26.9.20

non so chi è peggio se un femminicida o un abitante di un palazzo che dice no ad un rifugio per le donne vittime di violenza perchè esse deprezzano il condominio .

 Leggendo  notizie   del  genere mi  vengono  certi  commenti  .... Anche a  costo  di  passare  da disumano   come questi “signori” e, soprattutto, “signore”, ci sarebbe da augurare loro di subire altrettanta violenza all’interno dei loro appartamenti di pregio. Evidentemente   , sarà  :   una frase  infelice   , cinca  e stupida , ecc.  ma  è  l'unica   che  viene  in questo momento  ,    scometto che  se  a subire  violenza   fosse   qualcuno\a  di loro    o  loro familiari e  parenti ,  non  farebbero  la stessa  cosa  . E qui mi fermo  per  , non scendere ancor  di più nell'abbisso della  disumamìnità  e   fare   i bastard  inside  come loro  .

La solidarietà sì, ma lontano dalle nostre case signorili. Poveri noi. Oggi sul Fatto Quotidiano la tristezza.



P.S  Tra le frasi dei residenti riportate nell'articolo   di  cui riporto qui la  prima pagia n del ifq del 24\9\2020 c'è anche questa, agghiacciante: "Non sappiamo chi volete portare in casa nostra. Non vogliamo che i nostri figli si mescolino ad altri bambini che vengono da quelle situazioni" concludo   con  questo  commento  ,  di  


Per certe persone, la solidarietà è una cosa bellissima, fatta di parties in abiti lunghi, dove apporre il loro nome a congrui assegni,
ma fatta da altri e soprattutto, cosa fondamentale, lontano il più possibile da loro....
Che tristezza....

non ricordo   da quale account pubblico   di facebook  l'ho preso 

Donne ai primi passi (Mignonnes), conosciuto anche con il titolo internazionale Cuties, di Maïmouna Doucouré il nuovo Dirty Dancing - Balli proibiti degli anni 2000 o un semplice filmetto che poi sarà dimenticato ?

 

in sottofondo  


Ieri  in una bruttissima   giornata   dal piunto di vista  meteorologico   ho  deciso di  vedermi     (  in modo  da non averne  un giudizio aprioristico  ed  unidirezionale  )  su  netflix  Mignonnews  \  Cuties  


 film del 2020 diretto da Maïmouna Doucouré. Lungometraggio  chiacchierato ed  oggetto   di polemiche  Controversie  già prima della sua distribuzione su Netflix. IL  film ed  è   questa  che   m'indigna  non suscitò particolari polemiche quando fu mostrato al Sundance Film Festival e poi distribuito nelle sale in Francia.  Poi  


(..... )

Netflix acquistò Cuties, il manifesto e il trailer internazionali del film furono criticati per aver sessualizzato delle ragazzine di undici anni e tacciati di pedofilia,essendo differenti da quelli utilizzati per promuovere il film in Francia. Il Parents Television Council (PTC) chiese che Netflix rimuovesse interamente il film dalla sua piattaforma di streaming, e Change.org promosse una petizione per la cancellazione degli abbonamenti a Netflix a causa della presenza del film, che  ha  raccolto  [ almeno   fin quando  l'ho consultato  io   ] oltre 600,000 adesioni [...] Il senatore degli Stati Uniti Josh Hawley dello Stato del Missouri, tramite un tweet invitò formalmente Netflix a discutere del film "prima che lo facesse il Congresso".[20] Il senatore Mike Lee dello Utah inviò una lettera direttamente al CEO di Netflix Reed Hastings, chiedendo chiarimenti circa le tematiche trattate nel film.[21] Il membro della Camera dei rappresentanti delle Hawaii Tulsi Gabbard definì esplicitamente "pedopornografico" il film e il suo contenuto atto a "stuzzicare l'appetito sessuale dei pedofili [e] favorire il traffico sessuale di bambini". Il senatore Ted Cruz del Texas spedì una lettera al Dipartimento di Giustizia affinché "investigasse se Netflix, la sua direzione, o i registi avessero violato qualche legge federale contro la produzione e distribuzione di pornografia infantile". Christine Pelosi, figlia della portavoce della Casa Bianca Nancy Pelosi, dichiarò che Cuties: «Senza dubbio iper-sessualizza le ragazzine per la gioia dei pedofili come quelli che ho perseguito in carriera». Il senatore Tom Cotton criticò il film chiedendo fossero intraprese delle azioni legali nei confronti di Netflix, dichiarando: «Non ci sono scuse per la sessualizzazione dei bambini, e la decisione di Netflix di promuovere il film Cuties è rivoltante come minimo se non un vero e proprio reato».Gli uffici dei procuratori distrettuali di Ohio, Florida, Louisiana e Texas scrissero tutti a Netflix chiedendo la rimozione della pellicola. Particolarmente accese le proteste in Sudamerica dove ancora prima dell'uscita del film su Netflix, cominciò a circolare su Twitter l'hashtag NetflixPedofilia.   

  (.... )    da    https://it.wikipedia.org/wiki/Donne_ai_primi_passi

Questi  attacchi   , soprattutto quelli fatti aprioristicamente  e  basati su  un equivoco  la  locandina promozionale, che ritraeva delle ragazze giovanissime in pose provocanti e abiti succinti. Questa rappresentazione, però, è stato un passo falso da parte di Netflix, e non mostra davvero il messaggio del film.   Infatti mi va  venire   il  dubbio    complottista   se   tale campagna  promozionale  del  film su netflix   sia stata  creata   ad  arte  o  gesto involontario  per creare  polemiche  e incrementare  il  pubblico.    A parte questo  " equivoco "  le polemiche   , sono  dovute  al fatto   che  il  film tratti  dell'ipersessualizzazione delle adolescenti, nonostante esso   sia stato ideato proprio per denunciare questi comportamenti  ed  ciò ha  fatto si  che     sia stato ( ed  ancora  continua  SIC  )  ad essere    giudicato  dalla massa    non tanto  per  la trama  ed  il suo messaggio ma  per la richiesta  aprioristica  ed  senza  senso   richiesta  di  boicottaggio e di censura  da  parte   di vecchi  e nuovi  censori  e  ipocriti moralisti ovvero quelli che  ben pensano per parafrasare una famosa  canzone    . Confermo   quanto  già dicevo  precedentemente  in un post  su queste  pagine   ovvero Il cortocircuito della campagna per cancellare Netflix è la perfetta rappresentazione di tutte distorsioni della vita online, dove è sempre più difficile uscire dalla logica dell’oltraggio e delle tribù.  E  concordo con quanto   fa  notare   questo articolo   di   https://www.rollingstone.it/

in particolare  

[.... ] Non ho una frase univoca e a effetto per concludere il ragionamento: in generale la polemica che è montata – e che sta continuando a montare – mi sembra basata sul nulla, originata più dai timori, dall’ipocrisia e dalle inibizioni del pubblico adulto. È però purtroppo lo specchio (l’ennesimo) del tempo malato in cui ci tocca vivere, che gode nel vedere del marcio ovunque, in Woody Allen, in Roman Polanski, in Via col vento, nel trailer di We Are Who We Are di Luca Guadagnino, in Jodie Foster che interpreta una prostituta adolescente in Taxi Driver, in Amy e nelle Mignonnes. Un tempo malato in cui la gente non sa decodificare più nulla, e che mi lascia con un’unica, laconica certezza: preparatevi, ché ad andare avanti così si salverà solo Peppa Pig. 

Perché  il problema     a  cui   esso fa  riferimento  ,sempre  più diffuso  e sempre più  in crescita  ,   va  affrontato  con  il confronto ,  la  comprensione  ,  andando all'origine del   questione   .  Oppure  se  si vuole  combatterlo  farlo   con una   guerriglia  contro culturale  perchè 

[.... ] 

lo vedi quante cose che ci sono ancora da cambiare,                                                            con la Guerriglia Culturale                                                                                                       lo vedi quante cose che si devono cambiare,                                                                           con la Guerriglia Culturale                                                                                                         lo vedi quante cose che ci sono da salvare,                                                                              con la Guerriglia Culturale

 cover  di Con la  guerriglia   degli   Acid Folk Alleanza  incisa nel disco del 1995 Materiale Resistente


Ecco quindi che  il film  Mignonnes – Donne ai primi passi  ha  avuto    pubblicità gratuita  e i  vecchi  e  nuovi tromboni   hanno   creato   tanto rumore    per niente  . 
Esso      come suggerisce  l'equilibratissimo  articolo    di   https://www.badtaste.it del 12.9.2020 merita attenzione, non boicottaggio o  censure   vistoo il tema cosi  complesso e  delicato   che essa  affronta   ottimamente  . Un film trieste  , spensierato   ,   che   fa  riflettere  su  un problema  iniziato  quasi  in sordina   con  l'edonismo  della milano da bere   e   del  Craxismo  \  Berlusconismo rampante   ovvero i cosiddetto riflusso culturale  dopo la  sbornia   degli ann 60\70  ,  sempre  più attuale     soprattutto     con l'evento dei  social  e  degli smartphone  ed  ipod   Mi è  piaciuto    il modo  con cui la regista ( foto sotto a  a sinistra  Maïmouna Doucouré  )  con    questo film   rappresenta un fenomeno molto diffuso, una realtà, presente soprattutto su instagram e Tik Tok, ma che ovviamente non approva.  Per le ragazze  adolescenti è del tutto normale ed  comprensibile   che   vogliano  iniziare a volersi vestire come le ragazze più adulte, o voler ballare come nei videoclip, lo abbiamo fatto tutti/e. La tendenza, però, è spesso quella di colpevolizzare queste bambine che postano sui social, o di vedere la malizia in quello che è solo un gioco. 
Infatti Una bambina di 11-13  anni che balla in bikini, sta giocando, non sta cercando l’attenzione degli uomini. Il problema è quando alcuni uomini ed il sistema   usano la presunta precocità di queste bambine per deresponsabilizzarsi sui propri desideri, e non riflettere sui modelli che vediamo tutti i giorni e che siamo noi adulti a creare. 
Sono convinto  che le bambine devono essere libere di vestirsi come gli pare a scuola o fuori e di twerkare, a patto che rimanga un gioco, e che nessun’adulto  sfrutti  quest’ingenuità per lucrarci o sessualizzarle. Essa racconta una parabola di crescita semi-autobiografica e contemporaneamente denuncia l’ipersessualizzazione delle minorenni amplificata dai social e prova a spiegare quali siano le cause sociali (degrado, abbandono, scontro culturale) che stanno dietro a certi eccessi e che stanno accorciando l’infanzia di intere generazioni incoraggiandone una crescita troppo rapida e sregolata . Un film francese fiero ed indigesto  <<  finito in un’infelice terra di nessuno: a quelli che lo diffondono non interessa capirlo, a quelli che lo criticano non interessa guardarlo. Un peccato, perché così non è emersa dal dibattito la tesi davvero coraggiosa di Cuties né, tanto meno, il suo più grande merito: quello di sbatterci in faccia la verità dello schifo.(...)>> [ continua, per chi volesse qui, sull'ottimo sito    https://www.lintellettualedissidente.it  ] per   chi  lo  difende   come il sottoscritto    sia    agli ipocriti  ed   ai   benpensanti    \  quelli che  ben  pensano  per  parafrasare una famosa  canzone  .  Un film    consigliabile  ,  non per  ipocrisia    e   censura  ma  per  la complessità delle  tematiche  in esso trattate  da vedere  con  i genitori  (  un tempo vietato ai minori  di  14  anni  )  .  Peccato  ,  ma    ciò  non toglie  niente  alla  sua  caratteristica    ed  al modo   originale    e non  banale  con   cui affronta   tali tematiche  ,  la materia  ipersfruttata   vedere  esempio il film  Dirty Dancing - Balli proibiti   del     Regista:  Emile Ardolino  Usa  1987.  Infatti a prima vista  il  film  può sembra  il classico  film adolescienzale  , ma  andando avanti nella  visione  ,  è  un film   un po'  duro  ma   senza  perdere  la tenerezza    che  affronta   il desiderio  di   libertà   delle  adolescenti     ed  il loor essere  in bilico    tra  una  trasgressione   che  ormai   non è più  trasgressione   ma  un  nuovo  conformismo   \  omologazione  , ed  la  voglia di liberarsi  dalla catene  e  dalle prigioni  i vecchi retaggi  familiari  e  religiosi   \ culturali .Proprio  , anche se  un un contesto   diverso   , ma la  voglia   \ il desiserio   ,  è lo stesso  , descritta  da un altro bellissimo film    Capri revolution (  Italia  2018 ) diretto e co-sceneggiato da Mario Martone  .  

25.9.20

galateo questo sconosciuto il caso Sallusti - de Gregorio

Inizialmente     consideravo     questo scontro  tra  Sallusti ( non so  il nome    voisto che  sui media  lo chiamano  tutti   con il cognome  )  e  Concita  De  Gregorio  ( i media la  chiamano   con nome  e  cognome  )   una  questione  di lana  caprina  ,  insomma  avevo una posizione benaltrista  . Poi  Riflettendo su commenti al precedente post   ( vedere sotto )   facebookiano 

( per leggere la discussione pote o cliccare con il mouse sulla data in piccolo sotto il mio nome oppure andare qui su https://bit.ly/333BuGa )  ma  soprattutto    a questo post   dell'associazione  femminile  

“CHIAMAMI CON IL MIO COGNOME”
BRAVA CONCITA DE GREGORIO



“Scusa Sallusti perché chiami tutti gli altri giornalisti per cognome e solo me con il nome di battesimo? “
Ringraziamo Concita de Gregorio per non essere stata zitta. Per non aver accettato il perpetrarsi di dinamiche sessiste così smaccatamente diffuse da non balzare più ne’ all’occhio ne’ all’orecchio.
Un atteggiamento definito “affabile” dal conduttore del programma Di Martedì, Giovanni Floris. Ma perché affabile?
Affabilità, condiscendenza sono atteggiamenti paternalistici che riflettono un preciso modo e di pensare e pensarci.
Siamo maggiormente affabili con chi riteniamo più vulnerabili, più indifesi e non con chi consideriamo nostro pari.
Noi siamo le parole che usiamo e il sessismo è così presente nel nostro linguaggio perché è fortemente radicato nelle nostre vite.
Così le scienziate dello Spallanzani sono citate solo per nome e Cristoforetti diventa semplicemente Samantha.
E così De Gregorio può diventare Concita ma Sallusti non sarà mai Alessandro così come Parmitano non sarà mai semplicemente Luca.Ringraziamo Concita per aver smascherato la subdola idea di superiorità paternalistica di Alessandro e di chi accuserà De Gregorio di essere un’isterica, rigida e priva di senso dell’ironia. 


m'accorgo che la reazione di Concita de Gregorio non è una questione di lana caprina di poco conto . IL fatto è che ormai siamo impregnati ed assuefatti ( salvo qualche barlume ogni tanto dovuto ai retaggi del passato e dell'educazione dataci ) a tale maleducazione mancanza di rispetto, ecc e che non ci accorgiamo sempre più diffusa che non ce ne accorgiamo  neppure  





e non riusciamo ad individuare le forme più implicite e sottile d'essa . 
Dovremo rileggere  il galateo  


24.9.20

Figlicidio di Baima Poma, se il Garante per l’infanzia si commuove per gli insulti al padre violento – La lettera di Nadia Somma Attivista presso il Centro antiviolenza Demetra

I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di sé stessa.
Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi.
E sebbene stiano con voi, non vi appartengono.
Potete dar loro tutto il vostro amore, ma non i vostri pensieri. Perché essi hanno i propri pensieri. Potete offrire dimora ai loro corpi, ma non alle loro anime. Perché le loro anime abitano la casa del domani, che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni. Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercare di renderli simili a voi. Perché la vita non torna indietro e non si ferma a ieri. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati. L’Arciere vede il bersaglio sul percorso dell’infinito, e con la Sua forza vi piega affinché le Sue frecce vadano veloci e lontane. Lasciatevi piegare con gioia dalla mano dell’Arciere. Poiché così come ama la freccia che scocca, così Egli ama anche l’arco che sta saldo.
Kahlil Gibran( (in araboجبران خليل جبران‎, Jubrān Khalīl Jubrān[1]Bsharre6 gennaio 1883 – New York10 aprile 1931 è stato un poetapittore e aforista libanese naturalizzato statunitense. ) 



davanti a tali tragedie come l'omicidio suicidio di un figlio\a ci dovrebbe essere solo silenzio . Ma quando un autorità , il garante per l'infanzia in questo caso , dice delle castronerie , il non silenzio diventa una necessità e non un opzione . 
Infatti è per questo che concordo con questa bellissima lettera che trovate sotto . Ho letto , non lo rileggerei una seconda volta , i suo delirante messaggio \ lettera alla ex moglie , ed è per questo che concordo con la lettera sotto riportata non si tratta solo di depressione ovvero : << Un fiume di rancore navigato da un ego che come un buco nero ha inghiottito la vita del figlio, la vita della ex moglie e qualunque forma di amore. >> ma figlicidio e di femminicidio.
Le  donne ,  e pochi uomini   come  l'autore  della poesia  citata   all'inizio del  post  ,   sanno   esprimere   meglio    tali  pensieri    e  qui  riporto  qui l'articolo   del   https://www.ilfattoquotidiano.it/ di  

Nadia Somma

Nadia Somma

Attivista presso il Centro antiviolenza Demetra

DIRITTI- 23 SETTEMBRE 2020

Figlicidio di Baima Poma, se il Garante per l’infanzia si commuove per gli insulti al padre violento – La lettera



Gentile Antonio Marziale,
Lei è sociologo e Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Calabria e per questo le scrivo. Mi riferisco al post in cui si è scagliato contro chi aveva bersagliato di insulti la pagina di Claudio Baima Poma, l’uomo che si è suicidato dopo aver assassinato Andrea, il proprio figlio. Prima di farlo ha esposto alla gogna la ex moglie, colpevolizzandola in un lungo post su Facebook, per non essersi occupata del suo mal di schiena, della sua difficoltà a camminare e del suo male di vivere. Un fiume di rancore navigato da un ego che come un buco nero ha inghiottito la vita del figlio, la vita della ex moglie e qualunque forma di amore.

Quest’uomo ha concluso la sua rivendicazione con la richiesta di avere la scorta di motociclisti al suo funerale, convinto che gli spettasse una qualche forma di tributo; poi ha augurato alla ex moglie di soffrire per il resto della vita.
Mi preme precisare che la canea che lancia insulti sui social disgusta anche me, perché abbiamo altri modi per elaborare vicende che ci turbano e ci toccano per la loro efferatezza. La lapidazione collettiva, seppur virtuale, di persone vive o morte che si macchiano di crimini, sono reazioni primitive che rispondono alla violenza con la violenza. Il femminismo ha sempre insegnato che non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone e quindi dobbiamo trovare altre strade, altre parole. Ma se vogliamo elaborare crimini e violenze che ci turbano, dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, guardare con occhi ben aperti ciò che è accaduto, e per la morte del piccolo Andrea e la disperazione di sua madre Iris, dobbiamo parlare di figlicidio e di femminicidio. L’assassinio di Andrea non è stato causato da un “male oscuro” ma dal rancore che Claudio Baima Poma nutriva contro la ex, come l’assassinio dei gemelli Elena e Diego avvenuto all’inizio dell’estate, non è stato frutto del “dramma di un padre separato” (come scrissero alcuni quotidiani) ma una vendetta consumata da Mario Bressi contro la ex moglie.

Lo psichiatra Paolo Crepet in una bella intervista rilasciata sull’Huffington Post, ha parlato di “un omicidio, frutto di una cultura feudale e di una idea feudale del matrimonio e della figliolanza, in cui l’uomo è il proprietario, non padre, che ha ucciso vigliaccamente il figlio e la moglie nella maniera più terrificante, condannandola a morire lentamente” con un gesto “più violento di uno che ti uccide con un kalashnikov”.
L’origine di questi crimini non è un generico disagio sociale, come lei ha dichiarato nell’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Dire, e nemmeno la disoccupazione; la matrice risiede nelle relazioni asimmetriche tra i generi e nella pretesa che le donne siano oblative e sacrificabili all’infinito e quando si sottraggono al loro ruolo devono essere punite. Come Garante dell’Infanzia e come sociologo dovrebbe conoscere molto bene queste dinamiche.Si può provare pietà e compassione per quei genitori, padri o madri, che uccidono figli sofferenti per mali incurabili o per handicap gravissimi che rendono l’esistenza un inferno, o per chi uccide in preda ad una follia che tronca ogni legame con la realtà ma per chi uccide lucidamente per vendetta forse l’unica risposta giusta che possiamo dire è restare distanti.Nella sua invettiva contro “gente disgraziata che commenta con spirito saccente il dramma di un uomo che in preda alla depressione ha ammazzato il proprio figlio e si è suicidato” e contro “gente senza un minimo di dignità che si prende la briga di assolvere o condannare un uomo in preda ad un male oscuro” o “gente di merda che si erige ad interprete dello stato d’animo di un uomo che è arrivato a tanto”, ha dimenticato di esprimere compassione per un bambino che aveva un vita da vivere prima di essere spazzata via da un proiettile sparatogli dal padre. Ha anche dimenticato la compassione per la madre, l’unica superstite, condannata ad una non vita. Non c’entra nulla la depressione o il male oscuro con il gesto efferato di un uomo che sacrifica il figlio sull’altare di un ego implacabile.
La violenza maschile è stata a lungo legittimata e nello stesso tempo rimossa attraverso una narrazione estetizzata e se vogliamo prevenire la violenza contro le donne e i bambini, dobbiamo cominciare a narrarla con altre parole denunciandone il disvalore. Non è più il caso di provare indulgenza e nascondere il vero movente dei crimini commessi da questi padri, non si deve cadere nell’inganno del “buon padre di famiglia” (come ha dichiarato in un’intervista all’agenzia di stampa Dire, Jakub Golebiewski presidente di Padri in movimento) e tantomeno aderire alla narrazione che gli assassini fanno di se stessi per legittimare i loro crimini.

Cordialmente
 twitter @nadiesdaa

22.9.20

Siamo certi che visioni patriarcali e sessiste siano state sradicate? dalla discutibilissima pubblicità attira “clienti” di una chupiteria di Milano sembra di no

musiche  consigliate 

 Le fughe, i ritorni (Vittorio Nocenzi,Viola Nocenzi)

C'è un'aria Giorgio gaber


 davanti a  simili    iniziative  pubblicitarie  di sessismo e oggettificazione del corpo della donna come discutibilissima pubblicità attira “clienti” di una chupiteria di Milano situata in viale Bligny, a pochi passi dall’Università Bocconi.più precisamente affissa su un muro adiacente al locale “The Social Chupiteria“,  


Mi chiedo come fa la pagina fb https://www.facebook.com/peoplexplanetn Siamo così sicuri che ci stiamo dirigendo verso un’Italia in cui il divario di genere si stia accorciando? Siamo certi che visioni patriarcali e sessiste siano state sradicate? Io penso di no e penso che l’usa e getta sia ancora più marcato, agevolato oltre che dai media , dalle pubblicità anche da silenzio della gente e dalla stupidità di alcune donne che come bigliettino da visita offrono solo tette e lato B o come il caso della prof liceo di Roma vedere post precedenti intrise di cultura sessista



Laleh Osmany: l'influencer che vorrei ha dato un nome a tutte le donne afgane.

In Afganistan c'è una legge che vieta di chiamare le donne in pubblico con il loro nome, tanto che viene considerato un insulto. Così le donne vengono identificate come “figlia di” “moglie di” “madre di” seguito dal nome del parente maschio.Il loro nome non appare nemmeno nei loro documenti, nel loro certificato di nascita, nelle ricette del medico, negli inviti del matrimonio, nei certificati di nascita dei figli o addirittura nel loro certificato di morte e nella loro lapide al cimitero.La loro identità non esiste, se non in relazione ad un uomo.Un giorno, una donna è andata dal medico il quale le ha prescritto una ricetta per dei farmaci. Lei gli ha dato il suo nome, una volta ritornata a casa, il marito ha visto il nome della moglie nella ricetta del medico e l'ha picchiata, dicendole che l'aveva disonorato.“In Afghanistan secondo le logiche tribali, il corpo di una donna appartiene a un uomo. E con esso anche il volto e il nome che lo identifica”, ha spiegato il socioloco afgano Hassan Rizayee,  al New York Times. Tre anni fa, una giovane donna di 25 anni di nome Laleh [  foto a sinistra   ] 

ha deciso che non si poteva più accettare questa situazione, avere un nome è un “diritto umano fondamentale”. 
E così ha iniziato la campagna “Where is my name” - “Dov'è il mio nome?”.  È stata insultata dagli uomini che dicevano che voleva mettere il suo nome perché non sapeva chi era il padre di suo figlio, di fatto dandole della “poco di buono”.È stata contrastata da diverse donne, le quali ritenevano più importante rispettare l'onore degli uomini che avere il diritto ad una propria identità.Molte altre donne, fortunatamente, si sono unite a lei in questa campagna, soprattutto le donne afgane emigrate all'estero.“Fin dalla giovane età, le donne sono condizionate a credere di essere un’appendice di un uomo, ma la maggior parte dei limiti imposti alle donne non ha alcun fondamento nella religione islamica”, spiega Laleh.“Una donna è prima di tutto un essere umano e solo dopo è una moglie, una sorella, una madre o una figlia. E ha il pieno diritto di essere riconosciuta per la sua identità”, ha dichiarato Sayeed, un'attivista dei diritti delle donne e famosa cantante afgana.“Dobbiamo rompere un tabù e riportare il nome e l’identità delle donne al primo posto” dice Safiqeh Mohseni, un'altra donna che supporta la campagna.“L’unico modo per spezzare il silenzio sulla condizione delle donne è proprio dare loro voce partendo dal nome” dichiara un'altra sostenitrice. E finalmente, dopo 3 lunghi anni, è arrivata la vittoria: il governo ha annunciato che il nome della madre sarà incluso sulla carta d’identità nazionale e, grazie a questo, si darà alla madre il potere e l’autorità per ottenere documenti per i figli, iscriverli a scuola e viaggiare. Un grande passo in avanti per le donne di tutto l'Afganistan.Laleh Osmany, una donna coraggiosa, risoluta, tenace. Una donna che ha dato il nome a milioni di donne facendo sentire la sua voce e non accettando di soccombere ai dettami imposti dalla società.

20.9.20

Il cortocircuito della campagna per cancellare Netflix è la perfetta rappresentazione di tutte distorsioni della vita online, dove è sempre più difficile uscire dalla logica dell’oltraggio e delle tribù

 Leggendo  l'articolo di DANIELE RIELLI  https://www.editorialedomani.it/   del 19\9\2020  che trovate  citato nel post  d'oggi   sotto  ,  credevo  che i censori  moderni  non fossero   cosi  ignoranti    e  che     non esistono più  i  censori di  una  volta   quando  si     censurava nella maggior  parte   delle  volte   sapendo   cosa  si censurava  . 
 Da quando netflix ha messo online Mignonnes un film francese che tratta dell’ipersessualizzazione delle bambine, e lo ha annunciato attraverso una locandina che ha scatenato una campagna di boicottaggio che ha fatto perdere miliardi in borsa all’azienda.


Quando l’intera architettura comunicativa della piattaforma digitale permette l’estrapolazione emotiva di un contenuto dal suo contesto nessun discorso che non sia quello dell’oltraggio subito è più possibile.
Si tratta di uno dei primi grandi boicottaggi che arrivano dall’area conservatrice, che sta facendo tesoro delle modalità di azione degli attivisti radicali.
Ora nel momento in cui scrivo la campagna di boicottaggio #CancelNetflix ha raccolto 640mila firme in tutto il mondo e causato una grossa perdita in borsa al titolo del gigante americano. Soprattutto, #CancelNetflix si è dimostrata una campagna estremamente simbolica di alcuni meccanismi chiave del nostro tempo. Questo, in breve, il riassunto di quello che è accaduto: Netflix ha messo online Mignonnes, 

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un film francese premiato al Sundance film festival – un’opera che tratta dell’ipersessualizzazione delle bambine – e lo ha annunciato attraverso una locandina in grado di attirare l’attenzione di quel genere di persona che sta tutto il giorno su Twitter a controllare che non ci sia per sbaglio al mondo qualcosa che non risponda esattamente al suo volere per poi denunciarlo seduta stante. Nel caso specifico l’immagine ritraeva le attrici preadolescenti di Mignonnes nella scena più disturbante del film, il climax drammatico del lungometraggio, il momento cioè in cui, vestite come le ballerine dei video musicali, si esibiscono in pose ricalcate in maniera grottesca e inquietante su quelle delle loro omologhe adulte. Il risultato è stato un boicottaggio globale contro il film, accusato immediatamente di istigare alla pedofilia.Ora Netflix si è scusata ma sull’onda dell’indignazione popolare  aprioristica  (e in un momento comunque di difficoltà per alcuni titoli tech) ha perso 8 miliardi di dollari di valutazione in borsa. Non è chiaro a quanto ammonti precisamente il danno dovuto al boicottaggio e quanto invece la perdita sia da attribuire ad altri fattori tra cui quello congiunturale, ma è certo che il boicottaggio ha avuto  almeno  fin ora  un effetto economico negativo per il servizio di streaming americano, e tutt’altro che residuale. <<Il film>> come  giustamente fa ,  e  come  lo si  può vedere  vedendolo  prima di  sparare   crociate ,  notare   questo intervento  del nuovo  quotidiano  Domani  << ben lungi dall’essere un’apologia della pedofilia, è come detto una critica – ben riuscita – alla prematura sessualizzazione delle bambine nella società digitale, non una sua celebrazione, ma l’indignazione su Twitter non è nata dalla visione del film completo, bensì dal singolo manifesto o dalla clip del già citato ballo di gruppo nel finale, estratti del tutto parziali ma comunque più che sufficienti per causare l’ira istantanea di centinaia di migliaia di persone in tutto il pianeta.>> In pratica sul social ed  purtroppo   non solo   si è perso il contesto e il contenuto ha finito così per significare l’esatto contrario di quello che voleva significare originariamente, e ha triggerato quei censori di mezzo mondo che in maggioranza non perdono un secondo a capire a cosa si trovano di fronte ma promuovono seduta stante quei boicottaggi con cui possono avere la sensazione di salvare il mondo comodamente dal loro pc .  
<< Va da sé che un alieno che vedesse su un ipotetico TwitterGalaxy questi tweet terresti che denunciano, riportandoli, i manifesti e i video del film potrebbe lanciare un boicottaggio contro i boicottatori perché mostrano immagini compromettenti di bambine. Il punto di tutta la vicenda è, infatti, che quando l’intera architettura comunicativa della piattaforma digitale permette l’estrapolazione emotiva di un contenuto dal suo contesto – anzi l’incentiva perché chi denuncia un presunto scandalo ottiene attenzione, la moneta corrente del mondo social –  nessun discorso che non sia quello dell’oltraggio subito è più possibile, perché non è più possibile alcuna reale argomentazione, solo ombre di significati, reazioni morali istintive che finiscono per ottenere il risultato opposto a quello che si prefiggono e nascondo, con il loro rumore assordante, ogni possibile obiezione. Tantomeno è possibile ogni forma di critica, visto che per definizione la critica deve riproporre al suo interno anche l’oggetto di cui sta parlando e questo mette in moto il circolo vizioso descritto qui sopra.  I boicottatori vanno dal senatore repubblicano Ted Cruz ai numerosi complottisti di QAnon, un gruppo di persone che crede che Hollywood e l’industria dell’intrattenimento siano dominate dai pedofili. Molti di loro hanno ammesso di non aver visto Mignonnes (Cuties, nella sua versione inglese), sottintendendo che non ci sia bisogno di vedere un film tanto oltraggioso prima di condannarlo. Per la cronaca io Mignonnes l’ho visto, ed è un bel film, molto divertente nella prima parte, quella in cui si forma la piccola gang di teppistelle ossessionate dai video online, proprio come le loro coetanee nel mondo reale sono consumatrici e produttrici di video di balletti su TikTok su YouTube,  e poi mano a mano più drammatico, fino ad un finale che si interroga sulla prematura perdita dell’innocenza delle bambine nella nostra epoca. La regista è Maïmouna Doucouré che per sua fortuna – visto quello che è accaduto – almeno non è un maschio bianco etero con antenati vichinghi ma una franco-senegalese e ha un tocco assieme leggero e drammatico, realistico e poetico, insomma, è brava. Non edulcora nemmeno per un momento la drammatica condizione subalterna delle donne all’interno della comunità musulmana in cui vive la protagonista del film – la madre della protagonista deve subire obtorto collo il secondo matrimonio del marito, poligamo proprio come il padre della regista – racconta anche le ossessioni per la magia delle donne di famiglia e insomma mette ben in chiaro come anche il decadimento dei nostri costumi, rispetto a tutto questo, possa risultare attraente per una bambina che cresce a cavallo di due culture e che in quella occidentale può comunque trovare più riconoscimento per il suo corpo e per la sua libertà individuale. Come questo richiamo non però sia a sua volta privo di rischi è precisamente il tema del film. Insomma, parecchia carne al fuoco ma Doucouré la gestisce sempre con sicurezza. Questo non le ha impedito – una volta scatenatosi il boicottaggio globale – di ricevere numerose minacce di morte, ma anche il sostegno del governo francese che ha annunciato che il film sarà usato come materiale didattico nelle scuole (ve la immaginate il ministro Azzolina prendere una decisione del genere? ). Due altre osservazioni che si possono ricavare da questa ennesima campagna di boicottaggio.>>                                                                                            
Anche i Conservatori ovviamente senza generalizzare perchè anche fra loro ci sono gente con un po' di cultura eccone un esempio Andrea Fagioli mercoledì 16\\9\2020 su https://www.avvenire.it/ qui per l'artricolo completo

Il boicottaggio. "Mignonnes" (Cuties) è un film duro, ma educativoNon si spiega la campagna contro Netflix: non c’è alcuna «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» come hanno scritto alcuni tra i 600mila firmatari di una petizione


Gli utenti che si sono indignati con Netflix lanciando una campagna di sabotaggio contro la piattaforma online per il film Mignonnes, conosciuto con il titolo internazionale Cuties, o non l’hanno visto o si sono limitati davvero alla locandina. Altrimenti non l’hanno capito o l’hanno guardato con occhi sbagliati. Il film della regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré non ruota intorno a una «scandalosa sessualizzazione di adolescenti » né ovviamente «incentiva la pedofilia», come invece hanno scritto alcuni tra gli oltre 600 mila firmatari di una petizione contro il colosso della distribuzione di film e serie tv via internet.
 I nuovi  conservatori  e  i    loro referenti  politici  stanno   cioè facendo tesoro delle modalità di azione  sia    degli antagonisti e  poi   dei social justice warrior (Sjw) – i censori del politicamente corretto – e in uno dei primi tentativi con questa tecnica di lotta ottiene un successo clamoroso. Questo perché se i boicottaggi che riguardano il mondo dei media, i creativi e i militanti digitali – che tutti assieme sono una piccola minoranza, per quanto influente, della popolazione – possono avere un peso, ma il peso di azioni simili quando vengono adottate proprio da quel popolo che di solito è oggetto di critiche di ogni tipo da parte delle élite culturali, l’effetto economico può rivelarsi molto più pesante ed  preoccupante  .
Faccio un esempio concreto di quello che intendo: fortunatamente la stragrande maggioranza delle persone non sono né razziste né omofobe quanto vengono dipinte dai Sjw, ma mettiamo per ipotesi che lo fossero davvero e incominciassero ad utilizzare i boicottaggi economici come forma di lotta a favore di queste idee sbagliate, chi credete che finirebbero prima o poi per appoggiare, prima velatamente e poi apertamente, le multinazionali quotate in borsa che devono rispondere ai loro azionisti? La maggioranza dei loro consumatori o la minoranza dei militanti? Ecco un altro buon argomento contro boicottaggi   fatti  a .... e censure: <<   la libertà di espressione >>  sempre   secondo  l'articolo    sopracitato  <<  sul lungo periodo tutela sempre le minoranze più che le maggioranze, è nata, anzi, proprio per questo scopo. Non andrebbe anche mai dimenticato che i primi a normare il cosiddetto «discorso d’odio» furono la Germania del secondo reich nel 1871 e il regime fascista nel 1930. Naturalmente a loro favore.>>
Ecco quindi  che  non non bisogna però nemmeno compiere l’errore – sempre più di diffuso – di pensare che gli “altri” siano in tutti stupidi, per cui bisogna anche ammettere che almeno una parte dei boicottatori avranno capito perfettamente come il film volesse essere una critica ma ciononostante non credono che sia legittimo mostrare immagini di quel tipo (non pedopornografiche ma comunque disturbanti  e   tabù ) di bambine anche se con esse si vuole compiere una critica sociale. Questa è senz’altro un’opinione legittima alla quale però si dovrebbe rispondere che nella società occidentale è garantita la libertà di espressione così come quella artistica, anzi, fra tutte le caratteristiche delle democrazie avanzate questo genere di libertà sono fra le più preziose perché si fanno precondizione per tutto il resto. Buona fortuna però a chi volesse sostenere questo argomento dopo aver promosso per anni censure, bigottismi, lottizzazioni, identity politics, caccia alle streghe e tutto quello che può contribuire a distruggere l’arte come strumento impareggiabile per la conoscenza dell’essere umano. 
Non si è molto credibili a difendere il diritto di critica dopo che con una leggerezza imperdonabile assieme a degli autentici colpevoli si sono aggredite anche le vite, le carriere e le famiglie d’innocenti – vale a dire anni di lavoro, d’impegno, di legami e di emozioni umane – e tutto per il solo piacere lungo trenta secondi di un tweet. È probabile che ora nelle parole di coloro che riscoprono la libertà di espressione solo quando riguarda la loro tribù, il resto del mondo riesca a sentire solo rumore di unghie sugli specchi. Perché quando si distrugge il discorso pubblico, si rinuncia al dialogo e al dibattito, alla sfida intellettuale, al confronto per sostituirlo con la censura e si divide la società in infiniti sottogruppi che hanno la pretesa di definire in toto una persona, si apre un vaso di Pandora le cui conseguenze possono diventare del tutto fuori controllo.

  Non ho una frase univoca e a effetto per concludere il ragionamento: in generale la polemica che è montata – come  fa notare    questo interessante  articolo  di  http://https://www.rollingstone.it/ - e che sta purtroppo   continuando a montare – mi sembra basata sul nulla, originata più dai timori, dall’ipocrisia e dalle inibizioni del pubblico adulto. È però purtroppo lo specchio (l’ennesimo) del tempo malato in cui ci tocca vivere, che gode nel vedere solo   del marcio ovunque, in Woody Allen, in Roman Polanski, in Via col vento, nel trailer di We Are Who We Are di Luca Guadagnino, in Jodie Foster che interpreta una prostituta adolescente in Taxi Driver, in Amy e nelle Mignonnes. Un tempo malato in cui la gente non sa decodificare più nulla, e che mi lascia con un’unica, laconica certezza: preparatevi, ché ad andare avanti così si salverà solo Peppa Pig. E se invece fosse solo una storia molto verosimile che non sappiamo (o vogliamo) accettare  ed   la  nascondiamo  sotto  i tappeto  o  faciamo crescere i nostri  figli\e   sotto  una  cappa falsamente ed ipocritamente  iperprottettiva non allenandoli alle  brutture  e a cercare   di ridurle   del mondo che  ci  circonda    ?