unico, vero, peccato originale.
P. S.: Il nostro pensiero si rivolge, naturalmente, anche alle
studentesse nigeriane (per la maggior parte, ma non solo, cristiane)
rapite dai sanguinari terroristi di Boko Haram. Colpevoli di andare a
scuola, di non sottomettersi a una parodia di religione a immagine
maschile, semplicemente del fatto di esistere come donne. Ma la cieca
violenza non prevarrà.