Alla fermata dell'autobus

Uscito dall'ufficio, ero alla solita fermata quando ho notato una ragazza con il capogaylenmorgan1 coperto da un velo salire su un autobus che precedeva il mio. Ho potuto osservarla per pochi istanti, prima che l'autobus velocemente ripartisse. La ragazza era bellissima, i lineamenti delicati erano racchiusi dall'elegante velo che le incorniciava il volto e ne accompagnava la grazia composta. Ho avvertito la sensazione di una bellezza grata, che non si dà per scontata e che non pretende.

 



Io non sono un fedele praticante, e non penso neppure di potermi definire un credente. So inoltre bene quali significati possa arrivare ad assumere il velo. Quando però riesco a scorgere dei segni di sensibilità spirituale all'interno del guscio tappezzato di materialismo e false certezze in cui viviamo, mi sento un poco sollevato. Più spesso ritrovo questi segni sui volti degli stranieri che incrocio per strada, o nelle parole di quelli che ho conosciuto.



 



Mi vengono in mente alcune frasi di Andrej Sinjavskij (dal libro Pensieri improvvisi che ho recuperato di recente):



Dobbiamo agli agi cittadini e al progresso tecnico se la fede in Dio va scomparendo. Circondati dalle cose fatte da noi, ci siamo sentiti creatori dell'universo. Posso forse vedere Dio in un mondo dove, a ogni passo, m'imbatto nell'uomo? La voce di Dio risuonava nel deserto, nel silenzio. Oggi il deserto e il silenzio non ci bastano più. Abbiamo moltiplicato il rumore e riempito tutto di noi stessi. Dopodichè ci meravigliamo che il Signore non si manifesti.




Le coordinate Galat(t)iche

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