i miei precedenti post
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2020/11/celebro-nonostante-sia-solo-una.html
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N.b .Una precisazione doverosa , alle amiche e utenti femministe non sto giustificando , perchè la violenza psicologica e fisica non è mai giustificabile men che meno verso una donna . Ma di parlarne a 360 gradi
Infatti come dice Alessia Sorgato avvocato di Milano che si occupa prevalentemente di casi di violenza
sulle donne, e da anni è impegnata nell’assistere sia le vittime di quella che lei definisce “violenza canonica”, sia le vittime delle nuove tipologie di violenza, come il revenge
porn o il “bomberismo”. È inoltre autrice del libro Giù le mani dalle donne, edito da Mondadori. intervista dal portale
https://www.tpi.it/ per fare chiarezza e per identificare anche quelle forme di violenza che oggi proliferano grazie ai nuovi mezzi di comunicazione.
La violenza “canonica”
“Bisogna ricordare prima di tutto che esistono quattro forme di violenza canonica: fisica, psicologica, sessuale ed economica. In Italia la violenza fisica continua ad essere perseguita e il panorama di norme che disciplinano la materia è soddisfacente”, racconta l’avvocato. “Anche trovare le prove è molto più semplice”.
“La violenza fisica, anche se non denunciata dalla diretta interessata, può comunque essere segnalata da persone terze che si accorgono dei segni sul corpo della persona”, prosegue Sorgato.
“La violenza sessuale è un reato gravissimo, ben disciplinato nel nostro ordinamento ma descritto male dalle cronache e dalla stampa”.
Secondo quanto sostiene Sorgato, alcuni dei problemi relativi alla narrazione dei reati sessuali riguardano il modo in cui vengono interpretate le sentenze: “Se si tratta di assoluzione, spesso si tende a gridare allo scandalo, dimenticando le logiche attraverso le quali si è giunti a quella sentenza”.
Le definizioni che legano sentenze e reati in questo modo verrebbero falsate, e si tenderebbe a innescare un meccanismo controproducente nei confronti di chi vittima lo è per davvero.
Discorso a sé meritano invece le violenze psicologiche e le violenze economiche: su entrambi i punti l’avvocato Sorgato è piuttosto critica: “La violenza psicologica è una materia troppo delicata, troppo soggettiva e sottile. Vi è una difficoltà seria per le persone che denunciano questo tipo di violenza”.
“La minaccia deve essere grave, il reato di ingiuria è stato depenalizzato a gennaio 2016, e questo vuol dire che la soglia di ciò che è tollerato si è innalzata facendo sì che ci stiamo abituando a espressioni della violenza che non valgono nulla”.
Se il reato di ingiuria è stato completamente cancellato, ci troviamo di fronte all’estinzione dell’illecito: chiunque è libero di poter offendere impunemente un’altra persona, senza il pericolo di incorrere né in un procedimento penale, né tanto meno in una condanna civile al risarcimento del danno.
L’impostazione dei magistrati è ancora molto tradizionale, ma le norme della materia che in gergo viene identificata come “endofamiliare” sono state aggiornate grazie anche all’intervento dell’Europa, che dal 2013 ha aiutato il processo di svecchiamento: “È stata introdotta ad esempio l’aggravante della violenza assistita, che tutela i minori di 18 anni anche quando non sono vittime di violenza ma che assistono a gesti violenti in famiglia”, spiega Sorgato. “Questo serve anche a prevenire il fenomeno della love addiction, per il quale si tende a ricercare gli stessi modelli violenti, o a diventare loro stessi generatori di violenza”.
il 25 novembre è un giornata puliscosciernza e ipocrita perchè parla solo a senso unico delle violenze di genere \ femminicidi .
Infatti affronta solo il problema da un lato e non a 360 gradi e descrive solo le violenze che uomini commettono sulle donne dimenticandosi o facendo passare in secondo piano 1) che anche gli uomini sono fragili e dietro il loro violenze a volte si nascondono problemi e che dietro a certi loro comportamenti c'è un il disagio psicologico ., 2) che c'è differenza , come ho già detto precedentemente in uno dei tanti post sull'edizione del 2020 del 25 novembre o a essi collegati ( trovate sopra ad inizio post gli altri miei post ) tra UOMO E MASCHIO ma generalmente la stampa ed i media gli uniscono fondendoli insieme . 3) che anche lo stato e le istituzioni fan violenza sule donne . Trovate a mo' d'introduzione di ciascun post degli articoli se sempre di Tpi per approfondire l'argomenti . Per ora eccovi due storie .
la prima una violenza di stato , la seconda di uomini fragili .
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“Ho denunciato le violenze del mio compagno e mi hanno tolto mia figlia. Non la vedo da 9 anni”. La storia di Ginevra Amerighi
Ginevra non vede sua figlia Arianna da 9 anni per un provvedimento provvisorio del tribunale dei minori
Di Anna Ditta
Pubblicato il 6 Mar. 2020 alle 13:28
Aggiornato il 6 Mar. 2020 alle 13:49
“Ho denunciato le violenze del mio compagno e mi hanno tolto mia figlia. Non la vedo da 9 anni”. La storia di Ginevra Amerighi
“Arianna aveva 18 mesi quando è stata portata via. Era proprio piccola: quella mattina le avevo dato il latte. Mi guardava con i suoi occhi dentro gli occhi miei, e me l’hanno portata via. Da allora non l’ho più vista”. Ginevra Pantasilea Amerighi è un’insegnante di scuola elementare di 46 anni. È romana, ma da tre anni vive e lavora a Lipari. Non riusciva più a rimanere nella città in cui sua figlia Arianna vive col padre, il suo ex compagno, l’uomo che lei ha denunciato e che nel 2018 è stato condannato in primo grado per lesioni. Ginevra non può vedere né sentire Arianna da 9 anni. A impedirglielo è un provvedimento “provvisorio” del tribunale dei minori.
Arianna da allora vive col padre, un imprenditore romano il cui nome è finito sui giornali a settembre 2016, quando è stato coinvolto nelle indagini della Procura insieme a Massimo Nicoletti, figlio dell’ex cassiere della Banda della Magliana, per il caso di Stefano Ricucci e l’inchiesta sulla corruzione del giudice Nicola Russo.
La storia di Ginevra Amerighi
Ginevra ha conosciuto F.M., l’uomo che sarebbe diventato padre di sua figlia, a luglio del 2008. All’epoca non sapeva che lui era stato denunciato per violenze dalle due ex mogli. I due si rivedono a settembre e dopo poco tempo vanno a convivere. A Natale lei rimane incinta.
“Aveva molta fretta di vivere insieme, fare un figlio”, racconta Ginevra a TPI. “Io ero innamorata, era stato un colpo di fulmine quando ci siamo incontrati. Ma da quando sono rimasta incinta lui ha cambiato completamente atteggiamento nei miei confronti. All’inizio era gentile e premuroso, tutto quello che una donna può desiderare. Poi ha avuto una trasformazione improvvisa. Ha iniziato a essere possessivo, non voleva che andassi più dai miei, dove avev lasciato anche il mio cane e il mio gatto perché non voleva che li portassi a casa sua. Non potevo più vedere o sentire le mie amiche. Mi ha fatto anche cambiare numero di cellulare”.
“Era sempre più violento negli atteggiamenti, non con le mani”, spiega. “I primi tre mesi di gravidanza li ho passati così, tra i silenzi, le atmosfere pesanti, con lui che non mi faceva mai sapere cosa faceva e se sarebbe tornato per cena. Dopo ha iniziato a essere violento anche con le mani, mi offendeva e usava intimidazioni e minacce. Mi strattonava e se provavo a reagire mi urlava addosso che non avrei dovuto mettermi contro di lui”.
Durante uno di questi episodi di violenza, a marzo 2009, Ginevra ha delle perdite di sangue, rischia di abortire e decide di andarsene, nonostante le minacce. “Lui e sua madre mi dicevano che se mi fossi messa contro di loro avrei perso, che mi avrebbero tolto la bambina, che l’avrebbero affidata a loro perché erano ricchi”, racconta. “Pensavo che una cosa del genere non fosse possibile”.
Le violenze e il coraggio di denunciare
Nei mesi successivi, Ginevra racconta che l’ex compagno continuava a perseguitarla. “Quando ero incinta di sei mesi mi ha invitata a cena, pensavo volesse riconciliarsi e volevo una famiglia unita per mia figlia”, dice. “Invece mi ha proposto dei soldi in cambio della bambina. A quel punto me ne sono andata dal ristorante, sono tornata a casa in taxi”.
Per due mesi i due non hanno nessun contatto. Poi decidono di fare ancora un tentativo e a settembre Ginevra dà alla luce Arianna. “Lui non è venuto neanche in ospedale”, racconta lei. “Quando la bambina aveva 40 giorni un giorno abbiamo avuto un brutto litigio. La stavo allattando e sua madre mi ha intimato di darle la bambina. Io le chiesi di uscire dalla stanza, dicendole che non poteva comportasi in questo modo. Lui mi è venuto addosso e mi ha detto di obbedire a sua madre. Mi ha strattonata e sbattuta contro la spalliera del letto, rischiando di farmi cadere sopra la neonata. Mi ha iniziata a colpire sul seno. È stato il nostro collaboratore domestico filippino a intervenire, portando via sua madre. Io mi sono chiusa in bagno con la bambina e ho chiamato la polizia”.
“Gli agenti dissero che non potevano fare niente, perché non era in flagranza di reato. Andarono via dicendoci di cercare di fare la pace. Quando sono usciti lui ha minacciato di uccidermi, ha detto che dovevo andare via dalla casa, altrimenti mi avrebbe ammazzata. A quel punto sono tornata dai miei, ma lì è iniziata la sua persecuzione, perché voleva che la bambina stesse con lui”.
“A Natale mi ha proposto di tornare insieme, e io pur di farlo smettere ci ho provato di nuovo”, racconta. “Aveva preso una casa in affitto per me e la bambina, perché aveva paura che occupassi casa sua con nostra figlia, non voleva più che ci rimettessi piede. Dopo neanche 10 giorni di convivenza difficile mi ha aggredita di nuovo, davanti alla bambina che aveva sei mesi e piangeva legata seggiolone”.
“In quel momento speravo solo che non mi togliesse le mani di dosso, perché avevo paura che se la prendesse con lei appena avrebbe finito con me”, confessa Ginevra. “È stato il momento più brutto che ho vissuto in vita mia, ma quando ho visto che invece di andare verso la bambina andava verso la porta e scappava di casa ho tirato un sospiro di sollievo. Ho chiamato il centro antiviolenza, mi hanno detto di andare a denunciare. È quello che ho fatto, ma da quel momento ho finito di vivere, perché ho perso la bambina”.
Arianna viene portata via
Contro F.M. inizia un processo per lesioni, che si è concluso nel 2018 con la condanna in primo grado. Parallelamente, davanti il Tribunale dei minori inizia la battaglia legale per l’affidamento di Arianna. L’avvocato del padre della bambina chiede una perizia psichiatrica su Ginevra. La diagnosi è quella di “tratti istrionici e prognosticati comportamenti imprevedibili nel futuro”. A firmarla è Marisa Malagoli Togliatti, che invita Ginevra “a farsi curare” presso un centro di salute mentale. “Questo disturbo non è neanche nei manuali di psicologia”, sottolinea Ginevra, che negli anni successivi è stata sottoposta ad altre perizie che confutano il risultato della prima. “Mi è stato affibbiato così, senza neanche una motivazione”.
La mattina del 23 marzo 2011, Ginevra esce con Arianna per fare una passeggiata ma si trova davanti diverse persone tra assistenti sociali, carabinieri e un’ambulanza. “Mi mostrano un decreto del Tribunale dei minori che mi toglie Arianna, che stabilisce che lei sarebbe dovuta andare a vivere con il padre e io non avrei più dovuto avere alcun contatto con lei. Mi hanno detto che se fossi andata a curarmi al dipartimento di salute mentale me l’avrebbero fatta rivedere, io ci sono andata ma non è servito”.
Quando le portano via sua figlia Ginevra è devastata. “La sera lei non c’era più, avevo solo voglia di morire”, dice in lacrime a TPI. “C’erano i suoi giochi, le impronte delle sue manine sui vetri, c’era tutto e non c’era niente. Non so come ho fatto a mangiare, a lavarmi, a fare tutto quello che ho fatto fino ad oggi”.
“Il provvedimento era provvisorio e lo è ancora, dopo 9 anni”, spiega Ginevra. “Per questo non posso impugnarlo né in appello né in Cassazione. Non posso neanche adire alla Corte europea”. Il decreto era uscito il 15 marzo 2011. Pochi giorni prima, l’ex compagno di Ginevra era stato rinviato a giudizio di lui per violenze e maltrattamenti.
Dopo la condanna in primo grado per lesioni, l’udienza in Corte d’Appello viene fissata due anni dopo, il 7 febbraio 2020, ma in quella data è stata rinviata di un mese. Un nuovo rinvio la fissa a novembre, ma ormai il reato è vicino alla prescrizione.
Gli ultimi anni
Ginevra Amerighi non si è mai arresa in tutti questi anni e da tempo ormai ha iniziato ad andare in televisione per chiedere aiuto. Comincia a partecipare a singhiozzo a trasmissioni televisive, parla ai giornali, ma per anni non succede nulla. “Erano tutti restii a parlare di casi di minori, era diverso 10 anni fa. Non se ne parlava come oggi”, racconta.
Nel 2017 Ginevra presenta un’istanza al Tribunale dei minori per rivedere Arianna, ma per due anni non arriva risposta, neanche dopo la condanna dell’ex compagno. Dopo l’ennesimo articolo su un giornale, il Tribunale manda gli assistenti sociali a casa di Ginevra e nella scuola in cui insegna, per controllare le sue condizioni di vita.
Nella relazione, che TPI ha potuto visionare, si sottolinea la “spontaneità e trasparenza” della donna, che nella sua professione di insegnante “non ha mai riportato note di demerito, richiami o problemi di alcun tipo con bambini, colleghi o genitori”. Il documento si conclude sottolineando che “è persona responsabile, obbiettiva, con un pensiero lineare e critico” e che “non presenta turbamenti o idee prevalenti o disturbi anche di lieve entità che possano giustificare una indagine psichiatrica”.
Niente è riuscito a fermare la lotta di Ginevra, che negli scorsi mesi ha scritto anche lettere al Papa e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per rivedere Arianna. “Sono sicura che mia figlia ha bisogno di me, che mi ha cercata in tutti questi anni”, dice. Il tribunale dei minori ha fissato un’udienza per il primo aprile 2020. Intanto il 23 marzo saranno 9 anni che Ginevra non vede sua figlia.
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“Ho avuto comportamenti di violenza fisica, verbale e psicologica soprattutto contro ex compagne e fidanzate, ma anche nei confronti di mia madre e di mio padre. A un certo punto c’è stata la ribellione nei confronti di chi maldestramente mi ha introdotto, sicuramente senza volerlo, a questi atteggiamenti”.
Gaetano ha 40 anni e vive in Romagna, in un comune vicino Forlì. “Faccio questa intervista perché mi auguro sia veramente utile, fosse anche solo per una persona”, chiarisce al telefono, dopo aver accettato di raccontare la sua storia a TPI.
In alcuni casi Gaetano ha usato atteggiamenti violenti anche con amici o sconosciuti. Ma principalmente si è trattato di atti contro il sesso femminile. “L’80-85 per cento degli episodi erano rivolti contro le mie compagne”, racconta. “Il mio alzare le mani, nella fattispecie, era schiaffeggiare. Cioè quello che avevo a mia volta ricevuto. Schiaffoni, scappellotti dietro la nuca, qualche calcio. Mai pugni nel viso. Perché di fatto pugni nel viso non ne ho mai ricevuti”.
Gaetano non ha mai avuto problemi con la giustizia, solo un richiamo da parte dell’avvocato di una sua ex ragazza. Ma non si limitava ad alzare le mani.
“Ero forse molto più violento psicologicamente che non fisicamente”, spiega l’uomo. “Parlo di sottomissione, costrizione, imposizione. Il mio ultimo rapporto è finito non tanto per gli schiaffoni. Sicuramente quelli hanno contribuito, però ha influito molto la pressione psicologica”.
Gaetano dava infatti gli orari alla sua fidanzata per tornare a casa dal lavoro. Se l’orario non veniva rispettato, iniziavano le discussioni, che sfociavano negli schiaffoni se non otteneva le risposte che voleva. Dietro non c’era gelosia, spiega, ma l’insegnamento ricevuto e subito.
“Le violenze psicologiche sulle donne avvengono all’ordine del secondo”, sostiene Gaetano. “Lo dico perché io oggi vedo e ascolto, e vedo e ascolto in un’altra maniera. La gente non si rende conto, pensa che la violenza sia solamente alzare le mani, ma quella psicologica distrugge ancora di più degli schiaffoni. Quelli fanno male lì per lì, il resto invece rimane dentro e da estirpare non è facile a una persona a cui hai massacrato la testa. Alcune delle mie ex fidanzate si sono rivolte a qualche psicologa. In alcuni casi le ho spinte io, pur sapendo che mi avrebbe giocato contro”.
I tre giorni dopo
Mentre la violenza psicologica non si vede, e quindi chi ne è autore non sempre comprende di mettere in atto un atteggiamento violento, di quella fisica ti rendi sempre conto. “Nel mio caso avevo sempre due problemi quando la facevo. Avevo il problema di ciò che avevo fatto e il problema con me stesso. Dopo aver usato la violenza stai male, sei una persona spaccata a metà”, spiega Gaetano.
“Una volta la mia ex fidanzata mi disse: ‘Finita la sfuriata, la discussione, il problema, ero quasi contenta. Non solo perché era finita, ma perché sapevo che tu per due o tre giorni eri tranquillo, un agnellino’. Questo perché ti fai schifo. Hai tre giorni in cui sai le cazzate che hai combinato. Quindi per tre giorni c’è la tregua. E questo è esattamente quello che succedeva nella mia famiglia: per due-tre giorni andava bene tutto, anche quello che magari non andava bene la settimana prima. Oggi questa cosa la capisco, prima no. Ma credo che valga per tutti”.
“Questa è una cosa che deve venire fuori”, sottolinea Gaetano. “La gente pensa di essere superman, invece deve capire che se sta male è il momento di farsi curare. Non che è sufficiente star male quei tre giorni e poi basta. I momenti in cui ti senti male devono fare in modo che tu prendi coscienza del tuo problema e vai”.
Proprio questa sofferenza, alla lunga, ha spinto l’uomo a chiedere aiuto: “Quando mi trovavo insieme a persone che parlavano di episodi di violenza, anche se magari loro non sapevano nulla di me, io restavo in silenzio e dentro marcivo di dolore. Oppure quando al telegiornale parlavano di episodi di natura violenta – e ne parlano spesso – venivo ferito continuamente perché so come funzionano queste cose”.
Una sera, poco dopo essere stato lasciato dalla sua fidanzata, Gaetano ha visto uno spot sul tema della violenza di genere su una televisione locale. In quel momento, racconta, ha sentito la necessità di sistemare il suo modo di essere: “Mi facevo schifo, volevo sentirmi a posto in mezzo alla gente, alla società, volevo essere uguale agli altri, non diverso”.
In cerca di aiuto
Gaetano ha deciso di rivolgersi al Centro per il trattamento di uomini maltrattanti (Ctm) di Forlì quando si è accorto che stava fallendo come uomo.
“Avevo la necessità di essere una buona persona – cosa che penso di essere in realtà – al di là degli errori che ho fatto nella mia vita”, racconta. “Ho deciso di reagire in maniera forte, energica, di andare a chiedere aiuto. Sono andato e non ho quasi mai saltato una seduta, se non per motivi di lavoro o di necessità. Ho sempre mantenuto il mio impegno”.
Il Ctm di Forlì è uno dei centri che in Italia offre un percorso di psicoterapia e consulenza agli uomini che hanno messo in atto comportamenti violenti o che sentono di avere difficoltà nella gestione della rabbia.
Sono uno dei pochi centri privati in Italia, ma sin dalla loro costituzione nel 2012 si sono interfacciati da subito con la rete Irene, che associa tutti i soggetti pubblici che si occupano di violenza domestica per quanto riguarda la presa in carico e la consulenza nei confronti di chi la subisce, e, in particolare, con il Centro Donna di Forlì.
Insieme a queste organizzazioni lavorano anche sul territorio e nelle scuole per la prevenzione della violenza di genere in ogni sua forma.
“Il tema della violenza di genere tocca da vicino molte più persone di quello che si immaginano. Ma al telegiornale finiscono solo i fatti di violenza più esplicita, che sono la punta dell’iceberg. In realtà ci sono tutta una serie di episodi di violenza che sono molto più diffusi e sono quotidiani”, spiega a TPI il referente del centro Michele Piga. “Nel 2014 abbiamo ottenuto una convenzione con il comune di Forlì, attraverso l’assessorato alle pari opportunità, che ci ha consentito, attraverso un bando, di essere nominati come riferimento per il trattamento di uomini autori di violenza”, prosegue.
Ogni anno il centro prende in carico una trentina di casi di uomini che si rivolgono a loro per avviare percorsi psicoterapeutici. “La nostra difficoltà è spesso legata alla motivazione che spinge chi si mette in gioco rivolgendosi a noi”, spiega Piga. “Noi la chiamiamo motivazione ‘spintanea’”.
Inizialmente gli uomini sembrano essere spinti da motivazione sincera, ma spesso gli operatori scoprono che la vera ragione per cui si rivolgono loro ha poco a che fare con il voler controllare la propria tendenza alla violenza, ma è una motivazione indiretta. Talvolta dietro c’è la raccomandazione da parte di un avvocato, affinché, data una serie di procedimenti legali già avviati, l’uomo si faccia vedere ben disposto, altrimenti rischia, ad esempio, di perdere la possibilità di vedere i figli.
“Spesso gli operatori del Ctm devono cercare la vera motivazione, in modo da gettare fondamenta solide per questo percorso. E senza una vera motivazione al cambiamento è difficile avere un percorso efficace”, dice Piga.
Nel caso di Gaetano, il percorso si è concluso con successo perché lui era fortemente motivato a spezzare la catena degli insegnamenti ricevuti. “Alla base c’è un po’ di volersi bene, di dignità, e di voler camminare a testa alta”.
La storia di Paolo
Tempo fa Paolo ha interrotto il percorso di psicoterapia. Aveva scoperto l’esistenza del Ctm con una semplice ricerca su internet. Stava cercando qualcosa che avesse a che fare con la gestione della rabbia, delle emozioni.
Nell’ultimo periodo c’erano state delle discussioni, un aumento delle litigate con quella che ora è la sua ex compagna. A TPI racconta di essere andato “abbastanza in là” nel suo modo di rapportarsi con lei.
Convivevano da tempo e insieme hanno anche due figli adolescenti. Lei in passato si era rivolta a un centro antiviolenza; lui lo sapeva, anche se lei non glielo aveva mai detto direttamente.
“Non sono mai arrivato a ferirla o a rendere necessario l’intervento dei medici del pronto soccorso”, sostiene Paolo. “Le mie aggressioni erano verbali, ma ci sono un sacco di sfaccettature nella violenza. Ci siamo spintonati, è successo anche che ci ‘strapazzassimo’ un po’ a vicenda, però mai per fortuna delle cose particolarmente gravi”.
Dopo aver iniziato una prima volta il percorso, Paolo lo ha abbandonato: “Mi ero allontanato per circa un anno. Pensavo di doverci arrivare da solo, che fosse una cosa che potessi e dovessi far scattare dentro di me. Ma evidentemente non è così semplice e ho ripreso da tre-quattro mesi”.
L’uomo è tornato al Ctm dopo aver mandato all’aria la sua duratura relazione: “Nello specifico è stato dopo una litigata abbastanza importante, dopo un’esternazione violenta, ho capito che era il caso di riprendere in mano la situazione”.
Anche il rapporto con i figli è stato messo molto alla prova, anche se ora è stato ripristinato. “Abbiamo avuto dei momenti, sempre conseguenti a questi episodi e anche per dei periodi abbastanza lunghi, in cui i rapporti si erano interrotti. Ma attualmente vedo i miei figli regolarmente senza nessun problema”, racconta.
Paolo ora vede il responsabile del Ctm settimanalmente per le sue sedute di psicoterapia. Una delle condizioni che gli sono state poste è di dare continuità al lavoro. Inoltre usa la tecnologia per mandare dei messaggi vocali al suo referente, durante la settimana, per raccontare o appuntare le sue riflessioni e il suo stato d’animo. Durante la seduta tornano insieme sull’argomento.
“Come tutti i percorsi psicologici non è un pulsante che accendi o spegni. Loro come indicazione danno un periodo di almeno un anno quindi io ho ancora un po’ di strada davanti”, spiega a TPI. “Però sì, dei benefici li comincio a vedere. Cerco di mettere in pratica quello su cui lavoriamo, quelli che sono i pensieri che facciamo insieme, e qualcosa si muove nella consapevolezza e poi anche nella pratica cerco e mi sembra di gestire un po’ meglio le situazioni”.
Il pensiero che più di una volta gli è tornato in mente è che la violenza è una delle cause della sua separazione, una delle più importanti: “Poi ci sono altre cause di motivo caratteriale. Però continuo a pensare che questo ha avuto un ruolo cruciale, come lo ha per certi versi anche nel confronto con i miei figli, quindi è anche un atteggiamento che io sto provando a cambiare proprio in generale”.
Paolo dice di aver adottato questo “atteggiamento” anche con i suoi figli, senza mai arrivare ai livelli raggiunti con la sua compagna. “Il danno nei rapporti e nella relazione con le persone più vicine è stato ed è pesantissimo. Per cui consiglio di rivolgersi a degli specialisti, che sia il Ctm o un altro percorso. Farsene carico è basilare”.
Il “salvavita” di Gaetano
Anche se ha concluso il suo percorso di psicoterapia ed è convinto di aver risolto il suo problema con la violenza, Gaetano si definisce “attualmente single, felicemente single”.
“Sto cercando il mio equilibrio, penso di essere a un ottimo punto e credo che quando sarà, se sarà, arriverà la persona giusta”, dice. “Durante questo percorso mi sono sempre ripromesso che, finché non avessi raggiunto un determinato obiettivo, non avrei più voluto avere una relazione con una donna. Proprio per non farle male, per rispettarla”.
Prima di rivolgersi al Ctm Gaetano aveva provato un percorso con un’altra psicoterapeuta.
“Nell’altra dottoressa sentivo più la durezza, non comprendevo molto gli argomenti. Il mio cervello non assumeva le informazioni. Quindi avevo perso un po’ la speranza”, racconta. “Invece, il dottor Vasari del Centro è riuscito a toccare i tasti giusti. Con lui riesco a parlare, a ragionare, a capire sopratutto, ad apprendere i ragionamenti che mi fa fare, a volte involontariamente, perché in effetti è un meccanismo che assumo poi da solo”.
Alla base di tutto, secondo Gaetano, c’è la conoscenza di sé stessi. Saper riconoscere la propria rabbia vuol dire anche imparare a controllarla, a gestirla.
“Ho inventato un salvavita, è un interruttore che quando ci sono determinate situazioni, per me pericolose, lui magicamente interviene. Fa saltare la corrente e fa sì che non si brucino gli elettrodomestici”, spiega. “I primi giorni rimanevo stupito, oggi non me ne rendo neanche più conto”.
Il salvavita è il percorso fatto. È aver raggiunto la consapevolezza che ci si può comportare in un’altra maniera, che non c’è solo la strada della violenza. “Ci sono altre strade, tra cui quella della ragionevolezza. Non è per forza obbligatorio farsi rispettare usando la violenza fisica o mentale”, dice.
Gaetano, che adesso ha concluso il percorso, è riuscito anche a raccontare il suo disagio alla famiglia e ad amici. “Ho riconosciuto in pieno il mio disagio. Proprio perché non sono scappato, proprio perché l’ho affrontato in questi termini anche con delle persone, anche di sesso femminile, sono riuscito ad avere dei risultati quasi eccellenti”, sostiene.
“Il fatto di aprirsi arriva quando hai piena consapevolezza di voler guarire. Quindi tutto gioca a tuo favore, se ne parli ti metti in gioco ancora di più, vuol dire che hai coscienza di quello che sei in tutti i sensi, sai di essere anche una persona buona, di cuore, piena di valori. E la gente questo me lo riconosce, anche le donne che purtroppo ho malmenato. Se oggi lei ci parlasse le direbbero queste cose, come le hanno dette tra loro e mi sono arrivate per bocca di altre”
Non si nasce violenti, secondo Gaetano, e sicuramente si può guarire dalla violenza. “Ci vuole impegno e sacrificio, e voglia di rispettare il prossimo. Le nostre compagne, i compagni, i genitori, noi stessi prima di tutto, perché prima veniamo noi. Perché, ripeto, poi stai male. E se stai male non sei una persona utile”.
*Gaetano e Paolo sono nomi di fantasia in quanto le persone intervistate hanno richiesto l’anonimato.
stavo chiudendo e inoltrando questo post sui i vari gruppi fb a cui sono iscritto e il mio account e pagina fb quando quando leggo
Polemiche sul tutorial Rai per fare la spesa in modo sexy
Salini: "Episodio gravissimo, non è Servizio pubblico". De Meo: "Rai 2 indagherà sull'accaduto"
In un tutorial andato in onda nel programma Rai “
Detto Fatto” alle spettatrici a casa viene insegnato come fare la spesa in modo provocante, con indosso un paio di tacchi alti.
. Il filmato ha scatenato polemiche, accusato di veicolare un messaggio sbagliato della donne. “Sarà un serio impegno della rete indagare sull’accaduto e sulle responsabilità, e garantire che questo non accada più in futuro: sarebbe contrario allo spirito del programma e ai valori civili della conduttrice, degli autori, e di Rai2”, afferma in una nota il direttore della seconda rete Rai, Ludovico di Meo. E, dopo le polemiche, salta la puntata di “Detto Fatto” del 25 novembre.
Ospite in studio di Bianca Guaccero è la coreografa professionista e pole dancer Emily Angelillo. “C’è chi anche al supermercato porta i tacchi, perché al supermercato si cucca”, dice la conduttrice alla ballerina, che si avvicina al carrello della spesa, per simulare una passeggiata tra le corsie del supermercato. Angelillo spiega allora come inarcare la schiena mentre si tenta di raggiungere il prodotto sullo scaffale in alto, come piegarsi e rialzarsi se il prodotto dovesse cadere per terra. [....] da
https://www.huffingtonpost.it/entry/polemiche-sul-tutorial-rai-per-fare-la-spesa-in-modo-sexy_it_5fbe41bbc5b66bb88c62ea37
la giornata contro la violenza sulle donne è come la scritta "il fumo provoca il cancro" sui pacchetti delle sigarette......si vive in una società violenta e aggressiva, basta accendere la TV e guardare un talk show, soprattutto su certe reti.....
infatti
questo articolo di
https://www.tvblog.it intitolato appunto : << 25 Novembre tra palinsesti speciali e tutorial fuori luogo: l’ipocrisia delle celebrazioni sulle, per le, con le donne L’ipocrisia delle programmazioni speciali emerge con forza nel confronto con l’offerta quotidiana >> mi da ragione a quanto dicevo giorni fa ( vedere url in cinema al post ) su tale giornata .