24.1.20

storie di centenari e più sardi

  La prime  due  sono poeti 
Fanny  satta    morta  l'anno  scorso    a 104  anni  ma  solo   a  100  anni    a deciso  di pubblicare .  Il suo  libro  (   foto  al lato )   raccoglie un centinaio di poesie di un'autrice  "esordiente ", Fanny Satta, scritte a partire dagli anni Cinquanta e mai prima presentate al pubblico.

Intima Babele

 Il suo  libro  (   foto  al lato )   raccoglie un centinaio di poesie di un'autrice  "esordiente ", Fanny Satta, scritte a partire dagli anni Cinquanta e mai prima presentate al pubblico.
Eccone   una  


Vorrei 
Vorrei la buona terra
per poter rifiorire
per non dover morire
senza lasciare traccia.
Vorrei una buca fonda
sotto un albero ombroso
dov’è il canto festoso
di uccelli e di cicale,
o presso una gran roccia
dove le felci e i cisti
preparino, non visti,
un recinto fiorito.
Vorrei che dalla morte
germogliasse la vita
che una storia finita
potesse alimentare
storie d’erbe e d’insetti
di pascoli e di agnelli
di fieni e di arboscelli
rifiorenti in aprile.
Vorrei sentir il fiato
della notte e del giorno
e i profumi che intorno
esala la campagna.
Vorrei sentire le zolle
leggere inturgidire
lievitare e fiorire
ad ogni primavera.
Non darmi sepoltura
dentro una cassa-forte:
se possibile, o sorte,
rendimi alla natura
che mi tenga abbracciata
mi sottragga alla morte
mi leghi alla sua sorte
alla sua eternità.
  L'altro   è   morto  recentemente è



Muore a 108 anni tziu Gaspare, il poeta





OROTELLI.
 Piccolo di statura ma una vera roccia, robusta e granitica come quelle che circondano la sua Orotelli. Negli ultimi mesi il vate appariva più affaticato e meno brillante del solito. Superato qualche passaggio a vuoto, dovuto anche a un ricovero ospedaliero, si era mostrato ancora tenace e incredibilmente attaccato alla vita. Ieri, tziu Gaspare Mele, il patriarca di Barbagia con i suoi 108 anni e 9 mesi, è morto nella sua casa che si affaccia nella via principale di Orotelli, dove l’ultracentenario viveva da sempre accudito con amore dai familiari. L’uomo, una vita dedicata al lavoro e alla sua grande passione, la poesia, si è spento poco dopo le 13, in una giornata cupa e piovosa.

Un trapasso lieve senza traumi e sofferenze. Tziu Gasparru si è addormentato nel tepore della dimora dove amava nelle giornate d’inverno stare seduto in una poltrona davanti al camino acceso e scoppiettante. Con lo sguardo sempre rivolto alla fiamma che disegnava strane figure e traiettorie. Probabilmente la sua mente scavava nella memoria ancora fertile alla ricerca di qualche poesia, delle centinaia composte in questi anni, sugli argomenti più svariati. Quando la giornata era propizia e l’interlocutore quello giusto, ripeteva i suoi componimenti con precisione. La sua voce nel rievocare quelle rime e quelle storie di vita vissuta diventava musica. Una cadenza regolare che aveva i suoi picchi quando si trattava di esaltare un concetto o una sfumatura.
Altre volte rispolverava i suoi quaderni e i tanti appunti. Comporre odi era una passione vera. Così come la sua memoria un mistero che nemmeno le neuroscienze riuscivano a indagare. Una mattina si svegliò con i versi di una poesia che aveva recitato solo una volta 90 anni prima. Per sicurezza quei versi furono fermati con l’inchiostro sulla carta.
Gaspare Mele era nato a Orotelli il 29 aprile 1911. Dalla moglie Rosalia Ortu (deceduta nel 2007 a 93 anni), ha avuto 8 figli. Aveva sedici nipoti e sei pronipoti. Poter condividere con lui anche pochi minuti rimaneva un’esperienza particolare e un esempio di una tempra d’acciaio. Fotografi e documentaristi sono venuti da varie parti del mondo per catturare il suo sguardo fiero e registrare quelle storie così lontane che raccontavano una Sardegna arcaica e la vita dei campi, poi l’inizio di un percorso nella modernità, ma soprattutto per cercare di carpire l'elisir di lunga vita.




Isili, ha compiuto cent'anni e per festeggiare regala un'altalena ai bambini del paese - La Nuova Sardegna Cagliari <!--

Isili, ha compiuto cent'anni e per festeggiare regala un'altalena ai bambini del paese

""
-->
Il sindaco Luca Pilia con Antonio Piras davanti all'altalena regalata dal centenario

Il bel gesto di Antonio Piras, reduce della Seconda guerra mondiale. Il sindaco ringrazia Tziu Tonni e i suoi familiari

23.1.20

Anna Pelamatti, ex docente universitaria di Psicologia a Trieste, ora a Salute mentale per l’infanzia di Duhok cura i traumi dei bambini dell’Isis : “ Li aiuto a uscire dal buio”:

Cercando , non ricordo cosa sono capitato su questa canzone del mio passato 


In effetti riascoltandola come sottofondo alla lettura della storia che trovate sotto , mi sono reso conto che : << ...Solo mettendosi in gioco per migliorare un poco la vita si riuscirà a “sconfiggere” la morte". Viva la vida, muera la muerte! è la frase con cui i rappresentanti delle comunità zapatiste del Chiapas chiudono i loro discorsi di benvenuto agli ospiti che considerano loro amici. da La Grande Famiglia >> ed ciò che fanno certe persone come quella di cui riporto la storia

Leggi anche  

Repubblica  21\1\20120
                           dal nostro inviato FABIO TONACCI


L’italiana che cura i traumi dei bambini dell’Isis: “Li aiuto a uscire dal buio”
Anna Pelamatti, ex docente universitaria di Psicologia a Trieste, ora lavora nel centro di Salute mentale per l’infanzia di Duhok: uno dei pochi presidi in Medio Oriente, venti campi assistiti, con un progetto sulla salute mentale per bambini e adolescenti affetti da sindrome post-traumatica da stress. 
DUHOK - Li vedi cercare un equilibrio precario su una tavoletta di legno nelle stanze colorate del centro di Salute Mentale di Duhok, e ti viene naturale pensare che stiano giocando. Invece stanno provando a sentire di nuovo il proprio corpo, irrigidito dalle morti, dalle bombe, dall'Isis. Dalla paura che ancora li possiede e li costringe a farsi la pipì addosso quando i rumori attorno assomigliano al fucile che spara. Dalla diffidenza, che li sprofonda in un angolo della tenda, nel silenzio. Bambini che sopravvivono nei campi profughi, bambini figli di uno stupro, bambini che l'Isis aveva addestrato a fare il soldato, bambini cui hanno rubato l'infanzia. La guerra li ha talmente violati che non lo sanno più dire ciò che provano. Lo disegnano, al massimo. Una casa in fiamme, un cuore spezzato, un viso rigato dalle lacrime. Emozioni minime eppure enormi. "Ma un poco alla volta li tireremo fuori dal buio", dice la psicologa Anna Pelamatti, che vive nel Kurdistan iracheno in missione per Aispo, l'ong legata all'ospedale San Raffaele di Milano, specializzata in interventi di cooperazione sanitaria e presente in Iraq dal 2013.
Anna Pelamatti è una di quelle persone che ti fanno pensare che, in fondo, la speranza è più potente dei missili. Sessantasei anni, ex docente di psicologia, per dieci anni direttrice della Scuola di specializzazione in neuropsicologia clinica a Trieste. Poteva godersi la pensione, invece è qui nel centro medico di Duhok, in una terra martoriata dai conflitti: venti campi assistiti, migliaia di casi trattati, in sostanza uno dei rari progetti sulla salute mentale di bambini e adolescenti dell'intero Medio Oriente.

Anna, come è nata la sua scelta?
"Sono andata in pensione nel 2016, a 63 anni. Potevo rimanere fino a 70 anni in quanto professore ordinario, ma ho voluto dare spazio ai giovani. Due anni dopo mi contatta un amico che lavora a Duhok per Aispo. Mi dice che il Direttorato della Salute locale ha bisogno di aiuto perché la situazione era disperata. Nei campi profughi c'erano adolescenti che si davano fuoco".

Non venivano curati?
"Qui non esiste la neuropsichiatria infantile e nemmeno una seria formazione in psicologia"

Perché ha contattato lei?
"I servizi sanitari a Trieste sono di tradizione basagliana. Per la diagnosi e il trattamento usiamo il modello bio-psico-sociale che integra i fattori biologici, sociali e relazionali col contesto famigliare. Lavoriamo con gli amici e la famiglia del paziente, in altre parole. In Kurdistan questo è fondamentale, perché lo stigma è ancora forte..."

Lo stigma?
"Sebbene i curdi siano laici, democratici e attenti alla parità di genere, rifiutano la malattia psicologica. Se ne vergognano, un po' come in Italia 50 anni fa. Preferiscono rivolgersi all'autorità religiosa piuttosto che a psicologi e psichiatri"

Quando è arrivata a Duhok?
"Nel febbraio del 2018 per una prima valutazione di 15 giorni. Mi sono accorta che i bambini del Centro risultavano essere soprattutto autistici o con ritardi mentali, ma solo perché gli strumenti diagnostici erano tarati sull'Occidente. Era necessario un lavoro di adattamento culturale dei test e dei questionari con cui si misurano il quoziente intellettivo, il disagio sociale, i comportamenti a rischio. Ero convinta di poter davvero aiutare questo gruppo di dottori curdi e allora mi sono trasferita".

Si immaginava così la pensione?
"Avevo deciso di continuare a insegnare gratuitamente al dipartimento di Trieste, però il progetto curdo mi ha conquistato. Sto bene e vivo bene".

Quanto tempo passa qui?
"Otto mesi nel 2019. L'appartamento dove stiamo è in un palazzo orribile, ma per lo meno c'è l'elettricità tutto il giorno ed è controllato da un servizio di sicurezza armato. Dopo l'attacco missilistico iraniano, ci è stato vietato di andare al campo di Bardarash perché vicino alla base americana"

È sposata?
"No, e non ho figli. Ho un compagno"

Concorda con la sua scelta?
"Sì, l'abbiamo presa insieme. Il mio team è composto da cinque donne. I nostri compagni non riescono a capire perché talvolta non riusciamo neanche a fare una telefonata per un saluto, ma è perché usciamo di casa alle 8.30 e rientriamo tardi. Dopo la guerra turca ai curdi del Rojava, c'è un nuovo campo rifugiati con una popolazione che, per il 60 per cento, ha meno di 15 anni. Immaginatevi quanto lavoro abbiamo da fare"

Che tipo di patologie mentali hanno?
"Presentano tutti la sindrome post-traumatica da stress. Si fanno la pipì addosso durante la notte, o quando sentono un rumore che associano alle bombe o agli spari. Poi attacchi acuti d'ansia o di panico, non dormono, alcuni sono depressi. Nel campo di Bardarash ci sono bambini che non riescono ad uscire dalle tende. 'Se esco arriva l'uomo col fucile e mi spara', mi dicono".

I casi più gravi?
"I bambini yazidi. Hanno visto le loro madri stuprate e rapite dall'Isis, e i loro padri assassinati. Ho conosciuto una donna yazida che ha tre figli: uno è nato da uno stupro e la sua famiglia non lo accetta, per cui lei dice che stava meglio quando era prigioniera dello Stato Islamico perché allora le violenze avevano una causa. Il figlio più grande ha 14 anni ed è stato un bambino soldato: ora non ha più desideri, non parla, ha reazioni aggressive. L'Isis gli ha fatto il lavaggio del cervello, dandogli anche un nome nuovo. È un bambino intriso della violenza che gli hanno imposto. Considera l'angolo della tenda il suo territorio, e non vuole che nessuno lo violi"

Come si curano adolescenti così provati?
"Bisogna farli ripartire da dove si erano fermati. Per prima cosa devono ricominciare a sentire il proprio corpo, irrigidito da quanto hanno passato. Gli facciamo fare esercizi di equilibrio in piedi su una tavoletta basculante, ad esempio"

E per rieducarli alla socialità?
"Ci vuole molta pazienza. All'inizio li mettiamo accanto a un compagno, schiena contro schiena, per recuperare la sensazione del contatto, dell'esistenza dell'altro. Poi li facciamo respirare insieme per creare un contatto più profondo, e li facciamo descrivere le emozioni"

E come, se non parlano?
"Lavorando attraverso il corpo, importantissimo veicolo dei sintomi traumatici. Abbiamo un'artista curda che li aiuta a raffigurare le emozioni con il disegno, con i suoni e con i gesti."

Riuscite a recuperarli veramente?
"Non si può parlare di guarigione, non tornano quelli di prima. Il vero successo è che arrivino a riconoscere emozioni nuove e a pensare di poter avere un futuro. L'approccio clinico integrato sembra dare buoni risultati. Stanno uscendo dall'abisso in cui sono sprofondati. Piano piano, un po' alla volta".
   





Pacificazione non vuol dire niente finche si equipararono il razzismo fascista e le sue vittime come si vuole fare a verona dando la cittadinanza ala segre e poi istituendo una via a giorgio Almirante

Risultato immagine per pacificazione
Pacificazione non vuol dire niente    finché  si   equipararono  il razzismo fascista e le sue vittime come si   vuole fare  a verona  dando la  cittadinanza  alla Segre  e poi  istituendo una  via  a  giorgio Almirante .
Infatti    fin quando non si faranno i  conti con il proprio passato  che  ha influenzato la storia  successiva  fino  al 1992    del nostro paese  con episodi  sanguinosi e non solo  (  vedere post  precedente e  di come  viene le  celebrazioni    del  giorno del ricorso  ovvero il 10  febbraio   )   ed  ancora   oggi   anche  se   solo  con l''odio  ma     dai  fatti alle  parole    poco   ci manca   , non si  potrà ma  esserci     pacificazione   nè  per  usare  un termine  illusorio \  utopistico memoria  collettiva  . Ecco perchè  concordo con l'articolo   di repubblica   del 21 Gennaio 2020      riportato sotto
     

                                            di UMBERTO GENTILONI

Una breve frase, una considerazione di merito della senatrice Liliana Segre chiarisce ambiguità e pericolose confusioni. Come si fa a tenere insieme la cittadinanza onoraria a una testimone della Shoah con la proposta d'intitolare una strada a Giorgio Almirante? Possibile che non salti agli occhi una contraddizione insanabile, carica di conseguenze. Non si tratta di una svista né di un superficiale atto amministrativo di un comune distratto. Le reazioni di tanti in queste o...
Paywall
Una breve frase, una considerazione di merito della senatrice Liliana Segre chiarisce ambiguità e pericolose confusioni. Come si fa a tenere insieme la cittadinanza onoraria a una testimone della Shoah con la proposta d'intitolare una strada a Giorgio Almirante? Possibile che non salti agli occhi una contraddizione insanabile, carica di conseguenze. Non si tratta di una svista né di un superficiale atto amministrativo di un comune distratto. Le reazioni di tanti in queste ore chiamano in causa i riferimenti condivisi, i lasciti e le eredità della storia della Repubblica. Non tutto è sovrapponibile nella dimensione di un passato indistinto che annebbia e cancella differenze e ragioni, torti e meriti. Non può avere lo stesso significato rivolgersi a chi ha combattuto per la libertà e la democrazia o a chi invece ha militato dalla parte del nuovo ordine hitleriano. Chi ha tentato di sopravvivere per costruire un futuro comune, senza violenze e discriminazioni e chi, al contrario, ha cercato di far prevalere le motivazioni del più forte, le dinamiche di una guerra di conquista e distruzione. Sono campi che si scontrano negli anni del conflitto proiettando riferimenti, linguaggi e culture verso i decenni successivi. I rischi di oggi sono di natura duplice: da una parte l'oblio che tutto cancella, dall'altra una presunta pacificazione capace di confondere le scelte di allora in un presente senza tempo.
Talvolta può sembrare persino banale: dare un senso alle parole, alle argomentazioni come premessa per definire scelte e comportamenti conseguenti. L'intitolazione di una strada o di una piazza è un momento importante, indica alle future generazioni un esempio, un modello di vita e di cittadinanza. La scelta dei nomi da dare ai luoghi pubblici diventa occasione per una riflessione sulla storia e sull'identità di una nazione, sul passato e sul futuro. Almirante ha partecipato da protagonista alla rivista del nascente razzismo fascista (La difesa della razza, di cui è stato segretario di redazione), ha contribuito in prima persona a quella persecuzione antiebraica che ha segnato parte della storia del Novecento italiano. Si è distinto con ruoli significativi nella Repubblica di Salò come capo di gabinetto del Ministro Mezzasoma firmando tra le altre cose il bando di fucilazione dei giovani italiani che sceglievano di non arruolarsi nell'esercito della Rsi. Un'indicazione precisa: colpire a morte chi si rifiutava di combattere al fianco dei nazisti nel tornante decisivo della lotta di liberazione, nello scontro sanguinoso della guerra civile.
Non sono piani o situazioni compatibili, occorre scegliere da che parte stare. Dobbiamo essere grati alla chiarezza delle argomentazioni della senatrice Segre e alla profondità di una coerenza che non ammette deroghe. La comprensione degli eventi del passato non è un gioco casuale, né un'insignificante mescolanza di biografie, principi o valori. Meglio distinguere e approfondire con la giusta attenzione per il cammino di una comunità nazionale che si specchia nella carta del 1948.

perchè nonostante consideri ipocrita e pulicoscienza la giornata del 27 gennaio continuo a ricordare ed a parlare di tali argomenti



So che gli assassini sono esistiti che confonderli con le loro vittime è una malattia morale ed un prezioso servigio reso ( volutamente o no ) ai negatori della verità
                                         Primo levi
Lo so  che  il 27  gennaio la  giornata  della memoria   (  anche  se   s'inizia,  perchè la retorica  ipocrita  e pulicoscienza  ha  capito   che  un  giorno  non serve  e   se ne parla      e    ci si lucra  ed  specula  politicamente   poco ,  a  dedicarne speciali  mediatici   da prima   e quindi  bisognerebbe  parlare  di settimana  della memoria  , lo stesso vale   per  quell'altra   giornata  del  ricordo  il  10  febbraio ovviamente  senza  metterli sullo stesso piano perchè  sono due   giornate diverse   nella  loro tragedia    )  . Soprattutto  a  livello  Italiano   .
Risultati immagini per risiera di san saba
la  risiera  di San saba (  trieste  )   campo di concentramento italiano
con forno crematorio
  
Ma  nonostante    tutto  ,  non posso fare   a meno  di  ricordare 



 l'olocausto \ shoah che dir si voglia,  di farlo  possibilmente   prima del 27 gennaio o al massimo dopo la  fine   dell'ubriacatura    retorica . Lo ricordo , vedere    video    sopra  ,  nonostante  la considero ipocrita sopratutto a livello italiano visto che avendo la possibilità di scegliere una data non scelse il 16 ottobre 1943 in cui collaborò con i nazisti a rastrella,mento del ghetto ebraico di roma ed si è limitata a scegliere quella #pulicoscienza e generica del 27 gennaio 1945 . Per     chi  non avesse capito  ancora  il perchè    della  mia  scelta  ,  Qui  sotto , trovate   un ulteriore  spiegazione  , dei motivi alla  base  d'essa  



Intervento di Davide Conti, storico, è consulente dell’Archivio Storico del Senato della Repubblica. Ha collaborato con la Procura della Repubblica di Brescia per la strage di Piazza della Loggia. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: “L’occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della «brava gente» 1940-1943” (Odradek 2008), “Criminali di guerra italiani. Accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra” (Odradek 2011), “L’anima nera della Repubblica. Storia del Msi” (Laterza 2013), “La Resistenza di Mario Fiorentini e Lucia Ottobrini dai Gap alle Missioni Alleate” (Senato della Repubblica 2016) e “Guerriglia partigiana a Roma” (Odradek 2016).
Concludo     con  un altra  provocazione  collegata   al post  .
Perchè :  cari presidi  , provvedditori  regionali  e provinciali non gli portate   in viaggio  d'istruzione    a  non solo nei campi di concentramento   tedeschi  ma  anche in quelli Italiani   di :  Risiera  di san Saba  (  trieste ) Bolzano , Fossoli.
A   chi  mi dice   che  quelli erano solo campi  di transito   \ deportazione     dico solo   studiate  ed  approffondite   cliccando  sopra  i  collegamenti  ipertestuali   e  poi  ne  riparliamo .

Danyart New Quartet fiori e tempeste

Ieri è stato presentato il nuovo lavoro discografico dei Danyart New Quartet, formazione jazz capitana da Daniele Ricciu, in arte Dany...