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certa gente pensa più al denaro e al marketing che alle persone in difficoltà . infatti leggete qua
lui non si è perso d'animo e va avanti.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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lui non si è perso d'animo e va avanti.
leggo ieri o avant'ieri su facebook quyesta storia.
Suo padre le disse: "Se sposi quell'uomo, non metterai mai più piede in questa casa. "Mary apprese presto che la maggior parte delle persone provava lo stesso. I primi anni del loro matrimonio vissuti a Birmingham furono un inferno, nessuno voleva parlare con loro, non trovavano un posto dove vivere perché nessuno avrebbe affittato a un nero e non avevano soldi.Ma non si sono arresi.Gradualmente la vita diventò più facile. Mary ottenne un lavoro da insegnante, finendo come vicepreside. Jake trovò lavoro in una fabbrica e poi di seguito in un ufficio postale. Piano piano si fecero degli amici, ma non fu facile. Mary diceva alla gente: "prima di invitarvi a casa mia.... devo dirvi che mio marito è nero. " Alcuni non le parlarono mai più.L'anno scorso hanno festeggiato il 70° anniversario e sono ancora molto innamorati, e non si sono mai pentiti di quello che hanno fatto.-- Autore sconosciuto
Credendo si tratti delle solite bufale o leggende mentrepolitane ho fatto delle ricerche ed ho trovato questo è del 2021
Ci credereste mai se vi dicessimo che l'amore è un sentimento talmente forte che, se onesto e sincero, è capace di travalicare ogni difficoltà, ogni montagna che sembra inizialmente impossibile da superare, ogni ostacolo? Un sentimento così vero e così puro ha la straordinaria capacità anche di poter unire due cuori in uno solo, due cuori che appartengono a due persone che si trovano a chilometri e chilometri di distanza geografica, ma che battono all'unisono l'uno per l'altro.
Questa è la commovente storia di Mary e Jake Jacobs, una coppia che è sposata da oltre settant'anni coronando un sogno che nei decenni passati gli era stato negato più e più volte da amici e parenti. Mary era nata e viveva in Inghilterra, mentre Jake era originario di Trinidad, nel Centro America, e si sono conosciuti per la prima volta durante gli anni '40, quando lui prestava servizio militare in territorio britannico durante la Seconda Guerra Mondiale.
Di quel periodo, Mary Jacobs ha raccontato: "Eravamo nello stesso istituto tecnico. Stavo prendendo lezioni di dattilografia e stenografia e lui era stato mandato lì per l'addestramento dall'Air Force americana. Era con un gruppo di amici neri e inizialmente hanno chiamato me e la mia amica per parlare con loro. Non sapevamo nemmeno che parlassero la lingua inglese, ma alla fine io e Jake abbiamo chiacchierato; lui per conquistarmi mi citava Shakespeare, cosa che ho adorato!"
Le settimane passavano, e Jake e Mary iniziarono a frequentarsi in maniera sempre più seria, fino a quando però una donna che passava vicino ad un parco mentre stavano facendo un picnic ha segnalato al padre di Mary che sua figlia stava frequentando un nero: "Due ragazze inglesi con un gruppo di uomini di colore erano un'immagine molto scioccante per il periodo, così lei mi ha segnalato a mio padre, che mi ha vietato di vederlo di nuovo."Una volta che la guerra era finita, Jake tornò a Trinidad e per tantissimi anni non poté più vedere la sua amata Mary, ma si scambiavano quando potevano delle bellissime lettere d'amore; poi, qualche anno dopo, lui decise di tornare in Inghilterra per chiederle la mano e convolare a nozze; in quell'anno, Mary aveva soltanto 19 anni.Quando la ragazza disse a suo padre che avrebbe sposato l'uomo da Trinidad, lui le rispose: "Se sposi quell'uomo non metterai mai più piede in questa casa!" Un'affermazione piuttosto dolorosa per Mary, che negli anni successivi ha sofferto per la mancanza di supporto della sua famiglia e dell'ostracismo della società del tempo che non vedeva di buon occhio matrimoni interraziali.Quando si sono trasferiti a Birmingham la vita non è stata facile per la coppia; sposati e registrati all'anagrafe nel 1948, hanno vissuto momenti decisamente non facili: "I primi anni del nostro matrimonio trascorsi a Birmingham sono stati un inferno: ho pianto ogni giorno e ho mangiato a malapena. Nessuno ci parlava, non riuscivamo a trovare un posto dove vivere perché nessuno affittava a un nero e non avevamo soldi.", ha continuato Mary.
Con il tempo, le cose sono andate meglio, Jake e Mary hanno iniziato a fare amicizia con i nuovi vicini, anche se l'ostracismo della società inglese del periodo era sempre un'ombra che vegliava sulla coppia; il papà di Mary, con cui lei si era riconciliata pur non avendo mai approvato il matrimonio con Jake, venne a mancare quando la figlia compì 30 anni. Un grande dolore personale che non è mai andato via.Adesso, questa coppia straordinaria e che si ama molto ha superato i 70 anni di matrimonio, e nonostante le grandi delusioni, sofferenze e difficoltà della vita, non hanno mai vacillato ed hanno continuato a stare assieme come marito e moglie. Non importa che abbiano un colore della pelle differente, Jake e Mary si vogliono bene come fosse il primo giorno in cui si sono incontrati.Congratulazioni a questa coppia straordinaria da cui dovremmo imparare tantissimo!
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Caro direttore, «Sara, vittima di una strada maledetta»; «morta travolta da un’auto»; «il conducente ha affermato di essere rimasto abbagliato dal sole»; «una ragazza è stata investita sulla Grevigiana prima delle 20»; «stavolta ha incontrato un destino crudele e ingiusto» sono alcune delle parole usate dai giornali per raccontare lo scontro che ha ucciso Sara Bartoli, meravigliosa ragazza di 30 anni che stava allenandosi correndo lungo la Grevigiana. Parole che fanno parte di una narrazione sbagliata in essere ormai da tempo con grande coerenza in molti media quando si parla di violenza stradale, che ha delle caratteristiche ben precise e delineate:
1) si deresponsabilizza il guidatore umanizzando il mezzo e quindi Sara è morta perché un’auto l’ha travolta. Chi guidava l’auto è nel retro-pensiero;
2) si giustifica il guidatore. L’abbagliamento è uno degli argomenti più usati, come se fosse un qualcosa di imprevedibile, occasionale. Intorno alle 20 in quella posizione, in questo periodo dell’anno la situazione con quella posizione del sole si ripeterà per settimane. Come fa a essere una giustificazione? Sarebbe come dire ho buttato un fiammifero ma sono rimasto sorpreso che il bosco fosse secco in questo periodo;
3) la colpa è di altre cose inerti, come la strada, questo agglomerato di asfalto che probabilmente è lì da secoli e che, per il suo essere senza movimento è comunque maledetto;
4) l’assenza di arbitrio; nessuno poteva fare qualcosa di diverso per evitare che una giovane vita fosse cancellata dalla terra. È stato il destino crudele e ingiusto. Da questa lettura nasce anche la parola usata per descrivere questi scontri mortali: incidente, che nella sua etimologia implica l’avvenimento di un evento per caso senza responsabilità degli attori;
5) la colpa delle vittime nascosta nell’uso intenso del passivo. Si scrive Sara è stata investita invece che scrivere un automobilista ha investito Sara. Da oggetto passivo di uno scontro, il pedone diventa spesso soggetto di una frase a costruzione passiva, come se il suo ruolo fosse quello più importante. Non a caso gli inglesi chiamano il passivo the exonerative tense.
Non sappiamo come sono andate le cose ma questa narrazione non ci aiuta certo a lavorare perché altri giovani non vengano uccisi sulla strada. La strada, il sole, il destino non c’entrano niente nella morte di Sara. C’entrano solo i comportamenti di chi guidava l’auto e quelli di Sara. Studiarli, capirli e raccontarli in maniera giusta può solo servire a cambiare una cultura della mobilità che uccide soprattutto gli utenti vulnerabili, che hanno il diritto di usare la strada come e forse di più delle auto. Perché la strada è di tutti. E tutti abbiamo il diritto di usarla senza perdere la vita.
*associazione Lorenzo Guarnieri Onlus
Leggi prima
Breve sunto per chi non avesse letto i post precedenti o gli avesse dimenticati di cui trova sopra gli url dei miei post precedenti
da https://ilquotidianoditalia.it/cronaca/un-giusto-processo-per-la-morte-di-giovanni-iannelli/
Il giovane corridore pratese Giovanni Iannelli è stato ricordato, sabato 16 luglio, durante l’iniziativa ‘Pedalando in sicurezza’ che da piazza del Duomo a Prato è terminata davanti al murales di Carmignano, dedicato proprio al ciclista che viene sempre menzionato da tutti con grande affetto e stima, perché era un ragazzo esemplare e rispettoso nei confronti delle persone. Una quindicina di chilometri percorsi in bicicletta con la partecipazione del papà di Giovanni, l’avvocato Carlo Iannelli che non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia sull’assurda morte del figlio, avvenuta il 7 ottobre 2019, dopo due giorni dal tragico incidente a Molino dei Torti (Alessandria). di cosa stiamo parlando
I funerali della piccola Diana, l'urlo della nonna: "Non ti abbiamo mai abbandonato". L'arcivescovo Delpini: "Orrore".
ha ragione l'amica \ compagna di strada facebookiana Angela Marino
La bara di Diana Pifferi, bianca e piccolissima, sembra quasi un giocattolo, una ricostruzione di una bara vera, un oggetto di scena, tanto è minuscola. E invece dentro c’è il corpicino senza vita di una bimba vera, una bimba che fino a qualche settimana fa, dormiva, mangiava, sorrideva (poco). È al
centro di una chiesetta altrettanto piccola di Ponte Lambro dove i presenti sono per lo più giornalisti o sconosciuti che hanno voluto partecipare così il proprio sgomento e dolore per questa tragedia. Eccola qui la collettività, la comunità, quella che si rivolta atterrita di fronte a un crimine aberrante, ma non si fa scrupolo a guardare dall’altra parte quando qualcosa non va. La bambina assente e immobile nel passeggino di Alessia Pifferi l’hanno vista praticamente tutti. Hanno commentato, forse, così come avveniva per le stramberie della Pifferi, per le sue menzogne, le sue invenzioni. Di Alessia erano tutti concordi nel dire che mentiva su ogni cosa, che non era possibile in nessun caso capire se dicesse o meno la verità. Ebbene, questo non è un elemento sufficiente per segnalare le proprie preoccupazioni sul genere di tutela e di accudimento esercitati sulla bambina? Perché quando era viva, Diana, nessuno l’ha protetta? Leggo molti commenti in questi giorni in cui si dice che non possiamo fare i poliziotti segnalando i comportamenti degli altri, che siano genitori o no. Ma perché leggere l’intervento legittimo a tutela di un minore come un modo di ficcare il naso, di non farsi gli affari propri? Perché non leggerlo come un gesto di amore e protezione nei confronti di una bimba che vive nel nostro quartiere, condominio, nella nostra comunità? Sarebbe finalmente giusto e utile se comprendessimo che occuparci delle negligenze o difficoltà degli altri, reali o presunte, nelle dovute sedi e con i giusti mezzi, è un gesto di altruismo e civiltà, non un’interferenza molesta. Avrebbe molto più senso che andare al funerale di una bimba che ci siamo limitati a osservare da lontano, scuotendo la testa.io non riesco ad essere diplomatico
corriere della sera tramite msn.it \ bing Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...