Uno dei problemi che prima o poi bisognerà affrontare è quando avverrà il picco del petrolio, ossia il momento dopo cui la sua produzione comincerà a declinare. Declino che più che una crisi energetica generale provocherà la penuria dei combustibili utilizzati per i trasporti, tranne che in Italia.
Conoscere approssimatamente quando avverrà il picco, permette di modulare le azioni per mitigarne gli effetti. Agire troppo tardi le rende inutili. Anticiparle eccessivamente, dato il costo sopportato per tutto il tempo in cui non ce n'è bisogno, inciderebbe in modo marcato e negativo sullo sviluppo economico.
In questo campo esiste un modello matematico che permette di eseguire delle previsioni, la cosiddetta curva di Hubbert, lo studioso utilizzandolo per la prima volta, riuscì a prevedere il raggiungimento del picco negli Stati Uniti all'inizio degli anni '70, come effettivamente avvenne.
Ora, perchè non utilizzare lo stesso modello su scala globale ? Per un semplice motivo: Hubbert aveva a disposizione dati di input consistenti. Noi allo stadio dell'arte non li abbiamo.
Ci sono idee chiare su queste variabili d'ingresso:
1) Riserve certe, quelle che potrebbero essere commercialmente prodotte dai giacimenti noti, con un margine, anche abbastanza ampio legato alla modifica delle tecnologie estrattive.
2) Riserve probabili, le quantità stimate con ragionevole probabilità sulla base delle condizioni tecniche, economiche ed operative esistenti al momento in cui si dovrà prendere una decisione. Anche qui è un margine dovuto all'evoluzione tecnologica.
3) Riserve contingenti, i giacimenti scoperti, ma non sfruttati commercialmente a causa degli eccessivi costi che momentaneamente si dovrebbero affrontare
Ci sono idee confuse su:
4) Riserve possibili, quantità che si stima poter recuperare con probabilità molto inferiori rispetto alle probabili.
5) Riserve prevedibili, i giacimenti ancora non scoperti.
Ci sono idee molto vaghe su:
6) Riserve potenziali, le fonti di petrolio diverse dai classici giacimenti, come scisti e sabbie bituminose.
Di conseguenza c'è troppo rumore sui dati per azzardare previsioni attendibili. In più, vi è anche un altro fattore. Il calo del prezzo di petrolio avvenuto negli anni '90, ha portato ad investire poco nelle ricerche di nuovi giacimenti. Dato che nessuno dei vertici delle società petrolifere, cosa incredibile a dirsi, aveva previsto il boom della domanda di Cina e India, queste si sono concentrate più nell'ottimizzazione dei costi e nella reingegnerizzazione dei processi, che negli investimenti.
Di conseguenza,poche scoperte di nuove giacimenti, scandali come quello della Shell, che aveva gonfiato il valore delle riserve in effettivo suo possesso, per far ipotizzare maggiori attivi e rendere più appetibili ed il problema delle raffinerie, che incide sul prezzo finale della benzina.
In USA le raffinerie lavorano al 100% della loro capacità. Basta un guasto o la minaccia di un uragano a far schizzare il alto il prezzo della benzina al Nymex. In Europa, al 95%. Nei paesi dell'est, teoricamente al 60%, in realtà gli impianti, risalenti ai tempi del socialismo reale, sono certi catorci che difficilmente possono essere maggiormente utilizzati
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