Quanto abbiamo attraversato? Il bello è che l'abbiamo fatto assieme: sempre. Sempre sull'onda, alla scoperta dell'umano, della ricchezza della natura, capace di sorprendere ogni volta, mai eguale a sé stessa. Abbiamo percorso secoli e luci, opere umane, spianate mediterranee, circondate da occhi e simboli, non più arcani, ma chiari e silenti; sistri d'argento non più decifrati, ma solo ascoltati. Tutto era nostro ma non possedevamo niente: ci s'immergeva. Uccelli, in particolare, con occhi di topazio, t'accolgono se ne accetti l'esistenza; e non si pongono domande. Dee e guide cristiane (dappertutto spuntano Terese d'Avila e di Lisieux). Le ville, trionfi dell'ingegno umano, sono musica. Percorsi iniziatici. Vi si affastella tutto, ceramiche boiserie panorami catturati, però poi è il giardino, questa Commedia vegetale, a introdurti fuori di te.
Passi per la porta stretta di bossi, ed è solo l'inizio. Il Paradiso terrestre, l'innocenza. Laggiù spira sempre fresco. Poi prosegui, e nel giardino litografico, a Villa Ephrussi, vai oltre i simboli del gioioso e un po' vacuo paganesimo. Non hai timore, respiri il verde cupo. Le pietre. Le occhiaie concentriche del grigio. Sei giunta. Il giardino giapponese è un'onda senza mossa. Nulla è più lineare. Stai per spiccare il volo. Nuoti nell'aria e potresti concludere il passaggio su questa terra. Poi un colpo ti fa riprendere le umane posse, perché sei qui, e devi proseguire, e seminare speranza e ritorni. Il roseto trionfa accanto all'arido deserto araucano, perché lo spirito non è nirvana, e Dio lo ritrovi nelle valli accidentate, nella sete, in quel coperchio di cielo troppo azzurro e nella purità della Madonna ora così intimamente carnale. E concludi molle e sazia, di nuova energia, e senti che altrove non esiste. Già respira qui, in un pugno di splendore.
© Daniela Tuscano
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