Ci sono notizie chele ragioni più diverse smettono d'essere soltanto l'oggetto di un semplice racconto e finiscono per coinvolgere chi la racconta(o nel Mio caso la diffonde riprendendola o intervistandone i protagonisti) al punto da farlo diventare protagonista della storia
da repubblica.it
Strawberry Fields Forever. Non saranno quelli cantati dai Beatles, ma Erica Alfaro, 29 anni e già un figlio di 13, ne è certa: non dimenticherà mai i campi di fragole infiniti della bassa California, dove i suoi genitori si sono spaccati la schiena per decenni a raccogliere frutta, pur di garantirle un futuro. E per questo ha chiesto a papà Claudio e mamma Teresa — 51 e 50 anni, emigrati da Oaxaca, Messico, nel 1990 — di posare per la sua foto di laurea proprio in uno di quegli orti dove hanno lavorato a lungo.
Eccoli dunque gli Alfaro, fra le fila ordinate di piante verdi punteggiate di frutti maturi, in quella foto che prima ancora di finire esposta sulla parete di una casa modesta, è diventata virale sui social, facendo il giro del mondo. Al centro c’è Erica, radiosa nella sua toga, il tocco in testa e la sciarpa, manco a dirlo, color fragola. A stringerla Claudio e Teresa, i genitori analfabeti e dalle mani callose, dritti e fieri nei loro abiti da lavoro. Sullo sfondo gli orti di Carlsbad, sobborgo di quella San Diego dove la giovane si è laureata in psicologia il 19 maggio. «Dedico la mia laurea ai sacrifici fatti dai miei genitori, venuti in questo paese per darci un futuro migliore» scrive Erica, sotto quell’immagine diffusa su Facebook e Instagram. E prosegue: «Se condivido questa foto è perché voglio incoraggiare gli studenti che non hanno i documenti in regola, le ragazze diventate madri troppo presto, le vittime di violenze domestiche a credere nel futuro e a battersi per finire gli studi. Come me, ce la potete fare».
Poche righe: il riassunto della sua giovane vita. Nata a Fresno, California, in una casa di due stanze condivisa con un’altra famiglia, dove alla notte dormivano 11 persone, Erica passa le giornate a raccogliere frutta nei campi fin da bambina: «Andavo dopo la scuola con i miei due fratelli. A seconda delle stagioni coglievamo fragole, ribes, lamponi, pomodori. Più raccoglievamo, più c’erano soldi per mangiare». A 15 anni prova a sottrarsi a quel presente odoroso di frutta e sudore fuggendo, già incinta, con un uomo di dieci anni più grande. Che prima la picchia, poi la mette alla porta col bambino. Costringendola a tornarsene dai suoi e alla raccolta frutta nei campi. «Mi lamentavo continuamente» racconta alla Cnn. «Il bambino non mi faceva dormire ed ero sempre molto stanca. Finché un giorno mia madre mi ha detto: “L’unico modo per sottrarti a questa vita è studiare. Solo facendoti una posizione uscirai da questo inferno”».
A Erica scatta qualcosa. A 17 anni e il bimbo da mantenere, s’iscrive a una scuola serale, si diploma. Riesce a prendere una borsa di studio all’Università della California. È molto determinata. Ma la vita non smette di ostacolarla. Nel 2012 il bambino è colpito da paralisi cerebrale. Esigenze e spese aumentano: i voti peggiorano. Non molla. «Ci ho messo sette anni. Ma ne è valsa la pena». E oggi, ritorna in quei campi di fragole: per dire che no, non sono per sempre.
non siccede solo negli Usa ma anche in italia infattti
http://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2019/02/04/
Erica Alfaro, la foto di laurea nel campo di fragole con i genitori immigrati diventa virale: "Credete nel futuro"
California: la donna, 29 anni e un figlio di 13 avuto da una relazione con un uomo violento, si è iscritta a una scuola serale e ha ottenuto una borsa di studio
Eccoli dunque gli Alfaro, fra le fila ordinate di piante verdi punteggiate di frutti maturi, in quella foto che prima ancora di finire esposta sulla parete di una casa modesta, è diventata virale sui social, facendo il giro del mondo. Al centro c’è Erica, radiosa nella sua toga, il tocco in testa e la sciarpa, manco a dirlo, color fragola. A stringerla Claudio e Teresa, i genitori analfabeti e dalle mani callose, dritti e fieri nei loro abiti da lavoro. Sullo sfondo gli orti di Carlsbad, sobborgo di quella San Diego dove la giovane si è laureata in psicologia il 19 maggio. «Dedico la mia laurea ai sacrifici fatti dai miei genitori, venuti in questo paese per darci un futuro migliore» scrive Erica, sotto quell’immagine diffusa su Facebook e Instagram. E prosegue: «Se condivido questa foto è perché voglio incoraggiare gli studenti che non hanno i documenti in regola, le ragazze diventate madri troppo presto, le vittime di violenze domestiche a credere nel futuro e a battersi per finire gli studi. Come me, ce la potete fare».
Poche righe: il riassunto della sua giovane vita. Nata a Fresno, California, in una casa di due stanze condivisa con un’altra famiglia, dove alla notte dormivano 11 persone, Erica passa le giornate a raccogliere frutta nei campi fin da bambina: «Andavo dopo la scuola con i miei due fratelli. A seconda delle stagioni coglievamo fragole, ribes, lamponi, pomodori. Più raccoglievamo, più c’erano soldi per mangiare». A 15 anni prova a sottrarsi a quel presente odoroso di frutta e sudore fuggendo, già incinta, con un uomo di dieci anni più grande. Che prima la picchia, poi la mette alla porta col bambino. Costringendola a tornarsene dai suoi e alla raccolta frutta nei campi. «Mi lamentavo continuamente» racconta alla Cnn. «Il bambino non mi faceva dormire ed ero sempre molto stanca. Finché un giorno mia madre mi ha detto: “L’unico modo per sottrarti a questa vita è studiare. Solo facendoti una posizione uscirai da questo inferno”».
A Erica scatta qualcosa. A 17 anni e il bimbo da mantenere, s’iscrive a una scuola serale, si diploma. Riesce a prendere una borsa di studio all’Università della California. È molto determinata. Ma la vita non smette di ostacolarla. Nel 2012 il bambino è colpito da paralisi cerebrale. Esigenze e spese aumentano: i voti peggiorano. Non molla. «Ci ho messo sette anni. Ma ne è valsa la pena». E oggi, ritorna in quei campi di fragole: per dire che no, non sono per sempre.
non siccede solo negli Usa ma anche in italia infattti
http://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2019/02/04/
Avvocato, ingegnere meccanico o una giovane donna laureata in Economia. L'onda del Mediterraneo infranta sulle coste italiane lascia tra i detriti dei barconi anche una parte del futuro del nostro Paese, che viene dall'Africa o dal deserto asiatico. E tra i rifugiati che scappano dalla guerra ci sono delle eccellenze di cui l'Italia è orgogliosa. "Il progetto che sto portando avanti grazie a tante persone mi fa credere che potrò essere utile", dice commosso Sohrab, afghano di 25 anni mentre si rivolge al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale ha partecipato all'inaugurazione a Roma del nuovo 'Centro Matteo Ricci' per l'accoglienza e l'integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati. Sohrab ha lasciato la madre quando aveva 14 anni, attraversando molti paesi da solo, con i trafficanti e con altri bambini conosciuti in cammino. E' arrivato in Europa con un gommone carico di persone partito dalla Turchia e arrivato in Grecia, dove è finito per la prima volta in carcere. Lui, che sognava l'Europa, ha provato a scappare tante volte: dentro o sotto un camion, sopra la cabina del guidatore. "Venivo sempre fermato e rimandato indietro - racconta -. E dopo tanti tentativi falliti ho deciso di provare a uscire dalla Grecia via terra: Macedonia, Serbia, Ungheria e tante prigioni diverse. E poi ancora dall'Ungheria all'Austria, la Germania e infine l'Italia. Sempre a piedi. "Ho imparato ad orientarmi con il sole e una mappa di carta, poiché allora non era facile avere un gps. Durante il mio viaggio avevo imparato a comunicare in inglese - dice sorridendo - . In Italia ho chiesto asilo politico, mi hanno accolto in un centro per i rifugiati e in sei mesi ho imparato l'italiano". In tre anni Sohrab ha studiato per riuscire a frequentare l'università e ora, da poco più di un mese, è un ingegnere meccanico, laureato a La Sapienza.Storie simili sono quelle di Charity, una giovane camerunense di 25 anni, rifugiata in Italia da due anni, che dopo essersi laureata in Economia nel suo Paese ha lasciato la famiglia per cominciare la sua nuova vita, impegnandosi per il riconoscimento dei suoi studi anche qui in Italia. "E' l'unico modo che ho per ringraziare i miei genitori di avermi insegnato che lo studio e la cultura possono cambiare il mondo", spiega. Soumaila, invece, in Italia ha cominciato a lavorando nei campi, dopo essere partito dal Mali, passando per l'Algeria, fino a sbarcare in Sicilia quattro anni fa con un barcone dalla Libia. Oggi, a 31 anni, quando dice che presto diventerà avvocato, i suoi amici lo prendono sul serio. "Mi sono laureato nel mio Paese e mi sto specializzando in diritto dell'immigrazione all'ateneo di Roma Uno - racconta - . Ma è stata dura, ricordo che un giorno mentre ero in metro volevo cedere il posto a qualcuno che poi mi disse: 'non mi metto al posto di un negro'". Ora Soumaila gira nelle scuole per insegnare ai ragazzi il nonsense di quelle frasi. "Ma prima ho lavorato nei campi, poi all'Ikea come operaio". E presto diventerà avvocato. "Voglio restare in Italia - dice - dove continuerò a credere che, in metro così come nella vita, c'è sempre posto".
Mezzojuso: tre sorelle contro la mafia dei pascoli
Esistono luoghi dove la mentalità mafiosa è dura da scardinare, luoghi in cui si segue il “gregge di pecore” piuttosto che sostenere chi subisce intimidazioni e danni da parte della mafia. Uno di questi luoghi è Mezzojuso, rievoca giocoforza, il perenne condizionamento mafioso perpetrato per anni da parte di Bernardo Provenzano e dai Corleonesi. Proprio a Mezzojuso tre sorelle, titolari di una azienda agricola, si sono messe di traverso contro la mafia dei pascoli che, per anni, ha distrutto i loro macchinari e i loro raccolti facendo pascolare le mucche con la conseguente distruzione dei loro raccolti.Mucche selvatiche, secondo il sindaco di Mezzojuso intervenuto poche settimane fa nella trasmissione Non è l’Arena su La7 condotta da Giletti. Peccato che, le tre sorelle Napoli, abbiano dimostrato che le mucche erano marcate e quindi sono risalite ai proprietari degli animali. Tre donne, tre fimmine sole e quindi facile bersaglio della criminalità. Ma loro non ci stanno, si sono ribellate recandosi dai carabinieri, ottenendo in cambio dai loro concittadini oltre l’indifferenza e l’omerta’ anche il disprezzo per essersi rivolte agli sbirri per risolvere la questione. Già perché in certi paesi ancora funziona così: se si vogliono risolvere i problemi non si va dalle forze dell’ordine ma dal boss locale.Irene, Ina e Anna Napoli hanno deciso di sfidare i boss; la loro vita è un ostacolo continuo da 12 anni, da quando il padre è deceduto e loro hanno deciso di proseguire l’attività di famiglia. Una attività produttiva fino al 2006, con 9 mila balle di fieno prodotte e il raccolto del grano. Purtroppo, con l’intrusione della mafia, la produzione è inevitabilmente calata fino ad arrivare a 330 balle di fieno che non riesco nemmeno a vendere poiché nessuno vuole comprarle.Tutti sottostanno agli ordini della mafia che, quando vuole ottenere qualcosa, può contare sull’appoggio omertoso al fine di portare sul lastrico una azienda per acquistarla ad un prezzo stracciato. Non vedo, non sento, non parlo, persino il Sindaco intervento a ‘Non è l’Arena’ affermando che non era a conoscenza di ciò che succedeva alle sorelle Napoli, in paese nessuno sapeva, come sempre… Visti i continui rifiuti delle sorelle Napoli di vendere i loro terreni che comprendono anche una cava, una sorgente e parte di una riserva naturale, la mafia ha iniziato a prenderle di mira con continui danneggiamenti, incursioni degli animali, distruzione delle attrezzature agricole e persino l’uccisione dei due cani.Le sorelle Napoli non cedono, anzi riescono a filmare e fotografare le mucche che devastano i loro terreni e non sono certo mucche selvatiche. Appartengno ai confinanti delle sorelle Napoli: Simone e Giuseppe La Barbera, rispettivamente figlio e nipote di Nicola il “porta-pizzini” di Bernardo Provenzano. Nonostante le denunce, i due sono stati assolti dal Giudice di Pace di Corleone. Una beffa ulteriore per le tre sorelle Napoli.E le istituzioni? il Sindaco si è mosso dopo che Giletti gli ha dato una bella “sveglia” davanti a tanti spettatori rimasti sconcertati dalle parole di assoluta omertà da parte del primo cittadino di Mezzojuso, caduto dalle nuvole davanti ad una vicenda che dura da 12 anni. Intanto, quelle tre fimmine che la mafia pensava di poter facilmente spaventare, vanno avanti nella loro battaglia quotidiana dichiarando che: “la loro famiglia sono i carabinieri”.