tra fb e ed i portali di : bing \ msn.it , di mozzilla firex fox .
a figlia unica di genitori separati, sognavo di costruire una famiglia numerosa. Arrivata a 40 anni, però, mi sono resa conto che la vita mi stava riservando tante soddisfazioni, ma non un compagno né tantomeno un figlio», così Katia Minniti Berard, imprenditrice 50enne, rintraccia l’origine della sua decisione di ricorrere alla fecondazione eterologa per diventare mamma. Dopo la fine di una storia importante, mossa dal desiderio di maternità, grazie a un’attenta ricerca ha preso consapevolezza di poter avere un figlio anche da sola. Così, 10 anni fa, è volata verso la Spagna, ai tempi l’unico Paese che garantiva l’anonimato del donatore, dettaglio per lei fondamentale.«Mi sono accorta che mi avvicinavo alle relazioni per la fretta di avere un figlio, sollecitata dal mio orologio biologico. Ben presto ho capito che non era un atteggiamento sano, potevo rischiare di metter su famiglia con la persona sbagliata, allora ricorrere alla fecondazione eterologa mi è sembrata la soluzione migliore», racconta lei. E così è stato: facendo fecondare i suoi ovuli dallo stesso donatore e crioconservando gli embrioni, ha dato alla luce Teodora e Martino, rispettivamente di 9 e 4 anni, con cui vive in una casa immersa nella campagna romana, tra i colori vivaci e le emozioni forti di una famiglia per niente tradizionale, ma tanto accogliente e viva.
Andreina, imprenditrice del sex tech: «Sono single, gli uomini mi dicono: “Come faccio a raccontare che sto con una donna che fa questo lavoro?”»
uno dei settori industriali più in espansione a livello mondiale. Entro il 2026, secondo l’Osservatorio Global Sexual Wellness
Market, il mercato dei sex toys e del sex tech raggiungerà i 125,1
miliardi di dollari: erano «solo» 62 miliardi nel 2020. Secondo le stime
dell’Osservatorio Dafne, in Italia questo mercato vale invece 600
milioni di euro, in crescita grazie ai nuovi e-commerce che garantiscono
velocità e anonimato. Ma il merito va soprattutto alla sempre più
diffusa sensibilità verso il benessere
sessuale e l'esplorazione del piacere che stanno guidando un forte
cambiamento nella percezione sociale degli oggetti erotici e della
sessualità.
In questo ramo di industria, anche l'imprenditoria femminile si sta ritagliando uno spazio di tutto rispetto. Sempre più donne investono sul benessere sessuale e nella produzione di sex toys, gadget, oggetti per il piacere per single e coppie.
Tra queste imprenditrici «illuminate» c'è Andreina Serena Romano, 42 anni, fondatrice e CEO di Twilo, start up di sex tech con sedi a Potenza e Taranto.
Con
un BA in International Business alla Nottingham Trent University e un
master in Politiche di sviluppo del made in Italy, Andreina Serena
Romano tiene anche la vicepresidenza nazionale di Confinternational,
associazione dedicata all'espansione delle micro e piccole imprese
Italiane nel mondo. Il suo sogno era quello di creare un’azienda capace
di realizzare oggetti che potessero dare piacere ma che fossero anche di
design. Qualche anno fa è diventato realtà.
Oggi Twilo (acrostico che sta per Twist e Love) è un brand composto quasi interamente da donne, (4 dipendenti full time e 10 persone che collaborano part time per la Ricerca
& Sviluppo ingegneristico), ha un brevetto registrato, vende in
tutta Italia e punta a espandersi anche sul mercato europeo con un
progetto speciale dedicato al mondo dell'hôtellerie. Lo scorso anno ha
vinto la quinta edizione dell’Oscar dell’Innovazione e il Premio Angi è stato consegnato a Roma dall’Associazione nazionale giovani innovatori.
E
pensare che i primi passi risalgono appena al 2016, «quando analizzando
vari mercati, mi sono resa conto che nel campo dei sex toys, in Italia,
non c'era praticamente nulla di elegante, di design, di un po' smart,
anche da indossare. Abbiamo quindi iniziato a lavorare su un primo
prodotto che voleva essere proprio un sex toy wearable.
Non lo abbiamo ancora lanciato, però nel 2017 è stato brevettato. Da lì
in poi abbiamo fatto evolvere la società iniziando a lavorare su varie
categorie di prodotti», spiega la CEO.
Ma perché investire proprio sui sex toys?
«Perché
è un settore in cui si riesce a lavorare bene e avere dei buoni
sbocchi. L'idea era quella di creare qualcosa che potesse dare piacere
alle persone, renderle naturalmente più felici. Ed era anche una grande
sfida: come donne volevamo portare avanti l'idea di un piacere sessuale
legato al benessere, qualcosa che tutti possono provare senza vergogna e
senza tabù, poichè parte integrante della salute generale».
Donne che si rivolgono ad altre donne?
«Non solo. I nostri prodotti possono essere usati anche dagli uomini o in coppia:
la libertà è l’unica regola che conosciamo. Tutti i prodotti sono
creati con materiali sostenibili, esclusivi e tecnologici, a partire da
una gamma di preservativi vegani, dove il lattice è solo di origine
vegetale. Nel corso degli anni abbiamo studiato sex toys con forme e
caratteristiche in grado di attivare nel modo più efficiente possibile i
centri del piacere e soddisfare i bisogni sessuali sia degli uomini che
delle donne. Non per nulla la ricerca e lo sviluppo è il nostro punto
di forza».
Dove vengono prodotti gli articoli di Twilo?
«Una
pre-produzione, che è quella legata ai metalli, alla parte di
lavorazione orafa che interessa la struttura dei micro stimolatori,
viene realizzata nel napoletano, in Campania. La parte dei siliconi e
delle plastiche ABS per il corpo viene invece seguita da un'azienda che
si trova nella cosiddetta “valle dei sex toys”, che non è in Italia,
bensì a Hong Kong, poiché in Italia non esistono aziende che lavorano il
silicone sui grandi numeri. Ci limitiamo quindi a seguire qui tutta la
parte di prototipazione mentre poi in Cina lavorano sugli stampi da noi forniti e realizzati nel tarantino».
Quali sono i vostri pezzi più venduti e che tipo di interesse c'è per gli acquisti online?
«Online c'è interesse principalmente per i mini stimolatori,
piccoli, colorati, molto ludici, semplici da utilizzare e ideali per
chi si avvicina per la prima volta al mondo dei sex toys. Poi ci sono i massaggiatori come Tito e Augusto, ergonomici, anatomici, con un design che piace tantissimo. Poi c'è Cesare, stimolatore per il punto G: semplice, lineare, molto elegante, apprezzato proprio per la forma. Ancora in fase di test, c'è invece la collana Afrodite,
decorata da un bullet, che lanceremo in Italia in quattro bagni di
colore: Silver, Silver Gold, Rose Gold, e Black Metal, quale prima
collezione di sex jewels Twilo. Abbiamo presentato il prototipo di
Afrodite in anteprima ed è piaciuta soprattutto ai ragazzi dai 20 ai 27
anni e agli uomini in generale, perché è molto d'impatto: una catena
immaginata proprio per sdoganare l'idea che il sex toys può portarlo
anche un uomo».
Augusto, Cesare, Tito, Afrodite… Perché questi nomi?
«L'idea era quella di dare dei nomi legati al mondo dell'antica Grecia
e di Roma, nomi di grandi condottieri, imperatori, dee. Volevamo dare
l'idea di qualcosa di forte, di importante, di epico, che faccia stare
bene. Ora come ora, stiamo anche realizzando un'App,
con l'aiuto di un'azienda tecnologica di Potenza per impostare
funzionalità che permetteranno di usare da remoto alcuni prodotti. Nel
momento in cui si utilizzeranno con una persona, l'App permetterà di
parlarsi, di guardarsi, di mandare delle reazioni e in generale di
condividere quel momento in maniera più piacevole e passionale».
Qual è il punto di forza dei prodotti Twilo rispetto ad altri sex toys sul mercato?
«Siamo
un'azienda che disegna e progetta ogni prodotto e questo ci permette di
creare dispositivi innovativi e diversi sia nel design, sia
nell'utilizzo. Avendo delle risorse che lavorano solo ed esclusivamente
su questo riusciamo a creare prodotti esclusivi. In più, abbiamo la
possibilità di modificarli e personalizzarli grazie all'attività dei
nostri ingegneri e designer».
Com'è stato recepito a Potenza e dintorni un progetto di business femminile rivolto al mondo della sessualità?
«Le
reazioni non sono state del tutto positive. Purtroppo, quando è una
donna a fare queste scelte imprenditoriali, bisogna scontrarsi con molti
retaggi culturali. C'è ancora chi pensa che - nonostante tu crei
prodotti e fai Ricerca e Sviluppo con ingegneri designer - stai sempre e
comunque trattando qualcosa che ha a che vedere con il mondo della
pornografia. Pensano che chi lavora in questo ambito non lo faccia con
serietà e professionalità, quando in realtà si tratta di un'azienda che
sta facendo business come tutte le altre e con prodotti che sono dei
normali dispositivi per il piacere».
Come affrontate questi pregiudizi?
«Invece
di restare stabili a Potenza, abbiamo deciso di spostarci anche su
Taranto, in Puglia, dove invece abbiamo avuto un'accoglienza ottima: le
persone si sono dimostrate molto interessate ai prodotti e abbiamo
organizzato degli eventi
di presentazione che hanno riscosso un grande successo. Sono venuti a
conoscerci, hanno guardato, hanno acquistato, hanno voluto parlare di
sessualità. In generale, abbiamo visto un approccio veramente differente
rispetto ad altre regioni - come la Campania o la Basilicata - dove è
complicato parlare e fare passaparola, perché tutti provano vergogna e
imbarazzo ad affrontare certi argomenti».
In cosa vi state specializzando?
«Nella
produzione di accessori per la stimolazione piuttosto che per la
penetrazione. Lavoriamo molto anche per le spose. Creiamo dei kit speciali per l'addio al nubilato e kit dedicati alla sposa. Il bridal kit,
per esempio, è una box che comprende vari oggetti tra cui stimolatori,
preservativi, spillette e dadi personalizzati. Qualcosa di simile la
stiamo facendo anche per il mondo dell'hôtellerie: siamo stati fra i
primi a lanciare un Courtesy Kit e adesso stiamo lavorando proprio per
il posizionamento all'interno dei boutique hotel.
Contiene preservativi, una mascherina e un mini stimolatore
personalizzabile. Al momento stiamo lavorando sull'Italia, ma abbiamo
intenzione di espandere il progetto anche in Portogallo, in Grecia e in
Romania. Un'idea curiosa, frutto purtroppo del mio essere una donna
single…».
Perché «purtroppo»?
«Tutte le volte
che mi piaceva qualcuno e ho voluto iniziare a stringere in modo un po'
più serio la relazione, mi sono ritrovata davanti a esclamazioni del
tipo: "Ma io come racconto che sto con una persona che fa questo?“
Mi è già successo due volte, la terza ho tagliato subito appena mi sono
resa conto che sarebbe finita ancora nello stesso modo. Ogni volta
chiedo: ma perché non facciamo un passo avanti? Potremmo fare insieme
questo o questo … Poi vedo la reazione e capisco tutto. Uno mi ha
persino detto: «Ma io come lo spiego a mia mamma il lavoro
che fai? Il dispiacere che provo è lo stesso che possono provare anche
le ragazze che lavorano con me e che magari subiscono i medesimi
pregiudizi. C'è chi guarda già con un certo occhio una donna che fa
l'imprenditrice, se poi la sua è un'azienda sex tech diventa tutto più
difficile. Ma non si può non dire che produciamo accessori erotici,
perché chiaramente è questo quello che facciamo. Tuttavia gli uomini e,
in generale, anche altre persone vivono male questa realtà. Per me,
quindi, è stato veramente difficile affrontare delle relazioni.
E oggi sono sola, single e viaggiando spesso per lavoro, e sostando in
albergo, so che può capitare talvolta di incontrare qualcuno che piace.
Detto ciò, mi sono resa conto che è difficilissimo trovare dei
preservativi, considerato che la protezione viene comunque prima di
tutto. Mi è quindi venuto questo pallino di creare questo Courtesy Kit
da proporre alle catene di alberghi».
Storie
potenzialmente importanti, quindi, che si sono subito arenate a causa
di persistenti pregiudizi attorno al business del sex tech. Ma davvero è
possibile tutto questo?
«Il punto è che il mio lavoro viene inteso come un'attività ludica e poco seria. Agli occhi
degli uomini con cui ho tentato costruire una relazione - ma anche di
altri e altre in generale - io non sono una vera imprenditrice che ha
avviato un progetto di business con tutti i criteri necessari, incluso
un considerevole investimento economico. E parliamo comunque di uomini
con un alto livello di educazione scolastica, con una professione
importante, ma che vivono questa mia attività con imbarazzo al punto da
porsi il problema di come presentarmi in pubblico se avessimo formato
ufficialmente una coppia».
Tabù, cliché, pregiudizi… C'è speranza per un cambiamento culturale?
«Io
vivo di fiducia e di ottimismo. Bisogna mantenere sempre alta la
possibilità di raccontare determinate cose e quando alle persone parli,
spieghi, racconti, a un certo punto iniziano ad ascoltarti, a capire,
iniziano a vivere in un altro modo. Non ci sarà forse un cambiamento
epocale, ma da qui a 5 anni si potranno vedere di certo i frutti del
cambiamento imposto dalle nuove generazioni, già molto avanti nel
parlare di affettività, di sessualità, di benessere. Sono loro che ci
aiuteranno in questo passaggio».
Lei continua a credere nell'amore?
«Io
credo tantissimo nell'amore. Sono un'emotiva romantica, mi batte il
cuore in continuazione. Anche per questo i nostri prodotti non sono
chiamati semplicemente sex toys ma Love Toys: il concetto di amore per noi è fondamentale. Eppure è difficile oggi riuscire ad avere una relazione, anche perché le
persone non sono pronte, non hanno voglia, non hanno il tempo di
gestire l'affetto. Vedo una difficoltà generale proprio a dedicarsi
all'amore e alle relazioni monogame. Invece è proprio
attraverso questo stato di passione, di emotività e di meraviglia
reciproca che si può accedere davvero al piacere. L'amore regola tutto».
.......
Il caffè del marinaio: storia e ricetta della bevanda nata sui pescherecci marchigiani
affè del marinaio si beveva all’interno delle imbarcazioni del medio Adriatico, nel sud delle Marche. Un mix di caffè, rum, distillati locali all’anice da bere caldo secondo la tradizione. Ma c’è anche chi lo propone nei cocktail
Un caffè rinforzato nato in ambienti marinai nel medio Adriatico, dal gusto robusto e dal tenore alcolico sostenuto. Pariamo del caffè del marinaio, una preparazione che è nata a bordo dei pescherecci marchigiani per poi diventare rito di ogni fine pasto. Non c’è ristorante, bar e trattoria tipica di pesce nella zona di San Benedetto del Tronto, località di mare nel sud delle Marche e importante porto peschereccio, che non serva in maniera tradizionale questa bevanda calda. Anche d’estate. Vi raccontiamo la sua storia ed evoluzione.
Il caffè del marinaio: perché si chiama così
Per scoprire le origini del caffè del marinaio si deve tornare agli inizi del ‘900 con l’avvento del peschereccio a motore. Infatti la storia del caffè del marinaio è legata al progresso di quegli anni. E proprio a San Benedetto del Tronto il 26 maggio 1912 venne varata la prima imbarcazione a motore d’Italia. Il peschereccio San Marco entra dunque nella storia. Visto che i viaggi iniziavano ad essere più lunghi nasceva l’esigenza di portare a bordo generi alimentari di lunga conservazione e capaci di ristorare nei rigidi inverni l’equipaggio. Dunque liquori, distillati e ovviamente caffè fatto rigorosamente con la moka. Bastava correggere il caffè con tutto ciò che si aveva a disposizione ed ecco che nasce il caffè del marinaio, momento di ristoro dopo le lunghe e faticose giornate a mare.
La ricetta del caffè del marinaio e come si beve oggi
Non c’è una ricetta codificata del caffè del marinaio: ogni famiglia custodisce la sua. Non si può prescindere dal caffè fatto con la moka a cui si aggiunge un insieme di alcolici come rum, mistrà (una versione locale di distillato all’anice, ve ne abbiamo parlato qui), oppure Varnelli o Meletti, e c’è anche chi aggiunge il Caffè Borghetti. Oggi si consuma a fine pasto, servito in un bricco portato ad ebollizione e con i famosi cantuccini da intingere.
Il caffè del marinaio in bottiglia
Nonostante il caffè del marinaio non abbia una ricetta scritta e viene consumato esclusivamente in questa zona delle Marche, c’è chi ha scommesso sulla sua riuscita. Parliamo della Levante Spirits, società di produzione di alcolici artigianali nata dall’incontro del marchigiano Fabio Mascaretti e il toscano Enzo Brini. “Volevamo far conoscere la storia e far capire che questo prodotto può avere una vita fuori dal consumo strettamente territoriale” spiega Mascaretti. Il loro prodotto si chiama Old Sailor Coffee: “Partiamo da un rum giovane e bianco a cui vanno aggiunte infusioni separate di anice verde di Castignano, caffè Barbera e buccia d’arancia. Per un prodotto che contiene solo il 15% di zucchero rispetto alla media dei liquori al caffè che si attesta sul 35-40%”. Si consuma freddo con ghiaccio, ovviamente caldo con una scorza d’arancio al suo interno, e in miscelazione. A registrare il brand caffè del marinaio c’è invece l’Italian Creative Food, di San Benedetto del Tronto, che produce un liquore al caffè. Si chiama appunto Il Caffè del Marinaio e omaggia la tradizione marinara locale.
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(ANSA) - PALERMO, 27 LUG - Riottiene la patente dopo 23 anni e alla fine dell'iter processuale viene risarcito. E' accaduto a un automobilista di Caltabellotta, al quale era stata revocata la licenza di guida nel 1996, per decisione della prefettura di Agrigento che gli addebitava la mancanza dei requisiti morali, in quanto sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
Dopo avere espiato la misura di prevenzione, l'uomo si vedeva respinta la richiesta di riavere la patente.Assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Daniele Piazza, l'automobilista ha presentato ricorso al Tar di Catania, ottenendo la sospensiva e il rilasciao di un titolo provvisorio alla guida. A distanza di diversi anni il Tar ha ritenuto di non essere competente per giurisdizione e la causa è passata al giudice civile di Palermo, che con la sentenza del 3 novembre scorso, dopo 23 anni dall'inizio del contenzioso, ha deciso la restituzione della patente, condannando la prefettura al pagamento delle spese del processo.Visto il lungo percorso processuale i legali dell'uomo hanno presentato alla corte d'appello un ricorso, sulla base della legge Pinto, contro il ministero dell'Economia per ottenere l'equo indennizzo per l'irragionevole durata del giudizio, durato complessivamente 23 anni. I giudici d'appello hanno accolto il ricorso e condannato il ministero a pagare 8 mila euro in favore dell'automobilista per il danno non patrimoniale sofferto, oltre al pagamento delle spese di lite. (ANSA).