30.4.22

CONCERTO DI PIAZZA SAN GIOVANNI ROMA 1 Maggio dietro le quinte: gli aneddoti di chi lo organizza ma non è per le barracopoli il caso di Borgo Mezzanone vicino a Foggia, c’è una baraccopoli i


VITA DA BRACCIANTI

Buon 1º maggio,

(ma non per loro)

A Borgo Mezzanone, vicino a Foggia, c’è una baraccopoli in cui vivono 4 mila braccianti agricoli privi di tutto. Di posti così in Italia ce ne sono in 37 Comuni. Una condizione molto vicina alla schiavitù, che un gruppo di giovani filmaker ha raccontato in un film. Che però nessuno vuole

La speranza di una vita migliore può essere una trappola che la vita congela in un’attesa potenzialmente infinita. Almeno, è così che sembra andare a Borgo Mezzanone, ghetto (il nome giusto sarebbe “insediamento informale”) in provincia di Foggia, dove circa 4mila braccianti coltivano speranze nelle ore e nei giorni lasciati vuoti dai campi. A thing by, collettivo di ragazzi tra i 23 e i 28 anni, ci è entrato nel 2020 e ci ha vissuto per tre mesi spalmati su un anno, realizzando One day one day, racconto delle vite sospese di alcuni di quei 4 mila. Il regista è Olmo Parenti, il più “vecchio” del gruppo di filmaker,
che i soldi per il film li ha trovati girando i videoclip di Gabbani, Sfera e Basta e soprattutto Tananai, che firma le musiche del film. Da Sanremo a Borgo Mezzanone passando per George Floyd: «Nel 2020 ho visto un servizio sul ghetto a le Iene. Poco dopo, a Minneapolis hanno ucciso George Floyd e mentre ero in piazza a Milano a manifestare per lui mi sono detto: e per gli schiavi di casa mia cosa posso fare? Poco dopo eravamo a Borgo Mezzanone: non sembra Italia. 


Manca tutto, luce, acqua, diritti. Ma a colpire di più è l’immobilità sociale: non c’è redenzione, per quanto brutale il ghetto è l’unico posto che accoglie questi ragazzi

Ci siamo tornati nel corso di un anno per dare alle cose la possibilità di cambiare, invece abbiamo documentato fallimenti: ogni volta che i nostri “protagonisti” facevano un passo per migliorare la propria vita – affittare una casa, cercare un altro lavoro, aprire una
PostePay – trovavano un muro di gomma. La maggior parte di loro è arrivata in Italia tra il 2014 e il 2016, alcuni sono a Borgo Mezzanone da anni e senza possibilità di uscirne: non hanno il permesso di soggiorno, non possono andare in un altro Paese europeo  per gli accordi di Dublino, verrebbero rispediti in Italia, ndr), non vengono rimpatriati, come prevede la legge». Un limbo esistenziale, burocratico, legale, noto a tutti, da anni. George, Abu e gli altri intervistati, rispondono a ogni domanda sul futuro col mantra diventato il titolo del film: « One day, un giorno, le cose andranno meglio.Se lo ripetono per non impazzire all’idea di rimanere il tavolino su cui un intero Paese banchetta. Ma “un giorno” è anche la foglia di fico di un Paese che spera che il problema si risolva da sé. E invece, complice il cambiamento climatico, non potrà che peggiorare», dice   Olmo  Parenti.
Nel Pnrr, il Piano di Ripresa e Resilienza del programmaNext GenerationEu, ci sono circa200milioni di euro stanziati per lo smantellamento degli "insediamenti informali" sparsi in37Comuni italiani e la costruzione di insediamenti abitativi più umani. Per quello diBorgo Mezzanone, il più popoloso, lo stanziamento è di circa 50 milioni: «L’intervento rientra in un progetto di integrazione e regolarizzazione più ampio», dice Tatiana Esposito, Direttrice generale dell’immigrazione del ministero del Lavoro (foto), che dettaglia anche i tempi: «Entro marzo 2023 le amministrazioni locali devono presentarci il piano di intervento e, una volta che lo avremo approvato, avranno 2 anni per realizzarlo». C’è poi il problema della regolarizzazione dei braccianti che ci vivono: anche quando avranno una casa, come faranno coi documenti? «Abbiamo condotto una ricerca approfondita sulla composizione dei braccianti impiegati in agricoltura in Italia: la stragrande maggioranza di loro è composta da stranieri regolari». La quota di irregolari è però quella che popola i ghetti: «Per gli irregolari ci sono già due strumenti, poco utilizzati: l’art. 22 del Testo Unico sull’Immigrazione, che garantisce un permesso di soggiorno a chi collabora con la giustizia per contrastare lo sfruttamento; l’art. 18 dello stesso Testo, che assicura protezione e documenti anche a chi non denuncia, se vittima di tratta», spiega Espostito. È un limbo esistenziale e burocratico da cui non si può uscire. E che può solo peggiorare 

I migranti raccontati nel film provano a riscattarsi  in molti modi: c’è chi, dopo dieci ore nei campi, prova a imparare l’italiano, chi studia la frequenza con cui escono i numeri al Lotto per capire quali giocare: «Nel ghetto è successo che qualcuno vincesse. Io ne ho conosciuto uno che però con quei soldi ha perso il suo fragile equilibrio; ne ha mandati la metà nel suo Paese e l’altra metà l’ha bevuta e spesa in prostitute. È andato via di testa perché ha avuto la prova che il problema, qui dove manca tutto, non sono i soldi: per quanti ne potrai vincere, continuerai a non poter avere documenti, quindi una casa e un lavoro regolari», dice Parenti. È per questo che anche quando viene data loro la possibilità di lasciare il ghetto alla fine non lo fanno: «È un limboma anche una rete di protezione. A ottobre scorso, un neurochirurgo del policlinico di Bari mi ha telefonato perché Abu, uno dei ragazzi del film, era stato colpito con un’ascia alla testa e appena arrivato in ospedale aveva dato il mio numero. Sono sceso a Bari per aiutarlo con le denunce e gli ho proposto di tornare a Milano con me, per sottrarsi al ghetto. Mi ha detto di sì, poi ci ha ripensato: in quel posto non hai nulla ma quel posto è l’unica cosa che hai; lì ti senti al sicuro anche se ti piantano un’ascia in testa, perché lì le persone sono come te, non ti giudicano, parlano la tua lingua. È un’assurda comfort zone in cui c’è posto persino per la gratitudine: i ragazzi che ho conosciuto ci sono grati per averli salvati dalmare e in cambio di questo accettano di essere, come dicono loro, “cittadinidi serieC”. Qualcuno di loro lo ritiene persino giusto. Ma lo accettano finché possono coltivare la speranza di diventare almeno di serie B. Ed è lecito chiedersi se frustrare questa speranza non renda esplosive situazioni come quella di Borgo Mezzanone». Persino la storia di One day one day parla di lavoro: il collettivo di Parenti lo ha prodotto e girato, ma non ha trovato nessuno che volesse distribuirlo: «Così, via Instagram tramite Will Media, abbiamo lanciato la campagna Vietato ai maggiori. Il senso era: “gli adulti” non lo vogliono? E noi portiamo i filmnelle scuole che ne faranno richiesta, dai ragazzi». Le scuole che rispondono sono 500 in pochi giorni: «Siamo partiti allora per un tour di unmese che, da Foggia, ci ha portati in tutta Italia, toccando 52 scuole e facendo vedere il film a oltre 6.700 ragazzi. A quel punto, abbiamo fatto un altro passetto: abbiamo invitato i maggiorenni a firmare una “dichiarazione di interesse” nei confronti del film dicendo che a 5 mila richieste avremmo fatto in modo di far arrivare il film nelle sale. Ne sono arrivate più del doppio, quindi ora lo proietteremo nei cinema delle città da cui provengono quelle mail. E tramite cinema@ willmedia.it altre sale possono chiederci di averlo», dice Parenti. Che si è inventato la distribuzione popolare, fai da te, porta a porta e on demand.



Faldoni, proteste e multe: come nasce il concertone Dal 1989 a oggi è sinonimo di 1 Maggio. Pochi, però, conoscono le 'grane' che si celano dietro le quinte: gli aneddoti di chi lo organizza

di Camilla Romana Bruno

 


 
 Nel museo del lavoro tre chilometri di ricordi
                                Andrea Lattanzi

 

 I manifesti del 1 Maggio sono tra i documenti conservati nell'Archivio Storico del Lavoro di Sesto San Giovanni, che racconta le battaglie per i diritti in Italia.

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