L’appello alla giornata del 26 giugno, lanciato dalla “Rete Donne per la Pace”, è stato raccolto in Sardegna dai gruppi femministi e dalle organizzazioni della società civile, con l’adesione di 22 associazioni e ben tre manifestazioni territoriali: a Sassari, Oristano, Cagliari. Nata dall’idea di alcuni gruppi femministi e dalle Donne in Nero, che già svolgevano presidi localmente, l’idea di 10 – 100 – 1000 piazze è stata contagiosa.

Si dichiarano “donne per la pace e per un futuro senza violenza” e hanno deciso di unirsi “perché la pace non è un’utopia lontana, né un fatto privato o diplomatico. La pace è una pratica collettiva, un atto politico quotidiano, un bene comune da costruire, qui e ora.” Forse sta qui la necessità di autoconvocarsi delle donne, per dare un accento e un senso di genere al bisogno di pace dei popoli, per dare una sensibilità e un’autorevolezza in più alle richieste di fermare l’escalation bellica. Ma come?

Provo a chiederlo a Cagliari, a qualcuna delle partecipanti al presidio delle donne in piazza Costituzione, alcune centinaia, nella serata afosa, sotto il Bastione Saint Remy.

Ci sono state tante manifestazioni contro la guerra e il riarmo e per la pace, perché avete sentito il bisogno di autoconvocarvi e qual’ è l’apporto più forte, l’aggiunta più significativa che le donne possono dare per la pace?

  • Le donne hanno un rapporto speciale con la pace, – afferma Angela – innanzitutto perché possono essere madri e quindi hanno un senso di protezione per la vita e non vogliono vedere figli morti in guerra. Inoltre sono più abituate a tessere, a costruire relazioni, mentre la guerra non fa che distruggerle.

Secondo Valeria, sono le donne che danno la vita e che la tengono più a cuore. Concetto ribadito da altre partecipanti, tra cui Pinella, che puntualizza:

  • Nella Storia le donne sono state meno complici della guerra, rispetto agli uomini. Hanno un rapporto fisico con la vita e non accettano che diventi carne da cannone. –

Per Marta, le donne, storicamente, – non hanno mai avuto voce in capitolo sulla guerra, né sulle più importanti decisioni di potere, né nelle pratiche repressive. Perché i corpi delle donne sono i primi a diventare terra di conquista. Sarebbe una contraddizione umana per le donne, contribuire alla guerra. –

  • Essendo creatrici della vita, hanno più a cuore la cura della vita e una sensibilità speciale per la sofferenza. – (Bernarda)

Il femminicidio è l’espressione ultima della guerra. – (Luisa).

Anche secondo Raffaella: – le donne hanno sempre avuto una capacità di mediazione nei conflitti della vita di tutti i giorni, capacità di ascoltare, di reagire, di trovare soluzioni. –

Sembra quindi che le donne, anche in quanto generatrici, si sentano in qualche modo custodi della vita e quindi agli antipodi con la guerra, le armi e gli assassinii. Inoltre sentono di aver potenziato capacità relazionali più prossime all’empatia e allo spirito di cura per l’ambiente e per l’altra persona. I temi della sensibilità alla cura dei rapporti e dell’attitudine all’ascolto della sofferenza, depurati dagli stereotipi convenzionali, sembrano dare almeno in parte una risposta alla nostra domanda.

Cagliari, manifestazione del 26 giugno al Bastione Saint Remy – Foto di Pierpaolo Loi

Durante il sit-in di Cagliari si sono svolte delle letture di poesie o di brani e gli interventi dei rappresentanti delle associazioni aderenti alla rete, compresa una giovane rappresentante dell’associazione in solidarietà con la Palestina, che ha ricordato ancora una volta il genocidio in atto. Particolarmente interessante la partecipazione di un folto gruppo di giovanissime, appartenenti al “Collettivo Sregolate”, che hanno letto poesie e mostrato pensieri e vignette satiriche.

La ricerca della pace, quella vera, costruita sulla parità tra i generi, sulla giustizia sociale e sul riconoscimento dei diritti dei popoli, avrebbe bisogno del coinvolgimento delle donne in tutto il mondo, proprio perché le donne sono spesso il primo bersaglio della violenza, dagli stupri di guerra a quelli casalinghi, sino al femminicidio.

La guerra crea paura ed aggressività, genera violenza a trecentosessanta gradi e questo si ripercuote sulle donne, specie quelle appartenenti agli strati sociali più deboli, o ai popoli colonizzati.

Siamo con loro, non solo per spirito di solidarietà, ma nella convinzione che è dal crescente impegno delle donne che potrà estendersi una cultura della pace in tutto il mondo, che possa contrastare la guerra e i suoi sporchi interessi egemonici ed economici.

Foto di Pierpaolo Loi

Concludo con un estratto dell’intervento di Afra:

  • Ci dicono che l’eroe è colui che uccide. Noi diciamo che l’eroe è che si rifiuta di obbedire. Ci dicono che i maschi devono essere forti, violenti, armati. Noi diciamo che la vera forza è spogliarsi della divisa, disertare, prendersi cura.

Perché il patriarcato uccide anche gli uomini. Li obbliga a combattere. A odiare. A morire. E mentre sopra le nostre teste passano droni e bombe intelligenti, noi resistiamo con un’intelligenza più antica: quella dell’empatia, della memoria, della comunità. Perché la guerra è macchina, è gabbia, è imposizione. La pace , invece, è un processo collettivo, liberante, transfemminista. E non ci sarà pace finché una sola persona sarà oppressa in nome della patria, del genere, della razza o del denaro.-