5.3.07

Senza titolo 1681


 

 

Superpotenza?

Maurizio Blondet

05/03/2007

 

 


George W. Bush


STATI UNITI - George Bush ha inviato tre portaerei nel Golfo, davanti alle coste dell'Iran.
Che cosa significa?
Se lo chiede un colonnello a riposo, Dan Smith, incredulo che la Casa Bianca voglia aprire un terzo conflitto contro Teheran, dopo i due disastrosi che ha in corso.
(1)
Interessanti le informazioni militari che il colonnello fornisce.
Gli USA dispongono di 12 gruppi di battaglia portaerei: ciascuna portaerei con un'ottantina di aerei, una numerosa scorta di navigli d'appoggio, di difesa, e armati con missili Tomahawk.
Ogni squadra è in sé una forza formidabile.
La presenza in un'area di una di queste squadre, dice Smith, indica che l'America mostra i muscoli in un'area problematica; due portaerei dicono che il problema è considerato grave, e suscita allarme a Washington.
Tre portaerei possono indicare l'imminenza di un attacco.
Nel marzo 1979, quando le guardie rivoluzionarie iraniane occuparono l'ambasciata USA a Teheran e presero ostaggio il personale per 444 giorni, il Pentagono mandò nel Golfo Persico due portaerei.  Nel 1986, al tempo della guerra civile in Libano e  dei 200 Marines uccisi a Beirut in un attentato esplosivo, due portaerei si avvicendarono davanti alle coste libanesi.
Due portaerei anche davanti alla Libia nella crisi del 1986.
Nel 1991, prima guerra del Golfo (Desert  Storm, contro Saddam Hussein) l'America dispiegò sei squadre portaerei non solo nel Golfo, ma nel Mar Rosso e nel Mediterraneo orientale a difesa di Israele.
Seconda guerra contro l'Iraq nel 2003: cinque squadre portaerei sono state fatte convergere nell'area.
Ora, sono tre contro l'Iran.
Il colonnello Smith fa il conto di quante squadre restano negli oceani del mondo a rappresentare l'egemonia planetaria americana.
Quattro portaerei sono fuori causa, essendo in questo periodo in cantiere per manutenzione: la Kitty Hawk, la George Washington, la Abraham Lincoln, la Carlo Vinson.
La Lincoln dovrebbe essere di nuovo in mare da qualche giorno; ma in compenso una quinta, la John F. Kennedy, entra in disarmo questo mese.
Tre squadre portaerei sono nell'Atlantico: la Theodore Roosevelt, la Truman, e la Enterprise che sta tornando dal Mar Arabico.
Una sola, la Ronald Reagan, resta a presidiare l'immenso Pacifico, nella posizione di solito tenuta dalla Kitty Hawk in cantiere.




Le tre nel Golfo Persico, secondo Smith, saranno presto due: se la Stennis resta, la Eisenhower sta per essere rilevata dalla Nimitz, che è in arrivo.
Inoltre il comandante della Stennis ha dichiarato che la sua squadra è nel Golfo per fornire il supporto aereo alle truppe di terra in Afghanistan - posizionata lungo il corridoio aereo che sorvola il Pakistan, e non contro l'Iran.
Da qui Smith ritiene di poter dire che un attacco non sia imminente.
Anche perché la Casa Bianca non riesce nemmeno ad ottenere dagli alleati e dai Paesi del Consiglio di Sicurezza un serio impegno per durissime sanzioni a Teheran, per non parlare di una legittimazione di un'aggressione militare.
Il ragionamento non tiene conto dell'elemento irrazionalista che domina nei circoli del potere americano, dove il cinismo si coniuga con visioni messianiche ebraiche ed evocazioni di Armageddon.
E' stato appena nominato consigliere a fianco di Condy Rice un neocon dei più pericolosi: l'ebreo Eliot Cohen.
Costui è membro del Project for a New American Century, il think-tank che nel 2000, in un documento per il presidente («Rebuilding the American Defense») si augurava «una nuova Pearl Harbour» per convincere il popolo americano della necessità di un massiccio  riarmo.
Quando nel 2003 cominciò l'aggressione all'Iraq, Cohen scrisse un commento di plauso dal titolo indicativo: «La quarta guerra mondiale».
Nell'articolo Cohen scriveva che dopo aver cacciato i Talebani e «fatta finita» con Saddam, l'America avrebbe dovuto volgersi contro «i mullah» dell'Iran per rovesciarli e sostituirli con un regime «laico e democratico», il tutto ovviamente per la sicurezza di Israele.
Un uomo del genere a fianco della Rice (che negli ultimi tempi ha mostrato una qualche tendenza a preferire la diplomazia alla guerra) è un segnale inquietante.
Tuttavia, il colonnello Smith rivela le ampie, sconcertanti falle nella egemonia aero-navale USA, nonostante le colossali spese militari - Bush ha appena presentato il bilancio 2008, dove le spese per il Pentagono ammontano a 624,6 miliardi di dollari, di cui quasi 142 miliardi per Iraq e Afghanistan.
L'opinione pubblica comincia ad obiettare, come ha dimostrato un sondaggio di Usa Today. Il che spiega la resistenza degli alti gradi del Pentagono a gettarsi in una nuova guerra.




Si apprende (2) ad esempio che l'agenzia di arruolamento, il Selective Service System, ha esaminato - per coprire i vuoti dell'arruolamento volontario - se ricorrere alla «emergency mobilization», una vecchia procedura dei tempi della guerra fredda che consente di chiamare a sorteggio mezzo milione di giovani americani entro 13 giorni dall'inizio di una «crisi rilevante».
Per ora, si è preferito non farne nulla per timore di una rivolta dell'opinione pubblica - sarebbe in pratica il ritorno della leva obbligatoria.
Il ministro della Difesa Gates si è opposto, e Bush stesso pare abbia lasciato perdere.
Per ora.
Ma resta la possibilità: in caso di guerra all'Iran, due settimane dopo, la «emergency mobilization» potrebbe avere il via.
La leva è stata sospesa nel 1975 dopo il Vietnam (in cui servirono 5 milioni di americani), ma la registrazione degli adatti alla leva fu poi reintrodotta nel 1980, dal presidente Carter, quando i sovietici invasero l'Afghanistan.
Attualmente il Selective Service ha registrato in USA 13,5 milioni di giovani tra i 18 e i 25 anni atti al servizio militare.

Maurizio Blondet
 



 

Note

1) Col. Dan Smith, «Calling all carriers», Counterpunch, 26 febbraio 2007


2) Eric Rosenberg, «Selective Service studied  rapid-fire draft plan», Antiwar.com, 1 marzo 2007.

 

 

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