22.7.24

Orfani di femminicidio, le storie di Riccardo e Alessandra: «Le nostre mamme uccise dai papà, insieme torniamo a credere nella vita»

  Nell'unico rilievo assimilabile a una montagna nell'ampia conca fiorentina, come in una metafora della vita da affrontare in salita, faccia a faccia col dolore, procedono fianco al fianco, nel comune percorso di ricostruzione di un'esistenza distrutta
davanti ai loro stessi occhi innocenti, due fratelli di fatto: Riccardo e Alessandra (nome quest'ultimo di fantasia), orfani entrambi di femminicidi per mano dei loro padri .
IL ragazzo, quasi 27enne, aveva appena compiuto 8 anni quando perse sua madre: «Ho sofferto di amnesie, non ricordo molto. Sono toscano, mia mamma era rumena e mio babbo italiano. A casa assistevo di frequente ai maltrattamenti di papà verso di lei, pensavo fosse la normalità. La nostra era una realtà nota, c'erano già state denunce. Mio padre non voleva neppure che indossassi i vestiti comprati da mamma o che andassi fuori con lei. So che, però, a suo modo, mi voleva bene. A me non ha mai trattato male», riferisce Riccardo senza pronunciare mai il nome del papà. Poi aggiunge: «Io non ho assistito all'uccisione, gli ha spaccato la faccia con una mazza. Mi ha portato da amici di famiglia e si è costituito.
È stato in carcere meno di 18 anni, ora è libero, non ci siamo mai sentiti».Le parole vengono fuori senza esitazione e con coraggio, quando il ragazzo parla del suo passato per la prima volta, anche per rivendicare i grandi passi compiuti nel curare una ferita profonda come la sua e nell'elaborare il dramma: «Ormai per mio padre non provo nulla. Alle superiori una prof definì l'odio una grande emozione. Lì mi sono accorto di non provarlo».Accanto a lui c'è Alessandra, oggi 22enne. Fu lei a trovare la mamma senza vita una mattina di dicembre del 2017 e a chiamare i carabinieri: «La situazione da noi era burrascosa. Mio padre, con me e mio fratello, era violento. So che è morto a marzo in carcere. Aveva chiesto di vederci. Non è mai accaduto». Dopo i drammatici fatti, è stata una casa famiglia della campagna toscana ad accogliere i due orfani. Un luogo protetto con nuovi affetti, un orto e una fattoria di cui prendersi cura, dove provare a risalire, a tornare a credere nell'umanità. Un percorso minato, in un tunnel del dolore in cui si deve lottare quotidianamente contro l'istinto di lasciarsi andare.
Oggi le ferite di Riccardo e Alessandra stanno meglio. «Il tempo e il non restare soli aiutano», raccontano i due orfani che hanno ripreso a sognare un futuro. Il ragazzo, adottato dalla famiglia affidataria, vorrebbe aprire una falegnameria; Ale amerebbe fare la fisioterapista e, nel frattempo, frequentare dei corsi di cucina e inglese. Desideri realizzabili grazie a Il Giardino segreto, associazione che si occupa di orfani di femminicidio, con il progetto Airone, che offre nuove opportunità di vita, come la dote educativa fino a 10mila euro. E l'amore? «Sono stata già fidanzata - risponde Ale - All'inizio avevo paura di fidarmi, ma so che non tutti sono come mio padre. Perché dovrei privarmi di qualcosa di bello?».

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