E' Calabria e sembra Africa. Ma senza alcuna cartolina. Dev'essere
così l'inferno: una landa senza futuro e priva di passato, una distesa di nulla.
Un cane randagio, scalcagnato, avanza nel sole. Le gambe rachitiche
nell'irrespirabile aria ciottolosa.
Non sa nemmeno perché finisca dentro quel bidone di catrame.
Forse inseguiva qualcosa: una farfalla, un segno alato che interrompesse, con
qualche indecifrabile poesia, la monotonia di quella linearità atroce. Resta
intrappolato. Nemmeno si dibatte, nel vischio nero: sa solo supplicare, con quel
guaito prolungato. Che non si capisce se sia dolore o abitudine. I nessuno come
lui si odono solo nel lamento.
Ma, stavolta, non si può ignorare. Piange e sembra che, con
lui, pianga il mondo. Accorrono, gli umani. Chiamano un veterinario. Ma questi,
constatata la sua non appartenenza, lo abbandona al suo destino. Il cane è
privo di padrone. Non esiste.
Flette il capo, sotto il sole. E' lentamente crocifisso. Paga
lo scotto d'una libertà incomprensibile. Prigioniero, più che del bitume,
dell'indifferenza. E' solo come un cane: un numero in meno. Non occorre nemmeno
disfarsi della carcassa: già si trova in uno scarico. Muore per una ricerca di
felicità. A lui è stato concesso solo un allucinato presente.
1 commento:
grande come sempre . toccante . più di mille parole
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