da repubblica del 13\6\2019
Lui è un veterano americano della Seconda Guerra Mondiale. Lei un'elegante signora che vive in una casa di riposo a Montigny-lès-Metz. 75 anni fa si sono incontrati a Briey. Si sono innamorati e poi separati. L'8 giugno Jeanine e Kara si sono ritrovati
Jeanine Pierson aveva 17 anni quando incontrò "il bel soldato" Kara Troy Robbins nella cittadina di Briey, nel Dipartimento della Meurthe e Mosella. Era il 1944. L'esercito americano avanzava verso Est. Robbins, che allora aveva 23 anni, era in licenza e incontra il fratello più piccolo di Jeanine: "Stava cercando qualcuno che gli lavasse i vestiti", ricorda Jeanine "Mia madre accettò di aiutarlo." E sbocciò l'amore. Il primo grande amore. Che durò troppo poco: due mesi. Kara Troy dovette partire e una notte all'improvviso scomparve e non ritornò mai più.
Jeanine e Kara Troy ora hanno rispettivamente 92 e 98 anni. Sposati entrambi, sono rimasti vedovi. Si sono ritrovati dopo 75 anni grazie alla commemorazione dello sbarco in Normandia e all'emittente France 2, che dopo avere intervistato Robbins in America in vista delle celebrazioni, e avere raccolto il racconto della sua storia d'amore, è andata alla ricerca di Jeanine. Quando Robbins è arrivato in Francia per presenziare all'anniversario, ad attenderlo c'era lei. Non ci poteva credere, "pensavo che fosse morta". Le telecamere hanno ripreso il loro abbraccio e le loro lacrime. Lui dichiara che non l'aveva mai dimenticata. Il filmato ha fatto il giro del mondo suscitando commozione.
"Si può dire che è stato un amore a prima vista", ha raccontato Janine a Le Républicain che ha documentato il loro incontro, "Non potevamo comunicare troppo a causa della lingua, ma insieme stavamo bene insieme. Avremmo avuto bisogno di un più di tempo. Quando è partito ho pianto molto". Dopo la guerra Robbins tornò negli Stati Uniti e si sposò. Anche Jeanine convolò a nozze con un poliziotto, da cui ebbe cinque figli.
La coppia si è promessa di rivedersi, lontano dalle telecamere.
La telefonata di una delle sue figlie intorno alle 9 del mattino, mentre era a scuola dai suoi alunni. La corsa al Policlinico Tor Vergata. Il riconoscimento del corpo. Le lacrime e la rabbia. Quel drammatico 27 maggio, quando Davide Marasco viene travolto e ucciso da un’auto mentre era bordo del suo scooter, è impresso nella mente di sua madre. Ma per Maria Grazia Carta, 57enne originaria di Nuoro, insegnate precaria a Tor Bella Monaca da più di dieci anni, non finisce qui. La sua battaglia di giustizia si è dovuta accostare a quella contro chi potesse “cavalcare l’onda dell’odio” dal tragico fatto che ha coinvolto la sua famiglia. Al volante dell’auto che ha ucciso suo figlio Davide, 31 anni il prossimo 8 giugno, c’era un 49enne di origini albanesi, tratto in arresto: “A me non interessa la sua nazionalità, è un verme che deve pagare, sputare in faccia alla sua stessa immagine riflessa”, dice con rabbia Maria Grazia. “Io però non sono in vendita, decido io come e quando onorare la memoria di mio figlio - continua - ho saldi i miei valori, insegno ai miei ragazzi la necessità del non essere schiavi, ma liberi nel pensiero. E chi tocca Davide avrà le mani sporche del suo sangue”.
A fare andare su tutte le furie questa madre, già fortemente provata nell’affrontare un dramma tanto grande come quello di perdere un figlio in questo modo, un post pubblicato da Emanuele Licopodio, esponete della Lega in VI municipio, già membro del movimento fascista Azione Frontale, in cui metteva in evidenza la nazionalità albanese dell’uomo che uccise Davide. Il tutto, pubblicando una foto di Davide insieme al figlio (senza nemeno oscurargli il volto), di soli 9 anni e che in quel momento non aveva ancora appreso della morte di suo padre. “Un post rimasto li, malgrado gli avessi chiesto di toglierlo - dice Maria Grazia -. Questi fomentatori d’odio devono stare alla larga da me e dalla mia famiglia. Io so scegliere, e scelgo di lottare per avere giustizia per mio figlio e gli altri ragazzi morti in questo modo, ma non mi faccio strumentalizzare”.
Un dolore tanto forte da non poterlo spiegare. Una forza spinta da quella rabbia che la obbliga a non non abbassare la guarda: "Sono cresciuta con dei valori e sono saldi - conclude Maria Grazia -. Le istituzioni devono prendere posizione contro questi omicidi, troppo facile ridurre tutto ad una questione razziale". E con grinta rimanda al mittente il tentativo inqualificabile, come quello di appropriarsi della vita e dei drammi delle persone, a scopo politico.
Per la giornata di sabato 8 giugno, in occasione del compleanno di Davide, la famiglia ha organizzato un torneo di calcetto all'università Tor Vergata, dalle 17 alle 19, per ricordarlo.
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- http://www.radiondadurto.org/2019/05/31/roma-no-a-chi-strumentalizza-con-odio-e-discriminazione-la-morte-di-mio-figlio-intervista-a-maria-grazia-carta/
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