6.2.23

lo scontro dei due paolo . Pietro Sarpi fra Paolo e Camillo Borghese,Paolo V di Anselmo Pagani

a  chi  mi dice   che nei  mie post  sul blog     qui  in particolare  : <<  recensione del film la scuola cattolica di stefano mordini >>    e  sui social  attacco   la  chiesa   rispondo che  pur  essendo  un senza    chiesa  cioè  vado solo  a :  funzioni  sacramentali  (  battesimi  ,  ecc )  o  matrimoni    \  funerali  o    quando  ho bisogno  di raccoglimento  o  silenzio  perchè  penso  che  la  fede  vada  vissuta  in libertà  e   nel mondo     non ingabbiata  in istituzioni    e sovrastutture    salvo  che  non   si tratti  come  gli venti  descritti sopra    colllettivi ,  non  odio   e rispetto    sia   chi invece  la pensa  diversamente  da me  e  pratica   sia   anche la  critico  la  stessa  istituzione  .Il   primo Paolo  Il cosiddetto “Oracolo del secolo”   vedere   articlo  sotto  aveva ragione, perché di tanti “lamentevoli esempi” di abuso del nome di Dio, da parte di uomini cattivi e fanatici, siamo testimoni impotenti anche ai giorni nostri.
 
  da   Anselmo Pagani

Milanesi DOC, sentendo pronunziare il nome di Paolo Sarpi, pensano subito alla Cina perché la via cittadina a lui intitolata costituisce l’asse portante della “Chinatown” locale.
Eppure Fra Paolo Sarpi con l’Estremo Oriente non aveva nulla a che fare, essendo nato a Venezia nel 1552 e non avendo mai viaggiato in terre lontane.
Molti invece furono i suoi punti di contatto con un famoso contemporaneo, perché erano entrambi preti, quasi coetanei e battezzati tutt’e due dai rispettivi genitori con nomi che in realtà non erano “Paolo”.
Sarpi infatti si chiamava Pietro, ma divenne Fra Paolo una volta pronunciati i voti dopo essere entrato, 

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giovanissimo nell’Ordine dei Servi di Maria.
L’aristocratico romano Camillo Borghese, invece, dovette attendere sino al secondo conclave del 1605 per diventare Papa Paolo V.
Lo scontro teologico, politico e caratteriale fra questi due “Paolo”, per certi versi simili, ma per altri molto diversi fra loro, sul finire del primo decennio del Seicento poco mancò che anticipasse di qualche anno lo scoppio della Guerra dei Trent’anni.
A quei tempi la Serenissima Repubblica, di cui Fra Paolo era cittadino, era l’unico Stato in Italia a godere di una certa indipendenza dalla Spagna, come pure dagli Stati Pontifici. Venezia infatti non perdeva l’occasione per riaffermare la superiorità delle proprie leggi su qualsiasi interferenza straniera, Inquisizione inclusa.
Fra Paolo, che l’Urbe la conosceva bene per avervi vissuto fra il 1585 e il 1588 come vicario generale del suo Ordine, era rimasto scandalizzato da corruzione, lusso ed intrallazzi politico-clientelari che vi regnavano, come pure dalla disinvoltura con cui il clero locale teneva fede al voto di castità, tanto più che lui, ascetico e contemplativo com’era, veniva chiamato “il vergine”.
Tornatosene in patria, da dove non si sarebbe mai più allontanato, dopo il conseguimento della laurea in diritto canonico si dedicò agli studi non solo filosofici e storici, ma anche matematici ed astronomici sotto la guida di Galileo in persona, che in quegli anni insegnava presso lo “Studium” patavino.
Un uomo come lui, poliglotta e “natus ad Encyclopaediam” (secondo la definizione che ne diede il filosofo Giambattista Della Porta) nel 1606 fu nominato dal governo dogale “canonista della Repubblica” e in questa veste dovette occuparsi di una spinosa “querelle” riguardante la perentoria ingiunzione arrivata da Roma, in cui il novello pontefice ordinava a Venezia di consegnare ai messi papali due preti resisi colpevoli di reati comuni e per questo incarcerati ai Piombi.
Quel diktat, considerato offensivo dal Doge, fu abilmente smontato pezzo a pezzo sotto il profilo giuridico da Fra Paolo, con ciò mandando su tutte le furie Paolo V, che fulminò lui con la scomunica e Venezia con l’interdetto.
Ben presto “il piccolo Lutero d’Italia” coi suoi scritti infuocati iniziò a suscitare gli entusiasmi di Olanda, Inghilterra ed altri Stati protestanti, che inondarono Venezia coi loro agenti al fine di farvi scoppiare una rivolta anti-papale e, se possibile, persino anti-cattolica.
A scorrere non furono soltanto fiumi d’inchiostro, ma anche il sangue perché nell’autunno del 1607 Fra Paolo subì un tentativo d’omicidio a pugnalate da parte di due agenti dell’Inquisizione Romana.
Quell’attentato, cui scampò per miracolo, ne accrebbe a tal punto la fama in Europa che l’altro Paolo, il Papa, dovette velocemente addivenire ad un compromesso, terrorizzato com’era dalla possibilità che la Serenissima abbracciasse la religione riformata.
Nemmeno a bocce ferme però l’indomito Frate interruppe il suo “cannoneggiamento” contro il Papato e la dottrina della Chiesa, pubblicando una serie di libri, pamphlet e trattati, sempre al riparo dello scudo protettivo offertogli dalla Serenissima.
Di Paolo Sarpi numerosi e poliedrici furono gli scritti, fra i quali in particolare i “Pensieri”, la “Istoria del Concilio tridentino”, le “Lettere ai Protestanti” e quelle “ai Gallicani”.
Poco prima di morire il 15 gennaio del 1623, a soli due anni distanza dal suo nemico-Papa, vedendo le devastazioni causate dalla Guerra dei Trent’Anni scrisse con grande preveggenza: “per l’abuso della religione vengono le più crudeli guerre e le più perniciose contaminazioni che possono occorrere, e li tempi presenti ne portano lamentevoli esempi”.
Il cosiddetto “Oracolo del secolo” aveva ragione, perché di tanti “lamentevoli esempi” di abuso del nome di Dio, da parte di uomini cattivi e fanatici, siamo testimoni impotenti anche ai giorni nostri.
Accompagna questo scritto un disegno seicentesco raffigurante Fra Paolo Sarpi, con l’iscrizione “Non si verrà mai più un Fra Paolo”.
 

Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900 è le foibe e l'esodo spiegato ad un adolescente parte II )



Inizialmente stavo pesando a qualcosa di simile all'articolo sotto vista l'età 13\14 del ragazzo in questione . Ma poi vista : 1) l'obbietà dell'articolo che collima con il mio intento che coltivo dall'istituzione di tale giornata palla ma che ormai dopo anni di silenzio a livello della pubblica opinione
è diventa una delle date fondanti della Repubblica. Insieme al 27 gennaio ( anche se sarebbe stato meglio il 16 ottobre deportazione degli ebrei romani ma va beh ) , 8 marzo , il 25 aprile , il 1 maggio , il 2 giugno , il 4 novembre , Il 12 dicembre 2) la sagacità del ragazzo quando : << [...] ma come sta  mettendo sullo stesso piano violenze fasciste e violenze comuniste , lager e foibe [...] >>   di cui parlavo  nel post  precedente   : il 10  febbraio e la  questione   del confine orientale  spiegata   ad  un adolescente  ho cambiato idea .
Perché anche  se   come tutti  gli eventi   storici    è  difficile come  ho  detto nel post  : << 10  febbraio (  e  non  solo  )  e impossibilità della memoria  condivisa >>  trovare  una  memoria  condivisa    , non significa   che     certi eventi    debbano  essere  dimenticati    o   silenziati   e  gli orrori   che     ne  sono alla base   siano  ripetuti  anche    se  in maniera  diversa   . 




Ma  soprattutto visto che Il tema delle foibe e dell’esodo giuliano è da sempre un argomento molto delicato, affrontato da alcuni con reticenza e da altri con una certa strumentalizzazione politica ed ideologica . Qui come potete vedere nei mie post per il giorno \ settimana dl ricordo   sia  recenti  sia  passati  c'è l’intento di fare il più possibile chiarezza su quei tragici avvenimenti, raccogliendo a 360 gradi e non a senso unico l’invito della stessa legge istitutiva del Giorno del Ricordo che, testualmente, invita a “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale " Il mio obbiettivo è certamente quello di ricordare quei tragici avvenimenti che causarono tanti dolori e lutti ma anche quello, affrontandolo dal punto di vista storico, di cercare di comprenderne le origini, le cause e le conseguenze.
Solo in questa maniera può essere possibile difendere degnamente la memoria delle tante vittime e dei tanti profughi. e di cui ha subito sulla propria pelle gli effetti nefasti e brutali del nazionalismi e delle aberrazioni ideologiche de secolo corso . Ma ora basta parlare io , vi lascio all'articolo in questione




l'espresso 5 febbraio 2023

Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900

                                      di PIERANGELO LOMBARDI *




Il Giorno del Ricordo  rievoca le vicende avvenute  nel secolo scorso nell’Alto Adriatico. La memoria
di questa tragica pagina di storia è difficile. E spesso strumentalizzata per  scopi politico  \  ideologici  [  corsivo  mio   ]





IL 10 febbraio è una data del calendario civile italiano: il Giorno del ricordo. Nel corso di formazione [  foto   a  sinistra     dell'edizione  di quest'anno  ] 
per insegnanti organizzato l’autunno scorso dall’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, la sfida è stata quella 
di andare al di là delle sovraesposizioni mediatiche e delle ingerenze politiche, che non aiutano, ma al contrario allontanano la piena comprensione delle vicende avvenute nel corso del Novecento nell’Alto Adriatico. Il ragionamento di lungo periodo, proposto
agli insegnanti, è stato quello di riflettere 
sul tema che proprio la legge istitutiva del
Giorno del ricordo, del 2004, indica come
«la tragedia degli italiani e di tutte le vittime
delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli 
istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Perché in questa tragica  pagina di storia non c’è solo una memoria 
difficile e complessa, ma, come ha suggerito
Guido Crainz, c’è in «quel confine tormentato tutto il nostro Novecento».
Ci sono i nazionalismi e i processi di nazionalizzazione, dove uno spirito discriminatorio e per nulla inclusivo troppo a lungo ha soffiato sul Vecchio Continente; c’è il trauma della Prima guerra mondiale, con  la «italianizzazione forzata» imposta dal fascismo alle popolazioni slovene e croate; ci sono la violenza e la brutalità dell’occupazione nazista e fascista della Jugoslavia 
nel 1941; c’è la tragica lezione della Seconda guerra mondiale, una guerra totale, in  cui veniva meno la distinzione tra militari e civili, dove l’imbarbarimento del conflitto, specie sul fronte orientale, è stato
massimo. Ancora: c’è l’incontro tra violenza e ideologia politica che si fa devastante e dove, in un clima torbido e inquietante, s’intrecciano il giustizialismo politico 
e ideologico del movimento partigiano titino, il nazionalismo etnico e, soprattutto in Istria e nelle aree interne, la violenza selvaggia tipica delle rivolte contadine.
Ci sono le violenze contro le popolazioni italiane del settembre del 1943 e del maggio-giugno del ’45, di cui le foibe, gli arresti e il clima di terrore che spinge all’esodo forzato migliaia di italiani sono simbolo ed espressione; c’è la volontà di Tito e del comunismo jugoslavo di annettere l’intera Venezia Giulia, con un’epurazione volta a eliminare – senza andare troppo per il  sottile – qualsiasi voce di dissenso. Ci sono, infine, le logiche della Guerra fredda e della radicalizzazione dello scontro ideologico nell’immediato Dopoguerra. Il tutto sulla  pelle di decine di migliaia di persone. 
Un vero e proprio tornante di fughe e di espulsioni in tutta Europa, infatti, si accompagna agli esordi della Guerra fredda e a una più generale ridefinizione dei confini europei e dei loro significati. Diventa, quindi, sempre più necessario, nell’affrontare questa pagina di storia, contestualizzarla con grande rigore, respingere tesi negazioniste o riduzioniste, così come le banalizzazioni e le verità di comodo più o meno  finalizzate a uno scorretto uso pubblico della storia.
 Occorre assumere un ruolo attivo nel processo di rivisitazione critica, che sola può portare al superamento delle lacerazioni   del passato. Anche perché le vicende dell’area  giuliano-dalmata costringono chi le affronta  a misurarsi con temi assai più generali e con  fenomeni centrali per la comprensione della  nostra contemporaneità.





* Presidente di ISTORECO Pavia A cura della Biblioteca Civica Vigevano, Rete Cultura Vigevano e dell’Istituto pavese per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea )

mia riflessione su acca larentia

  di cosa  stiamo   parlando  Strage di Acca Larenzia  è la denominazione giornalistica [ 1 ]  del  pluriomicidio  a sfondo politico avvenut...