3.1.25

Beatrice Venezi subissata di insulti: le frasi irripetibili. Ecco perché invece va difesa

 premetto che non ho  visto  se  non di sfuggita  la  trasmissione in questione  e   non  sono  uno  specialista    ma  un semplice  profano in tale campo   .  E sono   all'apposto    di lei  politicamente . E a pelle  in mi sta  tanto simpatica  .   Ma  odiando  le  censure  ,  il sessismo (  con  cui sono  in lotta   anche  contro me  stesso )  . 
Quindi  concordo in linea  di massima    tranne   per  quello che dice  su  Augias  . infatti https://www.facebook.com/lorenzotosa.antigone



Quella di Corrado Augias all’inizio di “Viva Puccini” su Rai 3 (o quello che ne resta) non è un’imitazione - che è sempre legittima, per tutti - ma un becero tentativo di insultare, offendere e
delegittimare uno straordinario professionista come Augias, presentato come una specie di vecchio rincogl***** con lo sguardo vacuo e da accompagnare alla porta.
È la misera vendetta dei servi Rai (lo capisci da quel riferimento a La7) nei confronti di un giornalista libero e un grande uomo di cultura che ha scelto di andare altrove per continuare a fare in autonomia il proprio mestiere e che osa criticare la Presidente del Consiglio.
Tutti possono essere imitati, anche in modo salace, e non a caso lo stesso Augias era stato brillantemente imitato da Ubaldo Pantano proprio in Rai qualche anno fa senza che nessuno abbia alzato un sopracciglio. Perché era stato fatto con intelligenza e satira, da un imitatore serio.
In “Viva Puccini” c’era solo il trionfo della piccineria, del dilettantismo e della raccomandazione (con Beatrice Venezi improvvisamente assurta a novella Muti).
Nessuno è immune alla satira, neanche Augias. Solo che la satira bisogna saperla fare.
E su Telemeloni non sanno neanche dove stia di casa.
Certa gente, uno come Augias, non è neanche degna di nominarlo. Altro che imitarlo.


 con    questo post  articolo preso da  https://www.milleunadonna.it/spettacoli/ del  3\1\2025  preso tramite il portale virgilio.it     

 

di Massimiliano Lussana

Le critiche a Venezi pare siano sostanzialmente basate su sei circostanze: è donna, è bella, è giovane, è elegante, è bionda ed è di destra

Ogni giorno, aprire i social significa imbattersi in un nuovo “mostro”. E il mostro di Capodanno era Beatrice Venezi, la direttrice - anzi, “direttore” come piace a lei, scelta linguistica che le ha attirato strali di ogni tipo, come fosse un’offesa - d’orchestra lucchese protagonista di “Viva Puccini!”,





il programma che ha raccontato il più grande genio della
lirica a cavallo fra Ottocento e Novecento (a parere di chi scrive secondo solo a Mozart, ma questi sono gusti) su Raitre la sera del primo gennaio.
"Scuotimenti di chiome e di anche" Potrei riempire centinaia di righe con le parole riservate alla Venezi, ma mi limito ad alcune, quelle che era possibile trovare sui suoi profili e ve ne propongo alcune, fior da fiore. A partire dal primo commento, che scatena immediatamente il dibattito: “Uno spettacolo sempre più modesto, tra scuotimenti di chiome e di anche. Quanto poi alla pretesa di essere chiamata "maestro", si evidenzia la totale mancanza di conoscenza della lingua italiana, come nel caso della sua amica Giorgia!”. Commenti sempre più cattivi
Insomma, la povera Beatrice è trasformata in una sorta di punching ball vivente, su cui scatenarsi, nemmeno fosse una pericolosa delinquente o un’usurpatrice di ruoli.
E poi, andando avanti: “Pubblicità per lo shampoo”, “Arte totalmente assente”, “Leccaf... della canara albanese” (ho messo i puntini per l’assoluta inconsistenza e volgarità dell’argomentazione), “Se resti in Argentina per sempre ci fai piacere”, “L'assalto è stato ben lanciato e riuscito: il mediocre ha preso il sopravvento. L'abilità principale di un mediocre? Riconoscere un altro mediocre”. E via di questo passo. Venezi come punching ball vivente E poi, anche a livello di critica, legittima per carità, ci mancherebbe altro, ci si è imbattuti nella “giovane Bellicapelli lucchese” e nel “balcone di piazza Venezi” che almeno fa intuire una qualche reminiscenza storica del titolista. Ignobile tiro al bersaglio E invece. E invece vi racconto perché la difendo e perché penso che questo osceno tiro al bersaglio non colpisca affatto il bersaglio, ma anzi in qualche modo la rafforzi ulteriormente, anche perché lei sa essere ironica e autoironica: il giorno prima della
trasmissione su Puccini aveva previsto le stroncature e persino nell’imitazione di Corrado Augias – forse un po’ eccessiva e magari non raffinatissima, ma ad esempio non è mai stato detto niente di simile quando le imitazioni prendevano in giro personaggi non ascrivibili all’area culturale di Augias, penso ad esempio ad alcuni antichi personaggi di Neri Marcorè o a quelli di Maurizio Crozza, entrambi straordinari e vivaddio capaci di prendere in giro indifferentemente gli uni e gli altri – il “simil Augias” ironizzava sul fatto che “dirige solo perché è bionda”. Il perché delle critiche Insomma, sinceramente penso che le critiche a Beatrice Venezi siano dovute sostanzialmente a fattori che con la musica non hanno nulla a che fare. Come direttore può piacere più o meno – a me pare che, nonostante una gestualità un po’ troppo eccessiva sia in crescita continua e, visto che è ancora giovanissima, possiamo aspettarci per il futuro livelli di eccellenza assoluta, ma anche qui siamo nel campo dei gusti personali - ma il punto è che le critiche alla Venezi siano sostanzialmente basate su sei circostanze: è donna, è bella, è giovane, è elegante, è bionda ed è di destra. Le simpatie politiche Credo che nessuna delle circostanze sia una colpa, anzi apprezzo anche il fatto di non aver paura di esprimere anche le sue simpatie politiche, senza vergognarsi delle sue idee, in un mondo dove essere “di destra” non è certamente un valore aggiunto, come quello dello spettacolo. Simpatie che che le sono costate in passato attacchi da parte di musicisti palermitani (“è solo un fenomeno mediatico”) o urla degli spettatori al concerto di Capodanno a Nizza (“Via i fascisti dall’opera”), che fecero giustamente insorgere non solo il governo, ma anche artisti di sinistra illuminati come Alessandro Gassmann. Quindi, uscirei dai pregiudizi per dedicarmi ai giudizi rispetto alla trasmissione di ieri sera, di cui Beatrice è stata non solo direttore d’orchestra e presentatrice insieme a Bianca Guaccero, ma anche ideatrice, forte della sua passione da concittadina lucchese del divino Puccini. Gli ascolti E quindi parto dalla fine, cioè dai risultati d’ascolto con 750mila spettatori pari al 5,02 per cento di share, i televisori accesi su Raitre su cento, e 842mila spettatori per i 13 minuti di anteprima pari al 4,52 per cento di share, che hanno collocato il programma a un passo dal podio dei più visti della serata, ed è un grandissimo risultato considerando che si parlava di lirica, che non è il più facile degli argomenti in televisione e che si era su Raitre e non su Raiuno, sede probabilmente più adatta a questo spettacolo, come mi ha fatto giustamente notare la persona che mi ha fatto amare la lirica. Quindi, non stiamo parlando di un programma perfetto, anzi c’erano alcune ingenuità e i classici problemi connaturati alla contaminazione fra linguaggi diversi; ma la chitarra elettrica di Maurizio Solieri che richiama Jeff Beck su “Nessun dorma”, il brano del “Fantastico” di Franca Rame sullo stupro per raccontare il laido Scarpia nell’approccio a Tosca, così come fare vedere “quanto si era più liberi” quando cantavano in prima serata Mina e Johnny Dorelli, sono effettivamente idee. Così come la raffinatezza di Malika Ayane che emoziona cantando “Adesso e qui (Nostalgico presente)”, la splendida canzone scritta fra gli altri con Gino De Crescenzo, Pacifico, ricordando che fu proprio la “Tosca” il suo approccio alla Scala come provino per le voci bianche. E poi molto ha funzionato bene, a partire da Enrico Stinchelli nei panni di Virgilio attraverso l’opera, ripercorrendo lo stile de “La Barcaccia”, uno dei tanti gioiellini della Radiotre di Andrea Montanari. Ma forse il vero capolavoro della serata è stata l’intervista di Beatrice Venezi a Giordano Bruno Guerri sui rapporti fra Gabriele D’Annunzio e Giacomo Puccini. Ma, soprattutto, un’intervista sui “disorganici”, su quelli che non piacciono alla gente che piace, su quelli che non sono mainstream. Ed è chiarissimo che Guerri e Venezi si identificano appieno in queste categorie, tanto che poi tocca nuovamente a Maurizio Solieri e a “C’è chi dice no”, che è forse la canzone di Vasco Rossi che più fotografa tutto questo. L’altra è “Gli spari sopra”. Perché gli spari sopra sono per Beatrice Venezi. Troppo donna. Troppo bionda. Troppo di successo. Troppo di personalità e diretta. Troppo adatta alla prima serata tv.

La battaglia giusta Cecilia Sala e il silenzio complice sui 141 giornalisti uccisi da Israele a Gaza Storia di Umberto De Giovannangeli Unita.it

 Per i giornalisti abbattuti come quaglie in Palestina, silenzio di tomba ; per una "svampita"   secondo  molti detenuta in Iran, ricevimenti a Palazzo Chigi e consigli di ministri a spron battuto.Insomma, un pochino di equilibrio non farebbe male.Giustamente, (lo riscriviamo in maiuscolo: GIUSTAMENTE) le prime pagine dei giornali riportano la drammatica vicenda di una giornalista coraggiosa, che fa onore alla nostra tanto, e spesso a ragione, vituperata categoria. In Iran Cecilia Sala cecava di raccontare un Paese che ama, che conosce come pochi altri. Giornalista libera, con la schiena dritta. Per questo invisa dal regime teocratico-militare iraniano. Free Cecilia, Subito, è un impegno da ottemperare, innanzitutto


da chi ha responsabilità di Governo.Ma i giornalisti non sono invisi solo nei Paesi retti da regimi marcatamente autoritari. I giornalisti, quelli davvero indipendenti, sono testimoni scomodi, da neutralizzare, anche in Paesi che la nostrana stampa mainstream continua a narrare come l’”unica democrazia in Medio Oriente”, cioè Israele. Mai, come in questo conflitto, rimarca Daniele Mastrogiacomo per Professione Reporter, sono morti tanti giornalisti. Nemmeno durante i due conflitti mondiali. “Da quando è iniziata la guerra a Gaza”, conferma Carlos Martinez de la Serna, direttore del Programma Cpi, “i nostri colleghi hanno pagato il prezzo più alto, la vita, per i loro reportage. Senza protezione, equipaggiamento, presenza internazionale, comunicazioni, cibo e acqua, continuano a svolgere il loro lavoro cruciale per dire al mondo la verità”. Mai, come accade a Gaza, è stato vietato l’ingresso alla stampa internazionale, che dal 7 ottobre 2023, giorno della strage di Hamas nei kibbutz del sud di Israele, ancora oggi è costretta ad affidarsi alle notizie fornite dai colleghi che si trovano all’interno della Striscia. Un divieto imposto da Israele, su un territorio che non è il suo, sulla base di criteri di sicurezza che servono a tenere all’oscuro il mondo su quanto accade.È grazie ai giornalisti, operatori, fotografi e blogger palestinesi se abbiamo potuto vedere, non solo ascoltare o leggere, ma vedere con i nostri occhi il lento sterminio che sta avvenendo. Dietro ognuno di quei 202 operatori dell’informazione ci sono dei visi, dei nomi e delle storie. Ci vorrebbe un libro per raccontarle tutte. Qui possiamo solo ricordare quanto riporta il Cpi alla data del 20 dicembre 2024: 141 giornalisti e operatori dei media uccisi, di cui 133 palestinesi, due israeliani e sei libanesi. Feriti altri 49, due scomparsi, 75 arrestati. Senza considerare le aggressioni, le minacce, gli attacchi informatici, la censura, gli omicidi dei familiari, per ritorsione o vendetta. In un video messaggio, la giornalista Madlin Shaqaleh, 39 anni, ha dichiarato ad ActionAid: “La sfida più grande per noi è che abbiamo perso le nostre case e i nostri cari. Ho perso mia sorella e mia nipote e non ho potuto vederla né dirle addio. Questa è stata una grande sfida che mi ha fatto decidere di continuare la mia carriera giornalistica e di parlare della sofferenza dei giornalisti e della nostra sofferenza come cittadini e delle circostanze in cui viviamo, che sono davvero eccezionali. Le persone mi chiedono: perché continui ancora a lavorare? Ma io sento che, anche se un giorno mi aspetterà la morte, devo dar seguito al mio percorso, al messaggio, alla mia profonda fede e alla mia causa”.Riham Jafari, coordinatrice delle attività di advocacy e comunicazione di ActionAid Palestina, ha dichiarato: “Se non fosse per l’eroismo e il coraggio dei giornalisti palestinesi che lavorano in condizioni incredibilmente pericolose e difficili, il mondo sarebbe quasi del tutto all’oscuro della terribile situazione a Gaza. Le autorità israeliane devono consentire ai reporter internazionali un accesso libero e senza restrizioni a Gaza e garantire la sicurezza a tutti i giornalisti. L’entità della crisi è schiacciante: è necessario un cessate il fuoco immediato e permanente, per porre fine alle uccisioni e consentire l’ingresso di aiuti nel territorio”. Un appello da sostenere, quello lanciato da Paola Caridi, giornalista, scrittrice, profonda conoscitrice della realtà d’Israele e della Palestina.Cinque giornalisti uccisi. In un soffio. In un solo attacco aereo mirato. Bruciati vivi nel pulmino che recava la scritta Press ben in vista. Stampa. Stampa che documenta il massacro, i massacri. È stata superata quota 200. Oltre 200 giornalisti e operatori dell’informazione palestinesi uccisi a Gaza dalle forze armate israeliane dall’ottobre 2023. È una cifra in difetto, quota 200. Non comprende i familiari uccisi assieme ai giornalisti. La giustizia verrà, anche per quello che è a tutti gli effetti un crimine di guerra. Nel frattempo, vorrei che si levasse alta e all’unisono la condanna da parte di tutti noi giornalisti. Alta, all’unisono, compatta: mai nella Storia sono stati uccisi così tanti giornalisti e giornaliste in un solo territorio, in così poco tempo. Mai. Non è una richiesta corporativa. I giornalisti palestinesi sono i nostri occhi e la nostra voce. Testimoniano i fatti, documentano il genocidio in corso a Gaza. Ammazzarli significa tentare di coprire i crimini con il silenzio. La loro uccisione riguarda tutti.”Hai ragione, Paola. Riguarda tutti. O almeno dovrebbe. Un appello che va sostenuto, rafforzato, con la stessa determinazione con cui oggi diciamo alto e forte Free Cecilia.

non sempre è necessario che un fumetto continui dopo la morte degli autori per essere grande il caso dei Penauts di Schulz venticinque anni fa l’ultima striscia. L’uscita di scena del loro papà fu indimenticabile


 

Leggi  anche  


 https://it.wikipedia.org/wiki/Peanuts
https://www.doppiozero.com/charles-m-schulz-i-cento-anni-del-papa-dei-peanuts


A volte  per ragioni diverse (  fama   duratura , indotto  economico  ,  desiderii  dei fans    di  vedere \ leggere  ciò  che riguarda  i  loro  beniamini  )   i personaggi dei fumetti o  dei cartoni animati    tendono a sopravvivere ai loro genitori. Dal seriale a quello d’autore, dai manga ai supereroi, capita sempre più raramente di vedere un pronipote di Yellow Kid abbandonare il palcoscenico delle nuvole parlanti e ritirarsi a miglior vita seguendo le orme del proprio creatore verso il Walhalla delle storie.Infatti  negli ultimi anni abbiamo infatti visto tornare a popolare gli scaffali delle librerie un Corto Maltese in grandissimo spolvero, anche se per opera di autori ben diversi da Hugo Pratt, mentre gli invincibili galli armoricani, nemesi delle legioni romane di Cesare non li hanno mai abbandonati, seppur senza le storie di Goscinny prima e ora privi anche delle matite di Uderzo. E se il 2024 ha reso orfani anche il Martin Mystere del compianto Alfredo Castelli e l’invincibile Goku di Akira Toriyama, vendite alla mano si può essere abbastanza sicuri che il pubblico preferisca evitare di veder calare il sipario sui loro personaggi preferiti per poterne seguire le orme ancora un altro po’.Ma  ,come  dicevo nel  titolo , ci sono  anche  delle  eccezioni   ed  una  di    queste  è  quella  dei Penauts  . Se infatti i suoi personaggi continuano a godere di ottima salute in nuove avventure declinate attraverso media diversi che vanno dai cartoni animati ai videogiochi, grupppi  social   , ecc   la loro dimensione naturale, ossia le strisce, li ha visti salutarci una volta e per sempre proprio per volontà del loro autore.Dopo aver disegnato l’ultima striscia di una cinquantennale carriera il 3 gennaio del 2000, poi pubblicata 40 giorni dopo, il geniale papà di Snoopy, Linus e Charlie Brown, in accordo con la famiglia, decise di ritirarsi dall’impegno che lo aveva assorbito quotidianamente per tutta la vita, e di portarsi via il pallone, convinto che i suoi personaggi avrebbero approvato.Per un bizzarro tiro del fato infatti, la striscia in cui Charlie Brown rispondeva al telefono indicando che Snoopy/Schulz stesse scrivendo venne pubblicata proprio il giorno successivo alla sua morte. Un’uscita di scena indimenticabile e tempestiva, perfettamente in linea con la puntualità dell’autore che, convinto di non poter più sostenere l’impegno nei confronti di lettori, editore e personaggi, si accomiatava da quel mondo di “noccioline” che, in ogni lingua e a ogni latitudine, aveva accompagnato generazioni e generazioni di lettori con una soave, intelligente leggerezza.Lucy, Linus, Woodstock, Patty, Schroeder e tutti gli altri personaggi continuano, un quarto di secolo dopo quell’addio, a vivere nelle strisce dei Peanuts che hanno continuato ad essere ristampate, ma mai aggiornate da altri autori, perché solo il loro creatore sarebbe stato in grado di portarle avanti nel modo giusto. E non per l’assenza di una formula, perché in tempi di intelligenza artificiale tutto può essere replicato (a eccezione del genio), ma perché non sarebbe stato possibile ottenere un effetto sincero.Oggi il repertorio di quei personaggi, scolpito eternamente nell’immaginario collettivo mondiale, suscita ancora le stesse emozioni, pur essendosi ormai allontanato dal tempo in cui veniva concepito. Perché il tempo dei Peanuts è una dimensione di non-tempo, un presente eterno in cui l’infanzia dura per sempre riflettendo le penurie del mondo adulto per addolcirle, in cui un bracchetto vestito da Barone Rosso può sempre spiccare il volo pilotando la sua cuccia, o in cui una partita di baseball che non può essere vinta viene comunque giocata all’infinito come memento della visione dell’autore. Un autore che però, almeno una volta, ha concesso a Charlie Brown di colpire quella maledetta palla e di fare un home run, anche se non ha fatto in tempo a fargli calciare, nemmeno una volta, il pallone da football. Che dispetto!In quella che potrebbe quasi essere considerata un’accogliente, serena rassegnazione c’è tutto un mondo filosofico, ironico e titanico, capace di farci vivere ancora oggi le storture di ogni quotidianità con un sorriso malinconico che può riassumersi tutto, ma proprio tutto, in una battuta capace di stare dentro un’unica vignetta: misericordia ! .  Infatti    come fa  notare  https://downtobaker.com/2019/08/24/come-i-peanuts-hanno-creato-uno-spazio-per-pensare/   essi  sono ancora   , nonostante  siano   passati    quasi 80 anni più precisamente  dal 2 ottobre 1950 al 13 febbraio 2000 (giorno dopo la morte dell'autore) , immortali   .  





2.1.25

mia riflessione su acca larentia

  di cosa  stiamo   parlando 


Strage di Acca Larenzia
 è la denominazione giornalistica[1] del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978, per opera di un gruppo armato afferente alla estrema sinistra, nel quale furono uccisi due giovani appartenenti al Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano.A tali fatti è strettamente legata la morte di un terzo militante Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo negli scontri con le forze dell'ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell'agguato.L'agguato, rivendicato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, contribuì a una degenerazione della violenza politica e dell'odio ideologico tra le opposte fazioni estremiste negli anni di piombo, oltre che al mantenimento di uno stato di tensione caratteristico della Prima Repubblica.  segue   su  Strage di Acca Larenzia - Wikipedia


Cari  lettori   non fraintendetemi   quando  ho scritto :<<  
Targa abusiva ad Acca Larentia. Il Pd insorge e il Campidoglio la rimuove .  farà  una  cosa  simile    per  la  manifestazione del  7 gennaio ? >>  Io   non  voglio   vietare  a coloro  che  (  certi eventi  non  dovrebbero  avere  colore politico  )  vogliono ricordare  \  celebrare tale evento  Ma  sto  solo     criticando    con quella   forma  interrogativa  il modo     con cui   lo  si  commemora  ovvero i saluti romani  il rito di preseneve marce svastiche / militari
Infatti   da   un paio  d'anni  il dibattito attorno alla commemorazione di #AccaLarentia mette in luce una questione più ampia: il significato della #memoriastorica in una società democratica. La commemorazione di #eventitragici come la strage di Acca Larentia appunto  non dovrebbe essere solo un momento di #ricordo, ma anche un’opportunità per #riflettere sulle lezioni del passato e per promuovere una cultura di pace e rispetto. Tuttavia, la polarizzazione politica e le tensioni sociali rendono difficile raggiungere un consenso su come e perché commemorare. La sfida è quella di trovare un #equilibrio tra il diritto di commemorare e la necessità di condannare ogni forma di : violenza , intolleranza. , rigurgiti del passato che    ancora  non passa   e  come un fenomeno carsico  ritorna   a galla  
Ma  sopratutto  evitare   come   ho   già  detto  sempre  nel post precedente :<<  [....]  ogni anno al 7 di gennaio giorno della strage di Acca Larentia ci troviamo con i soliti saluti fascisti e le solite marce svastiche Chi usa la tragedia dei morti di ieri strumentalmente per propagandare nel presente le follie del fascismo di oggi ne infanga la memoria e non merita alcun rispetto. In  quanto vuole usare   quelle  vicende    dolorose  di quel  periodo  terribile che  ha  insanguinato  l'italia  per  30  anni  per  scopi  strumentali   \ ideologici       di    tali   eventi  drammatici  . >> con questo è  tutto 

diario di bordo n 95 anno III La coppia con l'autismo scoperto da adulti: «L'ansia per i vestiti, al supermercato con le cuffie anti rumore» .,A 8 anni sopravvive 5 giorni in un parco con leoni in Zimbabwe




La coppia con l'autismo scoperto da adulti: «L'ansia per i vestiti, al supermercato con le cuffie anti rumore»

Ripubblichiamo l’intervista di Enea Conti a Martina Monti e Pippo Marino, pubblicata ad aprile, una delle più apprezzate dalle nostre lettrici e dai nostri lettori nel 2024

«La percezione è che la gente non abbia idea di che cosa sia l’autismo. Tanti pensano a Rain Man il film con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Altri pensano al bambino che si dà i

pugni in testa. Ma la verità, anzi, la realtà è un'altra ed è molto diversa». Martina Monti, 35 anni, e Pippo Marino, 48 anni, sono marito e moglie. Lei, impiegata in un patronato Cgil a Ravenna, con alle spalle un passato da assessore comunale, lui, insegnante di inglese, vicepreside del Liceo artistico della città. Hanno deciso di raccontare la loro storia personale: entrambi hanno ricevuto una diagnosi da adulti. Una parte della popolazione su cui non esistono dati di incidenza di questo disturbo mentre al contrario è noto che in Italia 1 bambino su 77 ha ricevuto una diagnosi di autismo. Martina e Pippo si sono conosciuti nel 2017. 

«Fu un innamoramento lentissimo, ed entrambi siamo arrivati insieme a ricevere questa diagnosi». Spesso, però, tanti adulti con disturbi dello spettro autistico non riescono ad intraprendere alcun percorso. «Io, Martina, ho fatto anni di psicoterapia e ho scoperto spesso che la psicoterapia non è tarata sull’autismo lieve e quindi sull’autismo nell’adulto. Nessuno mi ha mai suggerito di pensare allo spettro autistico. Nonostante i soldi investiti sulla psicoterapia. Vogliamo raccontare la nostra storia per fornire un input ad altre persone in difficoltà».

Martina e Pippo, come siete arrivati alla diagnosi da adulti?

«Una cara amica di Martina ha un figlio che soffre di disturbi dello spettro autistico e lei stessa è arrivata alla stessa diagnosi dopo aver notato certe similitudini tra i propri comportamenti e quelli del figlio. In Martina rivedeva alcuni comportamenti simili ai suoi e Martina, a sua volta, vedeva in me comportamenti altrettanto simili. Entrambi abbiamo sempre avuto a che fare con gli psicoterapeuti perché i nostri problemi di ansia, cito in particolare l’ansia sociale. Questa nostra amica ci ha consigliato il centro "Cuore mente lab" di Roma, tra i pochi specializzati in Italia per quel che riguarda i disturbi dello spettro autistico negli adulti. A Roma venne fuori che entrambi rientravamo non solo all’interno dello spettro autistico ma anche nel adhd ovvero il disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Altro disturbo frequentemente diagnosticato nei bambini ma meno negli adulti».

Video consigliato: Viaggiare Con L'Autismo: 5 Consigli Per Le Situazioni Stressanti (unbranded - Lifestyle Italian)

Potete fare un esempio concreto, tratto dalla vita di tutti i giorni?

Martina: «Banalmente stare fermi davanti a una scrivania per otto ore a lavoro per una persona neurotipica può sembrare la cosa più banale, facile e normale del mondo. Per chi come me ha un adhd, che sono iperattiva e faccio un lavoro impiegatizio è molto dura: devo necessariamente muovere le mani, per esempio con le palline o il fidgets spinner. Non è un disagio da poco e non è immaginabile da un neurotipico. Che magari può comprendere in senso assoluto il bisogno di muoversi ma non può intuire il nostro punto di vista. Ecco, immaginate quanto possa essere terribile fare un colloquio di lavoro: può capitare di mostrare certi atteggiamenti come mangiarsi le unghie – e faccio solo un esempio - che se esplicitati da una persona neurotipica tradiscono insicurezza, nervosismo, svogliatezza ma che nel mio caso sono semplicemente manifestazioni di iperattività, e quindi un disturbo».
Pippo: «Io ho sempre avuto la sensazione di essere diverso dagli altri. Spesso venivo emarginato, subivo bullismo, non riuscivo ad adeguarmi ai giochi che facevano gli altri bambini. Per compensare ho iniziato a fare il "camaleonte", imitavo. Durante l’infanzia gli altri bambini, durante l’adolescenza gli altri ragazzini e così via. Insomma cercavo di essere accettato dalla microsocietà di cui facevo parte. Pensavo in qualche modo di essere sbagliato o mal funzionante, per questo cercavo di imitare gli altri. È stata una sofferenza: non sei autentico ma indossi una maschera. Non uso termini casuali: in gergo medico questa tendenza si chiama proprio masking. E il masking genera ansia, attacchi di panico e talvolta il ricorso a psicofarmaci, per esempio antidepressivi. Va fatta però una premessa. Diciamo un masking buono: viviamo in un mondo fatto per neurotipici e questo è un dato di fatto. Il masking talvolta serve per sopravvivere. Ma c’è anche un masking cattivo che implica lo snaturarsi, l’essere completamente un’altra persona senza lasciare un briciolo di spazio alla propria soggettività. Succede che perdi te stesso e cominci ad avere attacchi di panico

Lei Martina, ha un passato da assessore. Neppure troppo recente, la sua nomina risale al 2011. E la premessa è che oggi ha 35 anni all’epoca ne aveva 23. Giovanissima. Come visse quell’esperienza?

«Gli autistici hanno interessi "assorbenti", interessi da cui vengono interamente assorbiti per tutta la giornata. Io non facevo altro che leggere libri di politica nazionale e internazionale e locale. Ero informatissima sulla "teoria" politica ma anche sui discorsi che questo o quel politico facevano. E quindi "camaleonticamente" ero perfettamente in grado di tenere un discorso in pubblico. Poi una volta diventata assessore si palesò la necessità di confrontarsi direttamente con le persone, elettori, colleghi, cittadini. E bisognava farlo con una delega complicata come quella alla Sicurezza e tempo da investire per studiare e laurearmi in giurisprudenza. All’epoca non sapevo di essere autistica: l’interazione sociale era diventata insostenibile, tanto che fui ricoverata due volte al pronto soccorso perché avevo sofferto di coliche allo stomaco. I medici dissero che erano dovute al fatto che non si decontraeva più per lo stress. Posso dire che probabilmente non rifarei tornando indietro nel tempo l’esperienza di assessore».

Che percezione credete abbia la società delle persone con disturbo dello spettro autistico?

«La percezione è che la gente non abbia idea di che cosa sia l’autismo. Tanti pensano a “Rain Man” il film con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Quando va male in tanti pensano al bambino che si dà i pugni in testa. Ma la verità è che non si ha la più pallida idea di che cosa sia l’autismo. A volte la sensazione è che la società considera gli autistici dei "poveri handicappati" talvolta, azzardiamo, anche con un’accezione negativa screditante. La verità è che la definizione “spettro autistico” ha un significato preciso e ampio: c’è una gamma enorme di sfumature. Ci sono le persone non verbali, che non riescono a comunicare e a interagire. Sono casi gravi e difficili. E poi ci sono altri casi: noi per esempio siamo stati diagnosticati ad alto potenziale cognitivo. Ma anche con un q.i. superiore alla media abbiamo difficoltà notevoli. Martina ha avuto diritto alla legge 104 per avere una riduzione dell’orario di lavoro necessaria ad evitare il burnout. Significa andare in esaurimento mentali da sovrastimoli».

Che cosa intendete per sovrastimoli?

«Vale la pena fare un esempio. Non faccio più la spesa. Entrare al supermercato costa uno stress pari a un giorno di lavoro intero: luci alte, le persone intorno, il fastidio di essere toccati. Quando ci vado devo andarci con le cuffie anti rumore, perché sono "iper-uditiva". C’è chi, invece, soffre molto le luci perché percepisce molti più input luminosi rispetto al normale. Personalmente, molti vestiti mi fanno venire l’ansia se indossati, certe texture mi innervosiscono. Sono esempi di sovrastimoli».

La vostra storia è stata raccontata parecchie volte in questi giorni. Il motivo che vi ha spinto a renderla nota?

«Creare un po’ di curiosità. Tante persone si riconosceranno in alcuni tratti nella nostra storia. E magari molte di loro, che forse sono in cura per l’ansia o altri disturbi, potrebbero scoprire che in realtà hanno un problema di neuro divergenza. Per loro sarà una porta da aprire per vivere in pace. Non ci illudiamo e non illudiamo nessuno, la qualità della vita è pressoché la stessa dopo la diagnosi: noi però siamo molto più consapevoli, non ci colpevolizziamo per quello che siamo, come un tempo e ci accettiamo. È molto liberatorio poter dire "non sono io che non funziono ma sono neuro divergente". Io, Martina, ho fatto anni di psicoterapia e ho scoperto spesso che la psicoterapia non è tarata sull’autismo lieve e quindi sull’autismo nell’adulto. Nessuno mi ha mai suggerito di pensare allo spettro autistico. Nonostante i soldi investiti sulla psicoterapia ero sempre allo stesso punto».


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(ANSA) - ROMA, 02 GEN - Un bambino di otto anni è stato trovato vivo dopo essere sopravvissuto per cinque giorni in un parco abitato da leoni ed elefanti nel nord dello Zimbabwe. Lo scrive la Bbc citando un membro del parlamento del Paese.IL calvario è iniziato quando il ragazzino, Tinotenda Pudu, si è perso a 23 km da casa nel "pericoloso" Matusadona Game Park, ha detto su X il parlamentare del Mashonaland West Mutsa Murombedzi. 


Il bambino ha trascorso cinque giorni "dormendo su uno sperone di roccia in mezzo a leoni ruggenti, elefanti e mangiando frutti selvatici", ha detto. Il parco giochi di Matusadona conta circa 40 leoni e per un periodo ha avuto una delle più alte densità di popolazione di questi animali in Africa, secondo African Parks citato da Bbc. Murombedzi ha detto che il bambino ha usato la sua conoscenza della natura selvaggia e le sue abilità di sopravvivenza per rimanere in vita. Tinotenda è sopravvissuto mangiando frutti selvatici, ha scavato piccoli pozzi nei letti asciutti dei fiumi con un bastone per procurarsi acqua potabile, un'abilità che viene insegnata in questa zona soggetta a siccità. I membri della comunità locale di Nyaminyami hanno organizzato una squadra di ricerca e hanno suonato tamburi ogni giorno per riuscire a riportarlo a casa. Alla fine sono state le guardie forestali a recuperare il bambino: al suo quinto giorno nella natura selvaggia, Tinotenda ha sentito l'auto di una guardia e le è corso incontro mancandola di poco, ha detto il parlamentare. Fortunatamente, le guardie forestali sono tornate indietro e hanno individuato "piccole impronte umane fresche", hanno quindi setacciato la zona finché non lo hanno ritrovato. "Questa era probabilmente la sua ultima possibilità di essere salvato dopo 5 giorni nella natura selvaggia", ha detto il parlamentare  Il parco ha una superficie di oltre 1.470 km quadrati e ospita zebre, elefanti, ippopotami, leoni e antilopi. Sui social media, gli utenti hanno celebrato la forza e l'istinto di sopravvivenza del bambino: "Avrà una storia incredibile da raccontare quando tornerà a scuola". (ANSA).

Sopravvissuta all'Olocausto, ha vinto 10 medaglie alle Olimpiadi: Agnes Keleti si è spenta a 103 anni

  fonti  corriere dela sera tramite msn.it  e https://www.thesocialpost.it/ e https://www.ilmessaggero.it/video/sport/ per il video

Agnes Keleti, una delle più grandi atlete ebree della storia, è morta a 103 anni in Ungheria. Sopravvissuta all’Olocausto, era la campionessa olimpica vivente più anziana, con 10 medaglie conquistate nella ginnastica . “Avrebbe compiuto 104 anni giovedì prossimo”, un traguardo che avrebbe celebrato con lo stesso spirito indomabile che l’ha sempre contraddistinta.Nata Agnes Klein nel 1921, la sua carriera fu drammaticamente interrotta dalla Seconda guerra mondiale e dalla cancellazione delle Olimpiadi del 1940 e 1944. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, fu costretta ad abbandonare la squadra di ginnastica e a nascondersi nella campagna ungherese sotto una falsa identità, lavorando come domestica. La madre e la sorella sopravvissero grazie al diplomatico svedese Raoul Wallenberg, ma il padre e altri familiari furono deportati e morirono ad Auschwitz.
Dopo la guerra, Keleti tornò ad allenarsi con determinazione. Sebbene un infortunio le avesse impedito di partecipare alle Olimpiadi di Londra del 1948, il debutto a Helsinki nel 1952 la vide brillare: un oro, un argento e due bronzi negli esercizi a corpo libero. La consacrazione definitiva arrivò alle Olimpiadi del 1956 a Melbourne, dove conquistò 4 ori e 2 argenti.
Agnes è rimasta un’icona anche dopo il ritiro. Nel 2017 ha ricevuto il prestigioso Premio Israele, mentre l’Ungheria l’aveva già insignita del titolo di “Atleta della Nazione” nel 2004. Sorprendentemente, ha continuato a eseguire spaccate fino ai 90 anni, dimostrando che la sua forza andava ben oltre il tempo . i.
Keleti conquistò le medaglie olimpiche in due edizioni dei Giochi: Helsinki 1952 e Melbourne 1956, dove batté la leggendaria ginnasta sovietica Laris Latynina. Ha dovuto aspettare, dopo un mucchio di occasioni sfuggite: prima a causa della guerra, poi per un infortunio che l'ha costretta a rinunciare ai Giochi del 1948 a Londra. Era sopravvissuta agli orrori dell'Olocausto, aveva dovuto lasciare la ginnastica e superare il dolore per la scomparsa del padre e di diversi parenti, uccisi dalla ferocia nazista nel campo di concentramento di Auschwitz. Agnes si è salvata e con lei anche mamma e sorella.
 


Keleti è considerata una delle più grandi atlete ebree di sempre ed era la campionessa olimpica vivente più anziana: era nata a Budapest il 9 gennaio 1921 e giovedì prossimo avrebbe compiuto 104 anni. Agnes ha ottenuto anche successi importanti in Italia: ai Campionati del Mondo di Roma 1954 si è laureata Campionessa del Mondo alle parallele asimmetriche. Keleti ha lasciato l'Ungheria a causa della rivoluzione scoppiata nel '56, proprio durante le Olimpiadi di Melbourne: dopo aver chiesto asilo politico in Australia, si è trasferita in Israele. In un'intervista di tre anni fa, disse: «Ho 100 anni, ma ne sento 60. Amo la vita». Lo sport piange una donna che è stata più forte di tutto.

1.1.25

per evitare chiamate indesiderate o messaggi molesti su whatsapp usate due schede una pubblica ed una privata

  questo post     di  Aranzulla     conferma    il consiglio      che  davo    in un post   (  cercatevelo  nell'archiviuo  dell'anno  scorso )         che  l'unico metodo  efficace  al 99%    per  evitare  spam   su cellulare      era  quello  di avere   un telefonino   a   due schede  . Ed  usare  ,  a meno  che    non vogliate  provare  gli altri metodi    descritti    nel'l'articolo    sotto ,    una scheda   per  tutti    gli usi   a  cui  dovete  dare  ed usare  il   vostro    cellulare   una   che  darete  solo  a  parenti  ed    amici    fidatissimi  .  

   da  Come fanno ad avere il mio numero di cellulare  di Salvatore Aranzulla

Come fanno ad avere il mio numero di telefono

Se anche tu stai cercando una risposta concreta alla domanda “come fanno ad avere il mio numero di telefono?”, di seguito ti spiego in appositi capitoli dedicati le principali strategie alle quali le società di telemarketing ricorrono per ottenere tali dati.

Condivisione volontaria

foglio nella macchina da scrivere con scritta privacy policy

Quante volte ti è capitato di iscriverti a un servizio (online o di persona), compilando allo scopo un modulo di adesione nel quale veniva richiesto di fornire obbligatoriamente anche il numero di telefono? Beh, in molti casi effettivamente questa informazione serve per una funzionalità specifica, ad esempio per una verifica dell’identità e/o per attivare un secondo fattore di autenticazione.
Vi sono, però, diverse situazioni nelle quali tale richiesta dovrebbe destare quantomeno qualche sospetto. In queste circostanze, quando si va ad accettare i termini della privacy, prima di apporre il segno di spunta nelle apposite caselle è opportuno controllare attentamente che le varie clausole delle policy in questione siano chiare e ben esposte.In particolare, è importante che venga dichiarato in maniera trasparente e inequivocabile che il numero verrà usato solo per gli scopi dichiarati e non per marketing o rivendita. Delle volte, ove possibile basta semplicemente evitare di barrare la casella relativa a tali finalità, che non può assolutamente essere obbligatoria.Secondo la normativa sulla privacy (GDPR – Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati e Codice Privacy italiano), infatti, il consenso per attività di marketing deve rispettare il principio della libera accettazione, secondo il quale un utente deve poter accedere al servizio offerto anche se nega tale autorizzazione. In secondo luogo, deve essere facilmente revocabile accedendo alle impostazioni del relativo account o contattando il servizio clienti del fornitore.Dunque, la prima risposta alla cruciale domanda “come fanno a sapere il mio numero di cellulare” che ti stai ponendo è proprio questa: probabilmente in passato gliel’hai fornito proprio tu, non prestando attenzione a queste importanti clausole sulla privacy.Ora, anche se il dato è tratto, ci sono diverse azioni che potresti intraprendere per “bonificare” la situazione, o almeno porre un limite alla tempesta di chiamate di telemarketing: in primo luogo, puoi ad esempio cercare di scoprire a quali siti sei iscritto, e togliere poi i consensi già forniti come accennato poc’anzi, accedendo allo spazio dedicato della tua area personale o rivolgendoti ai riferimenti dell’assistenza clienti presenti nella sezione dei contatti.In secondo luogo, ti raccomando vivamente di iscriverti al Registro Pubblico delle Opposizioni, in modo da inibire ulteriormente l’utilizzo del tuo numero di telefono, almeno nei confronti di coloro ai quali non hai fornito i suddetti consensi. A tal proposito, però, devi sapere che i call center esteri non sono tenuti a rispettare le normative italiane.Infine, puoi bloccare le chiamate indesiderate avvalendoti delle varie funzionalità previste dal sistema operativo del tuo device o da app di terze parti, descritte nella guida dedicata che ti ho appena linkato.Per il futuro, oltre a leggere attentamente la policy sulla privacy, in caso di dubbi ti consiglio di verificare l’attendibilità del sito al quale ti stai per iscrivere, e di utilizzare un numero alternativo dedicato, magari aderendo a unofferta di telefonia mobile conveniente o a quella di un operatore virtuale affidabile.

Presenza sul Web

Hai mai provato a verificare la tua presenza sul Web, e capire se ad esempio il tuo numero di telefono risulta pubblicato online? Inserendo l’informazione in un motore di ricerca, eventualmente assieme al prefisso +39, potresti avere proprio delle belle (si fa per dire) sorprese.Oltre a eventuali siti personali o ai profili social nei quali hai deciso volontariamente di pubblicare i tuoi contatti appositamente per fare networking, in Rete esistono diversi siti che hanno funzione di elenco telefonico online. Il più celebre è sicuramente quello di Pagine Bianche, trasposizione online della versione cartacea che un tempo potevi trovare a fianco del telefono fisso nella maggior parte delle case.Se il tuo numero risulta effettivamente pubblicato in uno di questi servizi, puoi tranquillamente richiederne la rimozione: nel suddetto caso l’operazione va richiesta al proprio gestore telefonico, in altri è il portale stesso a prevedere la possibilità di inoltrare domanda di cancellazione. Alcuni di questi servizi, però, destano non poche perplessità riguardo alla loro legittimità e al rispetto delle normative sulla privacy.D’altro canto, devi sapere che esistono dei veri e propri procacciatori di informazioni che sondano costantemente Internet alla ricerca di questo tipo di dati, con lo scopo di rimpinguare le liste dei numeri di telefono utilizzate dai call center.Se vuoi ricorrere a una soluzione drastica, puoi leggere la mia guida su come cancellarsi definitivamente dal Web, nella quale ti spiego puntualmente i vari passaggi necessari per eliminare, o almeno limitare, la tua presenza sul Web.
Sincronizzazione dei contatti

impostazioni Android app con accesso ai contatti

Se la domanda “come fanno a conoscere il mio numero di cellulare” non ha ancora trovato una risposta, in quanto senti di non avere alcuna responsabilità riguardo alla diffusione del tuo numero di telefono e non ti sembra affatto di aver agito in maniera incauta, beh, effettivamente potrebbe davvero non essere colpa tua!Qualcuno che ha il tuo numero in rubrica, ad esempio, potrebbe aver scaricato un’app poco affidabile, concedendo a quest’ultima i permessi per accedere ai contatti, senza prestare troppa attenzione alla presenza di policy sulla privacy accettabili.Il mio consiglio principale è quello di scaricare applicazioni esclusivamente dagli store ufficiali: prima della loro pubblicazione, infatti, queste sono sottoposte a diversi controlli che ne verificano la sicurezza e, soprattutto, gli eventuali rischi per la privacy degli utenti.Ad ogni modo, se non è necessario che un’app abbia accesso alla rubrica, è possibile disabilitare il permesso nelle impostazioni del telefono. Su Android puoi controllare le autorizzazioni delle app aprendo le impostazioni (l’icona dell’ingranaggio in home screen) e seguendo il percorso Sicurezza e privacy > Privacy > Gestione autorizzazioni.Devi poi selezionare un tipo di permesso (ad esempio Contatti o Registro chiamate), premere sull’app che desideri inibire a tale funzione e scegliere l’opzione Non consentire. Anche per gestire le autorizzazioni delle app su iPhone occorre seguire una procedura simile che ti spiego nel dettaglio nella guida appena linkata.So che, molto probabilmente, in questo caso non hai commesso alcuna leggerezza, ma vale la pena sensibilizzare le persone che ti sono vicine a usare questo genere di cautela, dato che i dispositivi mobili sono veri e propri veicoli di informazioni personali e possono essere facilmente sfruttati per raccogliere dati sensibili, come numeri di telefono, indirizzi, ma anche dettagli bancari, se non vengono utilizzati con attenzione.

Violazione dei dati

hacker

Non ti riconosci in nessuno degli scenari finora affrontati? Beh, in tal caso potresti esser stato vittima di un data breach, ovvero di una violazione dei dati perpetrata da parte di hacker professionisti ai danni di società che conservano le tue informazioni nel proprio database.I “pirati digitali” sono infatti in grado di sfruttare le vulnerabilità nei sistemi informatici per accedere a informazioni riservate. Spesso se ne appropriano a scopo di lucro, rivendendole poi a società che le utilizzano per finalità di marketing, infrangendo senza remore leggi e diritti di privacy.Quando ciò avviene, di norma l’azienda che ne è stata vittima invia una comunicazione a tutti coloro che sono potenzialmente interessati per spiegare l’accaduto e le eventuali azioni intraprese per aumentare la sicurezza, ma anche per suggerire agli utenti di eseguire alcune azioni volte a migliorare la salvaguardia dei propri dati, come il reset della password o l’attivazione del 2FA.
Come fanno ad avere il mio numero di cellulare WhatsApp

logo WhatsApp

Se ti stai chiedendo nello specifico “come fanno ad avere il mio numero di cellulare WhatsApp”, in quanto hai ricevuto dei messaggi sospetti da utenti sconosciuti anche tramite la famosa app di messaggistica in questione, considera che nella maggior parte dei casi le motivazioni sono le stesse di cui ti ho parlato nei precedenti capitoli.Difatti, basta semplicemente inserire il numero in rubrica per fare in modo che il servizio esegua l’associazione automatica dello stesso al relativo contatto WhatsApp.In aggiunta a ciò, potresti esser stato inserito in un gruppo con altre persone, condizione che rende visibile il tuo numero di telefono anche a coloro che non ti hanno fra i loro contatti. Ciò aumenta esponenzialmente le possibilità di condivisione accidentale delle informazioni.Dunque, se ti sei registrato su WhatsApp con il tuo numero di telefono, devo purtroppo informarti che non è possibile fare in modo che altri utenti in possesso di tale informazione non possano trovarti sul servizio in questione. L’unica cosa che puoi fare è bloccare una per una le chat sospette, provenienti ad esempio da numeri internazionali o che si presentano con messaggi generici, senza specificare la propria identità.Ti raccomando, inoltre, di gestire le impostazioni sulla privacy, accessibili pigiando il simbolo [⋮] posto in alto a destra su Android o la voce Impostazioni collocata in basso a destra su iOS, seguendo poi il percorso Privacy > Controllo della privacy: qui puoi trovare alcune utili funzioni per aumentare la sicurezza, come quella che consente di silenziare le chiamate da numeri sconosciuti o che permette di scegliere quali contatti possono aggiungerti ai gruppi.

Come fanno i carabinieri ad avere il mio numero di cellulare

carabiniere

Sono in molti a porsi la domanda “come fanno i carabinieri ad avere il mio numero di cellulare”, ma anche “come fa la polizia ad avere il mio numero di cellulare”. Ebbene, le forze dell’ordine hanno sicuramente un più facile accesso a tutte queste informazioni attraverso canali legittimi.In molti casi, molto probabilmente potresti averla fornita tu come informazione di contatto in relazione a precedenti interazioni (ad esempio, la richiesta di passaporto o una denuncia avvenuta in passato).Naturalmente, i funzionari dei corpi in questione possono richiederla e ottenerla anche in relazione a procedimenti legali in corso, tramite un’ordinanza giudiziaria rivolta agli operatori telefonici.Ovviamente, poi, possono loro stessi reperirla sul Web con una semplice ricerca, qualora tu l’abbia resa pubblica in qualche profilo social o su un tuo sito personale o commerciale.Inoltre, se hai avuto rapporti con enti o aziende che devono richiedere permessi speciali per operare in determinati contesti (ad esempio in aeroporto, o vicino a una sede istituzionale), i tuoi dati potrebbero essere stati condivisi con le forze dell’ordine per motivi legali, in relazione all’occupazione o alla funzione da te svolta.


Beatrice Venezi subissata di insulti: le frasi irripetibili. Ecco perché invece va difesa

 premetto che non ho  visto  se  non di sfuggita  la  trasmissione in questione  e   non  sono  uno  specialista    ma  un semplice  profano...