28.11.10

L'ospedale per gli ultimi San Gavino, un prete e l'iniziativa porte-aperte

Ripensando al   giuramento di Ipocrate   letto  ieri nel convegno sulla  Ccsvi  tenuo  a tempio pausania  ( vedere post precedentee  ilmtesto nel collegamento   qui  presente    )   dal prof  F. Salvi  in risposta   all'ottusità di coloro  che     voglino ritardare  e fare  ostracismo \  ostruzionismo all'ulteriore  studio  di cura  per la ccsvi  e lo critoicano  senza baso scientifiche e tanto per  criticare  per  interessi , ecco la storia  di veri medici coraggiosi  e umani verso i pazienti   e  non  ,  esperienza personale  ,  ,di quei medici (ovviamente  senxza  generalizzare)  che hanno i piedi  in due staffe   e ti dirrottano dal pubblico alloro studio   privato  .

Unione sarda del 27\11\2010 L
LORENZO PAOLINI
  ( paolini@unionesarda.it )
L'ospedale per gli ultimi
San Gavino, un prete e l'iniziativa porte-aperte




San GavinoDon Giorgio Lisci : qui l'assistenza sanitaria davvero per tutti
Ecco l'ambulatorio dove non si fanno domandeU na decina di medici che coprono qualunque esigenza dei pazienti. Nessuna domanda: basta dire che si sta male e c'è un camice bianco disponibile a metterci una pezza. A San Gavino don Giorgio Lisci, nella parrocchia di Santa Teresa, ha messo su una sorta di ambulatorio a cui fanno riferimento extracomunitari senza assistanza sanitaria ma anche emigrati di ritorno che non sanno a quale santo votarsi. «Odio gli automatismi, rumeno uguale sequestratore, i rom tutti ladri. L'unica che mi ha preso in giro è una signora della Marmilla»Un giorno funesto, di quelli che poi passano ma in realtà non se ne vanno più. Il padre di don Giorgio Lisci è appena morto, ucciso da un tumore al colon che l'aveva fatto tribolare per anni. Suonano alla porta e ad aprire è la sorella del sacerdote. Dall'altra parte c'è Mohamed, senegalese. La reazione è d'istinto: «No grazie, non compriamo niente, non è giornata». E lui: «Non sono venuto per vendere. Questa è la casa di don Giorgio? Sono qui per pregare». È entrato, ha salutato, intonato una sorta di serrato canto islamico, fatto le condoglianze di rito ed è andato via.
NESSUNA DOMANDA Forse quel pomeriggio è cambiato qualcosa per sempre. Tre lustri più tardi, anche in onore a quella visita inaspettata, il primo immigrato ha potuto sentire le mani di un medico che lo visitavano, ha ascoltato una diagnosi con tutti i crismi. Un ambulatorio vero e proprio, con otto specialisti a disposizione (ma altri, in questi giorni, hanno offerto gratuita disponibilità). Niente da spiegare né da dimostrare: si telefona (3404011522, se non risponde qualcuno c'è una segreteria), si fissa l'incontro, stop. Regolari e chi non lo è, marocchini e polacchi, c'è un diritto alla salute per tutti e pace se le leggi impongono condizioni: qui vigono altre regole.
SEMPRE DI FRETTA Arriva sbuffando come un treno, è appena scappato dalle corsie dell'ospedale dove fa il cappellano in servizio permanente effettivo. Ha 49 anni, nato a Pabillonis, parroco di Santa Teresina dal 23 aprile scorso. L'uomo ha l'argento vivo addosso, è di quelli a cui l'abito talare regala grinta e tenacia. Prete da 23 anni, ha insegnato nelle scuole, poi ha scelto di occuparsi a tempo pieno della pastorale della salute come gli aveva chiesto il vescovo. Caritas, diritti del malato, viaggio sui treni bianchi verso Lourdes nel ruolo di barelliere, non si è fatto mancare nulla. Coordina i corsi di volontariato cattolico, l'ultimo organizzato sull'assistenza domiciliare ai malati terminali, giusto per tenere il punto. Appena arrivato a san Gavino ha tirato su un gruppo che dà una mano a chi ha problemi in casa e segue alcuni disabili. La parrocchia è tappezzata di volantini col suo numero di telefono («cellulare solo urgenze e casi particolari, grazie»). Ogni settimana partorisce
un foglio di note teologiche commentate con il gusto di chi sa quant'è duro farsi ascoltare da un pulpito. Per dire, parlando di senso della vita, richiama all'Altissimo ma non disdegna di citare Vasco Rossi. Sul rispetto del dolore mette insieme Cogne e Avetrana, e quando si parla di morale messa in discussione butta lì un c'è-chi-dice-no che più Blasco di così si muore. Esche di lettura, magari, ma pare funzioni.
L'APPELLO RACCOLTO A pochi giorni dal suo arrivo a Santa Teresa, raccoglie i primi lamenti. Ci sono medici che rifiutano di visitarci, gli dice una giovane rom. E un indiano: siamo pazienti sgraditi, ci accolgono col ricettario in mano e arrivederci, senza farla tanto lunga. Ma non solo. C'è anche qualche sardo che gli racconta storie di consulti difficili, camici bianchi poco disponibili. Uno in particolare è un emigrato di ritorno che, spintonato da un ufficio all'altro, non è ancora riuscito a farsi assegnare un medico di famiglia. Morale: in quattro e quattr'otto, c'è un primo nucleo di specialisti che dà la disponibilità a visitare chi lo chiede. Senza quesiti che non siano legati al malanno, senza permessi di soggiorno da esibire: «Noi tuteliamo la loro privacy, ci teniamo a far capire che la Chiesa è dalla loro parte». Non è sempre una passeggiata. Una volta una segnalazione è arrivata da un campo nomadi di Arcidano. Il medico ha raccolto l'appello, si è presentato davanti alle roulotte, ha bussato a tutte le porte ma non ha aperto nessuno. C'è voluto il salvacondotto di don Giorgio perché la paziente venisse allo scoperto.
BELLE SORPRESE Ultimamente è comparso anche un gruppo di macedoni. Ma nel Medio Campidano da tempo c'è una nutrita rappresentanza di mondo globale, tunisini, russi, egiziani, nigeriani. «Io li ascolto, cerco di capire. Tutti hanno la stessa lamentela: perché se un mio connazionale si comporta male, devo pagare io?». Il concetto sembra una banalità. Ma dopo tanti discorsi fatti alla pancia della gente, fa fatica a farsi strada. «Io ho la fortuna di esser nato a Pabillonis, un paese dove l'integrazione non è un concetto da tavola rotonda per addetti ai lavori, ma una solida realtà. Lo studente che quest'anno è stato premiato per il miglior profitto è un bambino rom. Il bambino più amato del paese è il figlio di Adamo, il primo ad aver preso casa qui. Non c'è nessuno che non si fermi a dare al piccolo almeno un pizzicotto sulle guance».
FISSARE LE REGOLE Una volta scelto il codice del rispetto reciproco e fissati alcuni concetti su cui non si transige, giura don Giorgio, mai stato alcun problema. Tanti nomadi rom rubano? Non contestabile. Eppure a lui non è mai successo: «Ho sempre parlato chiaro dall'inizio, se volete qualcosa chiedetemela e ve la darò. Se la prendete è finita». E poi bisogna ricostruire nelle persone il valore del denaro: «Poco tempo fa abbiamo avuto in affido dal Tribunale una ragazzina rom che era stata arrestata per un furto. Abbiamo stabilito subito diritti e doveri, compresa la paghetta, a patto che lavorasse. Piccole pulizie, una sistemata al giardino, tutto pur di far passare l'idea che i quattrini arrivano quando te li guadagni».
DOPPIA MORALE Questo sacerdote corpulento è ancora capace di indignarsi quando entrano in ballo automatismi che non perdonano. «C'è una violenza sessuale? È stato un rumeno. Però ci dimentichiamo di quante violenze familiari, tutte italiane e sarde, tacciamo per carità di patria. E l'immigrato che fa gazzarra perché è ubriaco? Guai a lui, il che è giustissimo. Peccato che i bar di paese siano pieni di alcolisti molesti, gente che smaltisce la sbronza all'aperto. Sardi però, e tanto basta». Nelle chiese di periferia, porti di mare, e baluardi fragili al tempo della crisi, incrocia tutti i giorni un esercito di questuanti. «Arrivano con le bollette, i farmaci che non possono comprare perché non hanno soldi. Per anni ho pagato. Poi un giorno ho chiesto il nome del medicinale, magari in ospedale salta fuori qualche scatola lasciata dai rappresentanti. Ho trovato tutto, peccato che quella persona che veniva con regolarità a prendere i soldi non si sia più presentata». La signora in questione era della Marmilla e non senegalese. Sembrerà retorico, e magari lo è. Però è vero.

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