Uno studio americano della Northeastern University di Boston pubblicato su Science dimostra che la maldicenza modifica, letteralmente, il modo in cui "vediamo" le persone di SARA FICOCELLI
DON BASILIO cantava che la calunnia è un venticello, riferendosi all'abitudine, tanto cara all'essere umano, di diffondere con nonchalance maldicenze sul conto di una persona. Il meschino calunniato non poteva immaginare che la scienza avrebbe un giorno riabilitato questa usanza poco elegante elevandola addirittura al rango di "funzione protettiva per il cervello", ma tant'è. Uno studio americano della Northeastern University di Boston 1 pubblicato su Science dimostra che il gossip cambia, letteralmente, il modo in cui "vediamo" le persone: spettegolare rende infatti il nostro sistema neuronale più vigile e pronto a tenere sott'occhio i soggetti di cui di sparla, permettendoci di ricordare la fisionomia di un volto fra centinaia. Nel corso di una giornata, spiegano gli scienziati, incontriamo infatti decine e decine di individui, ma ci focalizziamo solo su un pugno di essi, e non sempre in base a una scelta consapevole. I criteri in base ai quali il cervello filtra e dà la priorità ad alcuni dettagli prescindono da un ragionamento vero e proprio e si basano su informazioni inconsciamente assimilate da fonti incontrollabili. Come il gossip. Uno step è ad esempio quello della suddivisione del mondo tra amici e nemici. Stabilire se una persona rientra nella prima o nella seconda categoria è possibile sia con la conoscenza diretta che attraverso il pettegolezzo. Tale è il potere di calunnie, maldicenze e diffamazioni che, secondo la psicologa Lisa Barrett ce ha condotto lo studio, basta che qualcuno ci parli male di un'altra persona per ricordare quel volto fra mille e plasmare negativamente la nostra opinione in proposito.
Per giungere a queste conclusioni il team della Barrett ha usato la tecnica della concorrenza binoculare, basata sul fatto che se fai indossare a una persona occhiali che separino i due occhi e mostri un'immagine ad uno e una diversa all'altro, l'attenzione e lo sguardo tendono a passare dall'una all'altra figura, domandandosi quale sia più interessante. Il primo esperimento ha coinvolto 66 partecipanti e il secondo 51, mostrando ad ogni persona contemporaneamente immagini sia all'occhio sinistro che al destro. Tra le facce ritratte nelle foto ve ne erano alcune di cui i volontari avevano sentito parlar male, altre viste per la prima volta e altre ancora su cui erano stati fatti commenti positivi o neutri. Tutti hanno indugiato particolarmente sulle facce delle persone definite poco raccomandabili, e molto meno sulle le altre. Una suggestionabilità che, secondo gli scienziati, è anche un'arma di difesa per il cervello: "Questa selezione preferenziale per i cattivi potrebbe proteggerci da bugiardi e imbroglioni, permettendoci di vederli più a lungo e raccogliere in modo esplicito ulteriori informazioni sul loro comportamento", concludono su Science.
Non è la prima volta che la scienza giustifica il pettegolezzo. Uno studio condotto un anno fa dalla ricercatrice dell'Istc-Cnr Rosaria Conte e da Flaminio Squazzoni del dipartimento di scienze sociali dell'Università di Brescia, lo ha ad esempio definito "una forma di comunicazione utile a garantire un certo ordine e a ridurre conflitti sociali". Non sul lavoro, però. Un'altra ricerca dell'Indiana University pubblicata sul Journal of Contemporary Ethnography dimostra infatti che il gossip in ufficio fa solo male, perché intacca la reputazione di capi e colleghi e al tempo stesso ne aumenta potere e influenza. Tutti gli studi sottolineano però il potere psicologico e sociale di questo strumento, per quantificare il quale è stato anche creato un algoritmo, il "Rumours spreading and graph conductance" ("Teorema della diffusione del gossip e conduttanza del grafo"), formula matematica grazie alla quale tre studiosi dell'università La Sapienza di Roma sono riusciti a calcolare con esattezza la velocità di propagazione del pettegolezzo in ogni rete sociale.
"La ricerca della Northeastern University di Boston è molto interessante - spiega Gabriele Miceli, professore ordinario di Neurologia all'università di Trento e associato del Cognitive Neuropsychology Laboratory di Harvard University (Cambridge, MA) - e intrigante è la metodica utilizzata, perché mette in competizione tra loro proiezioni corticali diverse, trasformando il tempo di riconoscimento dei soggetti in un indice di accesso alle informazioni dei processi neuronali. Detto ciò, è difficile stabilire le ragioni che hanno prodotto il risultato: dovremmo conoscere uno per uno i commenti positivi e negativi che sono stati associati a ogni volto. E' probabile che il cervello sia più suscettibile alle maldicenze perché le sensazioni negative, al contrario di quelle positive, corrispondono tutte a un'area precisa: la paura all'amigdala, l'aggressività al cingolo, il disgusto all'insula, e così via. Una rappresentazione che riguardi in maniera intensa un'area viene quindi codificata e trattenuta più facilmente. Cosa che non accade con le sensazioni positive, che non trovano un correlato anatomico preciso in nessuna zona cerebrale".
Non è la prima volta che la scienza giustifica il pettegolezzo. Uno studio condotto un anno fa dalla ricercatrice dell'Istc-Cnr Rosaria Conte e da Flaminio Squazzoni del dipartimento di scienze sociali dell'Università di Brescia, lo ha ad esempio definito "una forma di comunicazione utile a garantire un certo ordine e a ridurre conflitti sociali". Non sul lavoro, però. Un'altra ricerca dell'Indiana University pubblicata sul Journal of Contemporary Ethnography dimostra infatti che il gossip in ufficio fa solo male, perché intacca la reputazione di capi e colleghi e al tempo stesso ne aumenta potere e influenza. Tutti gli studi sottolineano però il potere psicologico e sociale di questo strumento, per quantificare il quale è stato anche creato un algoritmo, il "Rumours spreading and graph conductance" ("Teorema della diffusione del gossip e conduttanza del grafo"), formula matematica grazie alla quale tre studiosi dell'università La Sapienza di Roma sono riusciti a calcolare con esattezza la velocità di propagazione del pettegolezzo in ogni rete sociale.
"La ricerca della Northeastern University di Boston è molto interessante - spiega Gabriele Miceli, professore ordinario di Neurologia all'università di Trento e associato del Cognitive Neuropsychology Laboratory di Harvard University (Cambridge, MA) - e intrigante è la metodica utilizzata, perché mette in competizione tra loro proiezioni corticali diverse, trasformando il tempo di riconoscimento dei soggetti in un indice di accesso alle informazioni dei processi neuronali. Detto ciò, è difficile stabilire le ragioni che hanno prodotto il risultato: dovremmo conoscere uno per uno i commenti positivi e negativi che sono stati associati a ogni volto. E' probabile che il cervello sia più suscettibile alle maldicenze perché le sensazioni negative, al contrario di quelle positive, corrispondono tutte a un'area precisa: la paura all'amigdala, l'aggressività al cingolo, il disgusto all'insula, e così via. Una rappresentazione che riguardi in maniera intensa un'area viene quindi codificata e trattenuta più facilmente. Cosa che non accade con le sensazioni positive, che non trovano un correlato anatomico preciso in nessuna zona cerebrale".