«Ho visto giovani tranquilli e con le facce pulite che manifestavano in piazza Taksim sorridendo ai turisti, invitandoli ad applaudire con loro per chiedere che Gezi Park, il grande parco di Istanbul, non fosse raso al suolo. Poi ho visto quelle stesse facce contorcersi per la sofferenza, ho visto quei ragazzi vomitare, con gli occhi rossi e il respiro affannoso, dopo che i militari diciottenni, immagino di leva, li avevano bersagliati con i lacrimogeni: giovani contro giovani. Con i telefonini stavamo filmando i soldati, che hanno ricambiato con un lacrimogeno tutto per noi».
Dopo molti giorni la dottoressa Gabriella Spinici, 56 anni, di Aggius, medico del Centro sclerosi multipla all'ospedale “Binaghi” di Cagliari, ha concluso le terapie di antibiotici, fluidificanti, antidolorifici e colliri. La lesione a una cornea, accompagnata da congiuntivite, sembra essere guarita e l'irritazione bronchiale da intossicazione è assai migliorata, però questa intervista richiederebbe uno spazio ben maggiore, se riportasse anche i continui colpi di tosse che l'hanno accompagnata. «Ma io qui mi posso curare, infatti sto molto meglio e presto sarò del tutto guarita. Non credo, invece, che a quei giovani il governo turco riconosca gli stessi diritti: chi chiede assistenza in un pronto soccorso è subito identificato dai poliziotti che presidiano gli ospedali, e poi passa guai».
Ci racconti com'è andata.
«Ero con altri colleghi a Istanbul per un congresso internazionale per neurologi che curano la sclerosi multipla. Avevamo l'albergo vicino a piazza Taksim, il centro degli scontri. Quella dei contestatori era una protesta quasi festosa: applausi, cortei in auto accompagnati dal suono dei clacson. Poi, all'improvviso, sembrava di essere in guerra».
È iniziato il lancio dei lacrimogeni.
«Non solo, perché hanno azionato gli idranti montati sui mezzi blindati. Leggo su siti Internet di tutto il mondo che l'acqua, secondo alcuni, sarebbe stata mista a sostanze urticanti».
Si legge anche che i lacrimogeni non fossero, per così dire, “normali”.
«Posso solo sospettarlo, ma non affermarlo. Quel che posso dire con certezza, invece, è che i lacrimogeni sono sempre e comunque armi chimiche: provocano stati di malattia, per quanto transitori, anche piuttosto gravi. È paradossale: le convenzioni internazionali non consentono l'uso di armi chimiche in guerra, ma è ammesso il loro utilizzo nelle operazioni di ordine pubblico. Il lacrimogeno, in quanto arma chimica, dovrebbe essere vietato, invece lo utilizzano gli Stati. Se vinco la mia ritrosia a parlare pubblicamente della mia esperienza, marginale rispetto a quelle dei manifestanti, è proprio per denunciare questo, oltre che il regime repressivo di Erdogan, che fa ciò che vuole mentre il mondo resta a guardare. Per questo noi neurologi, mentre raggiungevamo a piedi l'hotel in cui si teneva il congresso, abbiamo iniziato a filmare i militari».
È stato allora che un lacrimogeno è stato lanciato contro di voi.
«Esatto: è bastato qualche respiro per subire effetti terribili. Abbiamo cominciato a lacrimare, a tossire. Ricordo che c'era una coppia di anziani turisti degli Stati Uniti: chissà che ne è stato di loro. Quando si è avanti con l'età, la ripresa da uno stato di malattia è più lenta e difficile. L'effetto di quei lacrimogeni lanciati da ragazzini in uniforme, e forse anche quello degli idranti, era micidiale».
Quando i militari entravano in azione, si scatenava il caos.
«La repressione era violenza pura, i manifestanti erano sofferenti e terrorizzati. Ricordo che chi abitava nella zona li accoglieva in casa per dar loro un rifugio. L'ha fatto anche il responsabile dell'albergo in cui alloggiavamo: il risultato è stato un lacrimogeno lanciato nella hall, per pura ritorsione, con tanti saluti a uomini d'affari e turisti. Tutto questo, perché Erdogan ha deciso di islamizzare il Paese e non tollera la minima voce critica. Leggo su Internet di ritorsioni contro chi ha accolto i manifestanti in fuga, e contro i medici che li curano. L'Europa e gli Usa, però, non vanno oltre qualche dichiarazione inutile».
È vero che arrivavano i lacrimogeni anche dagli elicotteri?
«Non ho mai assistito a un lancio dall'alto, però la mia stanza era al nono piano ed ero costretta a tenere chiusa la finestra, altrimenti il gas invadeva il locale. Lo sospetto, questo sì. Dalla Turchia sono tornata piena di rabbia verso il regime, e di sentimento di vicinanza nei confronti dei turchi. Non meritano tutto questo».
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