13.6.13

Sulla scia della discriminazioneInvece di femminicidio si parli di donnicidio

  dall'unione sarda del 13\6\2013
Femminicidio è un neologismo che si sta imponendo nel linguaggio scritto e parlato. Come sempre accade quando una nuova parola entra nel lessico quotidiano si va a cercarne la paternità. Che raramente si trova. Nel caso in questione è figlia di ignoti o, forse, di molti genitori (il che è la stessa cosa), che l'hanno frettolosamente adottata e nutrita. Sono molti, infatti, a darle alimento nei media cartacei ed elettronici. Sull'onda emotiva di uccisioni efferate di donne se n'è fatto largo uso con l'intenzione di imporre una distinzione fondamentale tra l'ammazzamento di un uomo e quello di una donna.Oggi a tutto ciò che riguarda le donne viene dedicata un'attenzione particolare e una tutela riparatrice per i millenari torti da loro subiti. Il riconoscimento avviene, però, quando non ce n'è più bisogno. Quando le donne, con le loro forze psichiche e, in parte, anche fisiche, hanno conquistato le posizioni sociali che erano state loro precluse dalla sopraffazione del maschio. Non c'è attività lavorativa, da quelle professionali a quelle operaie, che oggi sia loro impedita. Occupano ruoli di primo piano nella politica, nell'amministrazione pubblica, nell'industria, nelle forze dell'ordine, nell'esercito, nella magistratura. Nonostante questi traguardi finalmente raggiunti si continua a considerare il sesso cosiddetto debole ancora troppo debole.Alcuni provvedimenti e leggi a favore delle donne sembrano più adeguati a salvare specie in via di estinzione che la dignità femminile. C'è una gara a chi meglio e più le soccorre. Uomini che non cedono loro un posto a sedere in autobus nemmeno su richiesta, riservano a loro corsie preferenziali nelle attività politiche e sociali, nelle quali ormai, se e quando vogliono, sanno non soltanto gareggiare, ma anche imporsi. Nelle liste elettorali deve esserci una percentuale minima di donne, ma non di uomini. Dove si possono esprimere due preferenze una deve andare a una donna, pena l'invalidità del voto preferenziale. Chiamiamolo pure antagonismo di genere: uomo e donna socialmente rivali invece che complici e collaborativi.È sancito l'obbligo della rappresentatività femminile nei consigli di amministrazione delle imprese, nelle giunte comunali, provinciali e regionali. Sappiamo della damnatio che colpisce quegli organismi che, pur non essendo obbligati a farlo, non accolgono donne nei loro apparati. Pare che loro, le donne, non siano in grado di emergere con le proprie forze e capacità e così gli uomini si degnano, con artifici e accondiscendenza, di proteggerle e di farle avanzare nella scala sociale. Ribadendo quindi la supremazia del Signore, che elargisce doni e benefici.Tutto ciò che riguarda le donne assume straordinarietà. Offenderne una è più grave che offendere un uomo. C'è già chi invoca pene più severe per chi uccide una donna. Il principio della parità sta diventando impari.La parola omicidio, coniata nel XIV secolo, è sembrata inadeguata perché nel suono ricorda l'uomo, non la donna. Bisognava perciò inventarne una più appropriata: “femminicidio”. Che però è lessicalmente errata. Di femmina, infatti, ce n'è una per ogni esemplare del regno animale; di donna, invece, ce n'è una sola, quella umana. Se proprio vogliamo continuare a discriminare, sostituiamo “femminicidio” con “donnicidio”. Parola sgradevole all'orecchio, ma lessicalmente giusta.

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