14.9.21

Nel triangolo tra Freud, l'allievo suicida Tausk e una donna c'è il lato oscuro della psicanalisi Cosa unì e poi divise davvero Sigmund Freud e Paul Tausk. ., murales pubblicitari troppo belli e i cittadini chiedono di lasciarli ed altre storie



Nel triangolo tra Freud, l'allievo suicida Tausk e una donna c'è il lato oscuro della psicanalisi


Cosa unì e poi divise davvero Sigmund Freud e Paul Tausk. Perché un laureato in legge, giornalista e commediografo e solo dopo, grazie a Freud, alla seconda laurea, psicanalista, rischiava di oscurare il maestro. Quali erano le dinamiche del triangolo che legava i due a Lou von Salomé, amante di Tausk ma anche di Rielke e chiesta in moglie da Nietzche. Perché il brillante psicanalista allievo di Freud si tolse la vita povero e senza pazienti nel 1919. In "Fratello animale" (Rizzoli 1973) lo studioso di scienze politiche e docente a Harvard Paul Roazen ci aiuta scoprire alcuni punti oscuri all'origine della 'filosofia pratica' del Novecento: la psicanalisi 
Saggi e romanzi che non vengono più ristampati dei quali recuperare la memoria. Pagine importanti per capire il presente, da ripescare nelle biblioteche, nei mercatini dell'usato o dimenticati nello scaffale alto della libreria: libro vecchio fa buone idee



repubblica  12 SETTEMBRE 2021 

La street art incontra la pubblicità grazie ai grandi marchi che riempiono la città di opere che attirano lo sguardo per la loro bellezza e che conquistano anche i residenti dei quartieri da Garibaldi a Porta Romana

Venere di Botticelli in corso Garibaldi (fotogramma)



In corso Garibaldi una Venere con orologio e borsetta allunga lo sguardo sullo struscio dei passanti, in corso di Porta Romana si fermano tutti a fotografare una facciata alla Gaudì comparsa come per magia. In via Canonica, arrivando dall'Arena, è sbocciata una grande peonia rosa. E in via Spallanzani, da qualche giorno, si è accesso il dibattito su un palazzo completamente rivestito da un motivo a fiori bianchi e neri.
Che Milano si stia colorando di murales in ogni suo quartiere è noto ma, a guardarle bene, alcune di queste facciate dipinte nascondono (o mostrano) qualcosa di diverso: sono pitture pubblicitarie. È il cosiddetto mural advertising che sta via via rimpiazzando i vecchi cartelloni: si dice addio ai posteroni patinati ingabbiati nei sostegni di ferro, ma soprattutto si saluta la logica dello spot tradizionale. Che siano inserzioni mascherate dall'estro degli street artist o vere e proprie opere d'arte su commissione l'effetto non cambia: la promozione incontra la città senza deturparne le facciate, regalando a chi passeggia inediti arazzi urbani.
Secondo i registri del Comune ad oggi i murales pubblicitari sparsi per la città sono circa una ventina: la tendenza, iniziata qualche anno fa, è in crescita. Spuntano come funghi: alcuni sono la semplice trasposizione su muro della vecchia esplicita réclame, ma molti sono street art a tutti gli effetti. L'ultimo, comparso qualche giorno fa tra lo stupore di molti e il disappunto di alcuni, occupa tutta la facciata di un edificio dei primi del Novecento che svetta all'angolo tra via Spallanzani e viale Regina Giovanna. Quel "Feels like Prada" contornato di fiori stilizzati in bianco e nero ha scatenato il dibattito social. Così, mentre in tanti si sperticano in "bellissimo" e "meraviglioso" c'è anche chi non gradisce: "Questa ultima genialata toglie l'eleganza che possedeva questa zona", sentenzia Mirella su Facebook mentre per Rosamarina "sulla carta sarebbe bello il disegno ma su una casa mi pare di no". Non c'è niente di più scontato ma efficace per dare senso ai battibecchi sul web: i gusti son gusti.



Ammirata senza riserva è invece l'opera dello street artist Cosimo Caiffa, in arte Cheone: il suo "The Vision" che ricopre la facciata laterale di Casa Maiocchi, l'edificio che Piero Portaluppi ha firmato nel 1920 in corso di Porta Romana 111, è stato fotografato da chiunque e quelle sue finestre dai contorni ondulati che ricordano le case di Barcellona progettate da Antoni Gaudì, hanno fatto il giro di Instagram in questi mesi, dando al murale una visibilità che ha valicato i confini milanesi.
Fotorealismo e illusione ottica hanno rapito i residenti del palazzo e i commercianti della zona, che stanno chiedendo che l'opera non venga rimossa: sì perché sempre di inserzione pubblicitaria si tratta (il committente, che si mostra in maniera discreta sulle finestre del primo piano, è la Mv line group, società che produce tende) e come tale ha una scadenza. "Sappiamo che a fine settembre non ci sarà più e siamo molto dispiaciuti, anche perché è impossibile creare qualcosa di più straordinario di quest'opera", racconta Matteo Pescarzoli, condomino dello stabile. "È un'attrazione di grande valore per la nostra zona - gli fa eco Sabrina Frigoli, presidente dell'associazione dei commercianti di Porta Romana - un richiamo per tutte quelle persone che vengono qui apposta per fotografarlo". Da Clear Channel, la concessionaria dello spazio in facciata che ha altri due murales a Milano, la venere di Corso Garibaldi 81 sempre dipinta da Cheone, e un muro del Leoncavallo, non c'è alcuna chiusura: i vertici stanno ascoltando le richieste di tutti e si dicono disposti a trovare una soluzione condivisa qualora dal Comune partisse una richiesta ufficiale per salvaguardare il murale. "Sarebbe un regalo fantastico", sorride lusingato l'artista.
L'elenco stilato da Palazzo Marino è lungo: c'è la peonia mangiasmog di via Canonica 25 dipinta dagli Orticanoodles (il LifeGate Wall sul quale girano, a rotazione, diversi sponsor), piazza Santo Stefano e via Larga, via Casale 3 (dove ora c'è il gemello di via Spallanzani), via Pioppette 3, Largo La Foppa, varie pareti in Corso Garibaldi, via Gian Galeazzo 3, via Melchiorre Gioia, via De Castillia 24, via Lodovico il Moro 129, via Pietro Morselli 3, via Varese 1. Il meccanismo è identico a quello delle pubblicità tradizionali: stessi costi dei vecchi spot, per quanto riguarda i canoni comunali legati alle dimensioni del muro, cui si aggiungono le tariffe degli inserzionisti e i costi di realizzazione.
"Le aziende hanno compreso la potenza visiva della street art", spiega Mauro Ferraresi, professore di Sociologia della comunicazione all'Università Iulm: "Un tipo di comunicazione liquida, che argomenta meno di uno spot tradizionale ma che entra nella memoria visiva delle persone per rimanerci a lungo". La logica, precisa Ferraresi, "è legata al concetto di sponsorizzazione più che di pubblicità". Il messaggio, cioè, è semplice: "Goditi questo momento estetico che ti è stato offerto da me, azienda "illuminata". E funziona"

Ventisette anni, di Vetulonia, è quasi un alieno della musica italiana. Il suo primo disco è un “bestiario”: otto fiabe dedicate alla sua terra

repubblica  17 AGOSTO 2021

Bestiario musicale, il disco con cui Lucio Corsi ha esordito





Immaginiamo una festa di fine anno. A bordo piscina. Con il Martini, la burrata, il deejay set e purtroppo i fenicotteri rosa gonfiabili. Si festeggia la nuova musica italiana, quella degli enfant prodige maghi dell’algoritmo e della prosa, dei nativi digitali favorevoli alla decrescita felice e dei periferici che si sono arricchiti in un click.
Ci sono tutti, vincitori e vinti di Sanremo, X Factor, Amici, scalatori di classifiche di Amazon e Spotify: un parlamento rovesciato per età, ambizioni, colori, motti, sogni. Hanno tutti i capelli rosa, blu, verde elettrico, doppi tagli, tatuaggi, anelli, taglie sbagliate, extra large. Discosto, c’è un tipetto che sembra schizzato fuori dalla copertina di un disco degli Yes, The fool on the hill. Si chiama Lucio Corsi.
Ventisette anni, di Vetulonia, città etrusca in provincia di Grosseto, piena Maremma che lui descrive così: «Il farwest italiano, la Toscana brulla, dura e magica dove agirono briganti e butteri». È cresciuto in campagna, in un podere circondato da alberi che «fanno l’ombra vera», dove c’è «il buio vero, quello che non si ricava: esiste», e gli animali sono apparizioni fulminee ma costanti. Per questo, il suo primo disco è dedicato a loro, gli animali che per lui hanno sempre meno spazio e allora «i draghi sono diventati lucertole», perché le città si espandono indiscriminatamente – lui dice che sono «metropoli tentacolari»: parla come parlava Luciano Bianciardi, grossetano come lui, e come lui spaventato da Milano, fortemente scettico rispetto a quella che chiamava «la società divertentistica e copulatoria».
A gennaio del 2017, quando la nuova musica italiana era ancora l’indie, almeno per i giornali, Corsi pubblicava Bestiario musicale: otto tracce, ciascuna dedicata a un animale del bosco di cui faceva un ritratto e una fiaba. Il cinghiale era «terremoto delle zolle, uragano delle fronde»: in una diretta social dal Museo della Scienza di Milano, ha spiegato che con quel verso intendeva che i cinghiali hanno trasformato il paesaggio, smussato le colline «che si sa, un tempo erano quadrate», comportandosi come agenti atmosferici.
Poeta, cantastorie, aedo, musicante di Brema, folletto, stramba creatura: lo hanno definito in questi e cento altri modi, tutti giusti e insufficienti. Diciannove anni a Vetulonia, dove torna appena può perché solo lì riesce a scrivere, lo hanno reso impenetrabile al suo tempo, a ogni tempo: lui sta nello spazio, non nel tempo. La cosa più precisa che si può dire di lui è che non assomiglia a niente. Certo, richiama gli anni Settanta e certo, il film che gli ha cambiato la vita è Velvet Goldmine, e i dischi che lo hanno allevato sono di Rondelli, Gaber, Paolo Conte, Bowie, Graziani, Dalla, Flavio Giurato (il suo preferito). Ma non assomiglia a niente lo stesso, non ai rapper suoi coetanei, che ascoltano e amano altro, e non ai Maneskin che ascoltano quello che ascolta lui e amano molte delle cose che ama lui, chitarre incluse. L’approccio artigianale alla musica, che studia da quando aveva quattordici anni, è uno dei molti tratti che lo pone in attrito rispetto alla tendenza contemporanea. È un feticista della strumentazione, sul palco siede al piano con in bocca un’armonica.
Nella sua Gibson del ’74, dopo averla comprata, ha trovato l’esoscheletro di uno scarabeo: lo ha lasciato lì, anche se fa rumore. Gli animali, ancora: sempre.
Una delle ragioni per cui Lucio Corsi è così interessante e, sebbene unico, anche esemplare, è che incarna bene lo spirito ecologista della sua generazione. Quello spirito che è facile definire woke (woke è ciò che avantieri avremmo definito radical chic) e che certamente contiene svariate dosi di faciloneria adolescenziale e conformismo intellettuale, ma che è anche, soprattutto, il carburante di un’etica nuova, che nasce da un amore pragmatico e romantico per il mondo intorno. La solidarietà, concetto che agli adulti tardo novecenteschi pare tuttora buonista, per la generazione di Lucio Corsi è un fatto concreto, la condizione della relazione tra uomo e natura e, di riflesso, tra uomo e uomo. L’armonia con il creato, che noi più avvertiti siamo abituati a sbeffeggiare come rimpasto fricchettone, è per loro un fatto di solidarietà, intesa come vincolo, e quindi dovere, e quindi accesso al diritto: intesa come la intende l’articolo due della Costituzione italiana. Solidarietà e anarchia: «C’è un movimento punk nella foresta, gli alberi con i capelli verdi sulla testa, e le galline con le creste mal viste dalla guardia di finanza, che non si accorge del crimine che avanza». Che cantastorie fantastico. L’anno scorso, sul limitare del primo lockdown, Corsi era in tour con il suo secondo disco, Cosa faremo da grandi: ancora otto tracce, ancora un disco concepito alla maniera del Novecento, con uno sviluppo, un tema portante e decine di affluenti. Insomma, un’opera. Era già Lucio Corsi: famoso e adorato dai superstiti della nicchia indie e dai traditori di quella indie pop, cominciava a essere trasversale, iconico, televisivo (è stato anche ospite fisso de L’assedio di Daria Bignardi), ma mai social.
Nel disco parla di vento, conchiglie, mare, lampioni, tempo e della grande impresa che è la rinuncia, di come preluda al cambiamento e di quanto sia necessaria e salutare. «La mia canzone parla di un modo di affrontare la vita dove si festeggiano più le linee di partenza che i traguardi»: quando suona dal vivo, Corsi non manca mai di raccontare i retroscena e i perché delle sue canzoni, come faceva Tenco, convinto di doversi sempre spiegare.
Com’è stato possibile che un ragazzo così speciale avesse un successo tanto disarticolato da tutte le regole del successo? Una parte di merito è della casa discografica che lo ha accolto, appena arrivato a Milano, la Picicca, e del suo manager, Matteo Zanobini, che il suo lavoro ce lo racconta così: «Il mio obiettivo è saper indirizzare gli artisti senza snaturarli. Con un talento puro che ha una visione molto precisa del suo lavoro, come è Lucio Corsi, la prima cosa da fare è preservare la sua anima, accompagnarla e intervenire il meno possibile, come si fa in cantina con un vino naturale. Non si aggiunge niente e si aspetta che la natura faccia il suo corso. In un mercato così veloce, è una strategia rivoluzionaria».
Il resto, è il talento puro di un ragazzo che è una creatura, e certe volte sembra una pianta, magari un vitigno. E per fortuna c’è qualche altro ragazzo, un po’ più adulto di lui, che lo protegge. La concordia generazionale è migliore della rottamazione, no?

12.9.21

Per Adinolfi non va bene che una donna vinca il Leone d’Oro con un film sull’aborto

 molti mi diranno ma perché dai spazio a tali imbecilli . Perche non è più tempo dei moderati e del silenzi o del lasciamoli perdere sono dei bigotti e retrogradi , sono solo una minoranza , ecc. infatti uno dei principali motivi per cui tali individui crescono ed si sviluppano ed la cultura sessista e patriacarle che sta alla base dei femminicidi \ violenze di genere ancora resiste è grazie alla nostra tolleranza ed alla nostra sottovalutazione . Dopo questo spiegazione. venivo alla cazzata del giorno detta da uno dei loro leader /punti riferimento .

Mentre tutti in Italia celebrano (giustamente) Paolo Sorrentino, a conquistare il Leone d’oro a Venezia è stata lei, Audrey Diwan 41 anni, regista, scrittrice, sceneggiatrice francese di origini
libanesi, è la sesta donna a vincere in 78 edizioni. La sesta. E lo ha fatto mostrando fisicamente uno di quei temi di cui al cinema non si parla (quasi) mai, come fosse tabù, intoccabile, non pronunciabile: l’aborto. “L’événement” racconta l’odissea di una studentessa universitaria costretta ad abortire clandestinamente, in condizioni estreme e a rischio del carcere, nella Francia del 1963, ma riporta in superficie un rimosso anche della società italiana, in cui conquiste

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Italia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Legge 22 maggio 1978, n. 194.

La legge italiana che regola l'accesso all'aborto è la Legge 22 maggio 1978, n. 194, approvata dal parlamento dopo vari anni di mobilitazione per la decriminalizzazione e regolamentazione dell'interruzione volontaria di gravidanza da parte del Partito Radicale e del Centro d'informazione sulla sterilizzazione e sull'aborto (CISA), che nel 1976 avevano raccolto oltre 700.000 firme per un referendum - patrocinato dalla Lega XIII maggio e da L'Espresso - per l'abrogazione degli articoli del codice penale riguardanti i reati d'aborto su donna consenziente, di istigazione all'aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia. Solo l'anno precedente il referendum sul divorzio aveva mostrato la distanza tra l'opinione pubblica e la coalizione a guida democristiana al governo. La Corte Costituzionale inoltre nel 1975 consentiva il ricorso all'aborto per motivi molto gravi.La legge 194 consente alla donna, nei casi previsti, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica. La legge 194 istituisce inoltre i consultori come istituzione per l'informazione delle donne sui diritti e servizi a loro dovuti, consigliare gli enti locali, e contribuire al superamento delle cause dell'interruzione della gravidanza. La legge stabilisce che le generalità della donna che ricorre all'IVG rimangano anonime. Il ginecologo può esercitare l'obiezione di coscienza. Tuttavia il personale sanitario non può sollevare obiezione di coscienza allorquando l'intervento sia "indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo" (art. 9, comma 5). La donna ha anche il diritto di lasciare il bambino in affido all'ospedale per una successiva adozione e restare anonima.Questa legge è stata confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17 maggio 1981. L'8 agosto 2020, l'uso della pillola abortiva Ru486 è stato esteso fino alla nona settimana di gestazione senza l'obbligatorietà del ricovero ospedaliero.[20]La sentenza n. 25767/2015 delle Sezioni unite della Corte di Cassazione ha stabilito il diritto della madre e del concepito al risarcimento del danno medico in virtù del diritto alla salute, all'integrità psicofisica e alla uguaglianza delle pari opportunità, negando l'esistenza di diritto a "non nascere se non sani" e il ristori risarcitorio del danno lamentato in relazione alla mancata opportunità abortiva che sarebbe scaturita da una diagnosi omessa o non sufficientemente accurata.[21][22] Il TULPS (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) vieta la pubblicità delle tecniche e dei farmaci abortivi (artt. 112 e 114). 
[...]


che credevamo ormai assodate sono state ufficialmente rimesse in discussione, dove il tasso di obiettori di coscienza in alcune zone è talmente alto da costringere alcune donne a tornare all’aborto clandestino o andare all'estero . Uno squarcio nel silenzio, finalmente.

Ma per qualcuno

Per Adinolfi non va bene che una donna vinca il Leone d’Oro con un film sull’aborto

Il film che ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia, “L’événment” della regista francese Audrey Diwan, parla di una studentessa che sceglie l’aborto clandestino nella Francia degli anni ’60. Questa cosa non è piaciuta ad Adinolfi, che ha avuto da ridire anche sul sesso del vincitore

adinolfi audrey diwan leone d'oro aborto

Sa di rischiare la prigione, la vergogna di chi le sta intorno e la sua stessa vita, ma va avanti per la sua strada. Anamaria Vartolomei è la protagonista di “L’événment” di Audrey Diwan, film che ha vinto il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia: è una  giovane brillante universitaria che nella Francia di inizio anni ’60 con l’aborto ancora illegale è determinata a non proseguire la gravidanza per continuare a inseguire i suoi sogni. Con l’avvicinarsi degli esami finali e la gravidanza sempre più evidente, Anne si decide quindi a praticare un aborto clandestino, pur sapendo di rischiare molto. Un film emozionante e che tocca temi sociali importanti, che non è piaciuto però a Mario Adinolfi
“È l’ennesima propaganda abortista che ormai subiamo con quotidianità”, ha detto il leader del Popolo della famiglia. “Sembra che la libertà del nostro mondo occidentale – ha aggiunto – sia la libertà di uccidere i bambini non nati e gli anziani malati o sofferenti con l’eutanasia. Questa è diventata la grande vittoria dell’Occidente”.
Ad Adinolfi non torna neanche che per il secondo anno consecutivo a vincere il premio sia stata una regista donna: “Ci pieghiamo a dei cliché, siamo obbligati a cercare la regista donna per dare il premio, è il secondo anno consecutivo, e anche questo sta diventando un cliché. E i cliché sono l’opposto dell’arte”. “Io ho paura che questa atmosfera cupa che ci stiamo portando dietro – ha concluso il guru cattolico – in cui libertà e diritti significano solo aborti ed eutanasia significhi che qualcosa sta andando storto nella nostra riflessione”.Per lui, a meritare il Leone d’Oro era il film di Paolo Sorrentino “È stata la mano di Dio”: “Davanti a un’esperienza di morte, perché muoiono i suoi genitori, il protagonista risponde con un grandissimo inno all’esistenza che passa anche attraverso quell’immagine di Maradona”. Fortunatamente non lo ha diretto una donna, altrimenti l’Adinolfi critico cinematografico avrebbe rischiato un cortocircuito.

N.b
  va bene     essere  contro l'aborto   ma  come  giustramente  ha  risposto    questa  senatrice  degli  Statri uniti  

 dev'essere  lasciata libertà alla  donna  di scegliere   cosa  fare  e  soprattutto   di poterlo fare  in sicurezza  . Cosi  come    dipoterne  parlare  , raccontare   d tali tematiche . 
Se  la  cosa   , cari  Adinolfi  e   company   vi dovese  dare  fastidio  , invece  di  dire  .....  o proibire  agli altri\e  di  parlarne    fate  un film  o    un altra  forma  artistica   dover  esprimete  il  vostro pensiero  .  Insomma  non rompete  ....    con le  vostre  crociate  ,  nella ,maggior  parte dei casi ,  per  lo più ipocrite    ed opportunistiche    . 

non esiste solo 'altro 11 settembre degi Usa ma anche un 11 settembre latino Americano ad iniziare dal colpo di stato in cile di Pinochet finanziato ed appoggiato dagli Usa

11 settembre 2001:
muoiono negli stati uniti 3.000 persone con un attentato triplice che mai l’america aveva vissuto sulla propria pelle.1.000 sono ancora senza nome.
11 settembre 1973:
muoiono in cile 2.000 persone con un colpo di stato militare che rovescia il governo socialista di allende.
38.000 hanno un nome, ma sono desaparecidos.


[sostenuto dagli stati uniti, pinochet diventa presidente della repubblica cilena e rimane alla testa del cile sino al 1990. l’ultimo computo delle vittime risale al 2011. nella foto la mappa degli stati americani in cui gli US hanno esportato la democrazia in salsa di golpe 🌹]


il centro destra distratto il caso delle foibe . criticano i crimini di tito ma usano le foto di una fucilazione fascista

 Lettura consigliata Sull’ ignoranza delle persone colte di William Hazlitt   in particolare   : 

Le cose nelle quali eccelli veramente non contano perché non le possono giudicare. La forza intellettuale non è come la forza fisica. Certe persone non le batti mai”.




 

La  destra   destra    difende  il  giorno del  ricordo  , e  fin qui  niente   d'eccezionale  , visto il suo anticomunismo   ed nazionalismo   


ma  lo fa    male  ,  faziosamente , ed  in maniera   errata  .

Infatti  

DESTRA DISTRATTA?

La destra difende il Giorno del Ricordo
con la fotografia di un plotone di esecuzione
composto da soldati italiani?
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Loška Dolina, Slovenia meridionale, il 31 luglio 1942. Soldati italiani fucilano Franc Žnidaršič, Janez Kranjc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič ed Edvard Škerbec, cinque abitanti del villaggio di Dane presi in ostaggio qualche giorno prima. Nell’Italia degli ultimi anni, un’interpretazione frettolosa e “capovolta” di questa foto ne ha innescato la proliferazione virale in rete e sui giornali, sino a farne l’illustrazione per eccellenza di articoli sulle foibe e le vittime italiane della “violenza slava”. (Raccolta fotografica del Muzej novejše zgodovine Slovenije (Museo nazionale di storia contemporanea a Lubiana) - Numero d'archivio pl1818)

- fonte: Internazionale
“La storia intorno alle foibe” di Nicoletta Bourbaki,gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico
10 febbraio 2017

#foibe #fascismo #antifascismo #destra #sinistra #storia #memoria #partigiano #revisionismo #negazionismo #giornatadellamemoria #giornodelricordo 

L’AQUILA E LA BAMBINA CIECA

da  Claudia Pasquariello 18 dicembre alle ore 15:10 · Il vento sussurrava tra i pini della montagna, portando con sé gli echi di un mondo ...