Invece di parlare a vanvera e fornire delle giustificazioni o pseudo scuse come quella di Paola Di Nicola Travaglini, giudice di Cassazione e consulente della commissione del Senato sui femminicidi, analizza il verdetto di Palermo che ha ridotto a 19 anni la condanna all'ergastolo dell'uomo che ha ucciso Ana Maria Lacramioara Di Piazza: " Nella magistratura c'è un problema culturale e di competenze, dobbiamo smaltire le scorie del delitto d'onore., "Un femminicidio non è mai un delitto d'impeto.Sentenze così frutto di pregiudizi sessisti" è meglio il silenzio oppure chiedere al ministro di mandare gli ispettori si eviterebbero simili ingiustizie , assurdità giuridiche
repubblica 7\10\2022
In primo grado Antonino Borgia aveva avuto l'ergastolo per l'uccisione di Ana Maria Di Piazza. La disperazione della madre
"Mi dica lei cos'è l'atrocità - ripete Anna Di Piazza - . Mi dica lei se mia figlia non è stata uccisa con violenza e atrocità". La Corte d'assise d'appello ha appena tolto l'ergastolo all'assassino di Ana Maria Lacramioara Di Piazza, la trentenne incinta uccisa il 22 novembre del 2019 con dieci coltellate, a Giardinello: l'imprenditore Antonino Borgia, che era l'amante della giovane, dovrà scontare solo 19 anni e 4 mesi. "Com'è possibile che un delitto così efferato venga punito con una pena che non dà giustizia a mia figlia? - si dispera la madre della vittima - Io non volevo vendetta, solo giustizia. Ma questa sentenza non fa giustizia". Anche la procura generale di Palermo presieduta da Lia Sava aveva chiesto la conferma dell'ergastolo e adesso valuta di ricorrere in Cassazione contro la sentenza che cancella le aggravanti legate alla premeditazione, ai motivi abietti e futili, alla crudeltà. Il collegio presieduto da Mario Fontana ha accolto invece la tesi della difesa, che ha sempre parlato di un delitto d'impeto. "Basta guardare il video della telecamera di sorveglianza che ha ripreso tutto - insiste la madre - . Mia figlia sarebbe ancora viva se quell'uomo avesse avuto un attimo di pietà. Invece nulla. L'ha inseguita e colpita più volte. È stata una morte atroce. Come non considerare tutto questo?". In quelle immagini c'è tutta la freddezza di Borgia, sposato e padre di due figli, che si è sempre difeso accusando Ana Maria: "Voleva dei soldi, minacciava di rivelare tutto a mia moglie", ha detto sin dal primo momento. Dopo il delitto, non ebbe alcun ripensamento: andò addirittura dal barbiere e poi pure in commissariato, per risolvere una questione burocratica. "Io sono stata sempre in silenzio - dice ancora Anna Di Piazza, che si è costituita parter civile con l'avvocato Angelo Coppolino - ma ora voglio urlare tutta la mia disperazione, spero tanto che la Cassazione riveda questa decisione che mi ha lasciata sgomenta" Ana Maria, originaria della Romania, a 4 anni era stata adottata da una famiglia siciliana. Non voleva perdere quel bambino avuto dall'uomo conosciuto un anno prima. Borgia voleva invece che abortisse, le discussioni erano diventate frequenti, come raccontato da alcune amiche di lei. Il 22 novembre 2019, l'ennesima lite. Prima, l'uomo l'accoltellò all'interno del suo furgone. La ragazza, ferita, riuscì a fuggire e venne inseguita lungo la provinciale che collega Alcamo a Balestrate. Borgia la raggiunse, la fece risalire a forza sul furgone e continuò a pugnalarla, fino ad ucciderla. Poi gettò il corpo in un campo lungo la statale 113 e se i carabinieri non lo avessero fermato era anche pronto a sciogliere nell'acido il cadavere di Ana Maria. "Le indagini sono state fatte con grande attenzione - dice mamma Anna - i carabinieri hanno sempre avuto professionalità, ma anche umanità. Ora, però, sono davvero addolorata per una sentenza incomprensibile".Ana Maria voleva una vita spensierata, poi però alcune amicizie non proprio rassicuranti avevano rallentato il suo cammino. Non aveva finito gli studi all'Alberghiero e nemmeno il corso per assistente agli anziani. "Ma aveva sempre una grande gioia di vivere", hanno raccontato le sue amiche. "Ed era anche una buona mamma". Aveva un figlio di 11 anni, nato da una precedente relazione. "Passeggiava serena con il suo bambino, mano nella mano. Era serena, tranne negli ultimi tempi". Per l'accusa, lui l'aveva minacciata. Lei aveva paura, si era confidata con le amiche. Ma non è bastato per confermare la condanna all'ergastolo. "Riguardate quelle immagini - sussurra ancora alla madre - non c'è bisogno di codici per riconoscere l'atrocità di quell'uomo".Proprio a proposito di femminicidio ecco come commenta su repubblica online (
qui il testo purtroppo per abbonati )Vera Squatrito nonna e tuttrice della nipote orfana a 4 quando sua madre Giordana Di Stefano fu uccisa a coltellate dal compagno che aveva lasciato.
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Signora Squatrito, cosa ha provato leggendo della sentenza di Palermo?
"Tanta rabbia perché i giudici dovrebbero pensare anche a chi resta, ai figli delle vittime come mia nipote quando ci sono o agli altri familiari, loro sì condannati ad un ergastolo che nessuno potrà mai azzerare. E senza nessuna tutela e protezione da parte dello Stato che avrebbe invece l'obbligo di proteggere i più fragili. [...]
Lei almeno ha avuto giustizia in tempi più o meno rapidi. Niente sconti in appello per l'assassino di sua figlia.
"Io ho avuto giustizia ma credo che qualsiasi femminicidio andrebbe punito con la massima pena. Le condanne esemplari parlano a tutti i giovani, sentenze come quelle di Palermo invece mandano messaggi pericolosissimi, calpestano il valore della vita, lasciano intendere che se ne può uscire comunque con sconti di pena. Io però non voglio essere pessimista, penso che con il tempo qualcosa cambierà e le battaglie dobbiamo farle dentro ma anche fuori i tribunali".
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