18.10.11

Er Pelliccia e Beatrice, dall'estintore alle lacrime TORIE A CONFRONTO DALLA PIAZZA DEL 15 OTTOBRE

Lui si chiama Fabrizio ed è il black bloc «di buona famiglia» ritratto in piazza mentre lancia un estintore, un 24enne che va all'università privata e gioca partite a tennis arrestato oggi con l'accusa di resistenza pluriaggravata. Lei si chiama Beatrice, 17 anni, era in piazza per una gioiosa indignazione e la sua delusione si è tradotta in lacrime che hanno fatto il giro del web. 


Er Pelliccia, profilo del black bloc «perbene»

di Mario Zimbalo| tutti gli articoli dell'autore
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Una famiglia perbene e benestante, conosciuti nel paese del viterbese, Bassano Romano, dove risiedono. E proprio a Bassano Romano stamani è stato fermato dalla Digos Fabrizio Filippi, 24 anni, il ragazzo che in una foto scattata agli scontri di sabato a Roma tira un estintore, definito da parte dei media coma il simbolo dello «sfascismo» di Roma. È stato identificato e fermato in poche ore dagli agenti della Digos della Questura di Roma, guidati dal dr. Lamberto Giannini, anche grazie al lavoro della Polizia Scientifica. Alle indagini avrebbero collaborato attivamente i genitori del giovane che lo avrebbero riconosciuto dai tanti scatti di quel gesto e avrebbero aiutato la polizia. I genitori di Fabrizio sono due impiegati. Il ragazzo è iscritto al primo anno di Psicologia all'università Marconi di via Plinio.Scontri, fermato «Er Pelliccia», il ragazzo con l'estintoreUn ragazzo di buona famiglia, che gioca a tennis, studia e cercava on line ragazze «per relazioni passionali». Questo un primo ritratto di Fabrizio. La foto che lo ritrae su un sito per incontri mostra un ragazzo diverso da quello restituito dagli scatti in cui lancia un estintore contro le forze dell'ordine. Qui sembra angelico, i ricci biondi, esile, una maglietta nera e la didascalia: «Vorrei relazioni passionali con una ragazza». Ma sabato si è trasformato in una furia che a torso nudo, il volto travisato ha imbracciato un estintore come arma per poi irridere i poliziotti col gesto del dito medio. Sul sito, sul quale Fabrizio era on line circa una settimana fa e sul quale era noto col nome di Ravers, si presenta con poche, innocue informazioni. Amante del rap, dell'hard tek, del dnb, ovvero la musica elettronica tipica dei rave party. Come film cita un cult dello 'sballo' ovvero "Paura e delirio a Las Vegas", una pellicola con Johnny Deep e Benicio Del Toro che fanno uso smodato di ogni sostanza psicotropa. Il libro preferito è "Quattro anni all'inferno", la storia di un ragazzino di 14 che fugge da una setta satanica. Per lo sport cita il tennis.Sul suo profilo Facebook, invece, Fabrizio si descrive «Emarginato perchè odio lo Stato, sono straniero nella mia nazione». Gli ultimi post risalgono a sabato scorso: «L'unica cosa che ci rimane è la vita, se sei disperato non fare lo sbaglio di buttarla via per paura di affrontare una vita da umile», scrive prima della manifestazione. Dopo gli incidenti, alle 21:23 Fabrizio scrive: «preferisco soffrire piano piano». Su profilo di Fabrizio molti i post che invitano alla manifestazione del 15 ottobre. Citazioni di gruppi rap italiani come Noyz Narcos o Frankie HiNrg, ma anche di Adolf Hitler, inni alle bevute e allo sballo e riflessioni sparse come «sono in guerra con qualcuno ma non so chi in realtà».«Io pensavo che mio figlio stava all'università. Mi dispiace, è un momento troppo pesante per noi: così il padre di Fabrizio a Radio 24. «Non stiamo bene - ha detto il padre, con tono dimesso - mi dispiace, ora aspettiamo e vediamo. Lui sta aspettando che venga interrogato, per adesso è un momento troppo pesante».Il 24enne è stato riconosciuto dall'analisi delle numerose immagini e dai video che lo ritraevano mentre lanciava un estintore, a torso nudo, contro un agente. A incastrarlo anche un tatuaggio sul fianco sinistro che è stato immortalato in più foto. Secondo quanto si è appreso, il ragazzo era già conosciuto alle forze dell'ordine per le sue partecipazioni a manifestazioni politiche.



Beatrice e Selene, le lacrime del 15 ottobre

di Mila Spicola| tutti gli articoli dell'autore
beatrice indignati

Sabato sera eravamo tutti qua, davanti al pc, a pigiare i tasti alla ricerca di notizie aggiornate, a verificare cosa stesse accadendo, chi esterefatto, chi sorpreso, chi rassegnato, chi incazzato, chi “lo sapevo io”, chi “Non è possibile!! No!! Per qualche deficiente” e ci accalcavamo sui siti, sui blog, sui video.Noi, quella della rete. Verso le 21.00 è bastato che Seléne ci taggasse in una foto, vedere quel volto giovanissimo rigato dalle lacrime per far scorrere finalmente anche a noi la lacrima sulle guance. Una foto che vale mille parole, mille analisi, mille ragioni. L’indignazione che non ce la fa ad esplodere perché qualcuno decide di far esplodere prima il gesto violento. Violento e stupido. La foto ha preso a girare, l’abbiamo ricondivisa di profilo in profilo, ci siamo ritrovati in quelle lacrime, con lo stesso sconforto. E infine Beatrice, così si chiama, è arrivata anche lei tra quei commenti. In una foto il significato di un pomeriggio di un sabato non qualunqueBeatrice Rinolfi, romana, la protagonista del ritratto e Selene De Condat, che vive a Parigi, la fotografa. Nome, volto e parole di chi vive l’indignazione, i motivi, i perchè. Sarebbe il caso di farne tesoro, di prendere spunto e sostanza. Ecco chi sono gli indignati italiani. Beatrice. Ho 17 anni , ne compio 18 il 30 novembre, vivo nella periferia di Roma a Torre Gaia, vicino all'Universita` di Torvergata e sto frequentando il quinto anno di liceo classico al liceo Statale I. KantPerchè sei indignata?Perche`non mi sento tutelata da uno Stato che dovrebbe sostenere i cittadini,da un governo che dovrebbe curarsi di noi e non dei suoi interessi, da una società fallimentare e perchè non vedo futuro davanti a me ma solo un vuoto che cattura ogni mio progetto o sogno.Cosa pensavi prima di andare alla manifestazione quella mattina?Era un sabato e quindi sono andata a scuola, una volta uscita sono andata a prendere mia cugina abbiamo mangiato qualcosa e ci siamo dirette con i mezzi pubblici a Termini. Ero piena di belle aspettative per la manifestazione del pomeriggio, sapevo che sarebbe stata enorme e speravo di far sentire la mia voce, presentivo però che qualcosa potesse andare stortoNella foto piangi…Per la delusione e lo spavento : in quel momento avevo realizzato che una manifestazione di centinaia di migliaia di persone il giorno seguente sarebbe stata dimenticata a causa di poche centinaia di ragazzi strumentalizzati, nello stesso tempo ero spaventata perche` sono passata in un attimo da una situazione allegra, con musica e manifestanti tranquilli al caos, gente che correva ovunque, forti rumori, scontri, lacrimogeni e bidoni in fiamme.“Movimenti”, “politica”, Beatrice, cosa sono? Dando per presupposto l'evidente esistenza in questo mondo di un "alto" e un "basso" diciamo che la politica e` qualcosa che parte dall'alto e che ormai non si preoccupa più dell'individuo come persona ma solo dell'individuo in quanto voto, è falsa, è poco credibile perché tradisce un attimo dopo, mentre un movimento e` qualcosa più viscerale, più aderente alle persone, radicato, impulsivo, spontaneo e quindi più vero, all'interno del quale le persone sono individui e non numeri.Come vedi il tuo futuro? quali sono i tuoi progetti? Non ne ho, e mi spavento per questo, mi capita spesso di discuterne con mio fratello che e` al secondo anno di fisica e che dice che e` costretto a studiare non per reale scelta ma per posticipare una decisione che non e` in grado di prendere in quanto appunto il futuro, così come ce lo stanno prefigurando, è una lotteria, e` imperscrutabile per dei ragazzi come noi. Senza paracadute.Perché un ragazzo non crede nella politica? non pensi che la cosa più "utile" sarebbe prendervela in carico la politica?Perché ci sentiamo derisi, presi in giro, trattati come bambini ai quali vengono tolti i risparmi di una vita in cambio di una caramella o del digitale terrestre gratuito, perché` ci esprimiamo democraticamente e il nostro voto viene traviato, ingannato, raggirato, perché in linea di massima non ci assomigliano ed e` per questo che, non sarebbe il caso, ma dobbiamo prendercela in carico. Non soltanto noi ma anche le generazioni future, con ricambi brevi. Come si può pretendere da uno come Berlusconi, o da chi governa e ha la sua età, ed e` al tramonto della sua vita di preoccuparsi di chi la sta appena iniziando? Non puo`, non ne e` capace, non e` nel suo interesse... non lo fara` mai.Qual è la prima cosa che il prossimo governo, caduto Berlusconi, dovrebbe fare? Dare spazio ai giovani, nel modo in cui ho detto sopra, fiducia. Investire nel futuro, perché solo chi ha la vita davanti e ha in mano il suo destino può cambiare le cose. Se invece il destino è in mano ad altri e ci viene negato l’accesso alle decisioni non cambierà nulla. Se già un governo provasse a fare questo non sarebbe male .Selene.Ho il privilegio di vivere tra Parigi e Roma e non volevo assolutamente mancare l'appuntamento del 15 ottobre nelle capitale italiana. La mia scelta per Roma è stata motivata dal fatto che in Francia il gruppo degli indignati è quasi inesistente: sabato scorso davanti al comune di Parigi c'erano solo un centinaio di persone ed è paradossale visto che il primo fallimento bancario europeo è stata la banca francese Dexia.Perché sei indignata?Sono indignata come gran parte della mia generazione in Europa, lo siamo tutti. Il futuro è incerto e buio,saremo molto probabilmente sacrificati a causa dell'immenso spreco provocato da un sistema ultra liberale senza nessuna regola. Il sistema politico attuale tende a salvare le banche a detrimento dei reali bisogni delle persone. Gente affamata dalla follia del consumismo creato da questo stesso sistema.La foto di Beatrice…Mi sono ritrovata all’improvviso in mezzo ad una guerra e il viso in lacrime di questa giovanissima ragazza davanti al mio obbiettivo rappresentava, ai miei occhi, il simbolo di tutta la disperazione di una gioventù persa.Cosa speri da qua a tre anni? Vorrei, ma è un utopia, poter cancellare tutto il sistema attuale per poter ripartire da zero su nuove basi, separare finanza e politica politica. Secondo me è stata questa alliance nefasta a condurci in questo periodo di estrema decadenza. L'Italia ha bisogno di un cambiamento radicale da questo governo che ne ha infangato l'immagine nel mondo


17.10.11

"Meglio in cella che testimone senza scorta" Ex pentito della banda di Is Mirrionis ruba un furgone e si autodenuncia in questura




dalla  nuova sardegna  del 17\10\2011


di Paolo Matteo 
 Meglio le manette ai polsi, piuttosto che una pallottola in testa. Così l’altra sera ha preferito farsi arrestare dando vita a una sorta di sceneggiata: ha rubato un furgone nel cuore della città di Eleonora, poi ha raggiunto la questura e si è autodenunciato. In verità ci aveva provato anche poco prima, confessando un furto (900 euro) messo a segno nel Lazio. Ma non è stato creduto. Così ha optato per il furgone. Il motivo del suo singolare gesto? Eccolo: finire in carcere, piuttosto che varcare da solo i cancelli del palazzo di giustizia di Cagliari.Dove dovrà presentarsi la mattina di mercoledì 22 in veste di testimone in un processo già fissato. Processo al quale voleva andare solo se scortato dalla polizia penitenziaria. Con buona ragione, tenuto conto che il protagonista di questo episodio un po’ kafkiano è Carlo Dessì, 54 anni, cagliaritano doc, malavitoso di lungo corso e forse uno dei pentiti della prima ora. Un uomo, insomma, sul quale vorrebbero mettere le mani in tanti. E non certo per accarezzargli il viso. Infatti, nei suoi confronti esiste probabilmente una vera e propria condanna a morte, emessa da qualcuno di quei boss che Carlo Dessì ha volutamente tradito, dopo averne condiviso i crimini. Forse anche quelli peggiori, mai confessati ovviamente, che dopo anni e anni di indagini fece finire in Corte d’assise pezzi da novanta e semplici gregari di quella organizzazione malavitosa conosciuta come la “banda di Is Mirrionis”, capeggiata dal sanguinario Mario Tidu (  foto  dell'epoca  sopra  a  sinistra  ), che per lungo tempo e impunemente terrorizzò Cagliari e dintorni, lasciandosi dietro attentati dinamitardi (arrivarono persino a far esplodere la dinamite davanti all’ingresso del commissariato di Sant’Avendrace, allora posto in via Abruzzi), sparatorie in puro stile western nelle strade del quartiere San Michele e un bel po’ di morti ammazzati. Banda che fu sgominata all’alba di un giorno d’inverno di fine ’9 2, quando un esercito fra poliziotti e carabinieri, coordinati dall’ attuale questore di Grosseto, Maria Rosaria Maiorino, cinse d’a ssedio i quartieri di Is Mirrionis e San Michele per eseguire gli ordini d’arresto firmati in buona parte dal sostituto procuratore Mario Marchetti. Ebbene, fra la cinquantina di persone - comprese molte donne - che finirono in carcere (in parte a Buoncammino, in parte a Oristano e altri a Sassari) c’era anche lui, Carlo Dessì, che forse aveva già mosso i primi passi verso la più sicura oasi del collaboratore di giustizia.Ovviamente dopo arrivarono i processi. E nel corso di quello di primo grado, davanti alla Corte d’assise, nell’aula del “ palazzaccio” cagliaritano fece capolino, seppure con una toccata e fuga, anche un vero boss, di quelli con la “B” maiuscola. Vale a dire Gaetano Iannì, “don Tano” per amici e picciotti, riconosciuto capo della Stidda, una costola della mafia siciliana entrata in guerra aperta con Cosa Nostra.Cosa c’entrava Tano Iannì, che a cavallo dei fine anni Ottanta e i primi anni Novanta viveva da libero vigilato in quel di Carbonia (con tutto il suo clan, formato da gente dal grilletto facile)? Lo raccontò lui stesso ai giudici - dopo aver indossato i larghi panni del pentito, che ancor’oggi indossa insieme ai due figli che aveva utilizzato in più azioni criminose - sostenendo che Mario Tidu e il suo braccio destro Elio Melis, soprannominato Sa Niedda, avevano contattato il clan dei siciliani per ottenere da loro droga in cambio di armi o viceversa. Per concludere questa sorta di excursus criminale va ricordato che il processo alla “banda di Is Mirrionis” si concluse con la distribuzione di diversi ergastoli e centinaia d’ anni di reclusione, confermati poi, nel tempo, in Assise e in Cassazione. E tra i condannati, a una pena tutto sommato mite, c’e ra anche lui, questo Carlo Dessì protagonista dell’episodio oristanese, che per un certo periodo era entrato nel cosiddetto programma di protezione, messo in piedi giusto per tutelare i pentiti. Ma evidentemente la protezione è stata breve. Già, perché Carlo Dessì, con un suo amico di gioventù e di pentimento, Paolo Santona, morto poco tempo fa, si mise nei guai durante le indagini sul sequestro di Silvia Melis con un maldestro tentativo di calunnia ai danni del magistrato Mario Marchetti, che a loro dire - ma poi ritrattarono tutto - li assoldò per incastrare con una presunta storia di droga l’allora editore Niki Grauso. Poi, negli ultimi anni, Carlo Dessì ha finito con il vivere da barbone, girovagando per l’Italia, tenendosi però ben lontano da Cagliari. Chissà perché?


Gang di Is Mirrionis, un romanzo criminale a suon di spari e bombe

A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta la guerra tra gruppi che si contendevano il mercato dell’eroina. Pistolettate sulle auto e dai palazzi in pieno giorno: la gang seminò il terrore nel quartiere




    di Elena Laudantezoom







    CAGLIARI.
     Tra la metà degli anni Ottanta Si lottava per guadagnare spazio tra gli spacciatori, grandi e piccoli, per diventare il primo importatore di droga. Erano gli anni dell'eroina, che arrivava da Milano e dalla Turchia, più della polvere bianca. E poi delle armi a volontà, circolavano come e più della droga. Bombe comprese, usate per terrorizzare e punire. Tidu ne piazzò una il 10 giugno 1991 davanti alla porta di casa di un socio divenuto rivale, Andrea Manca, che abitava in piazza Medaglia Miracolosa. Non lo uccise ma ferì due ragazzini. a e i primi Novanta, le cronache descrivevano una Cagliari criminale. A Is Mirrionis, feudo della banda che faceva capo ad Antonio Fanni e Elio Contu, menti occulte dell'organizzazione, si sparava per strada. Come quando Mario Tidu - che Fanni e Contu avevano designato come reggente dei traffici di droga - scaricava la sua pistola sulle auto che assomigliavano a quelle del rivale Sandro Piu, capo della banda avversaria. 
    Allora Tidu mandò un commando armato che esplose i colpi contro le finestre di Manca; lui rispose al fuoco con pistolettate. Erano le palazzine di Is Mirrionis, non il vecchio Bronx. È solo uno dei tanti episodi da film divenuti verità processuale con il verdetto della Cassazione di quest'estate, che riguarda anche Riccardo Piras e ovviamente Mario Tidu. Oltre a loro, la statistica criminale deve ricordare Giuseppe Mascia "Brillanti" (la cui condanna è stata però annullata) e ancora Sandro Melis, questi ultimi considerati i mandanti del delitto di Pietro Stori, ucciso da Salvatore Arba e Salvatore Cabiddu.Il nome di Melis ricorre nelle pagine dei quotidiani recenti. Il 18 marzo 2009 ha varcato il cancello dell'agriturismo dei vicini, a Sant'Andrea Frius, e ha fatto fuoco contro Maria Rosa Cireddu e il marito Luciano Cappai, che si è salvato. Dopo tre mesi, il corpo di Melis è stato trovato sul sagrato della chiesetta vicino al lago di Simbirizzi, a Quartu. Morte naturale. Un altro delitto efferato associato al nome della banda è quello del portantino d'ospedale Eraldo Carrucciu, che Antonio Strazzera riforniva di droga da spacciare. Al primo debito, decise che doveva morire, e armò la mano di Paderi e Tidu. Era il 1990. L'anno di Cagliari criminale.

    16.10.11

    S'ode a destra Il lavoro ieri e oggi di Bruno Ugolini La precaria che gridava “Sono come voi!”


    BlackBlock a Roma
    L’immagine che più mi ha colpito, nel diluvio di fotografie e video sui fatti di Roma,  non è quella dell’assalto al blindato o quella delle vetrine fracassate, o quella dei dimostranti pacifici che insultavano (“fascisti!”) i ragazzotti in nero.  No, io sono rimasto preso dalla sequenza, trasmessa sulla “Sette” sabato sera e che aveva come protagonista una ragazza. Questa piangeva affannata, correndo attraverso i cortei sbriciolati, gridando “Ma io sono come voi!”. 
    Aveva trovato la sua macchina bruciata e per lei era un danno insopportabile.  Ecco quella ragazza, forse una precaria, indignata come tanti in quel sabato che doveva essere di lotta e non di carneficina, era una testimonianza vivente.  Lei era il “nemico” colpito dalla furia repellente dei Black Block. Lei, come quei tanti giovani corsi a un appuntamento che consideravano decisivo. Lei come quel ragazzo con tre dita bruciate, come quei  cittadini che dovranno pagare le spese comunali per i danni provocati alla città. Non sarà il sistema finanziario a soffrire e disperarsi, non saranno i proprietari dell’agenzia bancaria devastata, non saranno i tanti imprenditori che continueranno imperterriti a negare diritti e tutele ai precari.
    Con questo non intendo associarmi a quelli che cercano un alibi e dicono: erano tutti infiltrati, forse erano poliziotti travestiti. No, per lo meno la gran parte dei ragazzi incappucciati, travestiti da Robin Hood,  era convinta di compiere atti rivoluzionari, di far tremare così un sistema globale che sta mettendo in difficoltà l’intero assetto capitalistico, facendone pagare  il prezzo ai più deboli, ai meno abbienti.  Una sequenza perversa: la folla dei precari ferita da chi invoca tagli e sacrifici e nello stesso tempo da chi li assale mentre manifestano.
    Certo si può accusare d’insipienza il ministro Maroni per non aver saputo prevenire quelle devastazioni. Anche se non era facile  spedire le forze di polizia dentro i cortei per tentare d'isolare a catturare i malvagi vestiti di nero. C’era il rischio di un bagno di sangue. Semmai si poteva tentare qualcosa prima. E comunque meglio non aspettarsi  aiuti dall’alto.  Meglio fidare nell’autogoverno, giurare che una cosa così non succederà mai più. E allora spetta alle organizzazioni promotrici o aderenti a simili manifestazioni  (compresi pezzi di sindacati) mostrare fino in fondo la capacità di difendere le proprie risorse umane, il proprio patrimonio di valori, la dignità di una protesta, la possibilità di incidere davvero su scelte più generali. 

     fonte  unita'  del  16\10\2011

    REGGIO CAL. EMERGENZA Panleucopenia (gastroenterite) ALLA CAT HOUSE di DANIELA GIRONDA! VI PREGO AIUTIAMOLAAAAAAAA


    riguarda una ragazza giovanissima, che vive a Reggio Calabria (in mezzo alla 'ndrangheta) e che ha scelto di aiutare questi poveri animali. La seguo da mesi e le ho parlato anche al telefono tempo fa. Da sola ha fondato la sua associazione e con le sue sole forze ha affittato una casetta da adibire a Cat House: la prima esperienza del genere a Reggio Calabria. Poi l'incuria della gente e il passaparola hanno fatto sì che nel corso della primavera/estate la popolazione di mici neonati salisse vertiginosamente alla quota di 50 - 60 unità, che con gli adulti ha raggiunto i più di 100 gatti. Puoi immaginare che insieme alla popolazione sono cresciuti i costi per l'alimentazione, poi le sterilizzazioni e i vaccini. Purtroppo la gastroenterite dei gatti colpisce prevalentemente i piccolissimi ed in 3/4 giorni sono morti oltre 30 piccini. L'associazione ha una sua pagina qui su FB  (http://www.facebook.com/notes/le-gatte-si-sono-arrabbiate/reggio-cal-emergenza-panleucopenia-gastroenterite-alla-cat-house-di-daniela-giro/284136391610346  ) puoi dare una occhiata: si chiama Gatto Nero Onlus e tutto il suo lavoro è trasparente e documentato
    Aggiornamento: sono "volati sul ponte" circa 30 tra i micini neonati della Cat House di Reggio Calabria. I restanti micetti sono stati trasferiti in due cliniche di Reggio e altri sono in viaggio alla volta di altre cliniche siciliane, grazie ad alcune volontarie che hanno raggiunto Daniela Gironda nella notte. C'è bisogno di tutto l'aiuto economico possibile, in quanto il ricovero di anche 45 gatti a clinica costa una media di 25 euro/giorno per ogni singolo piccino. Allo stato sono ancora completamente assenti le Istituzioni Pubbliche e l'associazionismo nazionale. 





    Per contributi:
    Bonifico Bancario
    IBAN:
    IT 26 X033 5901 6001 0000 0015 904
    - Intestato all'Associazione Il Gattonero ONLUS
    Banca Prossima

    Conto Bancoposta
    Intestato a: Daniela Paola Gironda
    IBAN: It67h0760116300000068740737

    Postepay:
    4023600599611151
    Intestata a Daniela Gironda
    Codice Fiscale
    GRNDLP74M52H224Q

    Paypal
    danielagironda@gmail.com



    14.10.11

    Ambiguo altruismo

    "Che è?... Mah... Che è?": questa la mia reazione dopo il primo ascolto di Chiedi di più, uno dei tanti, forse troppi brani dell'album Tregua di Renato Zero. A differenza di altri, non ho mai ascoltato troppo quel disco, né l'ho veramente amato. Era un eccesso, una slavina di melanconia, sentimento che negli anni futuri avrei conosciuto fin troppo bene, e vi baluginava un alone di disfacimento, di perdita, di inutilità. La noia. Lo stesso trucco poco convinto di Renato, l'occhio stranito e vacuo, il corpo già enfiato, la voce sforzata, certe sue stesse ammissioni "Non c'è assolutamente gioia nell'aver venduto tanti dischi...", sembrava proprio vero e ne accentuava la cupezza.

    Un brano su un amore finito. Tema ricorrente nelle canzoni, un topos abusato. Chissà perché, lì per lì mi irritò, e lo dimenticai, come altri pezzi di quel controverso lavoro, per poi ritrovarlo, in questi giorni, intatto e concreto, lucido e acuto, in contrasto col mio animo rasserenato.

    In fondo, salvo alcuni eccessi retorici, era un brano che poteva figurare anche in Zerofobia, a partire dall'apertura larga: chitarre straziate e impietose, dall'andamento a risacca, tutto in minore, un lungo mare di disperazione. Le inutili domande, sulla scorta del Cocciante di Quando finisce un amore, ma prive della sua rabbia. Rabbia ce n'era anche qui, molta. Ma, mentre il cantautore italo-francese la gettava tutta sulla partner, Renato la volgeva più che altro verso sé stesso e quel suo essere inadeguato, pur se "unico". Alla fine... "CHIEDI DI PIU'", non accontentarti, superami, non sono io il tuo mondo, anche se, ripensandoti, io bagnerò il cuscino di lacrime appassionate, e forse vorrei averti qui solo per picchiarti, e morderti, e poi abbracciarti ancora, ma il mio destino mi ha già portato lontano, verso una nuova e dannata mèta che so già essere una fata morgana. E non smetterò di pensarti, e non ti avrò.

    Lo ascolto in questi giorni, all'apparenza radiosi, perché è un brano umile. Perché mi riconcilia col fallimento e il limite. Perché m'aiuta a non soffermarmi narcisisticamente sul mio dolore. Perché, se non esisto solo io, non esiste nemmeno solo il partner, ma il mondo intero. E' quasi francescano, cazzo.

    13.10.11

    habemum papam di nanni moretti


     ieri  ho visto    attirato   dalla  "pubblicità gratuita "( in  una rubrica ospitata su Avvenire, quotidiano di ispirazione cattolica, un critico cinematografico de L'Osservatore Romano ha proposto di boicottare il film, che offenderebbe la figura del capo della chiesa cattolica. Le polemiche seguite hanno fatto intervenire Marco Tarquinio, direttore del giornale dei vescovi, specificando che tali dichiarazioni erano opinioni personali del giornalista e che in quella rubrica vengono ospitate proprio opinioni non in consonanza con la linea editoriale del giornale.[10]  che  ne  ha  fatto la  chiesa  ,  ma  soprattutto  dal tentativo  di  attualizzare la  figura  del Pontefice  Celestino V ,  la  versione  a noleggio  di habemus  papam  di Nanni Moretti  Un  film  Carino, ottima la  recitazione di Michel  Piccoli   <<  brillante  nel  ruolo che  di un uomo schiacciato   dal peso  della  sua  missione  >> (  Jean-Luc-Doin - Le Monde  >>  vale  tutto  in  film  e lo sorregge  ,fungendo  da  diga  (  anche  se  non più  di  tanto  )  alle  elucubrazioni  \  seghe mentali  di  Moretti  . Infatti le  ideee di fondo  del  suoi  film  sono buone  e  a volte  profetiche  (  vedere il finale  de  il  caimano  )   L'idea è sempre bella e originale , in questo caso il Papa che non riesce ad assolvere al suo compito), ma poi ho sempre l'impressione dell'incompiuta, cioè che poi il film non si evolva in maniera consona alla brillantezza dell'idea originaria e che quindi non riesca a esprimere a pieno tutte le potenzialità.Infatti   concordo  con quanto dice  questo video 
    specie  negli ultimi minuti  cioè  dal  5.15  al  6.17 . moretti   dovrebbe  fare    come  SPOILER      ha  fatto michelle piccoli nelò  finale   del film . SPOILER  
    Un lento , quasi d'abbiocco  , salvo  che  nelle  ultime  battute  . Uno dei meno cervellotici  di Moretti  

    9.10.11

    spot con medici e pazienti trapiantati che ballano scoppia la polemica


    Un video girato all'ospedale Brotzu di Cagliari sul tema dei trapianti ha scatenato le proteste di molti internauti: "Mentre voi ballate noi cambiamo i pannoloni". Ma dall'Azienda sanitaria spiegano: "Volevamo dare un sorriso ai pazienti". 

    da ex rapiantato ( ho fatto a 16 anni il trapianto di cornea all'occhio dx e forse lo devo fare anche al sx ) non ci vedo niente di male in questo video che ha provocato polemiche ipocrite .- se me l'avessero chiesto avrei partecipato anch'io fncl ai tabu' di merda un po' di'ironia e sorridere delel proprie disgrazie

    La pastora, i silenzi e la politica tra lacrimogeni e scontri di piazza

    Unione  sarda  del 9\10\2011di GIORGIO PISANO


    Cosa fosse un lacrimogeno l'ha capito una mattina dell'anno scorso in via Roma, a Cagliari. La polizia era schierata in assetto antisommossa. E lei - madre di famiglia - guardava con curiosità, quasi fosse in televisione, una scena che non la riguardava. Distante, lontana. Confusa tra i manifestanti, tutti con la stessa maglietta azzurra del Movimento pastori, si sentiva intoccabile, irraggiungibile, sicura. D'un tratto un sibilo ha spezzato il silenzio «e io mi sono ritrovata questo coso tra i piedi, dentro una nuvola di fumo acre». Respirava a fatica ma ha provato a reagire, calpestarlo, allontanarlo con un calcio. Poi ha capito cosa prescrive la tattica del popolo blu in questi casi: ritirata. Ritirata velocissima tra le stradine che circondano il Consiglio regionale e i poliziotti, zavorrati nello scafandro d'ordinanza, dietro. Urla, respiro corto, il frastuono dei passi assordante come quello di una mandria.Graziella Ninu, 44 anni, di Silanus, ha scoperto all'improvviso una faccia sconosciuta della vita. Dieci anni prima aveva dovuto imparare a mungere, diventare giorno dopo giorno, e in fretta, pastora. Pensare che aveva alle spalle studi al liceo scientifico e il sogno (mai abbandonato) d'una laurea in Lettere classiche. Il destino le ha cambiato copione in un lampo. Oggi ha due figlie, un marito (Pietro) che lavora in una coop, presente e futuro di guerra: nel senso che il gregge è diventato la sua vita. Assieme alle battaglie di piazza. Ha 150 pecore («il massimo possibile per una sola persona») in un tancato enorme sulle colline di Silanus, avamposto sospeso fra il cielo e la sterminata piana di Dualchi. Spettacolo straordinario della natura. Qui, a Pedra Niedda, si lavora tutti i giorni, nessuno escluso. A dare una mano c'è Carlotta, primogenita, quart'anno di Giurisprudenza a Sassari: lei e la mamma fanno tutto quello che nei pascoli vicini è lavoro da uomini. Si comincia alle sei del mattino. Cioè al buio o quasi, estate e inverno. La giornata finisce quando la porcilaia è a posto, la sala mungitura pulita, il fienile riordinato, i gatti liberi di andare a caccia di topi. Conferiscono tra i sedici e i diciassettemila litri di latte l'anno. «Puntiamo sull'igiene e sulla qualità piuttosto che sulla quantità». Mantenere una pecora costa un euro e diciannove centesimi al giorno. Il latte viene venduto a 0,65 (molto meno della metà di un litro di benzina) mentre nel resto d'Italia spunta un euro. Tre-industriali-tre sono in grado di imporre il prezzo a una categoria che coinvolge circa centomila addetti in oltre ventimila aziende. Fatturato complessivo: mezzo miliardo di euro. E fame, miseria e crisi come mai.Graziella è molto determinata, non si piange addosso. Le mani, lunghe e ben curate, le servono per disegnare in aria gli scenari dell'infinita vertenza della sua categoria, le speranze e i precipizi, le missioni in strade di città mai viste prima. Adopera un italiano preciso, tagliente. A tratti sembra un amministratore delegato che riferisce ai soci. Intorno però ha solo balle di fieno, allineate in piccole torri fino a sembrare una fortezza.
    La prima volta in campagna?«Avevo trentaquattro anni. Mi occupavo di famiglia e non l'avevo messo in conto. Ma un lutto ha scompaginato tutto. Ho fatto in fretta a imparare. Solo che ogni giorno mi tormentava sempre la stessa domanda: ce la farò?»
    Beh, ha imparato anche a mungere.«Non è difficile se qualcuno te lo spiega. Qualche problema, semmai, me lo dava doverlo fare all'aperto, senza un tetto. I tempi sono quelli, non ci puoi fare nulla. Pronta e operativa alle quattro del mattino se passa il camion del latte, alle sei in altri periodi. Unica donna in un ambiente totalmente maschile».
    Imbarazzo?«Mai. Anche perché speravo di trarne un reddito. Non si lavora per la gloria. Per me le pecore sono lavoro, non ho il senso poetico della fatica».
    E allora?«Finita la prima stagione di mungitura, mi sono detta che dovevo assolutamente rendere tutto meno duro. Ho comprato una mungitrice elettrica e un refrigeratore, ho ricostruito il fienile e il ricovero per le pecore. Mi sono lanciata nell'imprenditoria».
    E in famiglia?«In famiglia nessun problema: sono sempre riuscita a conciliare casa, marito e figlie».
    Paura?«In campagna? No. Mi capita di provarne pensando a Carlotta, che sgobba quanto me; a Francesca, la più piccola, che ha una grande sensibilità per gli animali. Succede che restiamo nel tancato fino a sera inoltrata: mai avuto paura, però»
    Basta seguire una regola: non vedere, non sentire.«Diciamo pure che la campagna non è un mercato, questo è sicuro. Quando arrivo a Pedra Niedda di solito è buio pesto: non vedo e non incontro nessuno».
    Dicono che i pastori conoscano le loro pecore una per una.«Non esageriamo, non sono la loro mamma. Ho imparato a governarle, questo sì. Segnalo la mia presenza, appena aperto il cancello, con un colpetto di clacson».
    Solitudine?«A tempo pieno, non compresa nel prezzo del latte. Ma non ne ho risentito. Anzi, ogni tanto lo cerco proprio, il silenzio: e allora mi piazzo qui, in alto, a guardare la piana come se fossi a teatro. Questo è il posto dove ricarico le batterie, dove vengo a cercare conforto e forza per andare avanti. Sono un po' strana».In che senso?«Più che parlare mi piace scrivere. Tengo un diario da quando stavo alle elementari. Ho bisogno di annotare pensieri, riflessioni, piccoli episodi. Ogni tanto sfoglio qualche pagina e mi faccio prendere dai ricordi».
    La offende essere chiamata pastora?«E perché mai? Ho amiche laureate che mi invidiano per la semplicissima ragione che ho un lavoro. Un lavoro che non rende quanto dovrebbe, che non pareggia il bilancio tra impegno e fatica, ma ce l'ho».
    Giornata-tipo.«Raccontiamone una normale. Sveglia alle 6. Operazione numero uno: accendere la tivù, La7, Rainews, per sapere che succede nel mondo. Intanto io e Carlotta ci prepariamo. Il tancato dista una decina di minuti da casa. Le pecore ci sentono arrivare, sanno che stiamo per aprire la sala-mensa».
    Poi?«Le chiudiamo nel recinto a gruppi di 28, che non è un numero a caso ma quello delle gabbie utilizzate per la mungitrice. Terminiamo nel giro di un'ora e un quarto. A quel punto le porto al pascolo mentre Carlotta si occupa delle pulizie nei locali della mungitura».
    Carlotta ha 24 anni (  con la madre  a  destra  )   
    Sposata, un figlio. Dice che all'università, quando le domandano cosa fa, risponde: lavoro in campagna. Seccante parlare di gregge, di pecore? «Questo discorso poteva valere anni fa. I tempi sono cambiati. Il mondo agropastorale è affollato di giovani che studiano. Ho colleghe che sono figlie di pastori e non si vergognano affatto». Nessun complesso d'inferiorità, dunque: semmai apprensione per il futuro, per la sorte di un comparto che sta scivolando lentamente verso il fallimento. A dispetto degli oltre tre milioni di capi ovini a cui si aggiungono trecentomila capre. Adesso c'è molta attesa per le decisioni che prenderà la Commissione per le Politiche agricole di Bruxelles. Il leader del Movimento dei pastori sardi, Felice Floris, ha denunciato gli industriali caseari all'Antitrust per ben due volte. Nel frattempo? Graziella non vede alternative alla piazza.
    La protesta è una politica vincente?«Non so se sia vincente ma non ci sono altre strade. Anche se qualche volta va male, com'è successo a Civitavecchia, quando la polizia, appena siamo sbarcati, ci ha chiusi in angolo, assediato».E voi?«Beh, diciamo che per superare il blocco non abbiamo bussato ma è stata davvero pesante. Ora puntiamo su Bruxelles: se non ti vedono e non ti sentono, non si ricordano che esisti. Io l'ho scoperto col mio sindacato».
    Cioè?«Lasciamo stare le sigle, non voglio fare polemica. Avevo un sindacato di riferimento che preferiva vie sotterranee di trattativa. Un giorno, per curiosità, sono andata a Tramatza a sentire che dicevano i pastori e mi si è aperto un mondo».
    Per una donna fare questo lavoro è peggio?«A livello di testa, noi donne siamo più concrete di voi. L'handicap è la forza fisica: ce ne vuole tanta. Fortuna che abbiamo ottimi rapporti coi vicini di pascolo: ci aiutano, ci danno consigli. Studio anche su un manuale ma non ha la stessa saggezza di un vecchio pastore».
    La solidarietà esiste sul serio o è un luogo comune?«Tutt'e due. La solidarietà la tocchi con mano quando ti aiutano a scaricare i bidoni del latte. Per il resto, la categoria è unita e disunita»
    Sarebbe voluta nascere altrove?«No. Silanus è un paese che, nei momenti difficili, riesce ad esserti vicino»
    .Questo è il bello. Il peggio?«Non lo dico. Scelgo la via dell'omertà».
    Ferie, vacanze.«Non esistono. Manco Natale. Il massimo che ho fatto è una puntata al mare, partenza e rientro in giornata. Un viaggio, un viaggio vero che non so neppure dove perché mi vengono in testa cento posti meravigliosi, prima o poi lo farò. Me lo sono giurata».
    Quanto guadagna mediamente in un mese?«Tra i 1.200 e i 1.900 euro. Che, ovviamente, non bastano. Ma io sono contenta così: vivo per le mie figlie. Che altro deve fare una madre?»
    Come si sopravvive vendendo il latte a 0,65?«Non rinnoviamo le macchine, non facciamo lavori di ristrutturazione, non investiamo un euro in nulla. Aspettiamo. Grazie ai premi comunitari tiriamo avanti e speriamo che piova. Io sono pure fortunata perché in casa arriva lo stipendio di Pietro. Quando penso alle famiglie monoreddito mi vengono i brividi».
    Com'è possibile che tre-industriali-tre pieghino ventimila pastori?«Secondo le regole del mercato, a definire un prezzo congruo dovremmo essere noi e gli acquirenti. Invece a decidere, a cantarsela e a suonarsela, sono solo loro».
    Vuol dire che siete tanti ma non avete peso contrattuale?«Non siamo uniti, è questo il vero problema. Sa cosa farei io? Bloccherei totalmente la produzione, non conferirei neanche una goccia agli industriali: vediamo quanto reggono. Il guaio è che a quel punto comprano il latte dalla Romania e lo rivendono come sardo. E noi? Noi sempre peggio».
    Dove finisce il latte del suo gregge?«Prima facevo capo anch'io ad un'industria. Ho smesso quando ho scoperto che pagava 80 centesimi ai pastori che avevano mille capi e 0,60 a piccoli allevatori come me. Capito? Ci dividono per governarci meglio».
    Quale sarebbe il prezzo giusto?«Un euro. Anche perché intanto i mangimi sono aumentati del 40 per cento, un quintale di granturco è passato da 20 a 32 euro. Mica si può durare, così».
    I rapporti con la politica: ci crede?«Ho smesso da un pezzo. E sa perché? Perché mi vergogno di un Consiglio regionale che, a voto segreto, boccia la legge per ridurre il numero degli onorevoli. Mi vergogno di un Consiglio regionale pieno di indagati. Mi vergogno di gente che pensa soltanto a riempirsi la pancia».
    E la crisi?«La crisi sono loro. Questa è la verità».

                                                      pisano@unionesarda.it