11.2.11

viaggio nella frontiera VI° tecniche indiane e la p parte indiana del mio passato

Ma  Dopo  aver  fatto colazione  fu io che   feci una domanda  a bruciapelo  a  Jack . Ma Lui se mi guardo in viso e mi brucio sul tempo  . Si fece la domanda   <<  Scommetto che volevi chiedermi   come mi trovo nella frontiera   e se  le  esperienze  di  cutting out e La marchiatura e quindi conseguenza  la vita  nel ranch , mi sono state utili  o meno ? >> .  E allo  stesso tempo si diede  la risposta  <<  Si  perchè   ho  imparato a distinguere  , mi sarà utile  se decidessi di fare lo sceriffo  o l'allevatore ( cosa  che  escludo ,ma  se  dovesse capitare  ...... ) , un marchio vero da  uno falso  ed  ho imparato  ad  usare  il lazzo  e un grande affiatamento tra cowboy e cavallo che  se  applicato allo sparare  , mi servirà a  sparare   in corsa    e ad evitare  dei colpi  se  mi sparassero quando sono a cavallo . Ma  ancora  non sono  completo , mi manca  al cultura  indiana  .Solo cosi  la mia formazione di uomo  del west  e  di frontiera   ( anche se  ormai  sta per  essere chiusa ) sarà completa . >>
Dopo aver ascoltato  la  sua  risposta ,divenni ancora  più orgoglioso di lui , e  gli dissi << Ok oggi imparerai la cultura  indiana  e conoscerei se  vuoi unirti  me la  tribu di mia madre  e di quella ch'era [sic] la mia povera moglie   e se  vuoi puuoi rimanere  tutto il tempo che vuoi  e per apprendere ulteriori cose dal vivo non più solo attraverso le dicerie ( la maggior parte  )  o da raccontiche  hai sentito durante  il viaggio  in carovana   . Un esperienza  diretta  , quindi  non solo attraverso i libri  e  i   quadri  dei pittori
>>  .
Jack non pronuncio parola  ma dall'espressione del volto   si vedeva  ch'era  tutto  eccitato  a tale  idea  , 
Ci rimettemmo  in marcia  , nonostante  le  nuvole  nere  e  gonfie  di pioggia , credendo di riuscire ad arrivare  in tempo  ( e   senza  bagnarci troppo ) al villaggio e   di Nuvola rossa  e  poi da li al mio villaggio . Ma  non facemmo  in tempo , il violento acquazzone (  quasi un nubifragio )  si abbatte  su  di  noi e  bagnò quasi da renderle inutilizzabili  sia  le nostre  provviste   , sia  le  munizioni . Riuscimo a trovare   riparo  in una  grotta,m abbastanza  grande  da  contenere  anche  furia  e  dinamite  . Ne  approfittai per mostrare  a  jack  come s'accende  il fuoco  senza  fiammiferi  (  con legnetti secchi e  pietre  focaie  )

e  primi  rudimenti  su come leggere  e  come disegnare  \ tracciare  i segni di pista e ed  usarli  e al momento opportuno, in modo che sia ben scorto da chi segue e nello stesso tempo non attiri l'attenzione dei "visi pallidi" che battono il suo sentiero




e le tracce  d'animali , e d i segnali di fumo e non
Ma  il temporale  , non smetteva   ed ecco che  lui  ne   approfitto per  chiedermi  delle cose   ch'erano rimaste  in sospeso  dal racconto della   prima  parte  del mio passato  .
Ma , come al solito  , timidamente  chiese prima se   m'andava  di parlare  di quei fatti accennati nel racconto precedente  , visto che sono episodi dolorosi  e tristi della  mia vita  .
Io m misi a ridere  e <<  certo che mi va e poi una promessa è una promessa  . Avevo detto che   ti avrei parlato di me  , non più in maniera evasiva   ma  in maniera franca  ed  aperta   , e  cosi  sarà . Come  tu sei tsato  franco     con  me  durante  il tempo passato insieme  , parlandomi   di te  ,   della tua famiglia  e  le loor opposizioni e pregiudizi  sul tuo viaggio  attraverso la frontiera  senza usare  la ferrovia  e l'avergli mentito  sulla  vera destinazione   che  poi  gi  ha  confessato   in una lettera -
E poi  non sempre , e tu  me lo hai saputo dimostrare , puoi   tenerti tutto dentro . Parlare del proprio passato serve ad  archiviarlo meglio  e  svoltare pagna più facilmente       >> .
Lui <<  ok  ascolto >>  e  tacque .
Iniziamo  da  quello più felice  , quello in cui ritrovai mia mmdre  , proprio quando persi la speranza  .
Come  ti ho  già detto  , a  10  mesi \  un anno ero stato adottato in un orfanotrofio , dove  venivo preso in giro e  deriso   non solo da  bambini più grandi , ma  a volte  anche  dallo stesso  personale . Ma   ovviamente   non tutti  furono cosi ,  infatti da   quei vaghi ricordi che ho , ci fu anche   chi mi difese  e mi tratto come  un figlio . Fu proprio questa persona  a cui chiesi  il perchè  venivano tratto in quel modo  , dopo qualche mese  di risposte  evasiva  da  parte sua e continui ( sempre   più pesanti   ) maltrattamenti  mi disse  che   ero figlio  di due etnie  malviste ed molto odiate ( ovviamente  senza  generalizzare  perché in mezzo agli imbecilli possono trovarsi anche  gente  che  non lo è e  che non piace  essere  etichettato  come tale  per  colpe non sue  ) in America   specie  nel profondo Sud ,Un giapponese  e  un indiana  . Ed per  questo   che divenne  ancora  più ribelle  e  tentai varie  volte  a  fuggire  , fin quando   ci riusci sul serio  . Nella banda  dei fuorilegge con cui mi trovai a vivere  , ebbi  la  conferma   di ciò. Infatti  fu  proprio uno dei leader   che sul  punto di morte  mi chiese   perdono  per  avermi , cosi credette lui, sterminato la famiglia  durante  l'assalto ad  una diligenza  su cui viaggiavamo .
Credendo  i miie  genitori morti  e stanco della vita  da criminale , decisi di rompere   che  il mio passato da bandito  e  usare le pistole solo conto i prepotenti ed  indifesa dei deboli e  di allontanarmi dalla mia terra  d'origine , visto che    sulla mia testa  c'erano  (  anche se non avevo ucciso nessuno , se non  in duelli regolamentari  o per legittima  difesa  come nel caso di un baro  che  alle mie proteste  aveva    tirato fuori  la   pistola  e  stava  quasi  per spararmi  , per  legittima difesa  )  taglie  su di me  , solo  per aver partecipato a qualche rapina  e sparato per  difendermi dalla legge      .
Poi , non ricordo se in un saloon o  da un maniscalco , incontrai un vecchio collega di mio padre che mi riconobbe  per la voglia  a braccio  destro  .
Io negai spiegandogli     e parlandogli  del mio periodo all'orfanotrofio Ma  lui continuo' ad  insistere ,dicendomi che rassomigliavo a mio padre  e mi descrisse a fisionomia . Gli credetti  in quanto era  uguale identica : 1) alla descrizione  che mi fece  il capobanda  morente  ., 2)  e  all'uomo  che i nuovi capi  la banda  mi  avevano chiesto di  ammazzare a freddo  e   sparandogli alla schiena  .  Quella persona     mi disse  che erano   anche  se  non più insieme ancora    vivi  da   qualche  parte  dell'Ovest .
Rincominciai  Iniziai cosi il vagabondare alla ricerca  dei  mie  genitore  e feci  vari lavori ed  attività   , di cui tui  ho parlato    l'altra  volta   quando ti  ho raccontato    del mio periodo  di mandriano e  trapper . Fu proprio durante  quest'ultima frase mentre commerciavamo  con le   le  tribù indiane    trovai  quella di mia madre . Mi ricordo i giorno come se  fosse ancora  oggi  . Fu   durante  la  firma  del contratto che  certificava lo scambio  che  una giovane  donna indiana mi   guardò  il volto  , mi chiamò con il mio nome indiano << coyote  che  strilla >> , ma l'amico trapper  Jean  disse  che  s'era  sbagliata .  Allora  lei insistette facendo notare la  voglia  che  ebbi sul braccio , che poi  sdivenne  tutt'uno con  una cicatrice (  probabile   ferita    d'arma  da  fuoco   o  bruciatura    quando provai  a sparare  più  colpi di seguito con il palmo della mano  ) e assunse a  forma  del simbolo zodiacale  del sagittario
 mi abbracciò e piangendo mi disse  <<  sono tua madre  >>.Il mercante  visto la situazione eccezionale   , de a stanchezza  decise di trattenersi  con me   , un giorno in più  .
Il giorno dopo   , quando mi chiese cosa  volevo fare   < se continuare  con lui o rimane  li  ,  chiesi ed  ottenni, senza odio e rancore ma  solo nostalgia   e un po' di tristezza  , di   d  sciogliere   la  società  ed ottenuta  a mia parte degli utili   , decisi  di rimanere per un po' di giorni  ( che poi diventarono un anno  ).  Li'   imparai le  cose  che adesso ti trasmetto a  te .
Guardammo fuori  e  vedemmo  che   l'acquazzone  è finito. Allora  << andiamo  a cercare  cibo , a  pancia  piena i ricordi   sono  più facili . Dopo   pranzo ti racconterò l'altro episodio  .
Insegnai non solo in teoria  ma anche in pratica   a  Jack  come   pescare  senza  canna  e  con dei tronchetti  ed  imparo rapidamente  , visto che anche  a  lui catturo due  pesci con  l stesso metodo .
Prima di pranzo  andammo a cercare frutti e radici . Fu proprio qui  che nj   vene morso da  un serpente velenoso  . Purtroppo essendo lontano  da centri abitati e  un ora    \  due   dal campo di nuvola rossa  , vedendo che non saremo arrivati in in tempo  neppure facendo  crepare  il cavalli  , decisi di curarlo  ( cosa  che  si rilevo' giuta  quandoi  in città  lo feci  visitare da  un medico per  controllo ) con una tecnica mista  :  bloccando  con un fazzoletto il  braccio   a  cui era  stato morso  succhiando  e sputando , e  poi gli  diedi un mio stivale da mettere  fra i denti  ij quanto  gliv bruciai con un tizzone  la  parte  morsa dall'animale     poi  cercai delle erbe  medicinali  cosparsi la parte ustionata  e   con un pezzo della mia  camicia lo bendai  .
Ci mettemmo in marcia , arrivatati al bivio , fra la riserva di nuvola rossa e  la città di Waco , poiché  jack stava male  (tant'è  che pe evitare che cadesse   lo dovette legare  alla sella di  dinamite  e dinamite  a furia ) ,  era più vicina la  riserva .
Dove con l'aiuto delle due medicine , quella dello stregone  e quella  nostra    trovo   assistenza medica . Infatti gli cambiarono  la fasciatura   e gli dettero il siero antivipera  e  qualcosa  per la bruciatura  . Il medico   si complimento  con me  per la  rapidità nei soccorsi e l'intuizione  \ prontezza di  disinfettare   ( anche  se   un gesto estremo )  la zona ferita  con il fuoco  .
 Una  volta  ripresosi  e  appena seppe   di come   la cultura  indiana  l'aveva salvato mi ringraziò  . Ci trattenemmo due  giorni  nell'accampamento  e nei  suoi dintorni  dove  jack apprese  ulteriori conoscenze indiane  .
E ebbe modo di sentire  sia da me  che  da  Nuvola  rossa  nei pezzi che lo riguardavano   e  nei pezzi  in cui le mie lacrime erano più intense  il secondo  fatto  che  gli avevo accennato  cioè come conobbi donna  che  scalcia e , come nacque  e come  se  interruppe per la sua morte la  nostra storia d'amore  .


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uomo bianco
http://www.quartadimensione.net/portalewest/bestiame.htm
http://www.quartadimensione.net/portalewest/ranch.htm
indiani e non
http://www.sanvito1.org/tecniche/scout/cuctrappeur.php
http://www.sanvito1.org/tecniche/scout/cartoccio.php
http://www.sanvito1.org/tecniche/scout/tracceanim.php
http://www.sanvito1.org/tecniche/segnala/morse.php
http://www.sanvito1.org/tecniche/scout/segnipista.php
http://www.sanvito1.org/tecniche/scout/fuochi.php
( non è un sito  propio  su sul farwest  , ma   mi  è stato  utiel per  trovare  elementi utile   in  cui  il  vecchio protagonista  impara  al giovan e le tecniche indiane  )

cultura indiana  e  come  li dipinge e vede l'ìuomo bianco
http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en|it&u=http://www.faqs.org/health/topics/12/Native-American-medicine.html
www.powersource.com/cherokee/herbal.html
http://www.firstpeople.us/
http://it.wikipedia.org/wiki/Western
http://it.wikipedia.org/wiki/Western#Il_western_e_la_pittura
http://www.indianiamericani.it/testi/canzoni.php/30/Canti%20di%20caccia.html
http://www.sentierorosso.com/index.php?option=com_content&view=article&id=354:gli-uomini-delle-praterie-larco&catid=3:approfondimenti&Itemid=9


tex almanacco del west  2011
http://www.sergiobonellieditore.it/auto/edicola?collana=2&collocazione=1

10.2.11

speranza nella tempesta


foibe e revisionismo ma io ricordo lo stesso

 Riccollegandomi a  quanto dicevo   nei due post  precedenti   in particolare  l'ultimo  ,  celebro  il 10 febbraio  , nonostante  come dice mio padre  ( ex Pcml-servire il popolo )  e   gli amici   di  http://www.facebook.com/notes/armata-rossa/ 
(  di cui non sempre  condivido tutto perchè troppo   settari e nostalgici  , ma stavolta  gli do ragione   ) : <<  I fatti ci hanno dato ragione. I timori che avevamo espresso fin da quando fu istituito il giorno del ricordo si sono puntualmente avverati. Anche dalle più alte cariche dello Stato si è sentito il dovere di enfatizzare una retorica che non contribuisce ad alcuna lettura critica del nostro passato, l'unica che possa servire ad elevare il nostro senso civile, ma che alimenta ulteriormente il vittimismo nazionale. Per questo vogliamo ribadire quanto scrivevamo già anni fa con la prima Giornata del Ricordo per onorare le vittime delle foibe. >>  (  qui  il resto della  nota  ) .
Infatti Non era difficile prevedere che collocare la celebrazione a due settimane dal Giorno della Memoria in ricordo della Shoah, avrebbe significato dare ai fascisti e ai postfascisti la possibilità di urlare la loro menzogna-verità per oscurare e  far passare in secondo piano la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e omologare in una indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili, che hanno l'unico denominatore comune di appartenere tutte all'esplosione sino allora inedita di violenze e sopraffazioni che hanno fatto del secondo conflitto mondiale un vero e proprio mattatoio della storia.
Nella canea, soprattutto mediatica, suscitata intorno alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i massimi responsabili la cosa più sorprendente è l'incapacità dei politici della sinistra di fare autocritica  sui loro silenzi e  sull'aver  emarginato i chi a sinistra  denunciava le  foibe  , dire con autorevolezza ed energia: giù le mani dalle foibe , non strumentalizzate  questi fatti  !!! Come purtroppo è già avvenuto in altre circostanze, l'incapacità di rileggere la propria storia, ammettendo responsabilità ed errori compiuti senza per questo confondersi di fatto con le ragioni degli avversari e degli accusatori di comodo, cadendo in un facile e ambiguo pentitismo, non contribuisce - come fa il discorso del presidente Napolitano - a fare chiarezza intorno a un nodo reale della nostra storia che viene brandito come manganello per relativizzare altri e più radicali crimini.
La vicenda delle foibe ha molte ascendenze, ma  per  poter  essere capite  bisogna    ritornare   dove  tutto  inizio' 

Inquadramento storico [modifica]

Gli eccidi delle Foibe ed il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe) e italiane.
Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli Stati nazionali in territori etnicamente misti. Le realtà plurilinguistiche e multiculturali esistenti in buona parte dell'Europa centrale, sud-orientale e nel vicino oriente ne uscirono in grande parte distrutte[7]. Furono decine di milioni le persone coinvolte nei conseguenti processi di assimilazione od emigrazione forzata, che provocarono numerose vittime. Fra gli episodi più noti si ricordano il Genocidio Armeno, il drammatico scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia e l'esodo dei tedeschi dall'Europa orientale.
Le radici di questo fenomeno vanno ricercate nella fine dell'ancien régime, un sistema dove gli Stati erano il risultato delle lotte di potere delle classi dominanti (monarchie o, in qualche caso, oligarchie). Con la rivoluzione francese e la conseguente deligittimazione del potere monarchico, gli Stati trovarono la loro legittimità nel concetto di popolo, inteso come una comunità cementata da una comunanza di razza, religione, lingua, cultura ed avente quindi il diritto a formare il proprio Stato. Man mano che le singole popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse occasioni di conflitto. Ad esempio quando una nazione rivendicava territori abitati da propri connazionali e posti al di fuori dei confini del proprio Stato. Oppure quando specifiche minoranze etniche cercavano la secessione da uno Stato, sia per formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che consideravano la nazione madre. Una terza fonte di conflitto fu provocata dal tentativo, da parte di molte nazioni, di assimilare od espellere le minoranze etniche dal proprio Stato, considerandole realtà estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.


Gli opposti nazionalismi [modifica]

Con la Primavera dei Popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana. Il processo di identificazione in specifiche nazioni in queste terre, non fu lineare e l'esito non fu affatto scontato. In Istria in un primo tempo non si faceva distinzione fra sloveni e croati, visti come un singolo popolo. In Dalmazia inizialmente si inseguì l'ideale di una nazione dalmata, che racchiudeva in se radici slave e romanze: fu solo a seguito dell'insorgere del nazionalismo croato che i propugnatori di tale ideale adottarono col tempo una politica filo italiana.
Alla fine del processo si definirono le moderne identità nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi. Si originò di conseguenza quella contrapposizione etnica che fu la causa remota dei massacri delle foibe. È bene ricordare che simili tensioni sono caratteristiche di diverse zone ad etnia mista e ancor oggi possono sfociare in episodi violenti (come in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi o nell'ex-Iugoslavia). Il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico a favorire il nascente nazionalismo di sloveni[9] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani.[9] Si intendeva così contrastare non solo le ben organizzate comunità cittadine italiane ma anche l'espansionismo serbo, che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud. Di conseguenza in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione e violenza[10]. Nella Venezia Giulia il decremento della componente italiana fu molto più contenuto.
Le tensioni fra le diverse nazionalità, pertanto, già presenti sotto la dominazione austriaca, non trassero la propria origine dall'avvento delle politiche nazionalistiche e di repressione dell'elemento slavo applicate del fascismo, anche se il fascismo acuì i contrasti fino alla degenerazione della situazione[9][11].

Le tesi del nazionalismo croato 

 


« La nazionalità italiana in Dalmazia è una parola vuota di senso, trovata dall'interesse, dall'impostura. Alcuni superstiti dei vecchi despoti sognano una nazionalità italiana in Dalmazia, e per il colmo dell'assurdo parlano anche di civiltà italiana. Tutto ciò mira all'interesse di pochi individui e all'oppressione di tutti i Dalmati. (...) Il giornalismo italiano badi prima di dichiararsi protettore dei pseudoitaliani della Dalmazia (...). Un italiano non può, non deve alzar la voce per difendere i despoti, poiché prima deve rinunziare alla vera gloria italiana, ch'è la lotta per la libertà; dovrebbe cancellare tutta la sublime epopea dell'italiano risorgimento, per dichiararsi amico degli italiani dalmati. »



« Nessuna gioia, solo dolore e pianto, dà l'appartenere al partito italiano in Dalmazia. A noi, italiani della Dalmazia, non rimane che un solo diritto, quello di soffrire. »

(Antonio Bajamonti, Discorso inaugurale della Società Politica Dalmata, Spalato 1886)
Nell'ambito dei succitati conflitti nazionali nacque fra i croati l'idea che Istria, Fiume e Dalmazia fossero parte integrante del loro territorio nazionale fin dall'alto medioevo. Non si riconosceva la presenza di comunità italiane autoctone né in Dalmazia, né a Fiume (e solo parzialmente in Istria). Tali comunità venivano considerate una realtà estranea (come i pieds noirs in Algeria e i russi nelle Repubbliche Baltiche e in Moldavia), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte della popolazione croata originaria. Gli italiani "veri" dovevano quindi essere espulsi, mentre i "croati italianizzati" dovevano essere riportati alla loro condizione originaria, anche prescindendo dalla loro volontà. Questa retorica nazionalista fornì una giustificazione morale agli avvenimenti.

Grande Guerra e annessione all'Italia [modifica]

Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa, in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale - incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o dell'Ungheria, se la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia[13].
Al termine delle guerra, coi trattati di Saint Germain e di Rapallo l'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso: le fu infatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole). vedere cartina sotto 


 
Rimase aperta la questione di Fiume, che fu rivendicata dall'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno iugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia. Al termine di una lunga contesa, Fiume fu annessa all'Italia nel 1924.
I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slave (slovene e croate), i cui diritti fondamentali, pur con alcune limitazioni, furono rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, incidenti provocati da gruppi nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera").
L'episodio più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena")  noto anche  come  hotel balcan  (  foto a  destra  )
 di Trieste ad opera di squadristi fascisti. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.
Violenze analoghe avvennero contro le minoranze (anche italiane) rimaste sotto l'amministrazione iugoslava[14].
I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slave (slovene e croate), i cui diritti fondamentali, pur con alcune limitazioni, furono rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, incidenti provocati da gruppi nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera").
L'episodio più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste ad opera di squadristi fascisti. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.
Violenze analoghe avvennero contro le minoranze (anche italiane) rimaste sotto l'amministrazione iugoslava[14].


L'italianizzazione fascista [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Italianizzazione (fascismo).

« Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani »

(Benito Mussolini, discorso tenuto a Pola il 24 settembre 1920[15])
La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che comportò l'italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate, il divieto dell'uso della lingua straniera in pubblico, ecc. Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni, ed erano applicate, fra gli altri, anche da paesi democratici (come Francia[16] e Regno Unito). Da notare che furono adottate dalla stessa Jugoslavia[17][18][19]. Tuttavia la politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo è stata considerata particolarmente pesante, anche perché l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, si accompagnava alle misure totalitarie del regime[20].
L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell'Italia.
Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere nazionalista e comunista, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per terrorismo dinamitardo.


L'invasione della Iugoslavia [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Operazione 25.
La spartizione della Iugoslavia.
Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Iugoslavia. La Iugoslavia fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi dagli stati invasori. Col trattato di Roma l'Italia annesse una gran parte della Slovenia, la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro. Inoltre occupò tutta la fascia costiera della ex-Iugoslavia, con un ampio entroterra.
In Slovenia fu costituita la provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[21]. In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata.
La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.

 [....]  da http://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe  >>

il resto lo trovate ne video  del mie post   precedenti  citati all'inizio del post  e  nei post  degli nanni  scorsi  presenti sul  blog  gemello (   che  ancora  ricordo  ai nuovi  http://cdv.splinder.com )
Ecco  quindi   che  sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, solo ed  esclusivamente  di una regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell'italianità sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando parliamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l'Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro paese.
Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo contro le minoranze slovena e croata (senza parlare dei sudtirolesi o dei francofoni della Valle d'Aosta) addirittura da prima dell'avvento al potere; della brutale snazionalizzazione (proibizione della propria lingua, chiusura di scuole e amministrazioni locali, boicottaggio del culto, imposizione di cognomi italianizzati, toponimi cambiati) come parte di un progetto di distruzione dell'identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica?
I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero, che volevano impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi per conservare all'Italia il monopolio strategico ed economico dell'Adriatico. Che cosa sanno dell'occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d'Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega?Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria.
Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più grandi di lui, può anche non importare capire l'origine delle sue disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o anche più modestamente quello dell'educatore deve avere la consapevolezza dei messaggi che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un messaggio dimezzato, unilaterale. Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale (Msi) un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell'esodo per rinfocolare l'odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l'unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e della guerra fredda.
I profughi dall'Istria hanno pagato per tutti la sconfitta dell'Italia (da qui bisogna partire ma anche da chi ne è stato responsabile), ma come ci ha esortato Guido Crainz (in un prezioso libretto: Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa, Donzelli, 2005) bisogna sapere guardare alle tragedie di casa nostra nel vissuto delle tragedie dell'Europa. Non esiste alcuna legge di compensazione di crimini e di ingiustizie, ma non possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall'Istria, ma l'Italia del dopoguerra non fu sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero dire coloro che tornavano (i più fortunati) dai campi di concentramento - di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui racconti non venivano ascoltati? E gli ex internati militari - centinaia di migliaia - che tornavano da una prigionia in Germania al limite della deportazione?
da http://karlmarxplatz.blogspot.com/
La storia della società italiana dopo il fascismo non è fatta soltanto del silenzio (vero o supposto) sulle foibe, è fatta di molti silenzi e di molte rimozioni. Soltanto uno sforzo di riflessione complessivo  da  entrambe le parti , mentre tutti si riempiono la bocca d'Europa, potrà farci uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.
Nei giorni in cui è prevista la commemorazione delle stragi e degli stermini fascista e nazista degli anni ’30 e ’40 abbiamo assistito, come d’improvviso, ad assemblee e incontri che ricordavano i morti nelle foibe giuliane. Quasi una sovrapposizione di due culture differenti dove l’una, quella di destra che ricorda le foibe e l’esodo giuliano-dalmata, si scontrava con l’altra, quella di sinistra che ricorda l’olocausto e il terrore nazifascista. Una sovrapposizione inquietante che ha il preciso obbiettivo di mischiare tutto in un unico calderone, per la realizzazione di quella che viene più comunemente e ambiguamente definita “memoria condivisa”. Per giungere a questo punto, però, e è passata di acqua sotto i ponti.
Dopo la disgregazione dell’Austria-Ungheria, avvenuta nel 1918, all’Italia si presentò la possibilità di espansione nei Balcani e nell’area danubiana; un’influenza politica su quest’area avrebbe rappresentato da una parte, come è logico, una forte influenza economica e ciò avrebbe comportato l’imposizione di una propria (seppur folle) egemonia nei rapporti “concorrenziali” del capitalismo europeo. Dall’altra parte durante il dominio fascista sarebbe stata utile «sul piano del consenso di fasce più o meno larghe della società italiana», sia come consenso popolare (la propaganda della potenza dello Stato italiano), sia come appoggio politico dei settori economici interni. E’ per questo che il blocco borghese, che dagli anni ‘20 appoggiava il fascismo, operava non solo all’interno dello stato italiano, ma influenzava direttamente anche le scelte in politica estera
Già prima dell’avvento del fascismo, lo stato liberale aveva conosciuto una forte dipendenza dalle banche e dalle industrie, che riuscivano a miscelare con cura i loro interessi all’ideologia politica nazionalista, garantendosi validi esponenti politici nel parlamento. Se le banche e gli industriali vedevano di buon occhio l’occupazione di terre come l’Idria (ricche di mercurio) o l’Istria (per i carboni e le bauxiti), i nazionalisti speravano in un intervento in quell’area essenzialmente per la loro “slavofobia” e per una mobilitazione contro i quel  che  chiamavano generalizzando  slavi comunisti .
     Nella Venezia Giulia venne progressivamente depennato ogni diritto delle istituzioni nazionali slovene e croate: le scuole furono italianizzate e i professori costretti a trasferirsi o ad emigrare; gli slavi non potevano lavorare nel pubblico impiego, vennero soppresse centinaia di associazioni culturali e sociali; i partiti politici delle minoranze slave (come l’organizzazione “Edinost”) vennero esclusi dalla corsa elettorale. La legge Gentile del 1923 impose la chiusura di tutte le scuole di lingua non italiana, nelle nuove province italiane. Le leggi vennero accompagnate dalle violenze dei fascisti, che si “dilettavano” a compiere crimini razzisti di ogni tipo, come la tragica vicenda di Struggano del 1921 dove i fascisti spararono ad un gruppo di bambini uccidendone due e ferendone cinque.
    Ciò che il fascismo cercò di attuare un minuzioso programma di annientamento totale dell’identità nazionale slovena e croata. Dalla distruzione del Narodni dom, la “grande casa” che ospitava la cultura slovena col Teatro di Trieste, il fascismo impose una “culturalizzazione” forzata, sottraendo ogni tradizione non-italiana. Fu proprio a Trieste che venne fissata la sede del Commissariato civile, rappresentato da Mosconi, «nemico dichiarato del socialismo», e sempre a Trieste operava il Tribunale militare.
    Non è facile ricostruire l’occupazione italiana nell’area balcanica, in quanto le documentazioni in possesso degli storici non sono così numerose da poter dipingere un quadro completo delle azioni militari che le camicie nere intrapresero nella zona. Già nel 1927 il Tribunale speciale iniziò la sua funzione di controllo e repressione delle attività antifasciste, soprattutto nel nord-est italiano.
    Dalle pubblicazioni vengono alla luce le spietate azioni portate a compimento dai reparti italiani nell’Est europeo, come persecuzioni, fucilazioni e precisi ordini di impareggiabile severità. Un caso è la famosa “circolare 3c” divulgata dal generale Mario Roatta, comandante in Slovenia e Dalmazia, nella quale si legge:
    Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula “dente per dente”, ma bensì da quella “testa per dente”... si procederà inoltre a designare, fra la parte sospetta della popolazione, degli ostaggi, che verranno tratti e mantenuti in arresto... i ribelli colti con le armi nella mano saranno fucilati sul posto. Saranno trattati come ribelli i maschi validi... pur non essendo stati colti con le armi in mano.
    Esso non è l’unico esempio, la storiografia ce ne ha consegnati abbastanza per delineare una nuova figura di soldato italiano, che elimina completamente dall’immaginario comune quella del «buon soldato» e la sostituisce con quella del “soldato spietato”.
    È in questo quadro che rientrano le foibe, come mezzo per “punire” le malefatte fasciste. Il termine foiba deriva dal latino (fovea) e significa spaccatura nel terreno, crepaccio e, ancora più similmente alla lingua italiana, fòibe significa “fossa” nel dialetto friulano. Infatti una foiba è una particolare dolina, come una fossa molto profonda nella terra, che si genera frequentemente nei suoli calcarei a causa dell’erosione esercitata dal passaggio dell’acqua. Basovizza, Prosecco, Volci, Cruscevizza, Ternovizza ecc. sono tutte località carsiche dove si aprono tali voragini, che vengono ricordate essenzialmente per l’uso che se ne fece nel settembre del ’43 e nel Maggio del ’45, quando vi si gettarono i corpi di chi collaborò col fascismo. È bene precisare che il fenomeno delle foibe non fu unico nel tempo, ma possiamo dividerlo in due periodi ben distinti: il primo è quello immediatamente successivo all’8 settembre 1943, quando le truppe partigiane del maresciallo Tito occuparono varie zone dell’Istria e quando quelle naziste instaurarono il cosiddetto «Litorale Adriatico»; il secondo periodo è quello successivo all’aprile 1945, ovvero subito dopo la fine della guerra quando, sconfitto l’esercito tedesco, vi furono i cosiddetti quaranta giorni di occupazione jugoslava a Trieste.
    Molti studi dimostrano che parlare di migliaia di infoibati, per ciò che concerne le truppe partigiane di Tito, è assolutamente oltre il limite reale. Si stimano alcune centinaia di persone gettate nelle foibe del territorio istriano e quasi tutte legate (o sospettate di esserlo) al nazifascismo. Sarebbe insensato parlare di “milioni”, come ha recentemente fatto Maurizio Gasparri, specificando che gli infoibati furono accusati e uccisi «solo perché italiani». Niente di più falso: gli infoibati, nei due periodi sopra citati, non furono più di poche centinaia, forse qualche migliaio, e non vennero uccisi perché italiani, ma perché ritenuti colpevoli di collaborazione col nazifascismo. Il sostengo che alcuni gerarchi fascisti offrirono volontariamente all’invasore nazista, si commutò in una vera e propria arma in più nelle mani dei tedeschi, che sfruttarono il collaborazionismo fascista per segnare la fine dell’opposizione italiana al Reich. Un esempio sono i famosi Cesare Pagnini e Bruno Coceani, nominati a Trieste dal gauleiter nazista rispettivamente podestà e prefetto.
    La “ciliegia sulla torta” è rappresentata dalla Legge del 30 marzo 2004 (la numero 92, voluta da Alleanza Nazionale e appoggiata dall’allora capogruppo dei Ds alla Camera Luciano Violante e dall’allora capogruppo della Margherita al Senato Willer Bordon) che non stabilisce nessuna Commissione d’inchiesta sui fatti che seguirono l’8 settembre 1943, ma solo una campagna di puro revisionismo storico. Un revisionismo architettato dalla destra e appoggiato da gran parte della sinistra italiana, come mezzo di auto-purificazione dagli avvenimenti e dalle ideologie del ‘900.
    Nessuno però ammette che i primi ad utilizzare le foibe furono i fascisti: la foiba di Basovizza ne è un esempio. Non si dice neppure che nessun partigiano titino fece “apologia di foiba”, al contrario di come fecero in vari ambiti i fascisti, i quali si dilettarono ad esaltare la pratica del “gettare” ancora vivi i corpi di partigiani nelle foibe, «“colpevoli”, magari, solo di essersi fatte scoprire a dire qualche parola in sloveno o croato; così come risultano, dall’archivio dello Stato civile triestino» e come ha confermato ad una recente intervista che mi ha concesso Giorgio Marzi, dell’ANPI di Trieste.
    Insomma, la tanto sbandierata “memoria condivisa” non è altro che la totale cancellazione della memoria stessa, insabbiata e occultata per decenni, perché a nessuno faceva comodo. E non fa comodo a chi oggi detiene il potere e fa gli interessi di quella stessa “borghesia” che, nel ventennio fascista, impugnò le armi di Mussolini per accaparrarsi nuove ricchezze a Nord-Est. Ricordando gli infoibati e dimenticando l’uso della violenza operato dal fascismo contro i popoli slavi, senza parlare del silenzio del Governo italiano dell’epoca, vale a dire cancellare a colpi ideologici un pezzo di storia tanto cruento quanto importante per capire il nostro presente.




    9.2.11

    i vecchi sono preziosi . il caso di Zia Mariella che scrive al premier: mi dimetto da cittadina

    manginobrioche scrivania
    Chi lo  h detto che i vecchi  sono noiosi e  barbosi  ? .  Forse moti \e ignorano  che nei momenti di crisi  ( politico e  culturale ) essi sono come dimostra  questa lettera  presa  da  ©http://unita.it online del 9\2\2011 dei punti di riferimento   Ne  è un esempio questa  a lettera  di un  ex partigiana  che sotto riporto  , senza  ulteriori  commenti , perché è talmente  bella e profonda  che parla da  sola 
     
    Egregio Presidente del Consiglio
    è la prima volta che Le scrivo, ma non si preoccupi: non voglio chiederLe nulla. Lei in realtà mi dovrebbe tutto, visto che il Suo mestiere di premier sarebbe provvedere a noi italiani, specie a quelli che sono ultimi o penultimi. Io sono anziana, pensionata minima, calabrese; dopo di me ci sono forse solo gli invalidi, gli anziani non autosufficienti, le mamme single extracomunitarie. O forse no: la linea degli ultimi non si vede mai con chiarezza, ma in compenso si vede molto bene la linea dei primi.
    Per carità, non pensi che sono invidiosa: ho capito che non abbiamo le stesse idee su cosa significa essere felici e fortunati, io e Lei (lo sa che siamo coetanei? Anch'io ho 74 anni. Però, a differenza di Lei, io sono giovane sul serio: è una questione di cuore, di anima e quindi di pelle, e non posso spiegarglieLa a parole Sue).
    Le scrivo per dirLe che ho sbagliato. Credevo, in questi 74 anni, d'aver costruito un altro Paese. Un Paese che non ha paura della realtà, tanto da nascondersi nelle bugie e nella tivù. Un Paese che non ruba ai vecchi per non dare ai giovani. Un Paese dove le donne vengono riconosciute per quello che sono: i pilastri e il sale della Terra.
    Ho sbagliato e, a differenza di Lei, mi prendo le mie responsabilità: mi dimetto da cittadina di questo Suo Paese.
    Probabilmente non ho lottato abbastanza, visto che le regole in cui credevo non valgono più nulla, e Lei offende ogni giorno la mia intelligenza pretendendo che creda a ogni menzogna perché Lei “è stato scelto dal popolo”: io sono il popolo, e non L'ho mai scelta. Ma con la legge truffa Lei s'è preso i voti di tutti, e s'è eletto il Suo, di popolo. Ecco, io non voglio starci. Accetti le mie dimissioni».
    Firmato: zia Mariella, Calabria, Italia. Un'altra Italia.

    8.2.11

    Chiara Ragnini - All my pleasure [ Palco sul Mare Festival 2010 opening ...

    Coraggio padano ? esiste ancora ?

    rivedendo  questo  video ormai  passato ala storia   mi chiedo che fine abbia fatto   Il coraggio della Lega  ? 


    Calderoli invita il governo a ripensarci sulla festa del 17 marzo. “Si può festeggiare lavorando”, dice, “perché siamo in un momento di crisi e ci potrebbero essere pesanti ricadute”.
    Il suo collega di partito, il consigliere regionale lombardo Bossetti, non si alza durante il minuto di silenzio per i bimbi rom morti a Roma. E quando il democratico Civati lo rende noto dice di non essersene accorto, perché era “intento a leggere un articolo di giornale”.
    C’è un filo rosso, anzi verde, che unisce le parole dei due lumbard. Il filo della dissimulazione  come sistema, altrimenti detto del ciurlare nel manico. 
    Se Calderoli vuole depotenziare la festa dell’Unità dell’Italia, lo dica e non tiri in ballo argomenti – magari legittimi – ma che in bocca a lui fanno un po’ ridere. E se il consigliere Bossetti (il nome dice tutto) non vuole alzarsi per gli “zingari” morti, abbia almeno il coraggio di difendere la sua scelta. Anche perché qualsiasi essere umano, in un’aula consiliare, se gli si fanno attorno  dieci secondi di silenzio assoluto alza la testa e si chiede che cosa succede. Altro che “non me ne ero accorto…”.   
    Viene da pensare  a quando minacciava   : <<  che i milioni di baionette pronti a calare su Roma >> quando erano    tanto duri e tanto puri da combattere a viso aperto per le loro idee prima  d'impantanarsi nella poltrona Romana  e  farsi fregare  da  un federalismo che  non arriverà mai e di votare  in cambio tutte le porcate ad   personam di questo mondo ,  mandando a  ramengo  quando diceva  



    Ora  non sembrano poi tanto coraggiosi. Al contrario, non fanno che gettare sassi, e nascondere le mani.

    quando la musica commuove anche i dittatori più spietati . il caso di MARIJA JUDINA/e il suo concerto k488 di mozart La pianista che commosse Stalin

    L'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insulsi  )                                                          
     
    o  da  questo modello di radio  http://www.tivoliaudio.it/ta_networks.htm  che  ti permette  d'ascoltatre  tutte le stazioni del mondo   tramite Internet senza fili o una connessione Ethernet.  e quindi  senza  la  classica   visto il farrwest  italiano che una  frequenza  disturbi un 'altra  , ho  ascoltato il bellissimo  e  toccante   concerto  MARIJA JUDINA/e  il suo  concerto  k488  di mozart   .
    Come da  titolo mi  ha  fatto venire  in mente  questa storia   letta qualche tempo fa .

    MARIJA JUDINA/ La pianista che commosse Stalin

    Il toccante libro di Giovanna Parravicini, Liberi, recentemente edito da Rizzoli – inconsueta galleria di ritratti di nove protagonisti della Russia novecentesca, storie di grandi uomini, di luminosi testimoni della Fede, di martiri catacombali – fa riemergere da lontane nebbie la leggendaria figura della pianista Marija Judina.
    Notizie biografiche ridotte al minimo. Scarse le registrazioni sopravvissute. Alcuni conoscitori ne tramandano giudizi entusiasti. Una certezza: fu la più grande pianista russa di tutti i tempi.
    Virtuosismo, scatto, elettricità, bellezza del suono, un’eccezionalità umana più grandi del suo mito. Prodigio di perfezione e di poesia.
    Classe 1899, a dodici anni è già artista completa. Legge avidamente Platone, Agostino, Tommaso d’Aquino, si appassiona ai poeti simbolisti, studia arti figurative, architettura, teatro, filologia, storia. Al suo cospetto i colleghi Richter, Gilels, Sofronitskij tremano come ragazzini. «Le sue dita sono artigli d’aquila», esclama un ammirato Shostakovich. Anche Prokofiev ne è sbalordito.
    «Suonare per me è un avvenimento interiore», testimonia la giovane Judina, donna inquieta, inappagata, sempre in ricerca. «Non m’interessano la fama o la tranquillità. Al centro della mia vita c’è la ricerca della verità. Devo inoltrarmi nella mia vocazione, alla ricerca di un’illuminazione che mi sorprenderà», riassume. Questa sua tormentosa indagine approderà finalmente alla Fede. A vent’anni si fa battezzare nella Chiesa ortodossa: «Conosco solo una strada che porta a Dio, l’arte». Autorevoli membri di partito rimpiangono questa sua sciagurata decisione: «Noi la porteremmo in trionfo, se solo Lei non credesse in Dio!». «Non rinnegherò la mia fede. Sarete voi, invece, a venire tutti dalla nostra. Voglio mostrare alla gente che si può vivere senza odiare, pur essendo liberi e indipendenti», replica. Non nasconde amicizie pericolose (Pasternak, padre Pavel Florenskij, la poetessa Marina Cvetaeva, il monaco Feodor Andreev), ma fortunosamente evita sempre la reclusione.
    Neri capelli lisci, occhi che mandano bagliori, lunghi abiti scuri su scarpe scalcagnate. Ai suoi concerti il pubblico non vuole andarsene, nemmeno dopo l’ennesimo bis. Lei entra in scena e recita poesie di autori proibiti, scatenando uragani di applausi. Subito le sue tournée sono cancellate. La sua notorietà è ormai mondiale, numerosi inviti le giungono dall’estero, ma ogni volta è costretta a rifiutare. «Ostenta la sua religione», è l’accusa. «Una sua lezione su Bach è catechismo, sembra di leggere un pezzo di Vangelo», confermano i suoi allievi.
    La licenziano dal Conservatorio di Leningrado. Si trasferisce allora a Mosca, dove fL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insuatica perfino a pagarsi l’affitto e riesce a malapena a noleggiare un pianoforte. Aiuta tutti, paga visite mediche agli amici indigenti, difende i perseguitati dal regime. Quando tiene concerti, affigge avvisi di questo tipo: «Suonerò nella tale città. Posso portare pacchi di un chilo massimo l’uno». Poi recapita i vari pacchi agli sconosciuti destinatari, fino all’ultimo. Non teme nulla, nella certezza indistruttibile di un rapporto con un Tu vivo, presente, che la sostiene: «Ho due stelle che mi guidano: la musica e Dio».
    Nel 1943 Stalin ascolta alla radio il Concerto K 488 di Mozart eseguito dal vivo dalla Judina. Ne resta così colpito da chiederne immediatamente il disco. Ma il disco non esiste perché si tratta di una diretta, effettuata negli studi della radio di Mosca. Non è il caso di perdere tempo in spiegazioni: la Judina è convocata d’urgenza, l’orchestra è pronta, due direttori declinano l’invito, solo un terzo accetta, in una notte la registrazione è fatta, il disco confezionato in pochi esemplari e recapitato all’illustre ammiratore.
    Stalin è generoso, fa avere alla Judina ventimila rubli, una cifra strepitosa per l’epoca. Con un gesto folle, li rifiuta: «La ringrazio. Pregherò giorno e notte per Lei e chiedeL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insuL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insurò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. Dio è misericordioso, La perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della chiesa in cui vado».
    Ancora una volta, non le viene torto un capello. Sale spontaneamente alla bocca la parola “miracolo”. Alla morte di Stalin, sul grammofono del dittatore, c’è quel disco della Judina.
    «Due stelle mi guidano, come una volta», continuerà a ripetere Marija, «ma ora mi sono accorta che l’ordine è diverso: Dio e la musica». «L’esperienza della musica è uno squarcio che si apre su un altro mondo, su una realtà più grande, sulla rL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insuL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insuealtà: la Grazia di Dio».
    Sono le ultime parole della Judina. Le legge il suo parroco, padre Vsevold Spiller, durante l’omelia funebre, il 24 novembre 1970.

    Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - I. Allegro


    Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - II. Adagio


    Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - III. Allegro assai



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