Finalmente è giunto il giorno del congresso . Domani al teatro del carmine e in video conferenza al cinema Giordo si terrà il pre annunciato qui su queste mie pagine e su facebook convegno su un’importante novità della ricerca. Al centro dell’incontro la descrizione dell`associazione tra sclerosi multipla e la stenosi delle giugulari, il restringimento dei vasi sanguigni che caratterizza l`insufficienza venosa cerebrale cronicospinale. Infatti : << L’intento del convegno è in primo luogo quello di informare pazienti e medici dell’esistenza di questa scoperta, che in alcuni casi può cambiare completamente la vita di un malato di sclerosi multipla. Altro importante obiettivo è sensibilizzare la classe politica e la sanità sarda affinché adottino al più presto il protocollo per la diagnosi e cura della Ccsvi. Infatti, nonostante la Sardegna sia la regione più colpita al mondo dalla sclerosi multipla a tutt’oggi non c’è neanche la possibilità di diagnosticare la Ccsvi. Nessun ospedale sardo possiede infatti l’ecocolordoppler. Una tecnica più avanzata diagnostica non invasiva, che permette la visualizzazione ecografica dei principali vasi sanguigni e lo studio del flusso ematico al loro che costa solo €50.000. I malati sono costretti ad andare in altre regioni o all’estero. Ci auguriamo che da tale incontro, che ha una grandissima valenza scientifica, possano venire fuori delle ipotesi concrete per la diagnosi e la cura della ccsvi in Sardegna.>> ( dalla pagina web del comune di tempio pausania )
Tra i vari relatori anche il Dottor Fabrizio Salvi, il medico dell’Università di Bologna che ha firmato insieme a Paolo Zamboni dell`Università di Ferrara uno studio condotto con i dati di una sperimentazione portata avanti su 300 pazienti, 65 malati e 265 soggetti sani. In sintesi, la scoperta del team del professor Zamboni è che l`ostruzione venosa, ostacolando il corretto drenaggio del sangue e "ristagnando" a livello dei vasi sanguigni del cervello, determinerebbe un accumulo di ferro. L`azione infiammatoria dei radicali liberi del ferro potrebbe causare l`infiammazione cronica della sclerosi multipla.I malati di ccsvi hanno infatti le vene giugulari e azigos ostruite in varia percentuale. Queste stasi venose creando dei depositi di ferro intorno alle vene cerebrali a livello encefalico spinale, danno origine alle placche sclerotiche, tipiche della sclerosi multipla. Con un semplice intervento d’angioplastica dilatativa si possono liberare le vene da queste ostruzioni e quindi evitare gli accumuli di ferro. Per i malati di sclerosi multipla progressiva questo è l’unico modo per arrestare l’avanzamento della malattia. Per non parlare dei benefici che potrebbero trarne quali il recupero della sensibilità. Per questi pazienti i farmaci sono del tutto inefficace.
Cosi la finirò , almeno spero , di ricevere email che dicono : << è basta lo sappiamo , [ ma poi come il convegno di liberiamo l'acqua contro la privatizzazione messa in atto da Abbanoa , tovate foto sul mio flicker e sul un video sul mio youtube ,stra' pubblicizzato in rete e con manifesti e locandine per la città , viene poca gente . Certo poca ma buona come di mostra questa nota del comitato civico cittadiino che ha organizzato il tutto ] . o è mai possibile che debba interessarti di tutto anche delle cose di cui non sai un .... ., che te frega mica hai la Sm ., vai a sentire un ciarlatano come di Bella , o dei fanatici \ complottisti che si svregliano la mattina credendo di scoprire la cura ma poi non è vero fanno come i bambini e o piagnoni gridando al complotto e al sabotaggio che non la si vuole applicare e la si boicotta , ecc >>
Ora ad alcuni ( che te frega mica hai la Sm ) ripetoe rincaro il mio Fncl gà espresso qui in uno nei post precedenti sul convegno , ad altri ( è mai possibile che debba interessarti di tutto anche delle cose di cui non sai un .... ) rispondo che è vero conoscerò poco e forse male l'argomento perchè mi sto interessando da poco dopo aver eltto alcune storie di Sm e di come per curarti ed operarti devi andare al'estero , non ho la malattia fortunatamente ma m piace sapere conoscere i problemi degli altri\e , capire come fanno a mantenersi vivi e a non suicidarsi nei csasi più gravi e a resistere ed a volte ad essere migliori di noi normali , ma soprattutto perchè , tocco ferro , magari un giorno potrebbe capitare a me o a un mio amico , a un mio parente , ed grazie a tali conoscienze ( oltre che persone coem gli organizzatoeiri di tale convegni o o covegi o ì e medici che si battono contro i muri di gomma e i mulini a vento , coem a colonna sonora del post d'oggi , saprò come affrontare tale problematica .
Ai rimanenti ( è mai possibile che debba interessarti di tutto anche delle cose di cui non sai un .... ., che te frega mica hai la Sm ., vai a sentire un ciarlatano come di Bella , o dei fanatici \ complottisti che si svregliano la mattina credendo di scoprire la cura ma poi non è vero fanno come i bambini e o piagnoni gridando al complotto e al sabotaggio che non la si vuole applicare e la si boicotta , ecc ) che siete vittime di disinformazione e pregiudizi verso un un medico e versi altri studiosi illuminati che affrontano a 360 gradi la malattia e che non s'arendono al fatto che purtroppo
<< la realtà spesso non è come appare , a volte è una bella illusione .... ma prima o poi t'accorgi del trucco e di colpo tutta la magia svanice >> ( dal fumetto Dylan dog " senza trucco nè inganno " n 291 in edicola sotto a sinistra la copertina ) e che lottano vedere intervista a Stefania calledda contro veri boicottaggi e burocrazia per poter appicare a livello nazionale negli ospedali pubblici e non solo privati . Esso non è un ciarlatano come viene fatto pèassare dai media se adirittura anxche n Amerca in canada e ngli usa si sta studiando ie applicando tale metodo . E poi la differenza tra di bella e Zamboni e spiegata in questo bellissimo articolo che riporto vista l'impossibilità e data l'importaznza di di sintetizzarlo e di riassumerlo da il blog muliniavento di Stefania Calledda nonchè relatrice del convegno di domani ( 27\11\2010 ) da me intervista seconda volta per il convegno , la prima era due anni fa per il suo libro "Attimi d'abisso"( la potete trovate nell'archivio del blog )
"Non chiamatelo Di Bella” “Caso Zamboni”. Parla Minerva ’Espresso):“Non chiamatelo Di Bella”
Il “caso Zamboni” ha richiamato alla mente di alcuni commentatori quello del fisiologo che, sul finire degli anni ’90, con il suo trattamento anticancro illuse i pazienti affetti da tumore. Ma sono veramente così simili i due casi? QS lo ha chiesto a Daniela Minerva, vicecaporedattore e responsabile delle pagine di medicina e salute de l’Espresso, che nel biennio ’97-’98 seguì da vicino il caso Di Bella. “Per ora non vedo alcuna affinità”.
04 NOV – “Evitiamo di creare un nuovo caso di Bella”. Questo era stato l’invito di Giancarlo Comi, ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, a margine del congresso annuale dell’European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis. Il riferimento era a Paolo Zamboni e alla sua teoria sull’insufficienza cerebrospinale venosa cronica (CCSVI) quale causa o concausa della sclerosi multipla e all’intervento di disostruzione di alcune vene del collo per migliorare i sintomi della patologia.
Il riferimento a Di Bella ha tenuto banco a lungo nel dibattito, ma veramente il caso del fisiologo modenese e quello del chirurgo vascolare ferrarese si somigliano così tanto?
Quotidiano Sanità lo ha chiesto a Daniela Minerva, vicecaporedattore e responsabile delle pagine di medicina e salute de l’Espresso, che nel biennio ’97-’98 seguì assiduamente il caso Di Bella per il suo giornale e finì con lo scriverci un libro “La leggenda del Santo Guaritore”.
Ci sono delle affinità tra le due vicende
Per ora, nessuna. Il caso Zamboni non mi sembra si differenzi molto da quel che succede quotidianamente nella ricerca biomedica. Zamboni ha proposto una teoria e, alla luce dei dati incoraggianti che ha ottenuto da una serie di osservazioni cliniche, l’ha sottoposta alla comunità scientifica per una sperimentazione Mi sembra il modo corretto di agire.
Tutt’altra cosa, invece, avvenne ai tempi di Di Bella. Il vecchio dottore non aveva alcun interesse per le reole della medicina scientifica. Anche quando il ministero della Salute promosse ed effettuò la sperimentazione (distogliendo le oncologie italiane dal loro serio lavoro per testare il suo metodo), il fisiologo modenese non ne accettò mai gli esiti. Non chiedeva legittimazione né credeva nel metodo della ricerca scientifica. Aveva la certezza che la sua terapia fosse efficace. Una certezza che – sosteneva – proveniva dalla sua esperienza con i malati. Era la logica del vecchio guaritore” contro quella della medicina moderna.
Tuttavia qualche affinità tra i due casi esiste: per esempio anche adesso la stampa sta cavalcando l’onda Zamboni pur essendo disponibili, a oggi, soltanto dati molto preliminari?
La sclerosi multipla è una malattia per cui non esiste una cura e anche i dati preliminari, se rappresentano una nuova prospettiva di trattamento, sono importanti per i pazienti. La stampa non “cavalca”. Dà le notizie, buone o cattive che siano. Tocca alla comunità medica convalidare le idee della medicina e poi farci sapere come è andata la verifica.
Al di là delle polemiche, a breve verrà avviata la sperimentazione che dovrebbe dirimere la controversia tra i sostenitori e i detrattori del metodo Zamboni.
Appunto: aspettiamone i risultati. Bene ha fatto la Regione Emilia Romagna a sostenere economicamente la sperimentazione. Le aziende farmaceutiche, naturalmente, sperimentano i farmaci, ed è giusto che sia così. Ma è altrettanto doveroso che il pubblico sostenga quelle aree della ricerca promettenti che non riguardano terapie farmacologiche e sono di interesse per la salute pubblica.
Tuttavia, intanto, anche al di fuori della sperimentazione ufficiale cominciano a fiorire strutture che offrono la terapia Zamboni.
La cautela è d’obbligo, dal momento che non esistono dati finali sull’efficacia del trattamento. Ma c’è un aspetto che si trascura, in questa vicenda: la chirurgia ha tutt’altro statuto nella validazione degli interventi rispetto a quanto avviene con i farmaci. La storia della chirurgia è fatta di tentativi ed errori al di fuori di protocolli di sperimentazione. Quel che è sempre avvenuto è che un chirurgo propone una nuova tecnica e se questa funziona viene accolta nella comunità scientifica.
In questo caso ci troviamo di fronte a una sperimentazione per valutare l’efficacia di un intervento chirurgico: non mi sembra male. Alla fine dello studio si saprà se il metodo Zamboni funziona o è stata una delle mille ipotesi della medicina, smentite dai fatti e da accantonare. A quel punto toccherà a Zamboni scegliere se essere un Di Bella e andare avanti per la sua strada, magari facendo del vittimismo, o adeguarsi ai risultati e aggiustare il tiro
I pazienti, però, fremono e chiedono l’intervento anche se al momento la sua efficacia non è nota
È normale che lo facciano. Non compiamo l’errore di criminalizzare i pazienti per questo. Non dimentichiamo cosa avvenne all’inizio degli anni ’80 con l’Aids. Fu solo grazie alle pressioni dei pazienti che in relativamente pochi anni l’Aids passò dall’essere un’infezione sconosciuta al diventare una patologia per la quale esisteva un trattamento che la teneva a bada.
Quindi ben vengano i pazienti con le loro richieste e le loro pressioni. Purché, alla fine, siano disponibili ad accettare il responso delle sperimentazioni.
Antonino Michienzi
>>
non so che altro dire a dopo convegno
04 NOV – “Evitiamo di creare un nuovo caso di Bella”. Questo era stato l’invito di Giancarlo Comi, ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, a margine del congresso annuale dell’European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis. Il riferimento era a Paolo Zamboni e alla sua teoria sull’insufficienza cerebrospinale venosa cronica (CCSVI) quale causa o concausa della sclerosi multipla e all’intervento di disostruzione di alcune vene del collo per migliorare i sintomi della patologia.
Il riferimento a Di Bella ha tenuto banco a lungo nel dibattito, ma veramente il caso del fisiologo modenese e quello del chirurgo vascolare ferrarese si somigliano così tanto?
Quotidiano Sanità lo ha chiesto a Daniela Minerva, vicecaporedattore e responsabile delle pagine di medicina e salute de l’Espresso, che nel biennio ’97-’98 seguì assiduamente il caso Di Bella per il suo giornale e finì con lo scriverci un libro “La leggenda del Santo Guaritore”.
Ci sono delle affinità tra le due vicende
Per ora, nessuna. Il caso Zamboni non mi sembra si differenzi molto da quel che succede quotidianamente nella ricerca biomedica. Zamboni ha proposto una teoria e, alla luce dei dati incoraggianti che ha ottenuto da una serie di osservazioni cliniche, l’ha sottoposta alla comunità scientifica per una sperimentazione Mi sembra il modo corretto di agire.
Tutt’altra cosa, invece, avvenne ai tempi di Di Bella. Il vecchio dottore non aveva alcun interesse per le reole della medicina scientifica. Anche quando il ministero della Salute promosse ed effettuò la sperimentazione (distogliendo le oncologie italiane dal loro serio lavoro per testare il suo metodo), il fisiologo modenese non ne accettò mai gli esiti. Non chiedeva legittimazione né credeva nel metodo della ricerca scientifica. Aveva la certezza che la sua terapia fosse efficace. Una certezza che – sosteneva – proveniva dalla sua esperienza con i malati. Era la logica del vecchio guaritore” contro quella della medicina moderna.
Tuttavia qualche affinità tra i due casi esiste: per esempio anche adesso la stampa sta cavalcando l’onda Zamboni pur essendo disponibili, a oggi, soltanto dati molto preliminari?
La sclerosi multipla è una malattia per cui non esiste una cura e anche i dati preliminari, se rappresentano una nuova prospettiva di trattamento, sono importanti per i pazienti. La stampa non “cavalca”. Dà le notizie, buone o cattive che siano. Tocca alla comunità medica convalidare le idee della medicina e poi farci sapere come è andata la verifica.
Al di là delle polemiche, a breve verrà avviata la sperimentazione che dovrebbe dirimere la controversia tra i sostenitori e i detrattori del metodo Zamboni.
Appunto: aspettiamone i risultati. Bene ha fatto la Regione Emilia Romagna a sostenere economicamente la sperimentazione. Le aziende farmaceutiche, naturalmente, sperimentano i farmaci, ed è giusto che sia così. Ma è altrettanto doveroso che il pubblico sostenga quelle aree della ricerca promettenti che non riguardano terapie farmacologiche e sono di interesse per la salute pubblica.
Tuttavia, intanto, anche al di fuori della sperimentazione ufficiale cominciano a fiorire strutture che offrono la terapia Zamboni.
La cautela è d’obbligo, dal momento che non esistono dati finali sull’efficacia del trattamento. Ma c’è un aspetto che si trascura, in questa vicenda: la chirurgia ha tutt’altro statuto nella validazione degli interventi rispetto a quanto avviene con i farmaci. La storia della chirurgia è fatta di tentativi ed errori al di fuori di protocolli di sperimentazione. Quel che è sempre avvenuto è che un chirurgo propone una nuova tecnica e se questa funziona viene accolta nella comunità scientifica.
In questo caso ci troviamo di fronte a una sperimentazione per valutare l’efficacia di un intervento chirurgico: non mi sembra male. Alla fine dello studio si saprà se il metodo Zamboni funziona o è stata una delle mille ipotesi della medicina, smentite dai fatti e da accantonare. A quel punto toccherà a Zamboni scegliere se essere un Di Bella e andare avanti per la sua strada, magari facendo del vittimismo, o adeguarsi ai risultati e aggiustare il tiro
I pazienti, però, fremono e chiedono l’intervento anche se al momento la sua efficacia non è nota
È normale che lo facciano. Non compiamo l’errore di criminalizzare i pazienti per questo. Non dimentichiamo cosa avvenne all’inizio degli anni ’80 con l’Aids. Fu solo grazie alle pressioni dei pazienti che in relativamente pochi anni l’Aids passò dall’essere un’infezione sconosciuta al diventare una patologia per la quale esisteva un trattamento che la teneva a bada.
Quindi ben vengano i pazienti con le loro richieste e le loro pressioni. Purché, alla fine, siano disponibili ad accettare il responso delle sperimentazioni.
Antonino Michienzi
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