31.7.24

MEDAGLIE DI SQUADRE , POLEMICHE PER I TITOLI DI GIORNALE ., Un trick per la storia: le giovanissime dello skate conquistano le Olimpiadi ., Il selfie che fa storia ma non era proibito ? , La campionessa col fiore e quello coi baffi: "Bissare gli ori di Tokyo? Mai dire mai..."., Parigi 2024: velo e bikini, le diversità in campo spiazzano i Giochi

tra le  gare  che  mi  sono piaciute  di più   nella   giornata  d'ieri ci sono     state le  finali di scherma più precisamente  nella Spada. e  di ginastica  artistica    femminile  . In quest'ultima     si è confermata  
Alice D'Amato  ( vedere  post precedente  
Ora Possiamo provare a dividere gli sport olimpici (  ma  anche  no  )     come suggerisce  la   newsletter    Parì – de  https://www.ilpost.it/ in due grandi gruppi: quelli che senza conoscere le regole fatichiamo a capire e apprezzare a fondo, e quelli che invece, pur sapendone poco, ci colpiscono ed entusiasmano sin dalla prima visione. La ginnastica artistica  ed  in parte   la schgermma la  metto  decisamente nella  seconda categoria.
Ieri è stata davvero una serata difficile da dimenticare  per  entrambe  . Per la ginnastica artistica italiana femminile, che ha vinto l'argento a squadre. L’oro è andato alle inarrivabili statunitensi guidate da Simone Biles. Ma  l'italia  non è stata  da meno  .  Infatti  era dal 1928 che l’Italia non vinceva una medaglia a squadre nella ginnastica artistica: ricorderemo a lungo i nomi di Alice D’Amato, Manila Esposito, Angela Andreoli, Elisa Iorio e Giorgia Villa

La 18enne Angela Andreoli durante la prova a corpo libero (Patrick Smith/Getty Images)

Vado a riguardarmi   perchè fra una cosa   e l'altra   mi sono perso la    diretta  seguendo   i  consigli   di  il post  : l’esercizio di Alice D’Amato alle parallele asimmetriche, dove ha ottenuto più punti di Simone Biles, e l'ottima prova a corpo libero della 18enne Angela Andreoli, quella che ha confermato la medaglia d’argento per l’Italia.Davvero questo argento vale oro, per chi c’era davanti, per gli infortuni, per la Storia e per molte altre cose che non sono raccontabili dai freddi numeri.
Per la scherma anche qui una medaglia storica entrate nella Storia. Il primo oro non arrivato nel fioretto ma nella Spada. 
Non era mai successo nella Storia delle Olimpiadi.Loro hanno offerto una lectio magistralis su cosa signifchi la parola SQUADRA.
E poi soffrire, resistere, rimontare. Non mollare mai.Splendida metafora l'Italia unita da nord al sud .Non esiste solo il calcio e gli altri SPORT danno più soddisfazioni.  nonostante  il pessititolo  giornalistico  (  poi  scomparso  dal  sito  del quotidiano  ) 
Potevano scegliere qualunque titolo per raccontare lo storico oro dell’Italia della Spada femminile, mai accaduto nella Storia delle Olimpiadi.Si è scelto questo.
Niente, non ce la fanno a non scrivere qualcosa che suonava retrogrado negli anni ‘50.Non ce la fanno proprio a celebrarle per quello che sono: atlete. Straordinarie atlete. Con nome e cognome.Quando compi un’impresa del genere e tutto quello che sanno scrivere di te è che sei “l’amica di Diletta Leotta” o “la mamma”, allora capisci che siamo davvero al coma profondo.



Meno male che ancora c'è qualcuno che gli fa notare , da qui la rimozione dal sito . E' il
caso della s
plendida Margherita Granbassi, ex schermitrice e oggi commentatrice. Che durante una diretta su Eurosport ha appena rimesso tutti i puntini sulle i sul vergognoso titolo de “la Repubblica” sulla Spada femminile. << Volevo fare un piccolo accenno a una cosa che ho visto appena finita la gara. Il primo titolo che mi è venuto sott’occhio è quello che le descrive come “l’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma”. No, loro si chiamano Rossella Fiamingo, Alberta Santuccio, Giulia Rizzi e Mara Navarria. Punto.>> Mancava solo che scrivessero "la fidanzata di Gregorio Paltrinieri" e poi avrebbero fatto l'en plein ! . concordo con   alcuni commenti  trovati in rete   in particolare    questi  due  

96 anni dopo...È passato quasi 1 secolo tra le "Piccole Pavesi" e le Fate Azzurre...Ma per l'abitudine a sminuire la forza e le capacità delle atlete non è passato 1 giorno!
29
Marinella Santapico
Ho motivo di pensare che lo fanno di proposito, non è possibile, tutte le volte la stessa storia. Le imprese delle donne vengono sminuite con titoli demenziali 😡🤦🏻‍♀️
Con gli uomini invece titoloni e massima attenzione 😡





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Un trick per la storia: le giovanissime dello skate conquistano le Olimpiadi




A Place de La Concorde, lo spirito del tempo si fa vivo più che mai e, nella piena euforia dei Giochi di Parigi, quella che fu proclamata Place de la Révolution con l’installazione della ghigliottina, catapulta oggi gli spettatori in un futuro più che mai attualissimo: le giovanissime promesse dello skateboard si volteggiano fra ringhiere e cordoli e, fra un ollie ed un kickflip, mettono in scena performances entusiasmanti che profumano di strada e libertà. Il mondo le osserva strabiliato e loro – tutte under 20, talune (molte) addirittura nemmeno quindicenni – riscrivono la storia delle Olimpiadi con una leggerezza disarmante.


Oro e argento, Street© Fornito da Il Giornale


Lo spirito del tempo: l’oro di Coco Yoshizawa
È ancora il Giappone a proiettarsi, prima di tutti, nel futuro: Coco Yoshizawa, classe 2009, il 28 luglio scende in pedana a Parigi come se fosse in un parchetto qualsiasi di Sagamihara, dov’è cresciuta, ad una ventina di chilometri da Kanagawa, che le ha dato i natali. Nella specialità dello street, Yoshizawa chiude a 272.75, con due trick inarrivabili da 96.49 e 89.46, assicurandosi il sorpasso definitivo sulla connazionale, Liz Akama, già vincitrice del World Skateboarding Tour di Roma, che s’accontenta dell’argento dopo una fase di run da testa di serie. E lo è davvero, comunque. In due, Akama e Yoshizawa fanno ventinove anni; se si somma anche l’età del bronzo, la sedicenne brasiliana Rayssa Leal, già argento a Tokyo 2020 (quando di anni ne aveva 13), s’arriva a quarantacinque.
Yoshizawa scopre che lo skate può essere il suo destino all’età di 11 anni, quando vede a Tokyo l’allora tredicenne Momiji Nishiya vincere l’oro con un trick che, dice, “era già in grado di chiudere”, mentre improvvisava col fratello e non aveva idea di quanto sarebbe potuto cambiare – proprio in una fase di crescita fisiologicamente velocissima e prorompente – in soli tre anni. Proprio lì, ai Giochi debutto per questo sport così nuovo e dirompente, s’attesta un altro record: il podio più giovane della storia olimpica, con 42 anni complessivi ed una media d’età di 14 anni e 191 giorni (Momiji Nishiya – Rayssa Leal – Funa Nakayama). Un’impresa mastodontica, che a tratti ha dell’eroico, quella di queste ragazz(in)e e della loro generazione: sfrontata, anti-gerarchica, libera. Come, forse, sanno esserlo i veri grandi.
È quello che proverà a fare Zheng Haohao – che compirà 12 anni nel giorno di chiusura di queste Olimpiadi – che sarà impegnata nel park femminile del 6 agosto, e avrà la possibilità di sfondare un altro record. In tasca, ne ha già due, perché è la più giovane atleta cinese a partecipare ad una competizione olimpica all-time, nonché la più giovane di quest’edizione parigina, detronizzando così la siriana del tennis da tavolo Hend Zaza, che a Tokyo aveva segnato il record come più giovane atleta olimpica dal 1968.
I giovanissimi riscrivono la storia
La sorte a medaglia non è ancora nota, come si diceva, per Zheng Haohao (che, fra le altre, avrà in batteria anche Sky Brown, bronzo a Tokyo a tredici anni). Se dovesse conquistarsi l’oro prima del compimento dei suoi 12 anni, potrebbe superare il primato di Inge Sørensen che arrivò prima ai 200 metri rana, ai Giochi di Berlino del 1936, alla tenera età di 12 anni e 24 giorni. A quella stessa tornata olimpica, un altro giovanissimo si portò a casa un record ancora valido: Noёl Vandernotte è tutt’ora il più giovane atleta francese ad andare a medaglia (12 anni), nella squadra transalpina di canottaggio. Così come Marjorie Gestring, oro nei tuffi a tredici anni, che superò la connazionale statunitense Dorothy Boyton Hill, 13 anni e 23 giorni, argento ad Amsterdam nel 1928. La stessa competizione, quella nei Paesi Bassi, che portò in trionfo anche il tricolore: Luigina Gavotti, la minore delle “Piccole pavesi” del professor Gino Grevi, aveva 11 anni e 302 giorni quando riuscì a mettersi al collo il pesantissimo argento. Nessun primato invece – si fa per dire – per la sempre primatista assoluta Federica Pellegrini, che ad Atene 2004 si presentò al mondo con un argento fuori di testa nei "suoi" 200 metri stile libero, quando di anni ne aveva sedici. Proverbiale l’oro cancellato dagli annali di Giorgio Cesana del 1906.

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Il selfie che fa storia.

Guardate bene. Sembra una foto normale ma non lo è affatto.
Siamo alla cerimonia di premiazione del Torneo di ping pong alle Olimpiadi di Parigi 2024.
Vincono il bronzo nel doppio misto il sudcoreano Lim Jong-hoon e Shin Yu-bin.
Accanto a loro, sul podio, c’è anche la coppia della Corea del Nord, composta da Ri Jong Sik e Kim Kum Yong, che ha vinto l’argento.
L’oro va alla Cina con Wang Chuqin e Sun Yingsha.
Scatta il selfie tutti/e insieme.
Il selfie degli atleti di Corea del Nord e Corea del Sud è il vero spirito delle Olimpiadi.
I loro paesi in profonda distanza politica seppur confinanti. Le persone che vanno oltre le bandiere e si incontrano. Umanamente.
Commoventi. La nostra immagine preferita. #labparis2024 #selfie

sempre a proposito di selfie

Era vietato, ora lo fanno tutti: perché alle Olimpiadi gli atleti si fanno i selfie sul podio?



Gli osservatori più attenti lo avranno già notato: nelle Olimpiadi in corso a Parigi, gli atleti medagliati non mancano mai di scattarsi un selfie sul podio. Non era mai successo prima, e il motivo è molto semplice: l'etichetta digitale dei Giochi lo vietava espressamente. Abolita tale regola l'usanza è quindi diventata di immediata tendenza, ma non per iniziativa dei singoli sportivi. A richiedere loro di immortalarsi in un momento tanto speciale, infatti, sono quest'anno nientemeno che gli organizzatori stessi: totale dietrofront rispetto al passato. Questione di sponsor, ça va sans dire. Nello specifico Samsung, alla ricerca della massima visibilità possibile per il suo nuovissimo Galaxy Z Flip6, presentato all'ultimo Unpacked di luglio (qui la nostra diretta con tutti i nuovi prodotti del brand).
Essendo lo smartphone ufficiale della rassegna, ognuno degli oltre 10 mila atleti in gara ne ha ricevuto uno in edizione speciale, e lo stesso varrà per i circa 4.400 partecipanti alle Paralimpiadi. Sotto questo profilo, come illustrato dal colosso tech, «Galaxy Z Flip6 Olympic Edition include una serie di innovazioni pensate per arricchire l’esperienza degli atleti durante i Giochi Olimpici». Tra queste, la possibilità di tradurre istantaneamente telefonate e conversazioni dal vivo e quella di registrare video ad alto tasso di spettacolarità tramite un'innovativa modalità Instant Slow-mo. Incluse nel pacchetto anche una eSim da 100 giga di dati 5G in collaborazione con Orange e la preinstallazione di diverse app ufficiali del Cio che consentono «di essere sempre aggiornati sugli orari delle gare e muoversi agevolmente tra le varie sedi olimpiche


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La campionessa col fiore e quello coi baffi: "Bissare gli ori di Tokyo? Mai dire mai..."


Emanano serenità convinta, i ragazzi della marcia. La ragazza e il ragazzo. Due medaglie d'oro. A Tokyo, e in fondo sembra l'altro ieri. Antonella Palmisano e Massimo Stano, la campionessa col fiore e quello con i baffi. «Mia madre è quasi andata nel panico nel prepararlo, due settimane fa, non sapeva ancora come farlo, poi i petali di feltro le si sono come chiusi da soli mentre li cuciva l'ha interpretato come un segno positivo» dice a Casa Italia, nel cuore del Bois de Boulogne. «E io i miei baffi li ho sistemati così», col ricciolo, «in onore degli amici francesi che ci ospitano» dice Massimo e tutti attorno si domandano amici? ma quali amici? e la Senna, e la cerimonia e la scherma e tutto quel che sta accadendo?, ma nessuno giustamente glielo fa notare.
Sono entrambi felici Antonella e Massimo, perché Tokyo è stata d'oro «ma non abbiamo vissuto un'olimpiade, il covid, quel palazzo nero senza neppure l'insegna Italia, ma ti ricordi Massimo?», «eccome se mi ricordo, invece ora è tutto diverso». Sono felici e apparentemente sereni perché «voglio riconfermarmi, e sono emozionata come fossi la campionessa in carica, e perché non ci credo ancora ma in questa stagione non mi è accaduto proprio nessun intoppo e quindi adesso voglio solo mettere la ciliegina sopra questa torta» dice Antonella. Stano è invece felice e sereno per molto meno: «Perché incredibilmente sono qui, perché mi sono preso ho il record di essermi fatto male mettendo un piede su una bottiglietta mentre marciavo e ho davvero rischiato di non fare i Giochi... Non avrei mai voluto togliere il posto a qualcuno se non mi fossi davvero sentito pronto». E rivela: «Se ce l'ho fatta è perché sono stato aiutato da un collega giapponese, un rivale, un fratello, Toshikazu Yamanishi, si è allenato con me visto che non si era qualificato, gli ho chiesto aiuto... forse io non lo avrei fatto». Quanto ai rivali, «metto anche me stessa» dice Antonella, fresca di nomina a capitana della squadra di atletica femmminile, «io li metto tutti» le fa eco Massimo. Il presidente della federatletica Stefano Mei, l'ex atleta fin qui con il tocco magico, se li guarda, i due ragazzi, e se li coccola. Però gli mette subito in spalla il carico di pressioni: «Eccoci qui, di nuovo pronti a stupire il mondo. Sono certo che tutta la squadra ha voglia di ripetere l'impresa di Tokyo anche se sappiamo che sarà dura».

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I simpatici eroi dei fumetti ideati dai francesi Uderzo e Goscinny, gli impavidi eroi dei Galli, Asterix e Obelix, che poi sono gli antenati di Macron, davanti a certe storie sentenzierebbero ironici: “Sono pazzi questi egiziani!”. Anzi egiziane. Sì, perché si resta davvero stupiti dall’impresa al limite della sciabolatrice Nada Hafez che sulla pedana del Grand Palais si è presentata in “coppia”: lei e il suo bambino che nascerà. Dopo aver battuto l’americana Elizabeth Tartakovsky, stremata e commossa, la schermitrice egiziana, che qui a Parigi è alla sua terza partecipazione ai Giochi, ha annunciato via Instagram di essere incinta di sette mesi. Uno spot per chi non si ferma per maternità, ma anzi stakanovisticamente lavora fino alla fine del tempo di attesa e se possibile si concede anche un volo Cairo-Parigi-Cairo per partecipare a un’Olimpiade. Una wonder woman che del resto nella sua carriera di atleta è passata dalla ginnastica al nuoto fino alla scherma. E durante questo triplo salto olimpico si è pure laureata in Medicina nel 2022. Sul suo profilo la dottoressa Hafez, patologa prestata alla scherma, scrive la ricetta della felicità: “In pedana eravamo in tre, io la mia avversaria e il mio bambino. Le montagne russe della gravidanza sono già di per sé difficili, ma dover lottare per mantenere l'equilibrio tra vita e sport è stato a dir poco faticoso, anche se ne è valsa la pena".Chapeau mamma Nada. Ma c’è un certo squilibrio tra l’atteggiamento moderno e liberale della Hafez e quello delle sue due connazionali del beach volley. Sei sotto la Torre Eiffel Stadium, il suggestivo tempio del beach volley, che guardi la sfida Italia-Egitto e l’unica cosa che colpisce un povero occidentale è la “divisa” delle due pallavoliste: Marwa Abdelhady Magdy e Doaa el-Ghobashy. Le avversarie delle nostre Valentina Gottardi e Marta Menegatti, che superano agevolmente il match della fase a gironi imponendosi in due set (21-16 e 21-10) e lo fanno ovviamente nella classica tenuta in bikini prevista dalla disciplina del beach volley. Dall’altra parte della rete invece due ragazze in tuta nera a maniche lunghe su t-shirt rossa e l’imprescindibile hijab in testa, il tipico copricapo delle donne musulmane. Solo a guardare le due egiziane si suda ancor più che per i 33 gradi. Con tutto il rispetto per la loro cultura religiosa, verrebbe voglia di “svelarle” e farle respirare un po’ sotto l’immaginabile sudario che le avvolge.Dua Al-Gabbashi, come la Hafez è alla sua terza Olimpiade, e già a Rio 2016 fece discutere per lo stesso look, ma allora giocava in coppia con Nada Meawad, diciottenne del Cairo, anche lei musulmana che con tanto di placet della federazione internazionale si presentò senza “velo” sulla sabbia di Copacabana. A Rio le attenzioni furono tutte per la sciabolatrice americana Ibtihaj Muhammad, musulmana del New Jersey, in prima fila con la squadra Usa nella sfilata inaugurale mostrando fiera e sorridente in mondovisione il suo volto incorniciato dall’ hijab. Per i trumpiani divenne la “Barbie con il velo”, per il mondo islamico fu un momento di distensione e di inclusione riuscita nella società americana. Donne con stesse radici musulmane ma con storie diverse e un distinto modo di vivere lo sport pur professando la stessa religione. Comunque storie accomunate da un pizzico di sana follia di donne che provano a lanciare il loro messaggio, che va ben oltre le Olimpiadi

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