17.4.11

I "ragazzi di Don Milani" scrivono a Napolitano

trovo sulla mia bacheca di facebook e qui riporto questo intervento pubblicato da da Sebastiano Gulisano il giorno sabato 16 aprile 2011 alle ore 8.57

Gli allievi della scuola di Barbiana lanciano un appello - da sottoscrivere - al Presidente della Repubblica.


Signor Presidente,
lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti di quell'unità nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benchè nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani". Alcuni di noi hanno anche avuto l'ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra gli addetti ai lavori.
Il degrado morale e politico che sta investendo l'Italia ci riporta indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso. Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate” .
Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo ad un uso costante della legge per difendere l'interesse di pochi, addirittura di uno solo, contro l'interesse di tutti. Ci riferiamo all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.
In una democrazia sana, l'interesse di una sola persona, per quanto investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere sull'interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato che non cederebbero a compromesso. Ma l'Italia non è più un paese integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.
Quando l'istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo l'obbligo di fare qualcosa per arrestarne l'avanzata.
Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta che assistiamo a uno strappo. Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente, chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a creare. Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione. Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni, discriminazioni.
Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso l'autoritarismo che al colmo dell'insulto si definisce democratico: questa è l'eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli. Solo lo spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli anche lei.
Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali saluti
Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido Carotti, Mileno Fabbiani,  Nello Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo Martinelli, Aldo Bozzolini

Per sottoscrivere questo appello scrivete a letteranapolitano@altreconomia.it
· · Condividi

    • Alessandro Sbarbada ho sottoscritto, mi pareva doveroso
      Ieri alle ore 8.59 · · 2 personeCaricamento in corso...

    • Giuseppe Castorina Sottoscrivo. Mi fa piacere che tu abbia postato don Milani, tu lo sai che per me è un esempio ma a parte questo vedi la grande attualità della sua opera.Ciao Seby.
      Ieri alle ore 9.27 · · 1 personaCaricamento in corso...

    • Sebastiano Gulisano caro Peppe, pur non essendo credente, mi riconosco più nelle parole e negli atti di tanti preti che di tanti "comunisti"
      Ieri alle ore 9.35 · · 9 personeCaricamento in corso...

    • Gaetano Risica Avevo già letto la lettera sul Fatto Quotidiano di ieri. Sottoscrivo!!!
      Ieri alle ore 9.35 · · 1 personaCaricamento in corso...

    • Silvia Calzolari Carissimo Sebastiano....anch'io non sono credente ma CREDO fermamente in valori che sono nostra fondamentale responsabilità da trasmettere ai giovani....alla futura generazione che deve poter vivere nella democrazia e nel diritto: umanità e giustizia! Un abbraccio e grazie! ♥
      Ieri alle ore 9.54 · · 1 personaCaricamento in corso...

    • Laura Di Nitto Grazie Sebastiano, sottoscrivo.
      Ieri alle ore 9.55 · · 1 personaCaricamento in corso...

    • Marialetizia Sabatino Grazie, ho condiviso. Tra il "golpe buono" di Asor Rosa e "il golpe educativo" con l'invito alla ribellione di cittadini consapevoli verso le leggi ingiuste rispedite al mittente da un Presidente che usa le sue prerogative costituzionali continuo a preferire la seconda opzione...
      Ieri alle ore 10.04 · · 1 personaCaricamento in corso...

    • Salvatrice Amelio ‎...il dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza...
      Ieri alle ore 10.22 · · 1 personaCaricamento in corso...

    • Sebastiano Gulisano
      Marialetizia, temo che il "golpe educativo" non basti a invertire la rotta di una nazione che fila dritta verso il disastro.
      Come forse saprai, condivido la proposta di Asor Rosa. E non non certo a cuor leggero. Come penso che il professore... non l'abbia avanzata a cuor leggero. E non penso nemmeno che la sua sia stata una provocazione, no: secondo me, è il grido di dolore di un intellettuale che ama profondamente la Costituzione e la democrazia.Mostra tutto

      Ieri alle ore 10.29 · · 2 personeCaricamento in corso...

    • Marialetizia Sabatino
      nessuno di noi (uso ancora forse impropriamente un noi che per me rappresenta i compagni di strada che ho sempre incontrato nelle piazze dove bisognava esserci per dire dei no alla guerra, al precariato, alla distruzione della scuola pubb...lica...) credo affronti questo tempo a cuor leggero...ma l'idea di affidarsi a carabinieri e polizia da parte di una politica mai così debole in un Paese che ha vissuto la strategia della tensione, i depistaggi infiniti nelle indagini di mafia non mi spavanta mi terorrizza.Mostra tutto

      Ieri alle ore 10.39 ·

    • Sebastiano Gulisano a chi lo dici! ma penso che la cosa sia un tantinello più complessa. magari provo a buttare giù un po' di riflessioni più articolate - anche dell'articolo di Asor Rosa, decisamente sintetico - e proviamo a discuterne in maniera più approfondita.
      in ogni caso, sono convinto che Napolitano mai si sognerebbe di fare una cosa del genere.

      Ieri alle ore 10.51 · · 2 personeCaricamento in corso...

    • Claudia Urzì Meraviglia... Sottoscrivo!!
      Ieri alle ore 12.36 · · 1 personaCaricamento in corso...

    • Marilena Oristanio
      Ieri alle ore 14.45 ·

    • Assunta Di Pietro sottoscrivo ..
      Ieri alle ore 15.32 ·

    • Silvia Canepuccia bellissima, grazie!
      Ieri alle ore 21.42 ·

    • Giuseppe Beppe Fazari
      ho smesso di credere tannnnnnti anni fa ma, in un mio piccolo parere, l'esempio e la scuola di Cristo (persona che nn ha mai fatto del male a nessuno anzi cercava di aiutare tutta la gente povera , anche di spirito,),e anzi se dovessimo gua...rdare bene, sempre x me, forse è il primo comunista,e essere preti nn vuol dire nn essere uomini e quando si vede l'ingiustizia l'uomo reagisce grazie a questi ragazzi e condivido e sottoscrivo.....Mostra tutto

      11 ore fa ·

    • Maria D'Ambra
      Laddove l'attuale realtà scolastica si contraddistingue per l'elevato numero di studenti per classe, ormai poco portati a riconoscere l'autorevolezza dei loro insegnanti, i quali, nonostante tutto, continuano a credere nel compito di formar...e le generazioni future, mi chiedo quanta considerazione muova le avverse parti politiche nei confronti delle giovani anime che le famiglie affidano fiduciose alla scuola italiana, delegandola al compito di formarli al lavoro e alla vita. Se la scuola pubblica non riesce più a far fronte al suo impegno, tutta l'attuale struttura sociale dovrebbe essere messa in discussione, non per cercare un colpevole, ma per trovare risposte concrete e positive. Il primo passo credo sia l'impegno a collaborare, elevandoci al di sopra di etichettature di comodo. L'impegno esige il coraggio di andare oltre la forma! Sottoscrivo il messaggio di Don Milani!Mostra tutto

      6 ore fa · · 1 personaA Sebastiano Gulisano piace questo elemento.

    • Francesco Maria Zinno sottoscrivo. grazie
      4 ore fa ·

    • Gianni Testi sottoscrivo
      circa un'ora fa ·

    • Elena Paolizzi sottoscrivo
      41 minuti fa ·

    • Eliana Martorano Vi ritrovo il mio stesso grido di dolore. Sottoscrivo.
      circa un minuto fa ·

15.4.11

come un manga ( ベルサイユのばら, Berusaiyu no bara?, "Le rose di Versailles" ) e l'anime da esso tratto descrivano la realtà Italiana


"Così è la vita dei poveri pezzenti, è il lamento di tutti coloro che hanno la panciaaly vuota, dei quali il solo privilegio è quello di dormire a loro agio perché non c'é un tetto che li protegga, Oh tu semplice contadino che cammini barcollando sotto il peso delle leggi che non sono fatte per te, non dire nulla e vai avanti e canta il lamento dei poveri pezzenti, così va il lamento dei poveri pezzenti che vagano nell'oscurità, senza speranza che vanno erranti per le strade mezzi nudi alla sera, è il lamento degli affamati, l'accordo degli assetati, coloro che hanno fame di giustizia e di pane. È il lamento degli scalzi che hanno solo ossa da mangiare. Ascoltate signori il lamento dei poveri pezzenti, ascoltate signori la miseria che vi grida la sua collera." ( da ベルサイユのばら, Berusaiyu no bara?, "Le rose di Versailles" noto in italia come .... a voi indovinare  ) un piccolo aiutino va 



13.4.11

perchè Dylan Dog e Martin Mystere in declino non prendono esempio da Topolino

e


Lo so che dovrei smettere  di comprare fumetti e cd\dvd  , e  risparmiare sul superfluo , onde  evitare  ogni volta  che  sento e vedo  gente  che ha difficoltà  a tirare avanti   che mi vengano i sensi di colpa  , ma mi piace viaggiare  con la fantasia  come  dimostra --- vedi   sopra  ---  la vignetta  di Silvia Zanche presa   dal topolino in questione . Ed è proprio con la storia  d’oggi che ho deciso di tagliare  ancora  di più con riviste e dvd hard ( la maggior parte   di infima  qualità ) e di cedere o buttare tale materiale . La storia in questione  viene dall’ultimo numero di topolino ( foto copertina  a sinistra  ) .Tale fumetto , anche se  fra alti bassi , rispetto a Dylan Dog  e Martin Mystere che  compro  per  affezione (  nonostante  sono già diventati o secondo altri  stiano diventando nella maggior parte troppo razionali e  sconna con l’tati perdendo il vecchio smalto , un anno sabbatico gli farebbe  bene ) è capace di rinnovarsi ed  continuare ad emozionare  un vasto  pubblico vcchio ed  nuovo appassionato di fumetti . Dopo questo  excursus nel panoramica fumettistico  italiano torniamo all'origine  del post  in questione.....                                                                        Una  classica storia di Paperone ai tempi  della corsa all’oro nel klondike 1897. Ma non , ed  è stata  questa  ad emozionarmi di più , la classica  in cui  si narra  la ricerca ed  il   percorsor  arrivare all’oro odi come si  difende  ma SPOILER il processo inverso cioè quello di  creare  strutture (   e  fonti  guadagno per se  e per  gli altrgii amici che non cercavano la  fortuna con l’oro , ma  con altre attività della  frontiera  Americana,nell’ultimo lembo  , l’Alaska  ) per chi attirato  dall'oro era  o stava  arrivando da  tutti gli Stati Uniti . In pratica  se  Maometto ( l'oro )  non va  alla montagna   e quest'ultima  che  va  da Maometto (  dall'oro  ) SPOILER Una  storia  bellissima , toccante , specie nelle SPOILER due  oniriche ma mica  tanto vignette  finali SPOILER magistralmente disegnate  e sceneggiate  da Roberto Vian e Auguo Marchetto .  Ottime seguenze  e dissolvenze  , stacchi  e 'ukattacchi  fra le domande  dei nipoti e il racconto di Paperone . In quest  storia ( ma  anche nell'intero numero  )  si  può parlare  di cinema  , parola  fatta  di fonogrammi e parole  da decifrare  . "C" come coinvolgimento . "I" nel senso d'interazione . "N" come novità non ho mai  visto , se la mia memoria  disneyana  non m'ingoanna :-), iruna  storia di Paperone raccontata  all'incontrario . "E" come emozione la stessa provata da ciasuno di noi  nel sentire  le storie vere  o  presunte  del passato ."M" a diffondere magia  ed  atmosfera ."A" per concludere avventura .
Sei lettere , dunque , per descrivere opere d'arte  che escono ogni anno sia in ambito librario che  sul  grande  schermo  , escono sia  nei colte anali ufficiali  , ma  volte in quelli non ufficiali  , e quindi  quest'ultimein sordina  e lontano dal grande  pubblico a perchè fatte  con poco denaro o senza  soldi  e .... . Ma qui rischio oltre che a diventare noioso   d'introdurmi in un  discorso troppo lungo e  forse noioso  ma  per  chi  vuole  può essere riassunto da  questo corto cinematografioc di un mio amico  Mario Marzeddu



Concludo con Benigni <<  il cinema  è fatto di due  cose  uno schermo e  di un po' di sedie  il segreto sta nel riempirle entrambe  >>. stesso discorso che si  può fare  con tutta l'arte

12.4.11

5 maggio giornata mondiale contro la pedofiliaToghe, tonache e grembiuli Viaggio nella cyberpedofilia


unione  sarda del Martedì 12 aprile 2011

M arco Scarpati, 51 anni, di Reggio Emilia, avvocato, docente di Tutela internazionale dei diritti dei minori all'università di Parma. Al processo contro Marco Dessì, l'ex sacerdote di Villamassargia condannato a 7 anni per pedofilia, ha rappresentato la parte civile: le vittime e le onlus Solidando, di Cagliari, e Rock no War, di Modena. Scarpati ha fondato Ecpat Italia (End child prostitution pornography ad trafficking) associazione internazionale per la lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori.
Avvocato, come nasce il suo impegno? «In maniera strana, 20 anni fa. Mi occupavo già di cooperazione riguardo all'infanzia, quando, un giorno in Thailandia, mi hanno offerto dei bambini per una notte».
Esiste un identikit del pedofilo-tipo? «Intorno ai 30 anni, con soldi da spendere, conosce le lingue. Una persona media, che somiglia a certi nostri vicini di casa. A differenza del pedofilo classico, che giungeva all'atto sessuale in età matura, il pedofilo moderno ci arriva molto presto, intorno ai 20 anni. Questo crea una minore angoscia, un minor travaglio e una minore identificazione nella vittima».
Oggi, rispetto al passato, si parla di più di pedofilia: sono aumentati i casi o c'è più attenzione? «C'è sicuramente più attenzione, ma sono anche aumentati i casi. Internet ha facilitato la ricerca di prede».
Il web ha quindi un ruolo rilevante... «Negli ultimi 15 anni ha modificato l'approccio delle persone alle tematiche della sessualità. Quando noi eravamo bambini, c'erano alcuni coetanei che ci dicevano certe cose, la fantasia faceva tutto il resto. Oggi la fantasia non c'è più, i ragazzini hanno Internet che in pochi minuti spiega tutto. Omettendo però l'aspetto dei sentimenti legati al rapporto sessuale. Internet sta stravolgendo i costumi dei ragazzi creando un ruolo molto complicato per gli adulti del futuro».
Il turismo sessuale è un fenomeno organizzato o individuale? «Oggi è individuale. Questo tipo di turista ha sempre meno necessità delle agenzie di viaggio. Ha bisogno di “prodotti particolari” ma non può dirlo a troppe persone. In Internet riesce a organizzare tutto: perfino prenotare in un video-catalogo i bambini, selezionarli e decidere in quale giorno averli in camera».
Le agenzie sono sempre all'oscuro di tutto? «Molte agenzie e tour operatori hanno firmato il codice di condotta che riguarda questo settore. Gli agenti di viaggio sono padri di famiglia che non amano certi clienti. Proprio loro ci segnalano traffici strani, alberghi particolari o turisti che vanno sempre in certe zone. E sempre da soli».
Le prede più ambite? «I nove decimi dei pedofili sono eterosessuali che cercano bambine. E ognuno ha gusti particolari. La maggior parte non incrudelisce sul corpo dei piccoli. Se ne innamorano, li seducono. Il problema è che fanno loro del male. Perché i bambini non hanno bisogno di quel tipo di rapporto affettivo».
Ha affrontato il problema pedofilia nella Chiesa? «Il campione di pedofili è circa di venti volte più alto nel mondo della Chiesa cattolica, ma anche in quello musulmano e induista. Dove cioè le religioni non permettono una sessualità dei sacerdoti».
È giusto accusare Papa Ratzinger di aver coperto i pedofili? «Questo Papa ci ha dato sempre una corposa mano. Non solo. Spesso la giustizia cattolica è giunta prima dello Stato. Come nella vicenda di Marco Dessì. Credo che il Papa precedente, molto più impegnato sul piano politico, sia stato un po' distratto sul problema».
Pedofilia negli asili: c'è il pericolo di psicosi? «In generale sono guardingo. A quella età la testimonianza è complicatissima. E nella esperienza generale il numero dei pedofili che hanno rapporti con bambini al di sotto degli 8-9 anni è basso. Infine, le donne pedofile sono pochissime. Pensare che si concentrino tutte negli asili mi lascia perplesso».
LUCIO SALIS
 M arco Scarpati, 51 anni, di Reggio Emilia, avvocato, docente di Tutela internazionale dei diritti dei minori all'università di Parma. Al processo contro Marco Dessì, l'ex sacerdote di Villamassargia condannato a 7 anni per pedofilia, ha rappresentato la parte civile: le vittime e le onlus Solidando, di Cagliari, e Rock no War, di Modena. Scarpati ha fondato Ecpat Italia (End child prostitution pornography ad trafficking) associazione internazionale per la lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori.
Avvocato, come nasce il suo impegno? «In maniera strana, 20 anni fa. Mi occupavo già di cooperazione riguardo all'infanzia, quando, un giorno in Thailandia, mi hanno offerto dei bambini per una notte».
Esiste un identikit del pedofilo-tipo? «Intorno ai 30 anni, con soldi da spendere, conosce le lingue. Una persona media, che somiglia a certi nostri vicini di casa. A differenza del pedofilo classico, che giungeva all'atto sessuale in età matura, il pedofilo moderno ci arriva molto presto, intorno ai 20 anni. Questo crea una minore angoscia, un minor travaglio e una minore identificazione nella vittima».
Oggi, rispetto al passato, si parla di più di pedofilia: sono aumentati i casi o c'è più attenzione? «C'è sicuramente più attenzione, ma sono anche aumentati i casi. Internet ha facilitato la ricerca di prede».
Il web ha quindi un ruolo rilevante... «Negli ultimi 15 anni ha modificato l'approccio delle persone alle tematiche della sessualità. Quando noi eravamo bambini, c'erano alcuni coetanei che ci dicevano certe cose, la fantasia faceva tutto il resto. Oggi la fantasia non c'è più, i ragazzini hanno Internet che in pochi minuti spiega tutto. Omettendo però l'aspetto dei sentimenti legati al rapporto sessuale. Internet sta stravolgendo i costumi dei ragazzi creando un ruolo molto complicato per gli adulti del futuro».
Il turismo sessuale è un fenomeno organizzato o individuale? «Oggi è individuale. Questo tipo di turista ha sempre meno necessità delle agenzie di viaggio. Ha bisogno di “prodotti particolari” ma non può dirlo a troppe persone. In Internet riesce a organizzare tutto: perfino prenotare in un video-catalogo i bambini, selezionarli e decidere in quale giorno averli in camera».
Le agenzie sono sempre all'oscuro di tutto? «Molte agenzie e tour operatori hanno firmato il codice di condotta che riguarda questo settore. Gli agenti di viaggio sono padri di famiglia che non amano certi clienti. Proprio loro ci segnalano traffici strani, alberghi particolari o turisti che vanno sempre in certe zone. E sempre da soli».
Le prede più ambite? «I nove decimi dei pedofili sono eterosessuali che cercano bambine. E ognuno ha gusti particolari. La maggior parte non incrudelisce sul corpo dei piccoli. Se ne innamorano, li seducono. Il problema è che fanno loro del male. Perché i bambini non hanno bisogno di quel tipo di rapporto affettivo».
Ha affrontato il problema pedofilia nella Chiesa? «Il campione di pedofili è circa di venti volte più alto nel mondo della Chiesa cattolica, ma anche in quello musulmano e induista. Dove cioè le religioni non permettono una sessualità dei sacerdoti».
È giusto accusare Papa Ratzinger di aver coperto i pedofili? «Questo Papa ci ha dato sempre una corposa mano. Non solo. Spesso la giustizia cattolica è giunta prima dello Stato. Come nella vicenda di Marco Dessì. Credo che il Papa precedente, molto più impegnato sul piano politico, sia stato un po' distratto sul problema».
Pedofilia negli asili: c'è il pericolo di psicosi? «In generale sono guardingo. A quella età la testimonianza è complicatissima. E nella esperienza generale il numero dei pedofili che hanno rapporti con bambini al di sotto degli 8-9 anni è basso. Infine, le donne pedofile sono pochissime. Pensare che si concentrino tutte negli asili mi lascia perplesso».
LUCIO SALIS

'intervento di un orfano del Nicaragua al convegno cagliaritano di Solidando

La vittima di don Dessì: lo chiamavo babbo

Martedì 12 aprile 2011
“Non si può tacere” era il titolo di un convegno sugli abusi sessuali sui minori organizzato, sabato scorso, dalla onlus Solidando, a Cagliari. A rompere la cortina di silenzio, dietro la quale si nascondono i colpevoli di questi reati, è stato Juan Carlos Rostran Guido, 29 anni, di Chinandega, Nicaragua. Da ragazzino, è stato una delle vittime di Marco Dessì, l'ex sacerdote di Villamassargia condannato a 7 anni di carcere (e ridotto allo stato laicale da Papa Ratzinger) per le violenze compiute sugli orfani dell'Hogar del nino. Oggi, il giovane vive a Cagliari, perché dopo la testimonianza in tribunale, in Nicaragua non sarebbe al sicuro. Nel silenzio assoluto di una sala gremita, ha raccontato il suo calvario. L'ingresso in istituto a 7 anni, le sofferenze di bambino abbandonato, le violenze di un educatore. Poi la delusione più grande, proprio dal sacerdote, «lo chiamavo babbo», al quale si era rivolto per avere aiuto. Le molestie, la vergogna, «non riuscivo più a guardarlo in faccia», il disorientamento. Sino all'incontro col volontario Gianluca, che lo ha convinto a raccontare tutto a un giudice. «Da allora, mi sono accorto che parlarne è la mia terapia».
Gianluca Calabrese, presidente di Solidando, è un dentista cagliaritano che ha lavorato nella missione di Marco Dessì fin da studente. Senza rendersi conto di nulla: «Quando ho scoperto certe cose, una parte di me è morta. Consideravo don Marco un santo». Subito ha sentito l'imperativo di fare chiarezza. Con tanti dubbi: «Chi crederà a dei ragazzi e a un volontario?». Poi un intero anno di indagini «con le prove di episodi raccapriccianti» e l'inevitabile timore di misurarsi con un personaggio potente in Nicaragua e il Italia. Presto si rese conto che anche quando ci si batte «per far trionfare il bene» si paga un prezzo: «Ho perso degli amici». Alla fine, la soddisfazione di vedere trionfare la giustizia. Al convegno hanno partecipato anche Maria Cristina Deplano (Solidando), Marco Scarpati (avvocato), Anna Cau (pm al Tribunale dei minori), Luciana Fancello (psicologa), Mario Giovanni Carta (docente di Psichiatria) e Gianluigi Ferrero (garante per l'infanzia in Provincia). Ha coordinato Carmina Conte.
L. S.
 

gli operai ed i precari sono soli ma non hanno la compagnia dei media cara marcegaglia

 La signora Marcegaglia dice che le imprese si sentono “sole e abbandonate” dalla politica. Cosa possiamo dire noi, piccoli uomini che lavorano o hanno lavorato nelle fabbriche che lei rappresenta, se non sentirci da sempre soli e male accompagnati? La signora dovrebbe ammettere che la fortuna sua e dei suoi imprenditori non è dovuta alle sue lamentele ma alle nostre lacrime, che non cessano neppure quando viviamo della lauta pensione che ci è stata assegnata dalla Politica!

Infatti  leggo  su metro  
La legge 183 introduce una serie di paletti e cavilli legali che renderà la vita dei lavoratori atipici durissima. Sarà quasi impossibile impugnare in tribunale il proprio contratto di lavoro
Chi ha avuto esperienze professionali precarie sa bene che avere buoni rapporti con i propri principali è fondamentale. Mi rinnoveranno il contratto? Me lo prolungheranno? Mi assumeranno a tempo indeterminato? Prima, poi o mai? Sono alcune delle domande che affliggono quotidianamente il lavoratore atipico. Adesso, però, chi si trova nel limbo temporale tra un contratto scaduto e uno che forse arriverà – co.co.pro, di collaborazione, o tempo determinato – è davanti a un bivio. Entra oggi in vigore la legge 183 del 2010, più nota come “Collegato lavoro”.
COM’ERA. La vecchia normativa garantiva anni di tempo a chi intendeva fare causa al suo ex-datore di lavoro (il caso più classico, per i precari, è quello in cui si viene utilizzati come “collaboratori” anche se si fa un lavoro da dipendenti a tutti gli effetti). Con il Collegato lavoro, l’arco di tempo entro il quale si può impugnare il proprio contratto diventa di 60 giorni: o ci si muove per tempo, o dopo non si può più rivendicare nessun diritto (era una disposizione già prevista per i contratti a tempo determinato ora allargate anche agli altri contratti).
CHI PUO’ FARE CAUSA. Per tutti i rapporti di lavoro terminati prima del novembre 2010 (oggi), quindi, si potrà fare causa entro il 23 gennaio. Per i contratti che scadranno in futuro, si avranno sempre e comunque solo 60 giorni di tempo, e poco importa se, magari, si aspetta un nuovo contratto proprio dal datore di lavoro che si vuole portare in tribunale.
RICATTO CERTIFICATO. “La Legge 183 chiude il cerchio perverso che si era aperto nel 1997 con il Paccheto Treu”. Ne è convinto Massimo Laratro, uno degli avocati del lavoro del pool legale di San Precario, il collettivo che da più di 10 anni si occupa di diritti e precarietà. “Treu aveva introdotto le prime forme di lavoro flessibile e interinale nel 1997; Marco Biagi, con la Legge 30 del 2003 aveva codificato la precarietà con una serie di forme contrattuali atipiche; oggi, con il collegato lavoro, il legislatore va a colpire i precari anche sul piano processuale. Il ricatto cui era sottoposto il lavoratore atipico prima era implicito, oggi è certificato”.
Secondo gli avvocati di San Precario, la nuova legge rende quasi impossibile per i lavoratori fare causa alle aziende quando le condizioni contrattuali sono ritenute non corrette. E’ un vero rosario – di cavilli, eccezioni, tempistica, sproporzione delle forze in campo – quello da sgranare per vedersi riconoscere i propri diritti.
I PERIODI DI NON LAVORO. “Oggi ero in tribunale per due cause di lavoro e, alla luce delle novità legislative, sono state entrambe rinviate”, dice Matteo Paulli, uno dei legali del pool. “Ci vogliono mesi, addirittura anni, per sapere se un contratto di lavoro è impugnabile”. E chiarisce: “I precari fra una collaborazione e l’altra possono avere dei periodi di non lavoro ben superiori a due mesi – continua Paulli – Un datore di lavoro può dire al suo dipendente che gli rinnova il contratto, lascia passare i famosi 60 giorni e al 61esimo non glie lo rinnova. A quel punto per il precario è finita, si trova cornuto e mazziato”.
CONTRATTISTI MULTIPLI. Non solo, c’è una trappola anche per i contrattisti “multipli”: “Se un lavoratore ha avuto con la stessa azienda un numero elevato di collaborazioni, ad esempio cinque contratti nell’ultimo anno, potrà impugnarli sempre che i famosi 60 giorni non siano trascorsi. E’ ovvio che quindi potrà impugnare solo l’ultimo. E avrà molte meno possibilità di vincere”, sottolinea Massimo Laratro. Insomma, è la parola del dipendente contro quella del principale. “Dato che durante l’udienza il datore di lavoro deve dimostrare la ‘temporaneità’ del rapporto di lavoro, se la causa riguarda un solo contratto di due mesi anziché cinque o sei collaborazioni, avrà la strada spianata”.
INSIDIE PRIMA DI FIRMARE. Le insidie non finiscono qua. Le altre due novità particolarmente indigeste ai legali di San Precario sono la “certificazione del rapporto di lavoro” e la “clausola del ricorso all’arbitrato” in caso di impugnazione. Presso le camere del lavoro verranno istituite delle “commissioni certificatrici” che avranno il compito di apporre il loro sigillo sulla validità di un determinato rapporto di lavoro. “Io ti assumo con un contratto a progetto, mi rivolgo alla commissione che timbra il contratto come legittimo e tu non potrai mai fare più causa contro di me – dice Laratro – Così facendo si certifica non solo il rapporto, ma anche la volontà del lavoratore che evidentemente non è nella condizione di rifiutare perché magari sta cercanado un’occupazione da mesi”.
ARBITRATO. L’arbitrato invece dà la possibilità al datore di lavoro di inserire nel contratto una clausola che dice che in caso di problemi il dipendente si rivolgerà a una commissione arbitrale invece che ai giudici. “Con questa norma si vuole azzerare il ricorso all’autorità giudiziaria” dicono gli avvocati.
INDENNITA’ PREGRESSA. Infine c’è la questione dell’indennità. Prima della Legge 183 se un lavoratore vinceva la causa contro il suo datore di lavoro, lui era obbligato a “riconoscergli il mancato guadagno”, e cioè a corrispondergli tutti gli stipendi in cui era rimasto a casa. Ora, nel caso l’azienda perdesse in tribunale sarà tenuta solo a versare un’indennità all’ex dipendente che andrà da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità. “E se il processo va avanti per tre anni e il lavoratore in tutto il periodo rimane a casa?” Chiedono gli avvocati di San Precario.
LICENZIAMENTO ORALE. E ancora, l’ultima gabola. C’è il licenziamento “orale”. Per la legge il licenziamento deve essere comunicato in forma scritta: se comunicato oralmente, non è valido. Ma ora il termine dei 60 giorni varrà anche per i “licenziamenti orali”. Se un datore di lavoro sosterrà che il licenziamento c’è stato prima della data indicata dal lavoratore(e ben prima dei sessanta giorni a disposizione), basterà trovare dei testimoni compiacenti per bloccare il processo.
LA CGIL: ASSISTENZA’ STRAORDINARIA. La Cgil si è attivata in tutti i modi contro il collegato lavoro. Non solo è impegnata da settimana per distribuire materiale informativo, ha lanciato anche ai principali organi di informazione. Assicura, inoltre, che “tutti gli uffici legali della confederaizone, tutti gli sportelli immigrati, tutte le strutture di categoria della Camera del lavoro, saranno impegnate nei prossimi sessanta giorni in un’iniziativa di straordinaria consulenza e tutela”. Un impegno che i militanti dello sportello San Precario giudicano tardivo. “Il provvedimento è in Parlamento da due anni. Dov’era la Cgil in tutto questo periodo?”, chiede Massimo Laratro.
NESSUN DIRITTO. il colpo finale ai precari e alla loro dignità è ormai sferrato. Si parla da anni di “flexsecurity”, di garantire sostegno e stato sociale anche ai lavoratori precari. Alla fine, invece, si è chiuso il ciclo aperto da Treu: neanche i tribunali potranno garantire i diritti violati dei lavoratori atipici.


bestemmia si bestemia no [ Ibra e berlusconi ]

 
                                            
Io che  intendo  la  religione  in senso laico e spirituale e non dogmatico  ( il famoso oppio dei popoli ) e mail sopporto le bestemmie  , specie quele  dette gratuitamente , in particolare da chi usa la religione o la spiritualità ipocritamente per scopi personali e di potere , ma  tollerò chi lo dice per scarsa cultura ( vedere post  precedente  ) la  bestemmia  del povero la  chiamava \ definiva  padre Ernesto Balducci ( -- foto a desta --  6 agosto 1922 – Cesena, 25 aprile 1992), concordo  quanto dice  su metronews.it  del 12\4\2011 Michele Fusco .
Come diceva per la bestemmia, monsignor Fisichella, tutto va contestualizzato. Per cui, se Maroni dice che ce ne possiamo andare dall’Europa e Berlusconi che i magistrati sono il cancro del Paese, beh allora ti viene subito voglia di abbracciare quel gran bravo ragazzo di Ibra, secondo cui il timido “vaff…, pezzo di m…, bast…” rivolto al guardalinee, in realtà era solo un’imprecazione contro se stesso.

11.4.11

Al pascolo «L'alfabeto? Non so cosa sia» Le guerre di un uomo che non sa leggere e scrivere

dopo aver  letto questa storia  , e  a pochi passi dalla laurea mi vengono in mente  delle  elucubrazioni mentali  del tipo  a che servela laurea  ? ma poi mi dico  ripetendo questo verso di Guccini  << (...) mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più d' un cantante: (....mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più d' un cantante (....  continua  qui ).
 
dall'unione sarda del 10 aprile 2011
  di GIORGIO PISANO Qualcuno di buon cuore gli darà conto di questa intervista. E lui ascolterà, come ha fatto mille e mille altre volte: Orfeo Cireddu (  foto  a sinistra non sa leggere. E nemmeno scrivere. Non ne fa una tragedia per il semplice motivo che «in paese non ero affatto l'unico». A Las Plassas, trecento anime in tutto, ce n'erano perfino più di quanti si chiamino oggi Orfeo: «Strano nome, vero? Non so perché me l'hanno messo. Eravamo in tre a chiamarci così. Siamo rimasti in due».
Mai aperto un libro, mai sfogliato un giornale «anche perché le cose che contano le ho imparate in famiglia». Dice tra l'altro che l'analfabetismo ha qualche ricaduta positiva: la memoria, per esempio. «Io mi ricordo tutto. Mi ricordo di aver visto Puskas in campo nel 1950, mi ricordo una storica Italia-Argentina che ci avevo portato anche mie figlie piccole. Potrei elencare le formazioni». Nelle ampissime panoramiche sul passato vede ancora molti dettagli della vita di ieri. Uno su tutti: «Sono andato servo a dieci anni».
Cosa vuol dire? «Vuol dire che mio padre, che lavorava in campagna, e mia madre, che andava a servizio, avevano deciso di mandarmi a guardare il bestiame di questi due fratelli».
Alla fine della giornata tornava a casa? «Mai. Però mi capitava di vedere mamma in strada. Babbo no, perché babbo faceva la transumanza a Siliqua».
Come si stava dai due fratelli? «Bene e così così. Eravamo io e un altro ragazzo servo. Con uno dei fratelli mangiavamo a tavola insieme alla sua famiglia. Con l'altro in una stanzetta a parte. Con uno ti passava la fame, con l'altro non tutta. Però una soddisfazione me la sono presa».
Quale? «La casa dove facevo il servo era questa. L'ho comprata quarant'anni fa perché io non ho fatto solo il servo. Anche il padrone».
E perfino il consigliere comunale. «Si poteva. Legislatura del 2004. Eletto con sei preferenze, praticamente i miei familiari».
Sessantaquattro anni, Orfeo Cireddu campa della pensione di reversibilità dell'amatissima moglie, Carmela. «Fanno 460 euro e devo essere onesto: ci vivo senza grandi problemi». Con lui - in un'abitazione che sembra sponsorizzata da un'azienda di alluminio anodizzato - non ci sono più le due figlie: una, ragioniera, lavora in Comune. L'altra, «diplomata maestra», è infermiera in Piemonte. «Sono contento, hanno sposato due bravi ragazzi che fanno i muratori».
Orfeo sarebbe solissimo se non fosse per il cagnolino che vive con lui. Cagnolino che non si chiama, nel senso che «non gli ho messo nome. Tanto, cosa se ne fa?». Astemio, non fumatore, ha allevato pecore da quando era bambino. «E anche con qualche risultato. Le vede quelle coppe sulla credenza? Vinte. A mostre, a sagre, a feste. Avrò venduto, chessò, cinquecento arieti in Toscana, in Umbria, nel Lazio. Non erano tempi di restare con le mani in mano. E io non restavo».
Non si poteva. I fratelli erano sei, lui il quarto: bisognava darsi da fare. «Adesso è tutta un'altra musica». Povertà da vendere all'ingrosso «ma era un mondo migliore. Lo so, lo so che non ci credete. Certe volte è diventato difficile capirsi. Faccio una domanda, per esempio: che gliene importa di uno che non sa scrivere e non sa leggere?, a chi interessa? Ah, perché ho fatto il consigliere comunale, ecco perché. Ma ho fatto anche molte altre cose. Sempre senza sapere leggere e scrivere».
Conosce qualche lettera dell'alfabeto? «No».
Firma con una croce? «No. So fare la mia firma. Mi sono allenato con le cambiali e non ho più dimenticato come si fa».
Quando è andato al pascolo la prima volta? «Avevo quattro anni. Babbo mi ha portato e io mi sono incantato davanti alle pecore».
Che erano più grandi di lei. «Allora sì. Da grande ne ho avuto anche trecento. Le riconoscevo una per una, mica guardavo il cartellino che avevano all'orecchio».
Anche perché non sapeva cosa c'era scritto. «I numeri li so, invece. Li ho dovuti imparare a forza, per sapere quando dovevano pagarmi il latte che portavo al caseificio. Carmela, mia moglie, che se n'è andata a 52 anni d'età lasciandomi solo, restava sbalordita perché io tenevo un libretto con tutte queste cifre».
Errori? «Mai. Quando sai poche cose sbagliare diventa più difficile».
Una scuola l'ha mai vista? «Vista e entrato, ci sono. Due mesi, poi me ne sono andato. Prima elementare. Mi ricordo la maestra, una signorina di Barumini: ci faceva mettere le mani dritte dritte e ferme sul banco e lei ce le pestava con un bacchetta durissima. È rimasta signorina. Io, a scuola, ci andavo per giocare, mica per finire picchiato».
Perciò se n'è andato. E i suoi? «Ho detto a babbo che volevo fare il pastore e lui ha accettato. Anche perché in questo modo era un altro di noi che lavorava».
Altri analfabeti in famiglia? «Mia sorella, la più grande. Ha 72 anni. Ma perché le interessa tanto la storia di un uomo che non ha studiato?»
Per capire come si è difeso. «Benissimo. L'unica cosa che mi manca è Carmela. Era... era, come si dice?, il mio braccio destro. Lei, tra l'altro, c'aveva anche la scuola: ha fatto la quinta. Quando aveva tredici anni è andata a servizio a Cagliari da quell'avvocato che ha il figlio scrittore. Avvocato Abate si chiamava».
Mai preso in giro? «Se è successo non me ne sono accorto. I miei compagni di scuola di allora oggi giocano a pinella con me al bar. Giochiamo anche in sei: punteggio a 1.150 o in quattro: allora a 1.350. Niente soldi, ci scommettiamo la birra. Sa giocare a pinella?»
Come se l'è cavata col Catechismo? «Ho fatto tutto che avevo sette anni. Il catechismo c'era ma non si studiava come succede adesso che devi prendere un libro e imparare e ti interrogano».
Fosse successo? «Mi sarei regolato come sempre. Ascolto gli altri e memorizzo. Con questo voglio dirle che non so leggere e scrivere ma non sono ignorante».
No? «Al pascolo avevo la radietta sopra il bidone della mungitura. E ascoltavo, ascoltavo. Mi è sempre rimasto tutto in testa. Dopo, molto dopo, è arrivata la televisione. E anche dalla televisione ho imparato».
Mai desiderato andare a scuola? «Sarei bugiardo se dico sì. A parte il fatto che non avevo tempo, non mi piaceva, non mi interessava».
Avrebbe potuto recuperare più tardi. «Guardi che io avevo un gregge da badare fino a pochi anni fa. E capi iscritti all'Albo genealogico. Vuol dire che erano di qualità. Della scuola non m'importava niente. E il tempo, se proprio lo dovevo trovare, me lo prendevo per andare a vedere le partite. Solo».
In che senso? «Non mi piace la gente che urla, gli striscioni, non mi piacciono quelli che vanno allo stadio per bisticciare. A me mi piace riflettere su quello che vedo. Ci vuole silenzio. Sono milanista».
È in grado di leggere qualche parola? «Neanche una e non ci ho nemmeno provato».
Scrivere, proprio nulla? «Solo la firma. Non ho neanche la patente. Ma la scuola, in questo caso, non c'entra: la patente te la davano anche da analfabeta».
Mai sfogliato un giornaletto? «Sapendo che potevo guardare soltanto le figure, non ne ho mai avuto la curiosità».
Sta dicendo che non ha mai visto un Tex, un Capitan Miki... «Esatto. Quello che mi doveva servire per vivere me lo hanno dato, senza passare in un'aula, i miei genitori. Le ho detto di quella volta che avevo 22 anni e sono tornato tardi a pranzo?»
No. «Ero al bar per una partitina dopo dodici-tredici ore di lavoro. Arriva mia sorellina: dice mamma che siamo a tavola, torna a casa. Ho aspettato di finire la partita».
Saltato il pasto? «Proprio. Avevano anche già sparecchiato e la chiave dell'armadio del pane la teneva mamma sotto il cuscino. Quindi non c'era più niente da fare. A mia madre non gliene importava nulla che fossi un uomo di 22 anni».

Orfeo Cireddu è bassottino, capelli grigi ben pettinati, pancetta che mette a durissima prova maglione e camicia. Non lo dice mai apertamente ma la sensazione è che viva il suo analfabetismo come un fatto privatissimo e comunque senza conseguenze nella vita di tutti i giorni. Tiene molto, forse per giustificare la fuga dalla scuola, a raccontare la storia della sua famiglia, i sei mesi trascorsi ogni anno a Siliqua durante la transumanza. Sei mesi senza rivedere la famiglia, solo in una capannuccia giorno e notte. Quando una delle due figlie voleva abbandonare la scuola a un passo dal diploma, l'ha folgorata: benissimo, da domani cerchiamo scale da lavare, così porti il pane a casa. «A nessuno è consentito di vivere senza lavorare». Il seguito di questa vicenda lo racconta con gli occhi lucidi: «Il giorno che m'ha portato il diploma a casa, mia figlia era felice. Quando le ho ricordato cosa stava per fare, è rimasta zitta, ma zitta zitta che non le usciva parola per giustificarsi».

Come passava i momenti morti in campagna? «Non ce n'erano di momenti morti. Per diciotto anni sono andato in transumanza a Siliqua».
Solo? «Spesso. Ma non avevo paura. In campagna non devi averne mai altrimenti non ci puoi vivere. E non è che Siliqua fosse sempre un posto raccomandabile».
Rischi? «Ce ne sono. Bisogna saperli evitare. Non sarà un caso se sono arrivato alla mia età senza aver preso neppure una denuncia. Anche coi delinquenti occorre avere un certo modo».
Cioè? «Ognuno al suo posto. Poi, è chiaro che l'uomo di campagna guarda ma non vede. È la regola».
Si è sentito a disagio in Consiglio comunale? «No, e perché?, sempre per quella storia di leggere e scrivere?»
Le avranno passato una mozione da firmare. «Più di una. Sapevo da prima di cosa si trattava. Oppure ascoltavo quello che dicevano gli altri».
Sta dicendo che non ha mai chiesto a un collega: per favore, puoi leggermela? «Proprio. È come quando andavo al cinema: sentivo il titolo ma non è che poi, quando salivano in quattordici su una Millecento per andare a Barumini, chiedevo di ripetermi un titolo che non avevo letto. Bello, il cinema. Mi ricordo Un dollaro bucato ».
Dunque in politica... «Quando sono stato eletto era la seconda volta che mi candidavo. E, a dire il vero, c'è stata anche una terza ma non abbiamo raggiunto il quorum: la maggioranza per l'elezione valida era 134 ma sono andati al seggio solo 127».
Le piace la politica? «Molto. Penso che ai tempi miei c'erano quelli che si chiamavano con disprezzo politicanti ma poi c'erano anche Berlinguer, Andreotti, Moro, Pajetta. Oggi è peggio: li comprano e li vendono come le pecore».
Peggio che essere analfabeti. «Direi. Nella mia vita mi sono sempre comportato da uomo onesto. Non c'era da divertirsi ma tutto aveva un senso. Carmela mi ha aiutato moltissimo. Io avevo ventisei anni quando ci siamo sposati, lei venti. Siamo stati una famiglia unita».
Ora ammazza il tempo giocando a carte. «Ora sì, ma per due anni ho fatto da baby sitter a due nipotini. Bellissimo vederli crescere. Uno, lo vede?, è nella fotografia a colori su quel muro... una meraviglia».
Una volta, una volta sola nella vita, è diventato rosso? «Per la solita storia, vuol dire? No. Non mi crederà ma se torno indietro rifaccio la vita che ho fatto meno i due mesi alle elementari con la signorina di Barumini».
pisano@unionesarda.it