Il tono è perentorio anche se accompagnato da un gran sorriso: «Allora! Se scrivi un pezzo strappalacrime ti meno. Chiaro?» Ogni vita rappresenta se stessa ma anche mille altre simili. Se ne racconta una per portare esempio e stimolare comunanza, che vuol dire fratellanza. È una vecchia regola umana prima ancora che professionale. Poi ci sono quelle esistenze speciali che spiccano se pur hanno tratti comuni ad altre. Claudia Firino, sassarese, 1979, da due anni a Cagliari, accetta l'intrusione nella sua vita solo a quattro condizioni. La prima l'ha detta, niente pietismi. La seconda è: «Perché, anche se non dovrei, mi fido di te». La terza: «Che la mia storia possa essere da stimolo». La quarta è che le ragioni del permesso all'intromissione nella sua giornata vengano pubblicate. Patto rispettato. E ora si inizia, la sveglia trilla alle 7 e la giornata incomincia.
A PERDIFIATO Persino a uno sguardo superficiale è chiaro che Claudia ha carattere e il suo porsi rompe cliché. Intuizione che diventa certezza a un'osservazione attenta maturata in diverse occasioni negli ultimi due anni. Claudia più battagliera delle sue due treccine ribelli (che le incorniciavano il viso) alle assemblee del circolo Sergio Atzeni, quello (che piaccia o no) da cui è partito il movimento giovanile che ha portato all'elezione di Zedda sindaco. Claudia in prima fila ai reading del festival settembrino Marina Café Noir. Claudia tifosa immortalata dalle telecamere di Rai Sport sugli spalti di Siena per il play-off della Dinamo Banco di Sardegna. E subito dopo reporter (per la testata web Isola Basket) che sottopone a una raffica di domande pertinenti e tecniche il coach Meo Sacchetti.
VIA TUVERI Ecco, questa è la sua vita. Un turbinio di stimoli e attività. Oggi giornata soft. Michaela la sua accompagnatrice rumena («L'ho assunta dopo il mio primo stipendio a Cagliari») la aiuta a farsi spazio nell'ascensore della casa in affitto in via Tuveri e a favorirne lo scivolar via dal portone. Un saluto agli amici della bottega di frutta e verdura («Buongiorno Claudia») che la vedono passare ogni mattina mentre si reca sul posto di lavoro, circa sei portoni più in là, via Tuveri 128 che guarda la chiesa del Cristo Re. La targa dice Centro Nazionale per le Ricerche, piano primo. Ascensore. Una firma sul registro presenze, un saluto alle colleghe. Poi via davanti al computer nella stanza che divide con un compagno di lavoro.
A LAVORO Di che si occupa Claudia? «Lavoro per l'Istituto di storia dell'Europa Mediterranea. Il mio ruolo è reperire i fondi per la ricerca attraverso i bandi comunitari». Stipendio: 1.450 euro mensili. «Enorme. Sono fortunatissima, anzi di più. Un salario così mi ha permesso di poter essere maggiormente indipendente e assumere Michaela per faticare un po' meno». Orario 8-14 con due rientri pomeridiani a settimana, quando ci sono da chiudere i bandi anche 3 del mattino. Ma come è arrivata sin qui? «Liceo scientifico e laurea in Scienze politiche a Sassari. Erasmus a Madrid, Master in progettazione europea a Roma». Questo non è il primo impiego. «A Roma ho lavorato con la Ong SoleTerra, mi hanno assunto dopo lo stage. Curavamo progetti di cooperazione allo sviluppo in Ucraina e Marocco». Poi nella coop romana BottegaSolidale impegnata sul fronte dei minori disagiati. «Mi occupavo di trovare i finanziamenti attraverso i bandi regionali». Infine il concorso per il Cnr, vinto e assunta.
CONVEGNO Oggi la sua giornata prevede alle 17.30 il convegno sul volume di Maria Giuseppina Meloni dal titolo “Il santuario della Madonna di Bonaria. Origine e diffusione del culto” alla biblioteca regionale di viale Trieste, al tramonto direzione Castello per la rassegna letteraria Leggendo Metropolitano e poi cena con i ricercatori convenuti anche dalla Spagna per il libro della Meloni al Dottor Ampex, Villanova. Giornata leggera rispetto alle altre quando magari bisognava coniugare i momenti di impegno politico al circolo, l'ora settimanale di nuotata alla piscina Ulive e Palme e quelli professional-sportivi «ma la Dinamo ora ci ha concesso un felice e appagante riposo». Embe', dirà qualcuno, tutto qua? Dove sta la luce singolare di questa vita? Per chi si è abituato a guardarla sempre in faccia, per chi ha promesso che non ci saranno lacrime facili da gettare in pasto al pubblico, viene quasi, se non secondario, sfumato dire che la particolarità di Claudia Firino è che ha conquistato tutto ciò nonostante un gravissimo handicap, che vive la sua giornata su una sedia motorizzata a rotelle, che non ha mai camminato da quando è nata e ha un uso limitatissimo degli arti superiori. È invece impellente e primario raccontare il suo animo, la sua voce che le fa dire: «Patti chiari, niente roba piagnucolosa», e tutto quello che adesso seguirà. Lo scopo è raccontare la via della forza e della dignità nonostante tutto e che ogni esistenza vale la pena di essere vissuta.
I SOGNI DI UNA RAGAZZA Perché questa ragazza, guardandoti dritto negli occhi con una naturalezza che (perdono, Claudia) commuove, dice che ha conquistato tutto ciò che ha «solo perché ero una ragazza come tutte le altre, Sassari mi stava stretta, e volevo vedere il mondo». E aggiunge che non ci sono limiti e la forza gli è stata inculcata da una famiglia vera, un padre ex impiegato di banca, una mamma ex insegnate, e una sorella. Carezze e ceffoni secondo necessità, senza sconti né in un senso né nell'altro. «Sono stati un supporto socio-affettivo ed economico fenomenale». Claudia si ferma, si riascolta e sbuffa: «L'ho detta io questa frase?». Eh sì. «Mamma mia che brutta, sembra burocratese. Trova la maniera per renderla meglio». La maniera potrebbe essere che i Firino c'erano sempre e comunque, hanno cresciuto la figlia dimenticandosi sul fronte educativo della sua artrogriposi multipla congenita. Il feto si rattrappisce inesorabilmente nell'utero materno e quando nasci le 13 operazioni chirurgiche (che Claudia ha subìto) a malapena ti possono migliorare.
LA FORZA Eppure. «Ho avuto una bellissima infanzia, non percepivo la mia disabilità». Eppure a chi la ascolta mentre il sole scende sul bastione Santa Croce viene difficile portare il pensiero senza far tremare le labbra al suo primo giorno di scuola, al suo ingresso in classe mentre gli altri correvano e urlavano. Anche se nessuno in famiglia ha mai temuto il giudizio, quello che non riusciamo a non vomitare sul conto degli altri perché in fondo discendiamo dalle scimmie dispettose e invidiose. Né hanno avuto paura a saperla sola ogni giorno sul pullman che da Roma Nord la portava a Roma Sud, un'ora e mezzo per arrivare a lavoro. O nel visualizzarla in camminata solitaria (perche lei dice così «oggi non ho bisogno della macchina vado a piedi») per le strade di Madrid.
LA DIGNITÀ Claudia dice che ogni tanto rimugina sul fatto di «aver vinto il concorso al Cnr partecipando come categoria riservata» mentre gli altri lavori se li è giocati alla pari degli altri. «Però non era la corsia privilegiata che mi ha spinto verso il concorso semmai l'impiego che rispondeva alla perfezione alla mia specializzazione». Ma è un nuvola passeggera che svanisce dando il posto a una idea più forte. «Un disabile che lavora non costa alla società, anzi partecipa al suo sviluppo». Questo è il suo spirito che brilla. «Però sia chiaro, una malattia così non si accetta, ci si convive. L'ho maledetta sino alle lacrime. Ma se mi chiedete com'è la mia vita io vi dico che è proprio bella».
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