22.6.20

Storie di figlie che hanno deciso di ribellarsi alle violenze dei padri e sono diventate protagoniste di una liberazione

quello che  affermavo    nei commenti  di   questo   precedente  post



 di  cui  trovate  qui    https://bit.ly/2Bysmy0  l'intera  discussione,è errato perchè non tutte le  donne   reagiscono  allo stesso  modo  davanti  alle  brutalita  sessiste   e patriarcali del femminicidio  . Se  da  un lato ci  sono     quelle   subiscono passivamente   e preferiscono far prevalere  le loro  paure  ed  il loro pessimo  per una    giustizia    .  Ci sono   anche  quelle   di cui riporto   sotto   le  loro storie  prese  da repubblica  del   22\6\2020

Nel nome della madreSubire la violenza degli uomini in famiglia: si stima che in Italia accada a 500mila bambini Storie di figlie che hanno deciso di ribellarsi e sono diventate protagoniste di una liberazione

                                    di Maria Novella De Luca

Annie Russo, 20 anni
"Spiego nelle scuole che quello non è amore"


«Mi chiudeva a chiave nella mia stanza, nel buio più completo.
"Dormi" diceva. Oltre la porta sentivo urla soffocate, lamenti, frantumi, colpi sordi. Mio padre la picchiava senza pietà.
Ricordo notti infinite, il terrore che mi scuoteva come ventate fredde che ancora oggi mi gelano il sangue. A undici anni la prima aggressione davanti miei occhi: lui le getta in faccia un oggetto pesante, la ferisce a un occhio, quasi l’acceca. Mia madre urla, piange, si rannicchia su se stessa. Ma poi si rialza.
Copre l’ematoma. Incredibilmente usciamo tutti insieme, andiamo al luna park, come fossimo una famiglia normale, lei racconta che quell’occhio nero se l’è fatto cadendo. Subiva e pensava che fosse amore».
La violenza con occhi di figlia ha il colore della notte e le tenebre di una stanza chiusa a chiave. È l’umiliazione di ogni giorno che diventa depressione, fatica di vivere, morte del domani. Annie Russo ha 20 anni, vive a Reggio Calabria, a settembre si iscriverà all’università. Sua madre, Antonietta Rositani, da 400 giorni combatte in un letto di ospedale dopo che il suo ex marito, Ciro Russo, evaso dagli arresti domiciliari, le ha dato fuoco. (Oggi si terrà l’ultima udienza del processo. In aula, parte civile, anche l’associazione "Insieme a Marianna", in ricordo di Marianna Manduca, uccisa dall’ex). Annie dice che la sua vita si è fermata il 12 marzo 2019. Era in classe, qualcuno la chiamò, vai, tua madre è in ospedale, ha avuto un incidente, al telefono c’è lo zio, il fratello di Antonietta che grida: «L’ha bruciata, l’ha bruciata». «Davanti a mia madre sfigurata dal fuoco ho visto i miei terrori di bambina diventare realtà, le mie notti insonni per paura che l’ammazzasse. La picchiava, le sputava, la controllava con il Gps, mamma subiva, ma restava lì, in quell’inferno che era la nostra normalità. Per aggredirla cercava pretesti: una camicia non stirata e diventava una belva. Rispettava soltanto il mio fratellino Willy, forse perché maschio».
La vita fuori. la scuola, gli amici. E la vita dentro: botte, sangue.
«La violenza mi mangiava le forze. Non vali niente, mi diceva. E mi sputava. A casa non invitavo nessuno, con gli amici facevo finta che fosse tutto normale. Se cresci con la paura che tuo padre uccida tua madre, ti porti la vergogna dentro». Annie, che oggi racconta la sua storia nelle scuole, è una tra i cinquecentomila figlie e figli di "violenza assistita". «Continuava a dire di amarlo. Si è ribellata soltanto quando lui ha spaccato anche a me la faccia. Un giorno l’ho sentito dire: oggi ti ammazzo. Ho chiamato mio zio e lui ha avvertito la polizia.
Finalmente l’hanno arrestato». Annie quella volta salva Antonietta. Ma la storia è amara. Russo evade dai domiciliari, sperona l’auto di Antonietta e le dà fuoco. «Per quell’uomo provo indifferenza. Ho il cuore freddo. Voglio soltanto giustizia per tutti noi».


Giulia, 23 anni
"Così ho trascinato mio padre in tribunale"

Giulia quel padre padrone lo ha mandato alla sbarra. Ma il processo è appena cominciato. «Ho paura di lui, tutelate la mia identità». Giulia, così la chiameremo, ha 23 anni, gli occhi scuri e il cuore di una combattente. «Quando ero piccola vedevo mio padre insultare, umiliare e picchiare mia madre. Ho passato un’infanzia ad asciugare le sue lacrime, sentendola singhiozzare di giorno di notte. Mio padre cercava di inculcarmi l’idea che la mamma fosse pazza, che fosse lei a causare tutte le liti a cui assistevo. Della mia infanzia ho solo flashback di botte e grida e il suono di un pianto che non finisce più».
Giulia è una vittima di violenza assistita. Ex bambina testimone di ingiustizia. Abita in provincia di Roma, studia all’università, ha un compagno. Ma di quei traumi, elaborati oggi anche grazie al femminismo, fa ancora fatica a parlare. Giulia, che è riuscita a salvare la madre, Francesca, convincendola a separarsi, trovando i soldi per mantenere entrambe. E ha avuto il coraggio, assistita dall’avvocata Teresa Manente, di portare il padre-aguzzino alla sbarra. Un uomo con il culto della forza e delle armi. «Ne aveva di qualsiasi tipo: coltelli, pistole e fucili». «Lui colpiva e mia madre si rannicchiava su se stessa per la vergogna, i fazzoletti zuppi di lacrime, il suo pianto durava così tanto che non riusciva più a respirare. Quando avevo 8 anni tentò di denunciarlo. Ma la scoraggiarono: è una lite familiare, le dissero. Aveva rinunciato a tutto per la famiglia, non aveva niente e nessuno.
In 20 anni di matrimonio lui le aveva fatto terra bruciata intorno. Aveva solo me». Una bimba di dieci anni piccola e magra che cerca di fermare l’orco.
Si consuma in una casa di periferia questo inferno domestico.
Una matrimonio come tanti: lei pensa di amarlo, lui si trasforma in carnefice. Giulia cresce tra lacrime e sangue, aggrappata a una mamma che non riesce a reagire. «Da adolescente ha iniziato a picchiare anche me per affermare il suo potere».
Giulia si piega ma non si spezza. È un tenacissimo giunco.
Decide di iscriversi all’università. Il padre la insulta, dice che fallirà. «Gli chiesi di saldare la prima tassa. Fui massacrata».
Giulia è disperata ma caparbia. Lavora e studia.
«Volevo salvare mia madre da quell’inferno. Dovevamo liberarci di lui: la convinsi a separarsi. Non aveva mai avuto a forza di farlo». Giulia cerca aiuto. «Avevo visto la pubblicità del 1522, il numero antiviolenza». È la salvezza. «Mi misero in contatto con "Differenza donna". Psicologhe e avvocate che ci hanno aiutato prima di tutto a riconoscere la violenza. Poi, a difenderci». Ma il respiro della libertà è ancora lontano. «Prima di essere obbligato dal giudice ad andare via la aggrediva ogni giorno, senza pietà.
Registravo tutto. Mi scoprì e finii in ospedale». Giulia sente ancora il dolore di quei colpi. «Grazie a "Differenza donna" l’ho portato in tribunale. I miei occhi di bambina hanno visto l’orrore, ci vorrà tutta la vita per dimenticare».

ma  soprattutto  è questo     , vedere  foto sotto  ,  che  mi  ha  fatto più riflettere














21.6.20

quelli di casa pound - primato nazionale dicono che non sono fascisti . eppure definiscono il veganesimo come una campagna che punta all’effemminatezza degli Europei.

quest'articolo  cloaca sarà pur del  2018   ma  il tono  lo rende  attuale .  Infatti     concordo     con quanti dice  Titti Casula



Mi limito allo screen dell'anteprima perché non mi va di regalare click e accessi a tale monnezza.[ per chi volesse avventurarsi trovate nel collegamento ipertestuale sopra l'url corsivo mio ]




Recita l'articolo:

[....]
Non siamo animali, e rispetto alle bestie abbiamo il diritto di fare quello che vogliamo, seppur nei limiti della decenza e della responsabilità che ci comporta proprio il fatto di essere sideralmente superiori a qualunque altro essere vivente"[...]

e conclude con un prosaico

  [...] "Ci parlano tanto della 'sostenibilità' e del basso impatto ambientale della dieta vegana, ma si tratta semmai di una campagna che punta all’effemminatezza degli Europei. Apprendiamo quindi con immenso piacere la notizia dell’estinzione pratica dei vegani, sconfitti dal proverbiale buon senso degli Italiani, e ci auguriamo che altri popoli possano seguire lo stesso esempio".




Al di là della palese e ormai proverbiale matrice comune di sessismo, razzismo e specismo, di primo acchito mi sono fermata alla locuzione "effeminatezza degli europei". Ecco, già dare qualcosa di percettibile come "femminile" come dato negativo a priori, fa capire molto del tenore dell'articolo. La solita divisione con l'accetta tra maschile/femminile, nativo/straniero, destra/sinistra (e non mi riferisco a mere compagini politiche), dove il secondo termine di paragone è dato in quanto tale come qualcosa da cui rifuggire, possibilmente da annichilire e sottomettere. Un po' come il sistema amico/nemico, inclusione/esclusione dalla comunità nazionale sotto il nazionalsocialismo. O, allargandomi ancora di più, direi un'estremizzazione ulteriore del pensare in modo "duale".
Poi ti accorgi che si tratta de "Il primato nazionale", autentica fucina di perle di questo tipo, e niente, ti cascano le braccia.




Infatti leggete qui  https://bit.ly/2CqiIxD cosa dice NewsGuard ovvero un'estensione  browser creata da NewsGuard Technologies. Etichetta le fonti di notizie con un'icona verde o rossa, indicando la sua affidabilità generale e se ha una storia di racconti etichettate come fake news. I browser supportati includono Google Chrome, Microsoft Edge, Firefox e Safari.
Ora   capisco essere anti vegani o critici verso essi  . ma qui si arriva all'insulto e alla denigrazione  della peggior  specie   di  stampo fascista  una scelta etica e culturale diversa

16.6.20

Valentina Pitzalis, la surreale richiesta della famiglia di Manuel: vogliono riesumare il suo cadavere


Valentina Pitzalis: come una vittima di "tentato" femminicidio è stata  messa alla gognaValentina Pitzalis fu quasi uccisa dal suo ex Manuel Piredda [  foto a  destra  ] nove anni fa. Lui l’aveva attirata a casa con una scusa e le aveva gettato addosso della benzina, per poi darle fuoco con un accendino. Nel tentativo di dare fuoco a tutta la casa, lui morì di asfissia. Valentina è sopravvissuta, pur perdendo una mano e con ustioni gravissime che le hanno sfigurato parte del volto e del corpo. I genitori del ragazzo (Roberta Mamusa e Giuseppe Piredda) da 9 anni cercano di convincere l’opinione pubblica e il tribunale di Cagliari che fu Valentina a dare fuoco a Manuel. E lo fanno con metodi che possono essere elencati così: una pagina Facebook insultante in cui Valentina è additata come puttana e assassina dalla madre di Manuel e dai migliaia di adepti.Ne ho letto e sentito di storie di femminicidi e o di amori ( se cosi si può chiamare ) criminali \ malati ed anche di genitori ed amici\che può essere comprensibile che difenda il proprio amico \ congiunto e si cerchi di dimostrare che non è vero quello di cui lo accusa la  contro parte 





LA NOTTE IN CUI MANUEL PIREDDA DIEDE FUOCO A VALENTINA PITZALIS - Nera e  Dintorni
quando  erano ancora  una  coppia                                     
Se non ci fosse una tragedia al centro di questa storia iniziata nel 2011, forse verrebbe anche da sorridere nell’assistere ai suoi sviluppi, ormai tra il patetico e l’assurdo , infatti arrivare a tali livelli si è in malafede e che coloro che li seguono soprattutto andando oltre i fatti accertati archiviazione delle accuse a Valentina , condanne per diffamazione della madre della vittima è da gente malata e d idiota solo per andarci leggeri ed non scendere al loro livello. Io sono talmente schifato da non riuscire a a continuare ed lascio i compito all'articolo di https://www.tpi.it/cronaca/ ed ai link sotto per chi volesse approfondire la vicenda 

da https://www.tpi.it  del   16 Giu. 2020 alle 12:03



Seguono due processi, uno civile e uno penale ancora in corso per diffamazione. Nel civile la madre di Manuel viene condannata a pagare i danni a Valentina e a chiudere la pagina Facebook, si dichiara nullatenente, non paga nulla e riapre la pagina Facebook indisturbata. Nel frattempo per due volte il pm, a seguito di indagini, chiude la vicenda “per morte del reo” (ovvero per morte del colpevole Manuel Piredda). I legali della madre di Manuel denunciano il pm (già qui siamo nella sfera dell’incredibile). Che va via. Ne arriva un altro, che riapre le indagini. Valentina è indagata per omicidio.A quel punto il team difensivo di Manuel e la madre di Manuel chiedono la riesumazione della salma di Manuel, sostenendo varie tesi, alcune surreali: Valentina ha sparato a Manuel, Valentina lo ha colpito con un bastone, Valentina è stata aiutata dalla sorella, Valentina si ispira a Freddy Krueger, Valentina potrebbe aver organizzato il pestaggio di Manuel settimane prima, Valentina ha inciso una scritta sulla caviglia di Manuel dopo averlo ucciso, Valentina agisce il giorno 17 perché è un numero simbolico per lei, uno dei ragazzi che pestò Manuel è morto ingoiando un pezzo di pane, va aperta una nuova indagine (chissà, Valentina lo ha forse soffocato con una baguette?) e così via, in un valzer di assurdità che a leggerle tutte insieme, come dicevo all’inizio, verrebbe perfino da ridere. Comunque, la riesumazione del corpo ha escluso proiettili, bastonate, incisioni alle caviglie e fantasie varie. Fantasie partorite in massima parte dalla mente della criminologa/consulente della madre di Manuel, Elisabetta Sionis, che si avventura in analisi personologiche e accurati trattati psicologici sulla personalità, a suo dire, borderline di Valentina, senza che l’abbia mai incontrata, senza che le sia consentito fare valutazioni psicologiche da depositare in procura (che infatti le vengono restituite dal giudice) e senza avere una laurea in psicologia perché è laureata in pedagogia. Incredibile ma vero, proprio la Sionis porta avanti anche la tesi dei proiettili e dell’incisione della caviglia, mentre una procura, in qualche modo, per tre anni le va dietro, mentre la povera Valentina continua a subire non solo la gogna del sospetto, ma anche le persecuzioni social della signora Mamusa, tanto che la denuncia per stalking.Addirittura, a sostenere il team legale della signora che lo ricordo, si dichiara nullatenente, arriva uno dei medici legali più noti e autorevoli del paese, Vittorio Fineschi, già visto nel caso Cucchi. Ed è una bizzarra coincidenza perché sia il perito del giudice, la dottoressa Mazzeo, che i suoi ausiliari, sono tutti professionalmente ed accademicamente vicini al professor Fineschi (chi è stata sua allieva, chi ha scritto un libro con lui…). Cosa ci fa Fineschi a dare manforte a queste tesi sgangherate, in una storia come questa, in cui chiunque dia una letta alle carte capisce che la Pitzalis è vittima due volte, dell’ex marito e di questa surreale vicenda giudiziaria? Beh, Fineschi aggiunge un altro tassello surreale alla storia: afferma, davanti al giudice, durante l’incidente probatorio, che Manuel non è morto respirando fumo, ma che Valentina potrebbe aver soffocato Manuel con un corpo soffice, magari una calza di seta, ecco perché non ha segni sul collo. Peccato che Manuel sia morto con una sciarpa annodata al collo, quindi sarebbe stato soffocato con una calza di seta su una sciarpa, senza reagire. Sempre più surreale.
Poi finalmente a maggio di quest’anno arriva la richiesta di archiviazione, la terza. A quel punto la Pitzalis si aspetta, ovviamente, l’opposizione all’archiviazione. Figuriamoci se si rassegnano. Quello che però anche in una vicenda oltre ogni immaginazione come questa non ci si può aspettare è che l’asticella delle assurdità si alzi ulteriormente. E invece. L’ultima notizia è che tra due giorni, in una conferenza stampa in un hotel di Cagliari (!), i genitori di Manuel e il loro team legale annunceranno l’opposizione all’archiviazione e udite udite, la richiesta dell’esumazione STRAORDINARIA del corpo di Manuel. Cioè, vogliono una nuova autopsia. Un’altra. Chissà cosa cercano questa volta. Forse delle frecce o il veleno di un cobra reale.
Inoltre mostreranno delle foto inedite ai giornalisti (nelle ultime foto inedite individuarono dei bossoli inesistenti sulla scena del delitto, l’incisione sulla caviglia e chissà cos’altro)! Giornalisti che, notate bene, sono invitati da loro e si devono registrare per entrare. Quindi stranamente i detentori della verità non vogliono giornalisti non selezionati, che magari possano far notare il valzer delle assurdità su cui ruota tutta questa orribile, grottesca, drammatica vicenda. Ah, la conferenza sarà il 18. Un giorno come un altro a Cagliari, ovvero quello in cui si aggiunge un nuovo tassello surreale a questa vicenda, sperando che nessuno vada più dietro a queste tesi grottesche, soprattutto la stampa.









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