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Questa è una storia che dovrebbero leggere i salvinisti e colleghi che cavalcano demagocicamernte la questione dell'immigrazione e si limitano a dire ( le cose più benevoli ) aiutiamoli a casa loro , senza spiegare come o dagli la possibilità \ i mezzi per farlo . cosi' dovrebbero fare. essere aiutati a casa loro o aiutati a ritornare a casa loro per far progredire il paese nel migliore dei modi
da http://migranti.valigiablu.it del 19\18\2015
Martin accolto in Italia, si è laureato in Farmacia e ora è tornato a casa, in Togo
Martin è tornato a casa sua, in Togo. Era a Padova da sette anni, mandato qui dalla famiglia per studiare all’università. Appena due mesi dopo il suo arrivo in Italia è morto il padre, unico sostegno del nucleo familiare. Ad aiutarlo in questi anni siamo stati in tanti, in primis il coro il Bell’Humore, di cui Martin è stato un bravo tenore.Oltre che alla musica si è appassionato al giardinaggio: “Prima non capivo perché in Italia gli uomini regalassero fiori alle donne – confessa – Ora voglio fare un giardino anche a casa mia”: in valigia porta con sé semi e bulbi.Dopo essersi laureato in Farmacia e aver superato l’esame di stato, ora ha deciso di tornare. A casa lo aspettano la mamma, tre fratelli e uno stuolo di parenti. È pieno di idee e di progetti, ed è convinto che con i suoi studi e le esperienze acquisite in Italia riuscirà a a guadagnarsi da vivere e a rendersi utile al suo paese e alla sua famiglia.
Ci dispiace, naturalmente, e ci mancherà molto, ma è giusto così: averlo frequentato, averlo visto crescere e diventare uomo, superando molteplici difficoltà con eleganza e leggerezza, è stato molto bello, e il legame che abbiamo stretto con lui non si interromperà. Ci mancherà la quotidianità, ma continueremo a sostenerlo nei suoi progetti, ci saranno telefonate e scambi di visite. E lui sa che se le cose non dovessero funzionare (sette anni lontani dal proprio paese non sono pochi, e le differenze fra Italia e Togo sono abissali) saremo pronti a riaccoglierlo.In questi anni Martin ha assistito con perplessità, ma senza troppa sorpresa, all’alzata di scudi contro i profughi e i migranti che arrivano nel Veneto, e ha subito anche lui atti di razzismo. “Ma se alcuni mi hanno trattato male, ho incontrato molti altri che mi hanno voluto bene. D’altronde se vai all’estero devi aspettarti che ti guardino con ostilità. Per questo io dico ai miei coetanei africani: se riuscite a farcela, a guadagnarvi da vivere, non lasciate il vostro paese. Qui le cose possono essere molto difficili. Ma gran parte di quelli che vengono in Europa, anche se non fuggono dalla guerra o dalle persecuzioni, fuggono da una miseria che non consente loro di sperare nel futuro”.Io credo che aiutare questi ragazzi anche a termine,
“adottarli” nelle nostre associazioni e nei nostri gruppi, consentire loro di farsi delle esperienze, di imparare qualcosa, di lavorare e mettere via qualche euro, magari anche andando e venendo stagionalmente dal loro paese, potrebbe servire ad alleggerire la pressione migratoria, a calmare la paura dell’invasione, e forse a far crescere economicamente i loro luoghi d’origine: senza contare che frequentarli, conoscerne le fragilità e le speranze, farebbe crescere in umanità e cultura tutti noi. Certo, è complicato farlo se loro arrivano a decine di migliaia: ma noi siamo decine di milioni, e pure nelle difficoltà rimaniamo incommensurabilmente più ricchi. Basterebbe che ognuno di noi facesse quello che può, invece di chiudere le porte in faccia a tutti, a priori.
da Sergio Frigo
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