23.10.20

FUORI DEI DENTI di ©Daniela Tuscano

 FUORI DEI DENTI

Atei/e che del cristianesimo se ne sono sempre strafregati/e, che non conoscono il Vangelo nemmeno per sentito dire, e adesso s'impancano a paladini/e della "Dottrina", già irrisa in passato, additando chi, con tutti i limiti e difetti, ha sempre cercato di mettersi alla sequela di Cristo, d'intelligenza col "mainstream laicista". E chiamano a testimoni "esegeti" clericofascisti in odore di scisma. Ci sarebbe da ridere, se non fosse tragico.  

Fra loro e i neofarisei non c'è alcuna differenza. Entrambi estremisti in malafede, sepolcri imbiancati. 

Urlano che "c'è ben altro di cui occuparsi", e sono i primi a riempire le bacheche di polemiche su un unico argomento.

(Per la cronaca: sono stata fra le prime a occuparsi e a intervistare cristiani perseguitati, di Asia Bibi, Huma ecc. Non in odio ad altri credi, ma per questioni di giustizia e fedeltà. Non ve ne siete accorti? Peggio per voi. Le prove si trovano facilmente.)

No, Francesco non è l'unico a venir "frainteso". Leggete qui sotto. Giovanni Testori. Cattolicissimo e - non è forse ozioso aggiungerlo - omosessuale dichiarato. Io lo leggevo, anche se non condividevo la sua parte politica e (a volte) il suo cristianesimo, che tuttavia ritengo non fosse compreso nemmeno da certi suoi sedicenti, fervidi estimatori. 

Il movimento cui Giovanni era legato mi ha sempre esclusa, non ha mai voluto dialogare con nessun altro che non fossero loro stessi. Gli "altri" erano considerati cristiani deboli, protestantizzanti, asserviti ecc. E non era vero. Il rispetto prima di tutto! Non esiste un solo modo di credere! 

Ebbene io Testori lo leggevo e l'amavo, pure quando lo "detestavo". Oggi, memoria di Giovanni Paolo II che taluni, apertamente o nascostamente (cosa ben peggiore) contrappongono a Bergoglio, riporto uno stralcio delle sue considerazioni a proposito della catechesi wojtyliana. Anch'essa molto spesso travisata dai media, semplificata e banalizzata, esaltata dalla destra, aborrita dalla sinistra esattamente come oggi accade (a parti inverse) con Francesco. Con maggior frequenza, certo, dato il proliferare di Internet. Ma di fatto succedeva lo stesso allora, tenuto conto che Wojtyla fu il primo "papa mediatico" della storia.

Per salvarsi dal profluvio di fake news e interpretazioni eccentriche basterebbe andare alla fonte, e magari prendere in mano il Nuovo Testamento. Non è difficile, anche se costa fatica mentre tutti pretendono di pontificare, tutti giudicano, e nessuno ascolta.

Insomma, l'identica solfa di 2000 anni fa.

Oh, certo: Gesù sapeva essere tranchant come pochi, o di qua o di là. Ma sapeva anche esercitare la prudenza. Prudenza come virtù cardinale, non compromesso al ribasso o tantomeno ambiguità. Quella è altra cosa, cari e care. Citate la dottrina? Ebbene, leggetevela. Lì è spiegato chiaramente.

Informo pure che dal 1870 il papa non è più un principe italiano, ma il capo d'una religione UNIVERSALE (cattolica): non (più) in senso costantiniano, si capisce. La visione di Jorge Mario poi è naturaliter ben più ampia e complessa. 

Il papa non s'identifica (più) con la sola Italia, e questo processo di de-italianizzazione è cominciato proprio con Wojtyla, non semplicemente per i natali esteri. Se vogliamo, si può parlare anche di de-europeizzazione, sia perché Wojtyla era un "periferico", sia perché, comunque, il percorso era già stato tracciato dal Vaticano II.

Con Ratzinger c'è stato il tentativo di tornare a una Chiesa identificata con la sola Europa (una certa Europa), ma si è rivelato anacronistico.

E lo scrivo da europea convinta e fiera di esserlo.

Pertanto Francesco si è espresso in termini umani (cioè cristiani) verso gli omosessuali con questa visione ampia, perché vedete, cari e care, in molti paesi del mondo c'è chi li incarcera o li mette a morte, e non solo nei paesi islamici, oh, no davvero. Nella devotissima Polonia alcuni giorni fa il prof. Buttiglione, noto esponente della sinistra mainstream, ha rinunciato alla lectio magistralis in un rinomato ateneo per solidarietà con un suo illustre collega, sacerdote e teologo, licenziato per aver osato dire, "in linea col Catechismo", che gli omosessuali vanno rispettati. Sì: ri-spet-ta-ti. Non ha parlato di famiglie alternative di unioni triangolari o di pasticci a base di ormoni. È bastata la parola rispetto. In un paese dove si tuona contro la "peste arcobaleno" e si esalta chi imbraccia la croce davanti alle manifestazioni di queste persone come fossero degli indemoniati.

E anche qui in Italia, durante la prima chiusura definita servilmente lockdown, c'è stato chi, mentre la gente moriva soffocata, si scandalizzava per il simbolo arcobaleno di "Andrà tutto bene" perché lo identificava con la "diabolica" bandiera rainbow!!!!!!

Vi sentite fieri di questo? In pace con Dio perché odiate? Buon pro vi faccia, ma io non ci riesco e voi non avete alcun diritto di trattarmi da miscredente, radical chic o chi sa che altro. Stateci molto attenti! Io non sono politicamente corretta e potrei reagire male.

Che Francesco non approvi certe posizioni disumane non significa "stravolgere la dottrina", o accettare TUTTE le rivendicazioni/pretese di determinati attivisti. Sarebbe un massimalismo puerile. 

Ma a Francesco importa il vissuto delle singole persone, della gente comune. Non le astrazioni e i docetismi.

Preferivate forse la lettera ratzingeriana del 1986 o, peggio, le Considerazioni del 1992? Apprezzavate quei toni? Andatevele a leggere poi ne riparliamo.

22.10.20

i promotori della legge contro omotransfobia predicano bene ma razzolano male ATTACCO MASSIVO⁣ su twitter e facebook. ⁣ ⁣ MISOGINIA allo stato puro contro donne che hanno espresso il disaccordo su alcuni punti della legge Zan su omotransfobia, che danneggiano le donne

 capisco non essere  d'accordo  con le  osservazioni e le  critiche  rivolte    che vengono  dal movimento femminista  , ma  combatterle   con la stessa  arma   di coloro per  cui si chiede   di  punirli  con  la legge    mi  fa  schifo  . 

  da  

Cosa vi ricorda questo modo di fare?⁣
Le nostre foto sono state manipolate e condivise su centinaia di pagine facebook bullizzandoci, ridicolizzandoci con l'intenzione di spaventarci e azzittirci. ⁣ Ci hanno riempito di commenti misogini e sprezzanti fuori contesto.⁣ Hanno manipolato e modificato le nostre affermazioni, volutamente.
I nuovi cacciatori di streghe indossano glitter e si aggiungono ai classici uomini misogini.⁣
La differenza tra il femminismo e il transattivismo/queer? ⁣Se non si riesce a vederlo, lo spieghiamo:⁣

  • Noi ci organizziamo pacificamente ed esponiamo le nostre idee.⁣
  • Loro come risposta attaccano e giudicano senza ARGOMENTARE o SPIEGARE. L’unico obiettivo è OFFENDERE e REPRIMERE.⁣ Tipico dei maschilisti e dei misogini.⁣
Quelli che organizzano questo attacco sono gli stessi che pubblicizzano l’introduzione della lotta alla MISOGINIA nel progetto di legge Zan, non per proteggere le donne ma per zittirle e limitarne l’opposizione all’identità d genere.
Questi sono ATTI DI ODIO, di disprezzo, di forte manipolazione, che hanno la chiara intenzione di intimidirci e di farci tacere. Questi attacchi non ci spaventano: seguiamo nella lotta femminista.⁣
FEMMINISTA NON SI NASCE, LO SI DIVENTA. ⁣


un conto è anche se un po' duro ed sul filo del rasoio dell'insulto sono commenti del tipo come femministe “𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐮𝐚𝐥𝐢”, “𝐚𝐫𝐫𝐞𝐭𝐫𝐚𝐭𝐞” 𝐞 “𝐦𝐢𝐧𝐨𝐫𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢𝐞”.⁣⁣ Un altro però ed questo che non mi piace è  fare che  <<    Le nostre foto sono state manipolate e condivise su centinaia di pagine facebook bullizzandoci, ridicolizzandoci con l'intenzione di spaventarci e azzittirci. ⁣ Ci hanno riempito di commenti misogini e sprezzanti fuori contesto.⁣ Hanno manipolato e modificato le nostre affermazioni, volutamente. >>








21.10.20

ASSURDITA' . Aosta, medico opera una paziente in condizioni gravi durante la quarantena Covid: a processo Cari chirurghi, state a casa se un magistrato vuole farsi operare!


 https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/aosta-medico-opera-una-paziente-in-condizioni-gravi-durante-la-quarantena-covid-a-processo_24251086-202002a.shtm
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Aosta, medico opera una paziente in condizioni gravi durante la quarantena Covid: a processo
Il primario avrebbe violato lʼisolamento ad aprile per operare una donna che soffriva di unʼaneurisma allʼarteria splenica con lʼautorizzazione del direttore sanitario dellʼUsl: per entrambi il pm chiede un decreto penale di condanna

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Una donna di 60 anni ricoverata all'ospedale Parini di Aosta per un'aneurisma all'arteria splenica, in condizioni così serie da non poter essere trasferita. E l'unico medico in grado di operarla a casa in quarantena perché è risultato positivo al coronavirus. Così l'allora direttore sanitario dell'Usl decide che l'isolamento del primario va interrotto. Per questo il pm ha chiesto per entrambi un decreto penale di condanna da 5mila euro.
L'accusa e la giustificazione - Quel giorno di aprile il primario Gianluca Iob è stato prelevato con un'apposita ambulanza, che dopo l'operazione lo ha riportato a casa. Per l'accusa tutto questo non sarebbe dovuto accadere perché è stata violata la normativa sulla quarantena. Ma l'ex direttore sanitario, Pier Eugenio Nebiolo, che ha autorizzato tutto con una mail, rifarebbe tutto perché così è stata salvata una vita umana. "Ci siamo trovati di fronte a un'emergenza - spiega - Il chirurgo, l'unico in grado di eseguire un intervento del genere aveva avuto quello che noi definiamo un 'esito debolmente positivo al tampone".
La rivendicazione - Nebiolo rivendica la scelta: "Anche se fosse stato positivo al 100 per cento avrei fatto altrettanto. L'équipe che ha operato con lui era consapevole. Il risultato finale è che abbiamo salvato la vita a una persona" ha concluso l'ex dirigente. Dopo l'intervento sia il personale sanitario che la paziente erano stati sottoposti a tampone, che aveva dato esito negativo. Ma il pm Francesco Pizzato ha chiesto comunque la condanna per medico e dirigente, coinvolgendo anche il responsabile del 118, Luca Cavoretto, che ha disposto il trasporto di Iob in ambulanza verso l'ospedale e poi di nuovo a casa. Resta da capire chi la spunterà nell'eterno scontro tra Creonte e Antigone, tra le leggi dello Stato e la legge morale. 


 <<non merita nessun commento  >>come  dice MAURIZIO  <<  ma una considerazione si. Aspetti che la tempesta virulenta sia finita, forse avrà l'opportunità di vedere le stelle ma chi potrà incolpare? >>  Infatti   mi chiedo se  in tale situazione disperata  ci fosse  stato un suo  familiare  cosa  avrebbe  fatto il pm ? 

20.10.20

HALLOWEEN 2020 AL TEMPO DEL COVID FRA LE SOLITE CROCIATE DELLA CHIESA , STRUMENTALIZZAZIONI IDEOLOGICHE , E CANNIBALIZZAZIONE DELLA MALATTIA in vendita sul web la "maschera dell'orrore Covid"

C... avolo non siamo ancora vicini ad Halloween che già s'iniziano le solite, quest'anno con il Covid ancora più fastidiose, polemiche tra pro H. anti H.  tipiche  


di novembre    mese  in cui  si ricordano i defunti . Infatti   il primo di novembre ricorre la solennità di Ognissanti e il giorno seguente la Commemorazione dei defunti. Ed è proprio queste due commemorazioni che attirano le consuete polemiche non solo fra pagani e cattolici , tra chi  vuole festeggiare   e  conosce    essendo  nato  e cresciuto negli anni 1990\  2000    solo l'spetto   commerciale    (   la  cosiddetta  americanata   )   e  chi  giustamente  vi s'oppone  ed  è  chi  per  la tradizione  religiosa  chi  per quelle   classiche    di  religiosità  popolare  .   
  

Ma ,  con il   con il  covid   sono più fastidiose  . Infatti  quest'anno   oltre alla  classica  diatriba  fra  Pagani \ Neo Pagani  , consumisti ed  anti  consumisti  , ecc     ci  sono   :  le  polemiche  politico culturali  e  il voler  esorcizzare  il  codic  creando  arrivando    con la creazione  di   una  maschera     con l'immagine del virus 
Ma andiamo con ordine  iniziamo    con l'articolo   di famigliacristiana      del 16/10/2020  di   Orsola Vetri  che  riporto  vista  la  sua brevità per  intero  in  cui    si  schiera  a  favore  di  de Luca  governatore  della Campania  




HALLOWEEN MONUMENTO ALL'IMBECILLITÀ. UNA OLA PER DE LUCA CHE FINALMENTE HA DETTO LA VERITÀ


Siamo cristiani e non druidi. Andare in giro a regalare dolcetti e scherzetti alla vigilia di Ognissanti non ha mai avuto alcun senso. Grazie governatore: finalmente qualcuno con un po' di sale in zucca C’è voluto un dramma sanitario sociale come l’attuale pandemia perché finalmente si potesse dire, anzi urlare un po’ come in Fantozzi dopo la visione della Corrazzata Potemkin, che Halloween, come ha detto chiaro e tondo il governatore della Campania Vincenzo De Luca, è «un monumento all'imbecillità», un’«Immensa idiozia che abbiamo importato… noi metteremo il coprifuoco». 92 minuti di applausi! Con ben altri toni, forse meno incisivi di quelli del governatore della Campania che annuncia così la chiusura quasi totale della sua regione nell’ultima settimana di ottobre, anche noi non ci siamo mai stancati di ripetere lo stesso concetto. La festa del 31 ottobre, la vigilia di Ognissanti (in inglese All Hallow’ Eve) prevede gruppi di bambini riuniti a
guardare film dell'orrore e poi, tutti insieme, travestiti da mostri in giro per le strade a bussare alle porte del vicinato per chiedere dolciumi e caramelle. Si tratta di una bellissima tradizione tipica dei paesi anglosassoni che affonda le sue origini nei riti celtici alla conclusione dei lavori nei campi. Peccato che, interpretata da noi italiani, non risulti che un ridicolo e provinciale tentativo di imitare gli stranieri e dimenticare le nostre radici culturali e religiose. Noi siamo cristiani. Non druidi. Per i cristiani in questi giorni si festeggiano i Santi e si ricordano i nostri cari che non ci sono più. Potrebbe essere, l’invettiva di De Luca, l’occasione per recuperare e far conoscere ai nostri bambini un’importante festa cristiana che fa riunire le famiglie e le generazioni. E’ lo è ancora più oggi pensando a chi ci ha lasciato e in particolare alle vittime del Covid. Grazie De Luca. Finalmente qualcuno con un po' di sale in zucca.
D'accordo la chiesa fa il suo " lavoro " e difende i suoi valori . Però lo fa in maniera disinformata ed in malafede . quando dice :  
<< [... ] IL Peccato che, interpretata da noi italiani, non risulti che un ridicolo e provinciale tentativo di imitare gli stranieri e dimenticare le nostre radici culturali e religiose. Noi siamo cristiani. Non druidi. Per i cristiani in questi giorni si festeggiano i Santi e si ricordano i nostri cari che non ci sono più. Potrebbe essere, l’invettiva di De Luca, l’occasione per recuperare e far conoscere ai nostri bambini un’importante festa cristiana che fa riunire le famiglie e le generazioni. [.... ]
 perchè c'è secondo alcuni un halloween cristiano lmeno alle origini . Infatti 

 Quando i popoli celtici furono cristianizzati, non tutti rinunciarono ai loro costumi pagani ciò fece sì che le credenze cristiani si mischiassero con le antiche superstizioni sulla morte.  Poi con l’arrivo dell’immigrazione irlandese negli Stati Uniti, si introdusse nel paese a stelle e strisce la festa di Halloween, che passò a far parte del folklore popolare degli USA. Col tempo, gli apporti culturali di altre popolazioni migranti introdussero nuove credenze con l’aggiunta di spettri, streghe, elfi, vampiri e altre mostruosità. Più avanti questa celebrazione paganaq si è estesa a tutto il mondo omologando e diventando predominante ad altre culture mortuarie tollerate dalla chiesa perchè tipiche o quanto meno infliuenzabili dalla religione cristiana perchè facenti parti della religiosità popolare . Inoltre con L’evangelizzazione delle Isole Britanniche portò con sé un nuovo concetto della vita, molto distante da quello celtico e durante tale periodo la Chiesa tentò di sradicare i culti pagani, ma non sempre vi riuscì. Halloween non fu completamente cancellata, ma fu in qualche modo cristianizzata, tramite l’istituzione del giorno di Ognissanti il 1° Novembre e, in seguito, della commemorazione dei defunti il 2 Novembre. Fu Odilone di Cluny, nel 998 d.C., a dare l’avvio a quella che sarebbe stata una nuova e longeva tradizione delle società occidentali. Allora egli diede disposizione affinché i monasteri dipendenti dall’abbazia celebrassero il rito dei defunti a partire dal vespro del 1° Novembre. Il giorno seguente era invece disposto che fosse commemorato con un’Eucarestia offerta al Signore, pro requie omnium defunctorum. Un’usanza che si diffuse ben presto in tutta l’Europa cristiana, per giungere a Roma più tardi. La Festa di Ognissanti, infatti, fu celebrata per la prima volta a Roma il 13 Maggio del 609 d.C., in occasione della consacrazione del Pantheon alla Vergine Maria. Successivamente, Papa Gregorio III stabilì che la Festa di Ognissanti fosse celebrata non più il 13 Maggio, bensì il 1° Novembre, come avveniva già da tempo in Francia. Fu circa nel IX secolo d.C. che la Festa di Ognissanti venne ufficialmente istituzionalizzata e quindi estesa a tutta la Chiesa, per opera di Papa Gregorio IV. Fanno eccezione i cristiani Ortodossi, che coerentemente con le prime celebrazioni, ancora oggi festeggiano Ognissanti in primavera, la Domenica successiva alla Pentecoste. L’influenza del culto di Samhain non fu, tuttavia, sradicata e per questo motivo la Chiesa aggiunse, nel X secolo, una nuova festa: il 2 Novembre, Giorno dei Morti, dedicato alla memoria delle anime degli scomparsi. 

Ma soprattutto perchè parla di radici cristiane dimenticando che ha dovuto scendere a patti con le culture pagane e con quelle della religiosità popolare e vi ha dovuto istituire con Odilone di Cluny, nel 998 d.C., a dare l’avvio a quella che sarebbe stata una nuova e longeva tradizione delle società occidentali. Allora egli diede disposizione affinché i monasteri dipendenti dall’abbazia celebrassero il rito dei defunti a partire dal vespro del 1° Novembre. Il giorno seguente era invece disposto che fosse commemorato con un’Eucarestia offerta al Signore, pro requie omnium defunctorum. Un’usanza che si diffuse ben presto in tutta l’Europa cristiana, per giungere a Roma più tardi. La Festa di Ognissanti, infatti, fu celebrata per la prima volta a Roma il 13 Maggio del 609 d.C., in occasione della consacrazione del Pantheon alla Vergine Maria. Successivamente, Papa Gregorio III stabilì che la Festa di Ognissanti fosse celebrata non più il 13 Maggio, bensì il 1° Novembre, come avveniva già da tempo in Francia. Fu circa nel IX secolo d.C. che la Festa di Ognissanti venne ufficialmente istituzionalizzata e quindi estesa a tutta la Chiesa, per opera di Papa Gregorio IV. Fanno eccezione i cristiani Ortodossi, che coerentemente con le prime celebrazioni, ancora oggi festeggiano Ognissanti in primavera, la Domenica successiva alla Pentecoste. Ma poiché L’influenza del culto di Samhain non fu, tuttavia, sradicata e per questo motivo la Chiesa aggiunse, nel X secolo, una nuova festa: il 2 Novembre, Giorno dei Morti, dedicato alla memoria delle anime degli scomparsi.
Ecco   che    come    s'videnzia  nella     risposta ( qui  il testo integrale  )   di   Don Antonio Rizzolo     ad un ragazzo   che  gli chiede  poichè La tradizione non è solo del NordEuropa.   che  esempio, anche in Sicilia e Sardegna si usano i “dolci dei morti”.  Ci  si domanda   come  celebrarlo   senza  cadere   in un atteggiamento   da  crociato  .  ?  
Accettaare     che noi cattolici e non solo ci riappropriamo di Halloween, svincolandoci per quanto possibile dai legami consumistici e spiegando per chi non crede che tali culti non sono solo quelli reimportati dagli Stati uniti , dal punto di vista religioso la comunione che ci lega ai nostri defunti e a tutti i santi. Non trascurando una visita e una preghiera al cimitero. Oppure come suggerisce nel'urò sriportato sotto lo scrittore Paolo Gulisano, autore di numerosi saggi sulla letteratura fantasy e sulla cultura anglosassone, che insieme alla studiosa irlandese trapiantata negli Stati Uniti, Brid O’Neill, ha dato alle stampe in questi giorni un volumetto dal titolo “La notte delle zucche” (Editrice Ancora, pagg. 96, Euro 7,00).



[.. ] Allora che si fa il 31 ottobre?



Gulisano: A mio avviso si può e si deve festeggiare. Il 1 novembre, che fu il Capodanno celtico e poi Ognissanti, è una festività straordinaria per i cristiani, e non vale la pena regalarla a ciarlatani ed occultisti. Non bisogna temere l’Halloween cattivo, e per questo bisogna conoscerlo bene. Halloween, in ogni caso, non si può ignorare, e ormai fa parte dello scenario dei nostri tempi. Che fare dunque? Combatterla in quanto usanza che cancella le care tradizioni di memoria e di raccoglimento attorno al ricordo dei nostri cari che non sono più di questo mondo, afferma qualcuno, che mina alle radici il principio cristiano della comunione dei Santi, vale a dire del rapporto e della solidarietà di tutti i fedeli in grazia di Dio, viventi o defunti che siano.Educatori e famiglie dovrebbero mobilitarsi contro questa diseducazione del buon gusto, contro questa profanazione del mistero della morte e della vita dopo la morte, ma non è facile andare controcorrente, sfidare le mode imperanti. Allora si può far festa ad Halloween, ricordando che cosa questo giorno abbia significato per secoli e cosa voglia ancora oggi testimoniarci. Halloween va salvata: le va ridato tutto il suo antico significato, liberandola dalla dimensione puramente consumistica e commerciale e soprattutto estirpando la patina di occultismo cupo dal quale è stata rivestita. Si faccia festa, dunque, e si spieghi chiaramente che si festeggiano i morti e i santi, in modo positivo e perfino simpatico affinchè i bambini vengano educati a considerar la morte come evento umano, naturale, di cui non si debba aver paura.


Invece  alla  battuta   di  De  Luca    che  contiene     secondo me  ( vedere  video  sopra  )    un fondo  di   verità per  come  si    sono trasformate   tali festività in qualcosa  di commerciale  e  mercificata   svendendo  un intero  patrimonio popolare   uno  dei tanti pseudo  giornalisti  i cui articoli ed  interventi    sono interessanti come la visione dell'oblò della lavatrice durante la centrifuga, solo un po' più monotoni. Infatti  ecco il mio commenti a caldo QUANDO NON POSSOINO FARE A MENO DI DIRE STRONZATE S'ATTACCANO ALLE SOTTOGLIEZZE O N INVENTANO DI NUOVE PUR DI RIMARCARE LA LORO IDEOLOGIA NOSTALGICA ANZICHE' GUARDARE AVANTI GUARDANO INDIETRO .Infatti concordo con Daniela Tuscano : << Che articolo del cacchio. Ogni pretesto poi è buono per attaccare il papa (che è AMERICANO, poiché non esistono solo gli Usa) facendolo passare per una macchietta marxista, e decontestualizzando del tutto le sue parole e decisioni.>> Ecco   la parte  iniziale    dell'intervento , poi  ho  iniziato  a   sbadigliare  


“Americanata” si può dire, “virus cinese” no

di Il Corsaro Nero circa 2 ore fa3.6k Visualizzazioni 6 Commenti
  




“Halloween è questa immensa idiozia, questa immensa, stupida americanata che abbiamo importato anche nel nostro Paese”. Sono parole usate alcuni giorni fa da Vincenzo De Luca, il governatore della Campania. Premesso che l’origine di Halloween è celtica e non americana, nel termine “americanata” pronunciato da De Luca si riassume bene tutta la cultura anti-americana di cui è inzuppata l’Italia. Era anti-americano il Partito comunista italiano, da cui De Luca proviene. Era anti-americano il fascismo. Era ed è anti-americana buona parte della cultura cattolica e della Chiesa e non a caso il Vaticano di Papa Francesco persegue da tempo strategie di intesa con la Cina. ..... continua qui  su https://www.nicolaporro.it



Ma  la    chicca  finale  è questa da il https://www.ilmessaggero.it/

Halloween, in vendita sul web la "maschera dell'orrore Covid": è polemica

Venerdì 16 Ottobre 2020 di Veronica Cursi

Vampiri e streghe? Roba superata. Quest’anno tra le novità proposte ai ragazzi su Amazon per la festa di Halloween c’è il costume Coronavirus: una vera e propria maschera in lattice che riproduce le fattezze del virus al microscopio, con tanto di occhi e bocca. «La maschera dell’orrore - così si legge nella descrizione del prodotto venduto a 23 euro e 80 - vi farà ricordare che tipo di disastro questo virus causa alle persone». «Un costume che farà sicuramente colpo dato lo stato attuale del Covid 19», si legge su un altro annuncio. Si perché online se ne possono trovare diverse varianti: rosso sangue, blu e rosa, c’è il covid zombie oppure il teschio umano che indossa la mascherina N 95. L’atroce curiosità poi è che le “Corona mask” sono proposte da diversi venditori con sede in Cina che promettono consegna gratuita e, secondo la descrizione, sono adatte a «bambini e adulti». Qualche giorno fa, proprio dopo le lamentele di alcuni consumatori, Amazon aveva dichiarato che avrebbe proceduto alla rimozione di questi prodotti dal sito, minacciando sanzioni, eppure sul web se ne trovano ancora numerosi tipi. «Le maschere - assicura il venditore - possono essere utilizzate per spaventare tutti a una festa». Come se il Covid non facesse già abbastanza paura.


a me non fa ne caldo ne freddo perchè è un tentativo di esorcizzare tale problema ed esorcizzarne la paura ed evadere dal terrorismo mediatico e dala fake news ed negazionismo che c'è su d'esso .









19.10.20

Salta sul bus sfrenato ed evita una tragedia Impresa di uno studente di 17 anni che è riuscito a bloccare il mezzo prima che travolgesse i compagni



 NUOVA   SARDEGNA  19 OTTOBRE 2020

                              DI GIANNI BAZZONI
SASSARI.
Esci di casa per andare a scuola, in una di quelle giornate segnate dalla tristezza per l’emergenza Covid e torni a casa da eroe. La storia di un ragazzino di 17 anni, pendolare. uno di quelli che tutti i giorni saltano giù dal letto alle 6 per andare a prendere l’autobus che trasporta gli studenti da Ittiri, Usini e Uri a Sassari si può sintetizzare così. Ieri ha fatto una lunga corsa a piedi è saltato al volo su un autobus dell’Arst che si era messo in movimento autonomamente (senza l’autista) ed è riuscito a schiacciare il freno e bloccarne la marcia prima che il mezzo pubblico potesse travolgere decine di studenti impietriti dalla paura in mezzo alla strada. Poi insieme agli altri compagni è salito su un altro bus e ha proseguito il suo viaggio verso Sassari.


É successo poco prima delle 8 sulla Sassari-Ittiri, la provinciale 15. Tre autobus con circa 150 studenti procedevano in direzione Sassari. A un certo punto al chilometro 9, il conducente di una Renalt Clio - che procedeva verso Ittiri - in un tratto rettilineo e con pendenza favorevole, ha perso il controllo dell’auto che ha invaso la corsia di marcia opposta ed è finita contro il primo e poi contro il terzo autobus dell’Arst che viaggiavano praticamente in colonna, distanziati. L’urto è stato violentissimo e ha interessato la parte laterale anteriore sinistra della Clio e quella laterale dei due autobus.
Immediato l’allarme con una grande mobilitazione di mezzi, perchè le prime informazioni indicavano la presenza di feriti gravi, tanto che la centrale operativa del 118 ha inviato sul posto anche l’elisoccorso per garantire un trasporto rapido verso l’ospedale. Al chilometro 9 sono arrivati anche i vigili del fuoco, la polizia stradale e i carabinieri. La strada è stata bloccata per consentire i soccorsi, l’esecuzione dei rilievi e il ripristino delle condizioni di sicurezza. Molti studenti sono scesi dagli autobus e si sono sistemati in una zona defilata, alle spalle degli autobus in attesa di poter ripartire con un mezzo idoneo. E mentre erano in corso i rilievi e i primi soccorsi (alla fine le condizioni dell’uomo che era al volante della Clio non sono risultate gravi) e venivano sentiti i testimoni è successa una cosa inaspettata: il freno pneumatico del mezzo pubblico più grosso, un autobus “snodato”, si è sganciato e il pullman si è messo in movimento in retromarcia anche a causa di un tratto in pendenza. Sono stati attimi terribili, al volante non c’era nessuno e il mezzo ha fatto una ventina di metri puntando in direzione del gruppo di studenti sulla strada che si sono resi conto del pericolo e hanno cominciato a urlare. Alcuni si sono allontanati altri sono rimasti impietriti dalla paura. Poliziotti e carabinieri si sono messi a correre per cercare di bloccare il pullma, ma il più svelto di tutti è stato un 17enne che con uno scatto è riuscito a salire al volo a bordo del bus e si è seduto al posto di guida, ha schiacciato il freno e ha bloccato la marcia del mezzo pubblico prima che potesse travolgere il gruppo di studenti. A quel punto è arrivato anche l’autista che ha messo in sicurezza il bus inserendo il freno a mano. Il 17enne è un eroe per caso, è sceso dal pullman e si è beccato i complimenti e le pacche sulle spalle dei compagni. Poi tutti su un altro mezzo per andare a scuola. Una giornata diversa, iniziata malissimo e finita bene. Un ragazzo con la mascherina è arrivato per primo e ha compiuto una impresa senza cercare applausi. Forse non ha neppure realizzato la portata dell’intervento, ma qualcuno gliel’ha detto che ha evitato una tragedia. La polizia stradale che ha eseguito i rilievi sta valutando la posizione dell’autista del pullman, anche per verificare se prima di scendere dal mezzo ha adottato tutte le misure di sicurezza.


In realtà il ragazzo ha due anni in più infatti ha dichiarato : << Ha scritto che ho 17 anni, in realtà ne ho compiuti 19, ma non fa niente. Poi non è tanta la differenza, però non sono un ragazzino >>ha  dichiarato  sorridendo   Gavino Dore, ittirese doc, studente, che  frequenta la quinta all’istituto Agrario “Pellegrini” di Sassari e tutti i giorni viaggia dalla sua città a bordo degli autobus insieme a decine di pendolari. E in tanti devono al suo gesto, alla sua azione coraggiosa se l’altra mattina sulla Sassari-Ittiri non sono stati travolti dal bus dell’Arst che si era messo in movimento dopo essere rimasto in sosta a causa di un incidente avuto poco prima.  
IL giovane molto modesto ha cosi replicato a    chi lo definisce  eroe  : « No, non mi sento un eroe. Solo un giovane che ha fatto il suo dovere senza stare troppo a pensarci. In quel momento serviva freddezza e rapidità di azione, io mi sono trovato in una posizione favorevole. E poi è vero, sapevo dove mettere le mani e i piedi perchè da bambino seguo mio padre che fa il camionista e ha una impresa di movimento terra. Mi piace guidare. Ho imparato tutto quello che potevo ».

18.10.20

bellezze ai margini . «Preferisco il suono del silenzio», storia dell’eremita ultimo erede di Toscanini e L'incredibile storia di Umeed Ali, il vu cumprà originario del Punjab che da 30 anni scrive poesie apprezzate da migliaia di persone, ma che vive in uno stato di indigenza permanente

 storie   raccontate da  https://www.rollingstone.it/

Da otto anni l'ultimo discendente del direttore d'orchestra passa le giornate con capre e galline, dissodando terreni e ammirando il panorama della montagna in totale solitudine. «Toscanini? Non l'ho mai ascoltato»

                  di   GIANMARCO AIMI 









Mentre l’Italia teme di tornare a chiudersi fra le quattro mura domestiche dopo l’aumento di positivi per Covid, c’è chi il lockdown lo ha scelto come stile di vita. Alessio Toscanini, 42 anni, vive da eremita in un paese totalmente abbandonato sulle montagne di Bogli, un borgo a 1.100 metri dell’alta val Boreca proprio in mezzo a quattro province: Pavia, Alessandria, Genova e Piacenza. Da otto anni trascorre le sue giornate pascolando capre e accudendo galline e dissodando terreni aspri per ricavarne ortaggi (soprattutto patate) e godendo di un panorama mozzafiato. Tutto in totale solitudine in un paese completamente abbandonato e con una strada che alle prime nevicate lo isola dal resto del mondo.
La sua storia, però, non è rilevante solo per la scelta di fuggire dalla città, Voghera, dove aveva un lavoro e una famiglia, ma anche per il cognome che porta. Alessio, infatti, è uno degli ultimi discendenti di Arturo Toscanini. Non solo, visto che a pochi passi dalla sua abitazione sorge ancora la casa degli antenati di quello che diventerà uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi.
Quest’ultima circostanza è risaputa, anche se poco nota al grande pubblico. Fu lo studioso Ettore De Giovanni, che sulla base di documenti ritrovati nei libri parrocchiali del Duomo, scoprì verso la metà degli anni ‘40 che Claudio Toscanini, padre di Arturo, nacque il 23 gennaio del 1833 a Cortemaggiore (Piacenza). È però nella frazione di Bogli di Ottone, sempre nel Piacentino, che vide la luce Pietro Toscanini, il bisnonno del Maestro nel lontano 19 maggio 1769. La caratteristica costruzione di montagna dove affondano le radici dei Toscanini è ancora lì, come allora, rivolta verso la vetta dell’Alfeo e nel piccolo cimitero riposa Antonio Toscanini (cugino e quasi coetaneo del Maestro) morto ad 88 anni il 2 agosto 1954 e i cui lineamenti tradiscono la forte somiglianza con l’illustre Arturo. Per cui Alessio, a ben vedere, non ha fatto altro che tornare alle sue origini.
Una strada di Bogli di Ottone
«Mi piacciono gli animali e la montagna», premette quando gli chiediamo chi glielo ha fatto fare mentre ci porta a spasso per le vie in pietra del borgo. Certo è che una scelta così estrema non può essere dettata solo da queste motivazioni. «Non mi manca la gente, anzi, quando in estate tornano alcuni che hanno la casa per le vacanze e poi se ne vanno non sento la nostalgia. Niente di personale – precisa – ma da solo ci sto bene». Il vero motivo, però, è più profondo e, se vogliamo, anche affascinante. E cioè, riportare il paese ormai spopolato agli antichi splendori: «Vorrei creare un agriturismo, dove mangiare i prodotti del territorio, così come riportare in funzione il vecchio mulino per l’acqua e mettere in sesto le vigne che da troppo tempo sono lasciate andare». Insomma, questo ragazzo apparentemente in fuga dalla civiltà, ha solo l’ambizione di valorizzare un territorio che in tanti, in primis la politica, dicono di voler aiutare ma che, invece, trascurato a più riprese.
E qui entrano in gioco i problemi. Che, come spesso accade, sono più burocratici che sostanziali. «I primi tempi avevo a disposizione dei fondi annuali da Impresa Verde-Coldiretti, ma un giorno sono arrivati dei funzionari a controllare l’erba dei pascoli e me li hanno tolti dicendo che era troppo alta. Solo che non hanno tenuto conto che io sono da solo e con poche capre, per cui non era possibile rientrare negli standard». Non da meno è una questione spinosa la strada che conduce a Bogli, particolarmente dissestata e che necessita di manutenzione continua. Anche in questo caso, Alessio si è preposto di lavorare direttamente al ripristino ma il Comune, a quando pare, «preferisce chiamare ditte esterne spendendo migliaia di euro, quando io sono qui e so benissimo quello che serve ogni giorno». Stesso discorso per i ponti (e sappiamo che pericolo rappresentino in Italia) «con i piloni erosi dalle piante» e i canali «pieni di detriti, quando piove le conseguenze si vedono più a valle». Si potrebbe continuare a lungo. D’altronde, Alessio è un po’ come l’ultimo dei Mohicani e davanti a sé vede sgretolarsi roccia dopo roccia una realtà che un tempo si basava proprio sul rimboccarsi le maniche, darsi una mano a vicenda e dove regnava il buon senso e non gli interessi politico-economici: «Se ci fosse un po’ di aiuto dalle istituzioni si potrebbero fare tante cose, anche creare lavoro».
Eppure, nonostante tutto, questo 42enne si avvia al suo ottavo inverno in solitaria senza esitazioni con la speranza che, prima o poi, qualcosa cambi. E nelle sue lunghe e impegnatissime giornate – «perché qui qualcosa fa fare c’è sempre, gli animali non vanno in vacanza» – non ha voglia neppure di farsi accompagnare da un po’ di musica. «Arturo Toscanini non l’ho mai ascoltato – ammette – preferivo il liscio e prima ancora, quando ero in città, la musica da discoteca». Ma in fondo, come dargli torto, quando di fronte a te hai costantemente la miglior opera d’arte che esista, la natura: «Il paesaggio è stupendo, in particolare quando nevica. Si fa tutto bianco e muto. Ecco, forse quello che preferisco è il suono del silenzio».


E se il miglior poeta italiano fosse in realtà pakistano?

L'incredibile storia di Umeed Ali, il vu cumprà originario del Punjab che da 30 anni scrive poesie apprezzate da migliaia di persone, ma che vive in uno stato di indigenza permanente

Foto: Viviana Corvaia
Che cos’è la poesia e quando una persona si può definire, a ragione, un poeta? Le teorie e gli studi in merito sono molteplici e certo non basterebbe un articolo (forse neanche un libro) per dipanare la questione. Affidandoci, però, alla sintesi di alcuni grandi del secolo scorso, possiamo avvicinarci a un profilo. Per Giuseppe Ungaretti “si fa poesia non pensandoci, perché occorre farla ed è tale quando porta in sé un segreto”. Andrea Zanzotto amplia le aspettative: “Nel momento stesso in cui si genera, in qualche modo, accresce la realtà”. Mentre Sandro Penna si è spesso riferito a un altro maestro come Gabriele D’Annunzio: “Lui diceva che i versi sono nell’aria e il poeta li deve solo cercare.
 Insomma, i poeti veri non devono avere coscienza”.
E così, quando conosciamo Umeed Ali e ascoltiamo la sua storia leggendo i versi che ha raccolto in due volumi, non possiamo fare a meno di definirlo a tutti gli effetti un poeta. Uno di quelli bravi, per di più, come attestano diverse testimonianze qualificate. “Parla dell’Amore universale, della vita e dell’angoscia, della solitudine e della ricchezza interiore, della nostra Terra e di quel popolo unico che lui chiama umanità” ha scritto Alice Raimondo, dottoressa in psicologia clinica che aveva inserito Noia nella tesi di laurea. O come Sabrina Cittadini, docente all’università di Perugia: “Questo mondo interiore esplode nella sua poesia, dove la brevità della parola racchiude frammenti di vita e incontri, di sofferenza e speranza nonostante tutto”. Ma in 30 anni in Italia, sono tanti coloro che ne hanno riconosciuto il talento, senza però dare seguito alle promesse. Personalità della cultura, della politica, dello spettacolo, uniti nell’elogiarlo e poi nell’abbandonarlo al suo destino.
Foto: Viviana Corvaia

Il quasi 60enne, infatti, ha passato metà dell’esistenza in povertà assoluta e l’altra metà ai margini delle città, racimolando in inverno l’indispensabile per sopravvivere (oltre a carta e penna) attraverso lavori sottopagati e massacranti e d’estate vendendo collanine e le sue composizioni tradotte a mano come vu cumprà. Fino al giorno in cui capì che l’Urdu, il Saraiki e il Punjabi non lo rappresentavano più e decise di cimentarsi nella nostra lingua, per accorgersi che “È come il mare: più ti allontani e più diventa profonda e alta”. Da quel momento, si è rimesso a studiare come autodidatta in notti insonni, arrivando a capire che “finalmente l’italiano è molto gentile con me”. Trovato un editore, Morlacchi, con il primo libro Bilancio interiore ha venduto più di 10mila copie.
Sembrano poche? Provate a informarvi su quale altro poeta raggiunge questi numeri senza avere distribuzione e proponendo ogni volume personalmente per le strade o le spiagge della penisola. Ora viene tradotto anche in inglese, tedesco e spagnolo. Un exploit che non lo ha certo arricchito, ma gli ha permesso di pubblicare una seconda raccolta, Candele dei sentimenti, che sta presentando in questi mesi in giro per l’Italia. E così sorge spontanea una domanda: vuoi vedere che, all’oscuro della grande editoria e della critica, dei festival e dei giornali, il miglior poeta italiano – per uno scherzo del destino – potrebbe essere pakistano?
D’altronde le caratteristiche evidenziate in partenza le ha tutte: per lui è un’esigenza e porta con sé un segreto, cioè di come un uomo così in difficoltà si ostini a “perdere tempo” con la scrittura; con le sue parole “accresce la realtà”, della condizione di straniero permanente in cui chiunque si può riconoscere; e proprio “nell’aria”, fra le vie, le piazze e le spiagge nell’indifferenza dello sguardo dei passanti coglie i propri versi e ce li restituisce in una sintesi lirica elegante ed evocativa. Lo abbiamo intervistato e se voleste contattarlo per presentare i suoi libri o acquistarli – per problemi di salute ormai l’unica fonte di sostentamento – potete farlo a questa mail: umeedpoeta@libero.it

Che cosa ti ha portato a scappare dal tuo paese, il Pakistan?
Sono nato in una zona molto povera, al confine con l’India, il Punjab. Onestamente volevo cambiare il mio futuro, mi ero stufato di essere povero fin da piccolo. In più la scuola è riservata solo ai ricchi. Per cui ho deciso di cercare di sistemare la mia vita. Quando sono arrivato non sapevo neanche dire “ciao”. Con in mano un quaderno ho iniziato a imparare qualcosa, poi ho frequentato l’università di Perugia per un periodo, però tra le lezioni, le tasse, l’affitto della casa non sono riuscito a mantenermi e si è bruciato il sogno di laurearmi.

Con quali attività ti sei mantenuto?
Ho fatto tanti lavori pesanti, di carico e scarico, poi il vu cumprà sulle spiagge vendendo oggetti e i miei versi scritti a mano. Sono nato poeta, quindi scrivevo nelle tre lingue più usate in Pakistan, ma a un certo punto ho sentito l’esigenza di passare all’italiano. Per i poeti ci sono due maestri: i sentimenti interiori e le difficoltà quotidiane, e tutti e due mi hanno dato del “tu” fin da piccolo. Adesso l’italiano è molto gentile con me. Per me è una seconda lingua. Mi piacciono i suoni, le metafore e la ricchezza di vocaboli. Ad esempio, l’espressione ‘da morire’ non esiste in un’altra lingua. L’ho usata in una poesia ma non riesco a tradurla. Io non ho mai usato il dizionario che per me è la tomba delle parole. Sono belle quelle che impari soffrendo, andando in giro e vivendo.

Qual è stato il momento più difficile?
Ne ho avuti tanti, come i pregiudizi, la perdita del lavoro e la condizione di disoccupazione e anche un po’ di razzismo, ma non insopportabile. Il bisognoso è vittima, rischia di accettare 5 euro per un orologio che ne vale 100. Io non odio i poveri, ma odio la povertà perché tante volte ha calpestato la mia dignità. Le più grandi delusioni perÚ sono state le promesse mancate da parte di politici, persone di cultura e dello spettacolo, che avevano detto di aiutarmi, ma poi sono spariti.

Anni fa fece scalpore l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini, che dopo averti incontrato in spiaggia ti promise di acquistare un po’ di copie ma poi sparì nel nulla.
Sì, lui mi ha illuso. Tramite Giuliano Amato ho conosciuto tante belle persone, ma un sostegno non è mai arrivato. È sfumata anche la partecipazione al Maurizio Costanzo Show, mi avevano chiamato per recitare qualche poesia in diretta tv, però non mi hanno mandato in onda. In 30 anni ne ho conosciuti tanti che hanno mancato la parola, come Massimo Cacciari, o Alessandro Gassman che mi aveva proposto di musicare alcuni miei versi per i suoi spettacoli teatrali. Sono stati fuochi di paglia, dite così voi italiani. Una persona come me, un poeta, sembra un peso su questo pianeta.

Come sei riuscito, nonostante tutto, a pubblicare i tuoi libri?
Devo ringraziare Morlacchi editore, che nonostante lo abbia fatto in parte a mie spese ha stampato diverse volte Bilancio interiore e ora Candele dei sentimenti e li ha tradotti in inglese, tedesco e spagnolo. Solo in Italia il primo libro l’ho venduto in più di 10mila copie. Tutte da parte mia, senza distribuzione, di mano in mano. Ho mandato alcune copie anche a Papa Francesco.
Hai inviato il tuo libro a Papa Francesco nonostante tu sia musulmano?
Sì, perché in questa società triste tutto è in vendita: bellezza, amore, sentimenti, religione. Nei Paesi islamici ci sono persone disposte a farsi saltare in aria negli attentati con la promessa che, col sacrificio della loro vita, la loro famiglia verrà ricompensata con soldi. Ma l’Islam non è questo, l’Islam è fratellanza, amore. E siamo tutti un popolo unico chiamato “umanità”.

Foto: Viviana Corvaia

Che cos’è per te la poesia?
La poesia è un occhio sociale. Esprime in poche parole e con stile elegante dei concetti enormi. Alcuni psicologi hanno usato i miei versi presso l’università di Palermo, così come per curare alcuni pazienti. Con le poesie Nostalgia o Noia alcuni si sono commossi e gli è servito per tornare ad emozionarsi. Hanno apprezzato anche all’università di Pennsylvania, dove insegnano lingua italiana, per il lessico semplice ma intenso. Oggi però in Italia fare poesia è come vendere specchi in un paese di ciechi. È molto difficile. È durissima, ma ho conosciuto tantissime belle persone ed è un onore essere stato apprezzato da tanta gente.
Hai mai pensato di mollare tutto e tornare nel tuo paese?
Devo dire che la povertà un aspetto positivo ce l’ha ed è che ti fa capire il vero sapore della vita. Per esempio, un inverno avevo delle scarpe bucate e quando una cara persona mi ha regalato un paio di scarpe invernali per me è stato come vincere un premio. Apprezzi il valore delle piccole cose. I soldi sono importanti, perché quando li hai anche altrove sei come in patria, quando non li hai anche nella tua patria sei straniero. Ci ho pensato, però non avrei nulla per mantenere me e la mia famiglia, composta da mia moglie e tre figli. I bambini hanno 4, 9 e 14 anni e vorrei portarli in Italia quando ne avrò la possibilità.
Ogni quanto vi vedete?
Circa ogni due-tre anni. Se faccio qualche bella presentazione e vendo dai 50 agli 80 libri li vado a trovare. Non ho un altro lavoro, perché non posso tornare a fare sforzi o sulla spiaggia. Qualche mese fa ho avuto un infarto e adesso devo essere prudente. Non mi sento indebolito, però il mio corpo è più vecchio di me (ride). Ho 59 anni. Sto bene, ma è meglio non rischiare.
E la più grande soddisfazione che hai avuto finora?
Nel 1995 in Sardegna ho preso un colpo di fulmine per una ragazza, allora anche io ero bello ma lei non ne voleva sapere. È stato proprio un amore non corrisposto. Una volta ho scherzato dicendole che con me sarebbe diventata famosa a livello nazionale, ma lei non mi ha creduto. Oggi 10mila persone hanno letto la mia poesia dedicata a lei. Sono stato di parola.
Foto: Viviana Corvaia

C’è qualche artista italiano al quale ti ispiri?
I poeti italiani mi piacciono molto, però fatico ancora a capire bene i loro versi. È una questione di conoscenza del lessico e delle metafore. Sono sincero e molto umile. Apprezzo Dante, Leopardi, mentre Ungaretti è quello che mi colpisce di più per l’immediatezza dei suoi versi. Ma devo dire che mi ha aiutato moltissimo anche ascoltare le canzoni di Fabrizio De André.
Hai un sogno nel cassetto?
Prima di morire, vorrei diventare autonomo e poter vivere delle mie poesie. Sogno spesso di avere una vita diversa, non dura come quella che ho passato fino ad ora. Prima ho dato tanta tristezza ai miei genitori scappando dal Pakistan, poi a mia moglie e ai miei figli vivendo lontano da loro e ho faticato molto per ottenere pochissimo. La vita non è mai brutta, però non posso dire che sia stata bella. Forse ce la farò scrivendo una bella raccolta di poesie e la lascerò in eredità alla mia famiglia.
Quale delle tue poesie dedicheresti a chi non crede al valore della poesia?
Si intitola Alberi. Essere altruisti come alberi / che soffrono sotto il sole / e fanno ombra sugli altri.


a domanda rispondo [ risposte ai vostri quesiti e richieste ]

 

Non si butta  via niente (o quasi   cioè  roba  inutilizzabile come   critiche    gratuite  ed    a pelle , attacchi personali  , ecc  )  come si  faceva ai tempi dei nostri nonni e  bisnonni con il maiale  . Ecco quindi che  ogni tanto  , oltre  a prendere  spunto  per   qualche post  o fare tesoro delle vostre  critiche  ed  osservazioni costruttive   e non  totalmente distruttive  , come   è  il  caso d'oggi  .  rispondo  pubblicamente   .  Ecco  una  scelta    dell'email ricevute   su  gli ultimi  post  

  
La prima 
 QUEI BIMBI MAI NATI

Caro Giuseppe ,
 ho letto l’articolo in merito allo “scandalo” del cimitero  dei feti abortiti e sinceramente  sono un po’ dispiaciuto dal punto  di vista offerto, che è esclusivamente quello delle mancate madri. Non una parola sulla creatura per  più o meno tempo da loro portata  in grembo. Stiamo parlando di bambini a cui è stato negato per  scelta  o  problemi  di salute  il  diritto di vivere, perché accanirsi ulteriormente  negando loro pure il diritto a una tomba che almeno darebbe loro un  minimo di dignità e di pietà?

 Angelo  [ nome  di fantasia   ] 

Caro Angelo 

 il tema è assai delicato in quando   in questo  caso   l'aborto può essere   oltre  che  una  scelta   ( non  sto qui  a  giudicare se buona  o  cattiva   )  ma anche  Aborto spontaneo

da   https://it.wikipedia.org/wiki/Aborto

 [...] Per aborto spontaneo si intende l'espulsione involontaria di un embrione o del feto prima della 24ª settimana di gestazione. Una gravidanza che termina prima della 37ª settimane di gestazione con la nascita di un bambino vivo è conosciuto come un "parto prematuro" o "nascita pretermine". Quando un feto muore nell'utero durante il parto, di solito è definito "nato morto". Le nascite premature e i nati morti non sono generalmente considerati aborti anche se l'utilizzo di questi termini a volte può sovrapporsi. Solo dal 30% al 50% dei concepimenti progredisce oltre al primo trimestre di gravidanza. La stragrande maggioranza di quelli che non progrediscono vengono persi prima che la donna ne sia a conoscenza e molte gravidanze vengono perse prima che i medici siano in grado di rilevare la presenza dell'embrione. Tra il 15% e il 30% delle gravidanze conosciute termina con un aborto spontaneo clinicamente evidente, a seconda della età e della salute della donna. L'80% di questi aborti spontanei accade nel primo trimestre. La causa più comune di aborto spontaneo durante il primo trimestre sono le anomalie cromosomiche dell'embrione o del feto, che rappresentano almeno il 50% dei casi. Altre cause comprendono la presenza di una malattia vascolare (come il lupus eritematoso), il diabete, problemi ormonali, infezioni e anomalie dell'utero. L'avanzare dell'età materna e la storia di precedenti aborti spontanei nelle donne sono i due fattori principali associati ad un maggior rischio di aborto spontaneo. Un aborto spontaneo può anche essere causato da traumi accidentali o intenzionali da stress; causare un aborto spontaneo è considerato un aborto indotto e un feticidio.   [...] 

Ora   sia  che   si  tratti di  Aborto Spontaneo come nei  casi  da lei  citati   sia  che si  tratti d'Aborto  vero  è proprio  il diritto    di cosa   fare   del "  rifiuto  "  d'esso creato    se   seppellirlo  o distruggerlo  è   una scelta     della donna   condivisibile  o meno  ,  noi possiamo   solo  dire   non son d'accordo  ma dev'essere lei  a  decidere   cosa farne  .  Ma in questi casi  non c’è il  «diritto a una tomba», che  può anche essere   comprensibile    e quindi  accettato ed  riconosciuto  , ma  bensì il fatto che le madri sono state tenute all’oscuro  ed  non soi è rispettata  nè  la  loro privacy  nè  la loro scelta    ad non  volere  usufruire  della  sepoltura  . 

la   seconda 
 UOMO DI COLORE

Caro direttore,
rileggevo i vostri begli articoli sul politicamente corretto, che ormai sembra sempre più aver rimbecillito la nostra società, timorosa di tutto e di tutti, dando così prova non di correttezza ma di debolezza e piagnoneria. La punta dell’iceberg è stata certamente l’orrenda gogna che ha subito Fausto Leali. Certamente una cosa è il rispetto, l’altra l’autoflagellazione. Io stesso tempo tempo fa fui sgridato da dei colleghi perché avevo usato l’espressione “nero” (non “negro”) perché, a suo dire, si deve dire ”uomini di colore”. Le propongo una poesia scritta da Léopold Sédar Senghor( 1906-2001 ) Politico e poeta senegalese di lingua francese

A mio fratello bianco

Caro fratello bianco, quando sono nato ero nero,
quando sono cresciuto ero nero,
quando sto al sole, sono nero.
Quando sono malato, sono nero,
quando io morirò sarò nero.
Mentre tu, uomo bianco, quando sei nato eri rosa,
quando sei cresciuto eri bianco,
quando vai al sole sei
rosso, quando hai freddo sei blu,
quando hai paura sei verde,
quando sei malato sei giallo,
quando morirai sarai grigio.
Allora, di noi due, chi è l'uomo di colore?


                                                        lettera  firmata          



Carissima
Anche se sono fondatore del blog e della sua appendice social non sono direttore in quanto è senza fini di lucro e poi segue la legge n° 62 del 7.03.2001
Dopo questa precisazione veniamo alla risposta
Ha ragione spesso il politicamente corretto quando è forzato è più denigratorio ed insultante delle parole che usiamo in modo dispregiativo . come dice quell'altra lettera non indirizzata a me ma presa da un settimanale da parrucchieri ( come si dice una tempo ) trovato in una lavanderia selfe service


MEGLIO “SORDO” CHE “NON UDENTE”

Caro direttore,
le scrivo in merito alla lettera “Politically correct” sul n. 41. Sono un’insegnante sorda,presidente del Movimento LIS Subito, un’associazione che si occupa di tutte le tematiche inerenti la sordità e il riconoscimento della Lingua dei segni italiana (Lis). Per sapere quali siano i termini corretti da utilizzare è importante rivolgersi ai disabili e ai sordi stessi. I sordi preferiscono il termine “sordo”, invece di “non udente”, perché quest’ultima è una negazione di qualcosa che non esiste, come anche il termine diversamente abili”, al posto del corretto termine “persone con disabilità o persone disabili”, già sottolineato dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Colgo anche l’occasione per rimarcare che il diffusissimo termine “sordomuto”, spesso utilizzato dalla stampa, è obsoleto e “politically uncorrect”, in quanto le persone sorde non sono affatto mute: ormai parlano e comunicano. Inoltre, il termine “sordomuto” è stato sostituito con il termine “sordo” dalla legge n. 95 del 20/02/2006.
                                                  Vanessa Migliosi

17.10.20

tocca noi non aspettiamoci miracoli da chi ci governa . la lotta al covid è compito nostro

 È come se stessimo camminando  sul crinale di una  montagna. Da una parte  c’è un lieve avvallamento e poi una lenta risalita: sarà faticoso, ma se stiamo attenti saremo in salvo e  riusciremo  ad  andare  avanti   finche non si troverà  una  cura definitiva o almeno  per guarire . Dall’altro lato c’è l’abisso, e se mettiamo un piede in fallo precipiteremo senza alcuna speranza o  almeno che  non si abbai  la  forza  ed  il coraggio  intellettuale  er  fare autocritica  ed  ammettere  di  essere stato incosciente  Possiamo continuare ad andare avanti, certo, senza modificare il  nostro percorso, ma a ogni passo correremmo un pericolo. Voi che cosa fareste ?  Fuor di metafora, è ora che ciascuno di noi capisca (  soprattutto quelli che   ancora  non l'hanno  o non vogliono   capire  )  che il nostro destino, in quest’epoca di pandemia, è nelle nostre stesse mani. Siamo noi che possiamo decidere se continuare a comportarci allegramente, rischiando, o magari optare per la via negazionista, precipitando verso un probabile  punto di non ritorno  .

 
Milano Navigli   qualche giorno fa  



Oppure ancora, scegliere di modificare radicalmente  i nostri atteggiamenti per uscire da quest’incubo. Portare sempre la mascherina è un fastidio, soprattutto chi soffre d'asma  o altri problemi di salute  , ma va  fatto. Non uscire la sera con gli amici, non tirare tardi in piazza, non partecipare a feste o festicciole, evitare gli abbracci e i baci con i non-congiunti... C’è uno stillicidio di piccole regole da rispettare e di cose da non fare, che ci consentiranno di evitare un nuovo, fatale lockdown. E tutto dipende da noi, non dallo Stato, dal governo, che con qualche timidezza e molte contraddizioni cerca di equilibrare i  provvedimenti per non esporsi all’accusa di limitare le sacre libertà dei cittadini. Ma  soprattutto alle pressioni di  determinati  settori . vedi il caso discoteche   Emilia  Romagna  e  Sardegna  . 
Poi, certo, si può discutere fino alla noia se Giuseppe Conte & C si stiano muovendo bene o male. Molto è stato fatto, molto si è sbagliato, anche a livello regionale (per esempio, è uno scandalo che in Lombardia non si sia riusciti a ottenere i vaccini anti-influenzali in tempo e in quantità sufficiente o  in  Sardegna  che  non ha  saputo imporsi   allo stato e  chiudere  l'ingresso o imponendo dei limiti ed  controlli   sulle  quarantene   a  chi veniva  dalle  zone  infette  ). Chi si è distinto per interventismo, come Vincenzo De Luca in Campania, adesso deve comunque fare i conti con un forte aumento  dei contagi. Ma anche chi ha scelto il laissez faire non può cantare vittoria, perché il  virus si espande e colpisce apparentemente  senza una logica, uno schema, un “pattern” chiaro e definito. In definitiva, non aspettiamoci miracoli da chi ci governa, a Palazzo Chigi o nella sede del Comune: stavolta tocca a noi. Fanno impressione le folle della movida  nelle città: certo, c’è chi ha la mascherina, ma tutti sono stipati come sardine (non quelle di Mattia Santori  😁) e  il distanziamento sociale è una barzelletta. 
Molti, poi, la mascherina non la portano proprio. Non  secondo  alcuni si tratta di  negazionisti (a quelli,
per carità, fategli fare un giro nei  reparti di terapia intensiva, fortunatamente ancora non gremiti ma  poco coi manca se  si continua cosi  ), sono semplicemente, si può dire?, cretini. Incoscienti ,va’, se vogliamo essere gentili. Ovvio che viene  da pensare: ehi, Conte, vuoi proibire il calcetto e non fai  niente per la movida? Però, anche qui, ragioniamo: cosa si può fare in realtà? Questi assembramenti dovrebbero essere dispersi con i reparti anti-sommossa e i getti d’acqua? Volete davvero una carica della Polizia come aHong Kong o nei regimi dittatoriali classici  ?  Lo ripeto: dipende tutto da noi. Siamo stati celebrati,  come italiani, per la disciplina dimostrata in marzo  e aprile. Tutti ordinatamente chiusi in casa, salvo  qualche furbetto che portava “a pisciare il cane” una  dozzina di volte al giorno. Brindisi e canti dai balconi, scorpacciate di serie tv, boom di Amazon ... 
 A ripensarci  adesso, per molti è stata una sorta di lunga ricreazione, una novità che ha spezzato la routine. C’è chi ha imparato a cucinare o a suonare uno strumento, chi ha riordinato la casa e la libreria, chi ha riscoperto la famiglia, chi l’amore. Ma ora... Ora sembra tutto più difficile, e meno scontato. Il comune sentire dice: abbiamo già dato, siamo stati mediamente bravi, adesso tocca a voi proteggerci. Voi politici, voi governatori, voi espertissimi e meno esperti epidemiologi, infettivologi, virologi che sono senza dubbio la nuova frontiera dell’intrattenimento. smettetela di   fare 

   

non basta  quando lo avete  fatto  fin ora   creando nella  gente   confusione  e paura  . Quindi tocca  a noi    rispettare  il buon senso  e le precauzioni   se  vogliamo uscirne  e   non obbligare     fornendo  un arma  ai governanti   per  obbligarci ed opprimerci .  concludo  con  quanto dice  l'amica  Rita Pani   in questo suo post   <<  [..] se non capiamo che dobbiamo difenderci l’uno con l’altro – rispettando noi stessi e gli altri – oltre che le regole, allora non ci sarà modo se non quello di affidarsi alla sorte . [...] >>



le risposte d'analfabeta funzionale Jovanotti: "Mozart e Tony Effe sono colleghi" - Belve 17/12/2024

Caro Jovanotti alias Lorenzo Cherubini Anche nelle provocazioni o nell'ironia ci dev'essere un minimo di cultura di ba...