N.b Le foto ivi riportate , non sono dell'articolo ma prese dalla rete , in quanto non so per quale arcano motivo da un paio di mesi nelle edizioni free del quotidiano cioè quelle disponibli dopo le 19 non compaiono le foto degli articoli
Ma ora bado alle ciancie ed m'avvio a raccontare .
Un altro problema oltre all'abbandono degli animali è quello degli incendi . Ecco la storia di chi lotta contro il fuoco
unione sarda del 24\6\2012
È uno dei cento investigatori criminali d'Italia. I serial killer non c'entrano e nemmeno i buonissimi ragazzi che massacrano i genitori nella quiete delle pareti domestiche. La sua specialità è un'altra, incandescente: gli incendi. Studia, come dicono gli addetti ai lavori, la sindrome dell'incendiario.Trentatré anni, romano, Marco De Sisto è laureato in Psicologia, tesi sui comportamenti autolesionistici col fuoco. In Sardegna, e non solo, l'argomento è caldo, anzi caldissimo. Appena comincia l'estate si vacilla sulla solita altalena fatta di speranza e paura: sarà una stagione devastante oppure ce la caveremo con una quantità fisiologica di roghi? Di indagini, o intelligence, come dicono oggi, non si parla. A differenza della caccia a un assassino, quella ad un incendiario non prevede nessuna tecnica investigativa salvo quella dettata dalla fortuna. E solo allora si parla di arresti, si sbatte sui giornali nome e foto del mostro che ha appiccato l'incendio.De Sisto viaggia in un'altra dimensione, segue una rotta decisamente nuova. La sua plancia di comando è al sedicesimo piano di Bourke street, a Melbourne, un palazzone del Central business district, cuore commerciale della città. Ambiente minuto e prevedibile: scrivania, computer, molto disordine, moltissimi libri, carte sparse a piacere.Il pizzetto risorgimentale gli dà un'aria risoluta, decisa. Ma dev'esserci qualcosa di più se fa il pendolare con l'Italia nella veste di prof e consulente delle squadre che si occupano di incendi. Esordio volontario coi Vigili del fuoco, ha sgombrato il campo dagli equivoci con un saggio che risale al 2005. Si intitolava: piromane o incendiario? «Di solito si usano, sbagliando, questi due termini come sinonimi».Nel tempo, insomma, s'è convinto che per debellare gli incendi non bastano le campagne pubblicitarie sui giornali, l'arruolamento in massa di precari, le assunzioni nel Corpo Forestale dettate più da ragioni clientelari che da bisogni veri e propri. L'australiano Bushfire cooperative research centre gli ha finanziato uno studio per disegnare l'identikit dell'incendiario-tipo, non confonderlo col piromane e, soprattutto, organizzare la prevenzione.La risposta, dice lui, è «squisitamente investigativa: se vuoi evitare o ridurre la piaga degli incendi devi capire contro chi stai combattendo». Significa, e la cosa riguarda qualunque Paese del mondo, tratteggiare la psicologia e gli impulsi di chi sceglie il fuoco per farsi giustizia o per mettere a segno una vendetta, aprire la strada a una speculazione edilizia o danneggiare un concorrente.Secondo De Sisto, che viaggia un po' dappertutto per tenere corsi di aggiornamento alle forze dell'ordine, il vero problema è «liberarsi dalla logica, generalista e banale, della lotta agli incendi per aprire un fronte nuovo». Servirebbero, in pratica, gruppi di specialisti che conoscano bene la terra in cui lavorano e il labirinto di interessi che la attraversa. «Io penso a una sorta di procura antincendi, a un team di detective e non di pompieri».
«Da queste parti quell'incendio si chiama Black saturday, Sabato nero. È stato uno dei più devastanti nella storia dell'Australia. Febbraio 2009, Melbourne, Stato del Vittoria. Il bilancio è impressionante: 173 morti, circa 7.500 persone rimaste senza un tetto con un totale di duemila case completamente distrutte e 45mila ettari di terreno devastati. Questo è stato il Black saturday».
L'Italia se la passa decisamente meglio.
«È il terzo Paese europeo più colpito dagli incendi boschivi. Tra il Duemila e il 2008 se ne sono verificati poco meno di ottomila. Le fiamme hanno divorato qualcosa come ottantacinquemila ettari di vegetazione. Ogni anno nel mondo ne vengono inceneriti non meno di 350 milioni».
Qual è la differenza tra piromane e incendiario? «Sono figure che presentano dinamiche motivazionali profondamente differenti. L'incendiario appicca un incendio per tornaconto personale (vendetta, business, protesta o per mascherare altri reati). Il piromane invece lo fa per via di un deficit nel controllo degli impulsi. Metterli sullo stesso piano è come paragonare un drogato ad uno spacciatore».
L'incendiario può essere considerato un malato?
«Dipende dai casi e, soprattutto, da cosa intendiamo con il termine malato. Un soggetto che per qualche migliaio di euro appicca un incendio causando danni irreversibili all'ecosistema nonché la morte di centinaia di esseri viventi è un malato o un sano delinquente?»
Sul piromane invece non ci sono dubbi, andrebbe curato come un maniaco sessuale.
«Negli ultimi anni si è evidenziato un forte collegamento tra il piromane e la sua sfera sessuale compromessa. Di fatto, per questo genere di persone appiccare un incendio e assistere poi al divampare delle fiamme rappresenta lo stesso identico piacere e coinvolgimento provato durante un orgasmo».
Il confronto col maniaco sessuale regge?
«Direi di no. Siamo molto distanti dal poterlo collegare ad un maniaco sessuale proprio per l'oggetto del desiderio. Per un piromane il fuoco è e sarà sempre la più bella ed eccitante delle donne, l'unica che valga veramente la pena possedere».
C'è una confessione che l'ha colpita?
«Anni fa sono riuscito a convincere un piromane a vuotare il sacco. Ma sto parlando di un-piromane-uno. Bisogna tener presente che nella stragrande maggioranza dei casi siamo di fronte invece a un incendiario, cioè un individuo che ha un interesse preciso a scatenare il fuoco. Il nostro lavoro è capire quale sia questo interesse».
Risalire insomma al movente.
«Certo. Ed è per questa ragione che da tempo mi batto perché l'apparato investigativo venga rafforzato, migliorato e adeguato alla gravità di un fenomeno che ha dimensioni internazionali».
Il caso più eclatante?
«Credo risalga alla primavera del 2009 quando una stazione radio-televisiva mi ha chiesto di tracciare il profilo di un ragazzo accusato di uno degli incendi scoppiati durante il Black saturday. Ricordo bene quella vicenda: il movente era la vendetta nei confronti della sua ex fidanzata, una volontaria dei Vigili del fuoco».
Esiste una classificazione degli incendi?
«A livello mondiale oggi è ormai accettata una distribuzione precisa delle cause degli incendi: volontari (o dolosi), involontari (o colposi), naturali e non classificabili (o di dubbia attribuzione). Le medie a livello internazionale registrano un 50 per cento di cause volontarie, 25 per cento involontarie, 3 per cento naturali e il restante 22 per cento non classificabili. Tutto diventa però più complicato quando vogliamo analizzare le motivazioni che si nascondono dietro un incendio. Ogni realtà ha storie e sviluppi diversi: ecco perché un investigatore deve avere innanzitutto un'eccellente conoscenza del territorio».
E i casi di incendio-suicidio?
«Al di là della forma e dell'atto che il suicidio assume, ciò che accomuna tutti i tentativi di darsi la morte tramite il fuoco sembra essere una marcata volontà di autopunizione. Due studiosi, Barnett e Spritzer, scoprirono fin dal 1994 che gli incendiari erano tra i pazienti con più precedenti per tentato suicidio e per automutilazione».
Come mai?
«Questi soggetti ritengono di poter cancellare ogni traccia di sé attraverso il suicidio. L'aspetto su cui mi soffermerei è proprio questa ambivalenza: da una parte far finta di non essere mai esistiti riducendo in cenere se stessi e il proprio ambiente; dall'altra invece offrire uno spettacolo talmente brutale e spaventoso (come quello di bruciare vivi) che rimarrà sempre impresso nella mente».
Quali sono le abitudini-tipo dell'incendiario?
«Difficile, e a mio avviso perfino scorretto, generalizzare. Dipende che tipologia di incendiario vogliamo prendere in esame. Ovviamente le abitudini e gli stili di vita di un uomo d'affari saranno molto diversi da quelli di uno che vuole soltanto vendicare un torto subìto o che magari vuole protestare contro un sistema che non condivide».
Ma qual è la molla che fa scattare l'idea del fuoco?
«La più disparata. Si passa dal businessman che brucia un'area boscata per poi costruirci sopra una zona residenziale e quelli che invece sentono voci d'angelo o di demoni che li invitano, fino a costringerli, ad appiccare un incendio».
La legislazione è adeguata all'emergenza-fuoco?
«Assolutamente no. Ma l'apparato legislativo non è altro che il risultato di una scarsa presa di coscienza dell'immensa gravità del fenomeno degli incendi, soprattutto boschivi».
Servirebbero squadre investigative specializzate?
«È il mio più grande desiderio, insieme al sogno di riuscire a farne parte. Ma credo che tutto questo resterà una dolcissima utopia ancora per molti anni».
Perché?
«Basti dire che si è cominciato a parlare di investigazione-incendi soltanto a partire dalla fine degli anni '80. Prima d'allora l'argomento era ignoto in tutto il mondo per la semplice ragione che l'unico obiettivo era quello di organizzarsi per spegnere le fiamme e salvare più vite possibile. Ancora oggi ci sono molte resistenze a porsi in un'ottica investigativa».
Come mai?
«Per la semplice ragione che, a livello internazionale, tuttora si ritiene che il 30 per cento degli incendi abbia una causa non ben definita».
E invece?
«Non voglio sostenere che gli incendi siano soltanto dolosi. Ma dico che le ricerche hanno ormai dimostrato che, in tutto il pianeta, oltre il 90 per cento degli incendi è da considerarsi provocato dall'uomo. Di questi, quasi il 60 per cento sono intenzionali, cioè dolosi. Le conclusioni sono sconfortanti: il fatto è che non si vuole capire».
Cosa non si vuole capire?
«Continuare a parlare di prevenzione e di lotta antincendio è oggi assolutamente inutile visto che le statistiche attribuiscono a ragioni dubbie o non accertabili un rogo su due. Non riesce a passare l'idea che dietro gli incendi, in particolare quelli boschivi, c'è troppo spesso la mano di un criminale. E allora mi domando: vogliamo veramente ridurre il numero degli incendi? Investighiamo, non c'è altra scelta».
A proposito: il fuoco appiccato dai pastori è tradizione o crimine?
«La pastorizia è senza dubbio una risorsa vitale. In questo contesto il fuoco - come strumento culturale - non è altro che il fratello maggiore della pastorizia. La protegge, le dà sicurezza fino al punto di garantirne la stessa sopravvivenza. Però fin dal 1756 l'utilizzo del fuoco per rivitalizzare i pascoli è considerata una pratica proibita e pertanto perseguibile dalla legge».
Non è una contraddizione, questa?
«Il mondo è pieno di contraddizioni, a volte la risposta giusta non è sempre quella più logica ed evidente. Uno zingaro che ruba è un delinquente o una persona che rispetta la lunghissima tradizione delle sue radici culturali? Un circense minorenne che non va a scuola per diventare un'attrazione da circo è un fuorilegge o un ragazzo talentuoso che onora la storia della sua famiglia?»
N.b Le foto ivi riportate , non sono dell'articolo ma prese dalla rete , in quanto non so per quale arcano motivo da un paio di mesi nelle edizioni free del quotidiano cioè quelle disponibli dopo le 19 non compaiono le foto degli articoli
Ma ora bado alle ciancie ed m'avvio a raccontare .
Un altro problema oltre all'abbandono degli animali è quello degli incendi . Ecco la storia di chi lotta contro il fuoco
unione sarda del 24\6\2012
È uno dei cento investigatori criminali d'Italia. I serial killer non c'entrano e nemmeno i buonissimi ragazzi che massacrano i genitori nella quiete delle pareti domestiche. La sua specialità è un'altra, incandescente: gli incendi. Studia, come dicono gli addetti ai lavori, la sindrome dell'incendiario.Trentatré anni, romano, Marco De Sisto è laureato in Psicologia, tesi sui comportamenti autolesionistici col fuoco. In Sardegna, e non solo, l'argomento è caldo, anzi caldissimo. Appena comincia l'estate si vacilla sulla solita altalena fatta di speranza e paura: sarà una stagione devastante oppure ce la caveremo con una quantità fisiologica di roghi? Di indagini, o intelligence, come dicono oggi, non si parla. A differenza della caccia a un assassino, quella ad un incendiario non prevede nessuna tecnica investigativa salvo quella dettata dalla fortuna. E solo allora si parla di arresti, si sbatte sui giornali nome e foto del mostro che ha appiccato l'incendio.De Sisto viaggia in un'altra dimensione, segue una rotta decisamente nuova. La sua plancia di comando è al sedicesimo piano di Bourke street, a Melbourne, un palazzone del Central business district, cuore commerciale della città. Ambiente minuto e prevedibile: scrivania, computer, molto disordine, moltissimi libri, carte sparse a piacere.Il pizzetto risorgimentale gli dà un'aria risoluta, decisa. Ma dev'esserci qualcosa di più se fa il pendolare con l'Italia nella veste di prof e consulente delle squadre che si occupano di incendi. Esordio volontario coi Vigili del fuoco, ha sgombrato il campo dagli equivoci con un saggio che risale al 2005. Si intitolava: piromane o incendiario? «Di solito si usano, sbagliando, questi due termini come sinonimi».Nel tempo, insomma, s'è convinto che per debellare gli incendi non bastano le campagne pubblicitarie sui giornali, l'arruolamento in massa di precari, le assunzioni nel Corpo Forestale dettate più da ragioni clientelari che da bisogni veri e propri. L'australiano Bushfire cooperative research centre gli ha finanziato uno studio per disegnare l'identikit dell'incendiario-tipo, non confonderlo col piromane e, soprattutto, organizzare la prevenzione.La risposta, dice lui, è «squisitamente investigativa: se vuoi evitare o ridurre la piaga degli incendi devi capire contro chi stai combattendo». Significa, e la cosa riguarda qualunque Paese del mondo, tratteggiare la psicologia e gli impulsi di chi sceglie il fuoco per farsi giustizia o per mettere a segno una vendetta, aprire la strada a una speculazione edilizia o danneggiare un concorrente.Secondo De Sisto, che viaggia un po' dappertutto per tenere corsi di aggiornamento alle forze dell'ordine, il vero problema è «liberarsi dalla logica, generalista e banale, della lotta agli incendi per aprire un fronte nuovo». Servirebbero, in pratica, gruppi di specialisti che conoscano bene la terra in cui lavorano e il labirinto di interessi che la attraversa. «Io penso a una sorta di procura antincendi, a un team di detective e non di pompieri».
«Da queste parti quell'incendio si chiama Black saturday, Sabato nero. È stato uno dei più devastanti nella storia dell'Australia. Febbraio 2009, Melbourne, Stato del Vittoria. Il bilancio è impressionante: 173 morti, circa 7.500 persone rimaste senza un tetto con un totale di duemila case completamente distrutte e 45mila ettari di terreno devastati. Questo è stato il Black saturday».
L'Italia se la passa decisamente meglio.
«È il terzo Paese europeo più colpito dagli incendi boschivi. Tra il Duemila e il 2008 se ne sono verificati poco meno di ottomila. Le fiamme hanno divorato qualcosa come ottantacinquemila ettari di vegetazione. Ogni anno nel mondo ne vengono inceneriti non meno di 350 milioni».
Qual è la differenza tra piromane e incendiario? «Sono figure che presentano dinamiche motivazionali profondamente differenti. L'incendiario appicca un incendio per tornaconto personale (vendetta, business, protesta o per mascherare altri reati). Il piromane invece lo fa per via di un deficit nel controllo degli impulsi. Metterli sullo stesso piano è come paragonare un drogato ad uno spacciatore».
L'incendiario può essere considerato un malato?
«Dipende dai casi e, soprattutto, da cosa intendiamo con il termine malato. Un soggetto che per qualche migliaio di euro appicca un incendio causando danni irreversibili all'ecosistema nonché la morte di centinaia di esseri viventi è un malato o un sano delinquente?»
Sul piromane invece non ci sono dubbi, andrebbe curato come un maniaco sessuale.
«Negli ultimi anni si è evidenziato un forte collegamento tra il piromane e la sua sfera sessuale compromessa. Di fatto, per questo genere di persone appiccare un incendio e assistere poi al divampare delle fiamme rappresenta lo stesso identico piacere e coinvolgimento provato durante un orgasmo».
Il confronto col maniaco sessuale regge?
«Direi di no. Siamo molto distanti dal poterlo collegare ad un maniaco sessuale proprio per l'oggetto del desiderio. Per un piromane il fuoco è e sarà sempre la più bella ed eccitante delle donne, l'unica che valga veramente la pena possedere».
C'è una confessione che l'ha colpita?
«Anni fa sono riuscito a convincere un piromane a vuotare il sacco. Ma sto parlando di un-piromane-uno. Bisogna tener presente che nella stragrande maggioranza dei casi siamo di fronte invece a un incendiario, cioè un individuo che ha un interesse preciso a scatenare il fuoco. Il nostro lavoro è capire quale sia questo interesse».
Risalire insomma al movente.
«Certo. Ed è per questa ragione che da tempo mi batto perché l'apparato investigativo venga rafforzato, migliorato e adeguato alla gravità di un fenomeno che ha dimensioni internazionali».
Il caso più eclatante?
«Credo risalga alla primavera del 2009 quando una stazione radio-televisiva mi ha chiesto di tracciare il profilo di un ragazzo accusato di uno degli incendi scoppiati durante il Black saturday. Ricordo bene quella vicenda: il movente era la vendetta nei confronti della sua ex fidanzata, una volontaria dei Vigili del fuoco».
Esiste una classificazione degli incendi?
«A livello mondiale oggi è ormai accettata una distribuzione precisa delle cause degli incendi: volontari (o dolosi), involontari (o colposi), naturali e non classificabili (o di dubbia attribuzione). Le medie a livello internazionale registrano un 50 per cento di cause volontarie, 25 per cento involontarie, 3 per cento naturali e il restante 22 per cento non classificabili. Tutto diventa però più complicato quando vogliamo analizzare le motivazioni che si nascondono dietro un incendio. Ogni realtà ha storie e sviluppi diversi: ecco perché un investigatore deve avere innanzitutto un'eccellente conoscenza del territorio».
E i casi di incendio-suicidio?
«Al di là della forma e dell'atto che il suicidio assume, ciò che accomuna tutti i tentativi di darsi la morte tramite il fuoco sembra essere una marcata volontà di autopunizione. Due studiosi, Barnett e Spritzer, scoprirono fin dal 1994 che gli incendiari erano tra i pazienti con più precedenti per tentato suicidio e per automutilazione».
Come mai?
«Questi soggetti ritengono di poter cancellare ogni traccia di sé attraverso il suicidio. L'aspetto su cui mi soffermerei è proprio questa ambivalenza: da una parte far finta di non essere mai esistiti riducendo in cenere se stessi e il proprio ambiente; dall'altra invece offrire uno spettacolo talmente brutale e spaventoso (come quello di bruciare vivi) che rimarrà sempre impresso nella mente».
Quali sono le abitudini-tipo dell'incendiario?
«Difficile, e a mio avviso perfino scorretto, generalizzare. Dipende che tipologia di incendiario vogliamo prendere in esame. Ovviamente le abitudini e gli stili di vita di un uomo d'affari saranno molto diversi da quelli di uno che vuole soltanto vendicare un torto subìto o che magari vuole protestare contro un sistema che non condivide».
Ma qual è la molla che fa scattare l'idea del fuoco?
«La più disparata. Si passa dal businessman che brucia un'area boscata per poi costruirci sopra una zona residenziale e quelli che invece sentono voci d'angelo o di demoni che li invitano, fino a costringerli, ad appiccare un incendio».
La legislazione è adeguata all'emergenza-fuoco?
«Assolutamente no. Ma l'apparato legislativo non è altro che il risultato di una scarsa presa di coscienza dell'immensa gravità del fenomeno degli incendi, soprattutto boschivi».
Servirebbero squadre investigative specializzate?
«È il mio più grande desiderio, insieme al sogno di riuscire a farne parte. Ma credo che tutto questo resterà una dolcissima utopia ancora per molti anni».
Perché?
«Basti dire che si è cominciato a parlare di investigazione-incendi soltanto a partire dalla fine degli anni '80. Prima d'allora l'argomento era ignoto in tutto il mondo per la semplice ragione che l'unico obiettivo era quello di organizzarsi per spegnere le fiamme e salvare più vite possibile. Ancora oggi ci sono molte resistenze a porsi in un'ottica investigativa».
Come mai?
«Per la semplice ragione che, a livello internazionale, tuttora si ritiene che il 30 per cento degli incendi abbia una causa non ben definita».
E invece?
«Non voglio sostenere che gli incendi siano soltanto dolosi. Ma dico che le ricerche hanno ormai dimostrato che, in tutto il pianeta, oltre il 90 per cento degli incendi è da considerarsi provocato dall'uomo. Di questi, quasi il 60 per cento sono intenzionali, cioè dolosi. Le conclusioni sono sconfortanti: il fatto è che non si vuole capire».
Cosa non si vuole capire?
«Continuare a parlare di prevenzione e di lotta antincendio è oggi assolutamente inutile visto che le statistiche attribuiscono a ragioni dubbie o non accertabili un rogo su due. Non riesce a passare l'idea che dietro gli incendi, in particolare quelli boschivi, c'è troppo spesso la mano di un criminale. E allora mi domando: vogliamo veramente ridurre il numero degli incendi? Investighiamo, non c'è altra scelta».
A proposito: il fuoco appiccato dai pastori è tradizione o crimine?
«La pastorizia è senza dubbio una risorsa vitale. In questo contesto il fuoco - come strumento culturale - non è altro che il fratello maggiore della pastorizia. La protegge, le dà sicurezza fino al punto di garantirne la stessa sopravvivenza. Però fin dal 1756 l'utilizzo del fuoco per rivitalizzare i pascoli è considerata una pratica proibita e pertanto perseguibile dalla legge».
Non è una contraddizione, questa?
«Il mondo è pieno di contraddizioni, a volte la risposta giusta non è sempre quella più logica ed evidente. Uno zingaro che ruba è un delinquente o una persona che rispetta la lunghissima tradizione delle sue radici culturali? Un circense minorenne che non va a scuola per diventare un'attrazione da circo è un fuorilegge o un ragazzo talentuoso che onora la storia della sua famiglia?»
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