A 28 anni Carolina Leonardi, una laurea all'Università di Pisa, gestisce l’azienda agricola e agrituristica “Le Coppelle latteria Belato Nero” di Pian di Lago (Lucca), alle pendici del monte Corchia, a 1000 metri sul livello del mare. Qui produce latticini, alleva bovini della razza Rendena allo stato brado e vive insieme ai 100 capi di ovini. I primi tre anni, ricorda la pastora, dividendosi tra pascolo e università, sono durissimi: "La mattina mi svegliavo alle 5 e mungevo. Alle 8 andavo fino a Pisa all’università, tornavo all’una e andavo al pascolo; alle 17 una nuova mungitura e dalle 21 in poi facevo il formaggio. E la mattina dopo si ricominciava. È stato faticoso, ma non ho mai avuto tentennamenti".
di Valentina Venturi
Ventotto anni, due pastori apuani e cento pecore da gestire. Non è la trama di un romanzo, ma la quotidianità di Carolina Leonardi, pastora della Maremma. Tutto nasce cinque anni fa, quando frequenta il corso di laurea in Scienze agricole a Pisa e d’istinto acquista un gregge di 40 pecore di razza massese autoctona della Garfagnana. Quello che all’inizio poteva risultare un azzardo, diventa la sua vita: il pascolo si moltiplica raggiungendo quota cento e facendole ricevere nel 2021 il riconoscimento come esempio di coraggio da Coldiretti in occasione della Giornata internazionale della donna.
A 28 anni Carolina Leonardi, una laurea all'Università di Pisa, gestisce l’azienda agricola e agrituristica “Le Coppelle latteria Belato Nero” di Pian di Lago (Lucca), alle pendici del monte Corchia, a 1000 metri sul livello del mare. Qui produce latticini, alleva bovini della razza Rendena allo s
tato brado e vive insieme ai 100 capi di ovini. I primi tre anni, ricorda la pastora, dividendosi tra pascolo e università, sono durissimi: "La mattina mi svegliavo alle 5 e mungevo. Alle 8 andavo fino a Pisa all’università, tornavo all’una e andavo al pascolo; alle 17 una nuova mungitura e dalle 21 in poi facevo il formaggio. E la mattina dopo si ricominciava. È stato faticoso, ma non ho mai avuto tentennamenti". I primi tre anni, ricorda la pastora, dividendosi tra pascolo e università, sono durissimi: "La mattina mi svegliavo alle 5 e mungevo. Alle 8 andavo fino a Pisa all’Università, tornavo all’una e andavo al pascolo; alle 17 una nuova mungitura e dalle 21 in poi facevo il formaggio. E la mattina dopo si ricominciava. È stato faticoso, ma non ho mai avuto tentennamenti. Sono molto, ma molto determinata e dove voglio arrivare, arrivo!". L’ha certamente sovraccaricata di impegni, ma quello universitario – con tesi sui formaggi –, è stato un passaggio utile; magari non indispensabile. "Per fare questo lavoro non serve una laurea. L’Università mi dava la consapevolezza per capire come lavorare e nello stesso tempo il lavoro mi dava lo stimolo per continuare a studiare e comprendere come procedere".
La determinazione non le manca, tanto che apre anche l’azienda agricola e agrituristica “Le Coppelle latteria Belato Nero” di Pian di Lago (Lucca), alle pendici del monte Corchia, a 1000 metri sul livello del mare. Qui produce latticini, alleva bovini della razza Rendena allo stato brado e vive insieme ai 100 capi di ovini e al compagno Simone ("Ci siamo conosciuti tredici anni fa, lavora come potatore alto fusto e free climbing").
Con l’arrivo dell’inverno i suoi animali si spostano nella stalla di Pietra Santa ("La mattina scendo a valle e resto giù tutto il giorno con loro"). Un dislocamento inevitabile che ha riportato in auge la transumanza, Patrimonio Immateriale dell’Umanità dal 2019. Si tratta della tradizionale migrazione stagionale del bestiame dai pascoli di pianura a quelli delle regioni montuose e viceversa. "In questo modo le stalle sono collegate e io recupero l’antica tradizione. Il trasferimento si svolge rigorosamente a piedi per dieci ore di cammino ed è una giornata di festa alla quale partecipano tantissime famiglie, ragazzi e bambini. Si parte dalla stalla di valle per arrivare alla stalla di quota e nell’intermezzo si fa un piccolo ristoro in montagna".
Oltre ai latticini c’è da pensare anche alla lana ("Ho imparato a tosare da sola, non ho paura di fare nulla"), che quest’anno ha deciso di donare a un’azienda pugliese che produce abiti di lana di pecora. Ed è proprio grazie al prezioso manto che Carolina ha preso parte all’evento organizzato dalla Onlus Gomitolorosa, un’associazione no profit con presidente Alberto Costa, che dal 2012 propone il recupero della lana autoctona italiana di scarto a scopo terapeutico e solidale. Gomitolorosa in collaborazione con Agenzia Lane d’Italia e Legambiente, ha identificato la prima Giornata italiana della lana con il 9 aprile, quale inizio rappresentativo del periodo della tosatura.
Eppure, nonostante tutto il cammino percorso, la pastora si schernisce, non si sente l’eccellenza della pastorizia: "Sono una ragazza normalissima, equilibrata, con amici, un compagno e una vita sociale". E sottolinea con convinzione i suoi punti fermi, le radici della sua scelta: "Da amante della natura, in qualsiasi sua forma, sia del mare che della montagna, ho sentito il desiderio di aprire la mia azienda e di creare un prodotto che provenisse dal territorio. Certo, se mi guardo indietro mi domando come ho fatto a percorrere tutti questi anni, perché all’inizio lavoravo e studiavo. In effetti sono sempre stata un po’ avventuriera e un po’ fuori dagli schemi".
Se le si domanda di riflettere sulla strada percorsa finora non ha tentennamenti, ma è difficile farle immaginare cosa le riservi il futuro, fondamentale è il presente. "Ho avuto la fortuna di fare ciò che mi piace e che mi rende libera. Ogni giorno mi sento e reputo fortunata: ho tribolato tantissimo, ho faticato tanto e ora sono in pace con me stessa. Sono felice".
Carolina esce dai cliché iconografici: ci tiene ad essere considerata una ragazza come tante ("pratico surf, mi piace mangiare la pizza e quando posso vado a fare l’aperitivo"), guai a paragonarla al cartone animato Heidi ("fisicamente magari ci assomiglio pure ma materialmente non lo so. Io svolgo la mia vita normalissima, non come lei"), quando va al pascolo non ha un fischio identificativo e si fa aiutare dai due adorati pastori apuani Mirtillo e Pepe. Fiocco di neve? Non esiste: delle sue pecore ha dato il nome solo alla capobranco, Anna, la prima agnellina che le è nata cinque anni fa. "Se si continua a far passare l’idea che questo lavoro sia faticoso e che toglie tempo per il resto nessuno porterà avanti le nostre tradizioni, l’artigianalità e i prodotti del territorio. Invece si può fare tutto, bisogna solo sapersi organizzare".
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