Siamo oggi in una situazione contraddittoria. Perché la stessa cultura dominante, quella che si rifà (come non può non rifarsi al cultura del mondo occidentale) alle grandi conquiste come la dichiarazione dei diritti dell'uomo e le convenzioni internazionali, ha dei termini oggi rimossi, diciamo, dalla censura. Censura nel senso psicanalitico, che rimuove le parole oramai indecenti. Per cui nessuno si dichiara razzista. Una persona che viva con un livello pur minimo di consenso con la civiltà in cui siamo, non si dice razzista. Non ci si dice razzisti. Ma poi si assecondano dei meccanismi psicosociali da cui poi è nato anche il razzismo. Il razzismo ha due livelli: uno è psicologico e allora si riduce semplicemente a quella dialettica tra identità ed alterità che accompagna l'evoluzione dei gruppi umani. Un gruppo umano mira alla propria identità che è correlativa alla percezione dell'altro come diverso. Viene chiamato «barbaro» e «selvaggio» ma questo non significa, di per sé, aggressività e ripulsa. Quando però da questo meccanismo di differenziazione si passa all'ideologizzazione, allora questo sentimento viene sfruttato ad altri scopi, entra a far parte di una strategia del dominio e dello sfruttamento. E dell'asservimento. Questi impulsi si scatenano obbedendo ad altri meccanismi, poniamo la paura della concorrenza dell'immigrato «che ruba il posto» o vende la merce a più basso prezzo; la paura della malattia; della droga... E' una condizione di conflittualità interetnica che non ha i livilli del razzismo vero e proprio ma ha tutti i presupposti del razzismo. Per arrivare al razzismo è l'«imprenditore politico» che manca. Come Le Pen in Francia. Da noi in Italia non pare ci possa essere per il momento (1990) un imprenditore politico. Però ci sono le leghe che, anch'esse centrate sull'etnia, sulla cultura locale, in qualche modo ci fanno temere che nascano questi «imprenditori» (ndb: parole profetiche, vedi Calderoli che è stato addirittura Ministro!). Siamo su una soglia pericolosa e per questo ogni tentativo per disgregare analiticamente le cause culturali del razzismo è importante.
Padre Balducci in un'intervista a Controradio di Firenze
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