30.10.14

Studentessa molestata si suicida: condannato il prof condannato a 3 anni

musica  consigliata   non so a chi credere - biagio antonacci 

Leggendo questa  news  , mi dico tra me  e   me   che  si sono  pochi anni   , ma meglio  della beffa che aveva  portato la ragazzza  a suicidarsi   . Speriamo  solo  che non gli diano i benefici o almeno  gli faccio scontare la pena  in qualche  centro anti violenza  .
Finalmente  , ne   avevo già  parlato  qui da qualche parte  .

unione sarda   Giovedì 30 ottobre 2014 17:54
La giovane, residente nel Ravennate, non era stata creduta dai compagni di scuola.

Per i genitori di Maria (nome di fantasia) giustizia è fatta. Ezio Foschini, 59 anni, insegnante all'istituto d'arte di Faenza (Ravenna), è stato condannato dalla Cassazione per abusi sessuali sulla 
violenza sessuale immagine.simbolo  
loro figlia, all'epoca dei fatti 15enne e che la scorsa estate si è suicidata. Il docente dovrà scontare tre anni di reclusione, mentre per le questioni civili verrà posto in essere un altro processo d'appello.
GLI ABUSI - Secondo il racconto della ragazza, le molestie da parte dell'insegnante erano andate avanti per oltre un anno a partire dal 2006. Lui le inviava sms, le rivolgeva frasi a sfondo sessuale, e aveva in generale un atteggiamento voluttuoso. I compagni non le avevano creduto, ma i genitori avevano presentato denuncia. Nel marzo 2007 l'arresto del prof, poi i domiciliari, di nuovo il carcere e infine la libertà. In primo grado il docente è stato condannato a 4 anni, poi ridotti a un anno in appello, e al pagamento di 60mila euro. E qui era successo ciò che aveva sconvolto la ragazza: l'uomo aveva azzerato tutti i conti in banca, cambiato residenza, venduto la macchina e tutte le sue proprietà. Non solo: erano stati gli stessi genitori di Maria ad essere condannati a pagare i danni biologici patiti dall'imputato. La giovane si era vista quindi sconfitta: sia per la pena mite sia perché in questo modo veniva negato il risarcimento alla sua famiglia. E la scorsa estate, in preda a un momento di sconforto, si era tolta la vita.

29.10.14

Chiede da mangiare ai passanti L'unico che lo aiuta è un senzatetto

Questo video
realizzato dalla Ocktv, potrebbe intitolarsi "Lezione di vita": mostra due ragazzi che, benvestiti, si aggirano per strada a New York chiedendo qualcosa da mangiare. Dopo molti tentativi, l'unico che dà un aiuto è un senzatetto, che offre a uno dei due una pizza che l'altro, in incognito, gli aveva appena portato. E come premio, tra le lacrime, riceve delle banconote . Tale esperimento dimostra SOLAMENTE CHI HA SOFFERTO FAME...comprende la necessita' dell'altro.... e lo porta ad essere più genmeroso di chi ha la pancia piena .Ma soprattutto mette in evidenza di come Ormai non ci fidiamo più di nessuno,e siamo talmente tanto circondati da gente che per professione fa 'l'elemosinatore" che non guardiamo oltre....brutta,brutta realtà..

26.10.14

ebrei-cristiani-e-musulmani-insieme-convivere-in-pace-si-puo ? il caso di Djerbahood città graffito in tunisia

in sottofondo   e  consigliata immagine- John Lennon


da , foto  comprese  ,  da  http://www.caffeinamagazine.it/2014-10-20-12-41-28/street-art/


Sapete cos’è Djerbahood? Èun villaggio sull'isola di Djerba, in Tunisia e anche uno dei più grandi allestimenti di street art al mondo. Un progetto nato dalla passione di che, per realizzare a Djerbahood questa specie di "mostra", ha coinvolto più di 150 street artist provenienti da 30 paesi.



(Continua a leggere dopo la foto)






Tra i nomi di spicco che hanno prestato la loro opera sui muri di Er-Riadh ci sono BomK, Liliween, Shoof, Roa, C215, Faith47, Know Hope, Herbert Baglione, eL Seed e molti altri.



Ci sono voluti due mesi per fare il miracolo: far diventare quel piccolo villaggio un museo a cielo aperto.



Tutte le opere sono state realizzate con il consenso del sindaco di Djerba e con il permesso dei proprietari di muri e appezzamenti di terreno.




Nobile la missione dell'artista: «Ebrei, cristiani e musulmani qui hanno vissuto in pace per oltre 2000 anni. Il mio obiettivo è quello di consolidare questa convivenza e offrire agli artisti una tela unica nel suo genere».



Beh, secondo noi ne è valsa la pena... E secondo voi

non si può imprigionare il vento

Per  arricchirvi  culturalmente  non  cadere  nelle propaganda del potere vi consiglio

Ragioni senza forzaforze senza ragione. Una risposta a Oriana Fallaci è un libro di Allievi Stefano pubblicato da EMI nella collana Religioni in dialogo  http://www.ibs.it/code/9788830713741/allievi-stefano/ragioni-senza-forza.html

  dall'amica   e  compagna di  viaggio Daniela Tuscano 



In fondo, non ci sarebbe molto da commentare. I fatti sono li', lampanti. La conclusione, anche. Feroce quanto si vuole, disumana al massimo ma, purtroppo, né imprevedibile né sensazionale.
I soliti analisti riprendono la salmodia sulla comunità planetaria, che per Realpolitik si è mossa tardi e, allentata la tensione, ha abbandonato Reyhaneh al suo destino.
Sì, tutto vero. Com'è vero che il suo caso non provocherà alcuna rottura diplomatica fra Stati, e verrà presto, già di fatto lo è, archiviato. Le rituali frasi inutilmente sdegnate e si volterà pagina. Poveraccia, le è andata male, amen.


Eppure qualcosa, o meglio qualcuno, è cambiato. Quel cambiamento si chiama Reyhaneh Jabbari. Appesa a una trave, "giustiziata" come in modo osceno si continua a ripetere, adesso è più viva e presente che mai.
È stata la morte a eternarla. Cioè il martirio. La testimonianza. Perché Reyhaneh, in quella giustizia che l'ha "giustiziata", aveva creduto. Perché alla fine, dopo un processo-farsa e sei anni di detenzione, ha rifiutato di ritrattare. Non ha barattato l'esistenza fisica col piatto di lenticchie della menzogna e della viltà. Le avevano "consigliato" d'inventarsi lo stupro per aver salva la vita. Ha risposto di no. Quante di noi ne sarebbero state capaci?
Reyhaneh sapeva che quella successiva non sarebbe stata vita. Avrebbe forse scapolato l'impiccagione ma non la vergogna, la solitudine, il ripudio di parenti e amici, la vendetta. Perché una donna stuprata, o comunque sospettata di esserlo, rimane pur sempre un disonore. Non una vittima da proteggere. Disonore. Merce scaduta. È sempre lei la colpevole. Rea d'essere ancora su questa terra, senza contare più nulla.
A Reyhaneh insomma si prospettava una sola alternativa: la morte. L'avrebbero eliminata se avesse subito la violenza in silenzio, l'hanno eliminata perché ha parlato.
Ci piace pensare l'abbia fatto perché ne aveva piene le scatole. Era stanca. Come Rosa Parks cui nella lontana estate del 1955 dolevano i piedi e si sedette in prima fila sull'autobus, fottendosene della paura e dimostrando l'imbecillità, prima ancora del razzismo, delle "leggi" allora vigenti.
È quella stanchezza a vincere ogni paura. Dietro quella stanchezza c'è un percorso. La cognizione della propria dignità. La coscienza di non essere un oggetto.
Per questo hanno voluto tacitarla. Reyhaneh non aveva accettato la sua condizione di "oggetto". E poco conta se abbia ucciso o no il proprio aguzzino. Se con lui avesse o no in precedenza intrecciato una relazione.
Non era Maria Goretti ma una donna con pregi e difetti, una giovane donna amante dei libri e della vita, che a un certo punto ha detto basta a una determinata situazione, nella quale non sappiamo - e NON IMPORTA SAPERLO - come fosse finita.
Non importa, anzi, importa moltissimo, non per lei, ma per l'anima del suo aggressore - un importante membro dell'intelligence iraniana -, che quest'ultimo sia stato pugnalato "mentre pregava". Stupro e preghiera, violenza e devozione: tutto corretto, tutto normale in una società dove il maschio è onnipotente e modella Dio a propria immagine e somiglianza.
Il maschilismo questo è: bestemmia contro Dio e la sua creazione. Venerazione del Male camuffata da pietà. E questi i suoi frutti. Nelle società dov'esso ha piena cittadinanza, e dov'era toccato vivere a Reyhaneh, si manifesta nella forma più virulenta. Ma, come radice d'ogni ingiustizia, razzismo e prepotenza, alligna ovunque.
I femminicidi in Italia, ad esempio, non sono opera di pazzi isolati ma il risultato d'un atavico disprezzo verso le donne divenuto mentalità comune. Siamo un Paese dove la Cassazione decreta impossibile lo stupro se una donna porta i jeans, dove la pena, già molto tenue, per il violentatore s'abbassa ulteriormente se la vittima-accusata non è più vergine. Foss'anche una ragazzina. Cercate sui libri a quando risale il nuovo diritto di famiglia. Fin quando è rimasto in vigore lo ius corrigendi. Quali le pene riservate agli adulteri e alle adultere. In quale anno lo stupro è stato dichiarato reato contro la persona e non contro la morale. Date un'occhiata ai programmi scolastici. Verificate lo spazio riservato a scrittrici, artiste, scienziate, religiose, politiche, attiviste. Guardate un programma televisivo, e non voglio scomodare i varietà "per famiglie" dove si dimenano fanciulle seminude a fianco di compunti conduttori supercoperti, né le inchieste voyeuristiche dei tranquilli pomeriggi casalinghi. No, parlo di quei bei quiz preserali dove il presentatore perbene non manca mai, davanti alla concorrente incinta, di sciorinare con un radioso sorriso il suo "Auguri e figli maschi!". Osservate i cartelloni pubblicitari.
Senza quindi togliere responsabilità alcuna alla "cultura" dell'attuale Iran e d'altri paesi dove le donne sono crudelmente e legalmente oppresse, è fuorviante, e intellettualmente disonesto, limitarsi a condannare a parole, di volta in volta, il fondamentalismo islamico, l'inerzia della comunità internazionale, ecc. Questa è mera autoassoluzione, modo parziale, furbesco (e maschile) d'aggirare il problema, nascondendo i motivi profondi d'un odio MONDIALE e MILLENARIO.
Ma l'odio non trionferà. E se oggi piangiamo la perdita fisica di Reyhaneh, auspicando sia l'ultima - per ragioni diverse, ma eguale certezza del proprio valore di persona e di fede, rischia la stessa sorte la pachistana Asia Bibi - la sua vicenda c'infonde anche una grande speranza. La speranza che non potranno mai più sottometterci e zittirci. Se anche da luoghi in cui il maschio crudamente impera si levano echi di resistenza, significa che la trasformazione è inarrestabile, che un sistema decrepito e inumano è stato colpito al cuore e nessun cappio, lapidazione, lama sul collo ne impedirà la rovina. Non si può imprigionare il vento. Sta a tutte noi, frattanto, soffiare più forte. Unite.

© Daniela Tuscano  





25.10.14

Adam Wild l'ultimo arrivato in casa Bonelli ne parliamo con Gianfranco Manfredi


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da  comicsblog.it   tramite  google creative comms
Prima  d'incominciare  il post d'oggi,chiedo scusa  ai miei  40 lettori  , ma   a causa  di problemi con il mouse   non potevo  fare granché  sul mio  blog  .Ma adesso dopo le  scuse   , veniamo al  post  d'oggi Qualche giorno fa, mentre  aspettavo di pagare  i  quotidiani e il primo numero della nuova  stagione d'Orfani  , trovo esposto in edicola il primo nunero di Adam Wild il nuovo  fumetto della Bonelli .
Incuriosito : dalla presentazione fatta dall'autore il 26/set/2014 e  d a  cui  sono  tratte  foto  e  video   durante la conferenza stampa di Sergio Bonelli Editore. in cui si elencava La nuova vita di Dylan Dog. Le novità della prossima stagione editoriale. ( orfani e Adam Wild ) e Le future strategie aziendali nel settore multimediale.




La presentazione  di AW   e nwei primi  15\20 minuti

 delle  buone recensioni  dal discreto  passaparola .  Ma  soprattutto  dal  promo o meglio   dal  booktrailler ufficiale

    

Lo prendo in mano , lo sfoglio e mi dico lo prendero più in là adesso ho i soldi contati.Ma soprattutto non mi andava, anche se essendo un paese piccolo dove ci si conosce tutti indirettamente o direttamente,ed essendo l'edicolante sia  mia  amica  e lei e la  sua  famiglia  nostri clienti nè di fare buffi debiti nè farmelo lasciare da parte e ripassare come  faccio spesso   .
Ed ecco che in quanto due giorni dopo , nelle edicole del centro era esaurito , decido per colmare questo mio senso di colpa o vuoto ( ogni tanto riempirlo fa bene ) di scambiare quatto chiacchiere su facebook con l'autore Gianfranco Manfredi e da qui è nata questa intervista che m'induce a comprare il secondo numero ( per gli altri non saprei in quanto lo spazio nella libreria inizia a scarseggiare sempre più  )  trovate  qui sotto  . Buona  lettura  



Ultimamente con Magico Vento  e Adam Wild  ti  stai  avvicinando al romanzo storico come mai  ?
In realtà è da quando ho cominciato a scrivere romanzi (cioè da “Magia Rossa” uscito al principio degli anni 80) che tratto temi storici. Ci sono due generi narrativi per cui non mi ritengo molto adatto: l’autobiografismo e il romanzo cosiddetto “d’attualità”. I romanzi più o meno autobiografici della generazione dei baby boomer impallidiscono di fronte a quelli delle generazioni precedenti che avevano attraversato due guerre mondiali e dunque, se non altro per questo, erano frutto di vissuti assai più drammatici. L’attualismo credo sia una piaga del nostro tempo, un vizio di origine giornalistica, e grave sintomo di una mancanza di visione delle prospettive storiche. Non si sa da dove si viene e non si sa dove si va. Per questo ci si concentra sul presente. E’ un presente che fa da piccolo rifugio . Un tirare a campare giorno per giorno. 
In Adam Wild  hai  scelto l'africa  e  non l'Asia  o l'america del sud  per  denunciare  il colonialismo  ed  indirettamente il neo colonialismo ?
Adam Wild è un’avventura. Non denuncia. Mostra. Sono due cose diverse. Molto diverse. Non ho mai fatto fumetti  ideologici, tantomeno propagandistici. Nei miei fumetti tutti i principali personaggi , anche i cattivi, esprimono una propria visione. Non voglio sovrappormi ai personaggi, voglio lasciarli vivere. E il giudizio spetta ai lettori. Adam Wild rispetto ai precedenti ha però una linea più netta, in quanto il protagonista è un combattente antischiavista. La scelta si esprime chiaramente fin dalla copertina del primo numero, in cui Adam spezza le catene della schiavitù.
In  AW  si parlerà  anche indirettamente  di Ebola  ?
No, non c’è nessuna testimonianza d’epoca, in proposito. Affiorano però temi che hanno risvolti contemporanei: lo sterminio degli elefanti, per esempio, o un doppio episodio ambientato in Nigeria che può spiegare in parte certe vicende attuali come il rapimento delle ragazze da parte di Boko Haram. Ci sono corsi e ricorsi, nella Storia.
Cosa ne   pensi  dell'importazione  nel  fumetto italiano   e più precisamente   in quello Bonelliano  del metodo Americano della  Variant   delle copertine  ?   è una cosa buona  o pessima   ?
La prima cosa buona è che finalmente la Bonelli si sia decisa a vendere qualcosa a Lucca. Partecipare alle fiere senza i fumetti sul banco, l’ho sempre considerato un non senso. Certo… Sergio Bonelli non voleva nuocere alle edicole e nemmeno ai banchi dell’usato ed era lodevole, in questo. Ma vendere un prodotto speciale è un’altra cosa e non contraddice le indicazioni di Sergio. L’altra cosa buona è che il Variant non si limita a una cover diversa, ma contiene quindici pagine in più di making off dei vari fumetti , dunque è davvero qualcosa di molto particolare e per lettori affezionati.

Io penso  come  David Basterfix  

Queste scelte di marketing aumentano gli introiti forse, ma diminuiscono la stima SICURO. Primo : comprare una variant e accorgersi solo dopo che la copertina non c’entra nulla con i contenuti è assai deludente , ho visto persone allontanarsi da un prodotto per molto meno.
Io tutta questa importanza alle copertine non l’ho mai data. Sarà che ho cominciato a scrivere romanzi ben prima di scrivere fumetti e per esperienza so che non c’è la minima relazione tra copertina e contenuto. Ci sono stati best seller, anche recenti, con copertine orrende e viceversa copertine raffinatissime per romanzi mediocri che non hanno venduto niente. Di sicuro, riguardo ai fumetti americani,  capita spesso che a una copertina curatissima e affascinante corrisponda un contenuto di basso livello grafico e autoriale. E’ questo che allontana i lettori. Promettergli una cosa bella e rifilargli un prodotto scadente. Molto meglio il contrario: una cover non particolarmente brillante e una storia sorprendente. Ovvio che sarebbe meglio coniugare le due cose, d’altro canto Sergio Bolli ci ha sempre insegnato che cover troppo sofisticate allontanano il pubblico popolare che sofisticato non è.
Secondo : Amo DyD , ma bisogna riconoscere che una buona fetta dei suoi fan ( di cui anche io faccio parte) ne continua la raccolta non tanto per l' originalita' delle storie o per il dettaglio dei disegni , bensi' per l'atmosfera ; non solo dell'opera in se , ma soprattutto dell'horror club , in cui le comunicazioni schiette e dirette degli autori ( soprattutto nel preannunciare con tono di scusa ogni futuro rincaro previsto) hanno sempre creato un'atmosfera di fiducia e rispetto . Questa atmosfera viene indubbiamente contaminata quando si adoperano queste iniziative commerciali . Il sentimento è quello di essere "traditi" nella fiducia , ne consegue un desiderio crescente a boicottare tali iniziative ritenute responsabili della fine di un qualcosa di bello che amavamo senza riserve , e presto potreste trovare suggerimenti come questo : "IN VENDITA SOLO A LUCCA ?? SI CERTO BASTA ASPETTARE 2 GIORNI E LO TROVO SU INTERNET AL 20% IN MENO !
Pessima , la strada dell'avidità ... non è da Dylan !!
   da  https://www.facebook.com/DylanDogSergioBonelliEditore/  più precisamente   questo post 
e  tu ?
Non so, queste sono riflessioni tue. Secondo me il vero problema è un altro. DYD si è abbeverato di cinema horror in un periodo in cui l’horror era al top. Oggi l’horror attraversa una fase di profonda decadenza. Dunque non c’è nulla da cui abbeverarsi. E  qualcosa vorrà pur dire se persino Stephen King pare propendere per il thriller o quantomeno non mostra più lo stesso entusiasmo e la stessa carica innovativa di un tempo riguardo all’horror. Questa fase passerà, credo che l’horror come genere abbia ancora molto da dire, ma va totalmente rifondato. Non è impresa facile.
Tu che nelle tue  canzoni   hai come  gli altri cantautori  delle  tua generazione  combattuto  e demolito  : <<  Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede\in ciò che spesso han mascherato con la fede\ nei miti eterni della patria o dell' eroe (...) cit >> e  poi   dopo  magico vento  crei un eroe  ?    Come mai   questa  scelta  ?
La mia generazione non è mai stata contro gli eroi. Conoscendo autori latino americani ho scoperto anni fa che noi e loro siamo tutti figli di Sandokan, del Conte di Montecristo ecc. Dopodiché un conto sono le canzoni “generazionali” e dunque senza inni a presunti leader, un altro conto è il racconto epico, che senza eroi non esiste proprio.
che differenza  c'è oltre quelle  citate dall'ottimo articolo di http://cenericremisi.blogspot.it  , di Adam Wild  rispetto a  Tex o Zagor  ?
Non voglio rispondere adesso, perché la serie è appena cominciata. E poi, a questa domanda devono rispondere i lettori. Saranno loro a dire quali differenze hanno trovato. 
Cosa ne pensi  del primo numero della seconda   serie \  stagione di  Orfani ?
 Uno mica parla del lavoro di un collega quando per caso gli capita di uscire nello stesso periodo. È stata proprio una cosa casuale. Se cascava un anniversario di Tex , Adam Wild usciva insieme a Tex e se fosse stata pronta la nuova serie di Chiaverotti , Adam avrebbe potuto uscire insieme al nuovo personaggio di Chiaverotti. Perché commentarsi l'un l'altro? Non è una cosa da fare. Se abbiamo qualcosa da dire, ce lo diciamo direttamente. E poi abbi pazienza, ma io ho cominciato quando non esisteva FB, e ho iniziato dai dischi. Non esisteva proprio che se uscivano insieme un disco di Venditti e uno di Branduardi (per dire) qualcuno chiedesse all'uno cosa pensava del lavoro dell'altro. E se anche l'avessero chiesto noi avremmo trovato la domanda poco rispettosa di una minima etica di lavoro tra colleghi. Dopodiché resta salva la libertá di ciascuno di esprimersi. Ma in certi momenti, obiettivamente, si viene malintesi, perché se rispondi bello passi per leccaculo, se rispondi brutto passi per invidioso, se rispondi così così per superbo. Dunque è meglio parlarne a bocce ferme, se uno ha voglia di parlarne. Quando uscì Orfani mi piacque e ne parlai molto bene. Qualcuno mi giudicò un aziendalista.  Vedi? A volte non c’è neanche la libertà di essere sinceri. E comunque per giudicare una serie, che non è un numero a se stante, ma è appunto una serie… è meglio lasciarla sedimentare.  E valutare, nel tempo, se lascia tracce oppure no

22.10.14

La Sardegna nel cuore di De André di matteo tassinari


Tenuta dell'Agnata di Fabrizio De André 
De Andrè:
più sardo dei sardi
Macondo, luogo ideale per Gabriel Garzia Marquez

Faber,
il contadino

di Matteo Tassinari

Ho sempre  pensato che l’uomo, più  della donna, viva un bisogno più intenso: quello di avere nella propria memoria universale, un punto fermo dove ritirarsi all'uso, come fa il lupo nei momenti che vuole isolarsi dal gruppo per starsene da solo nella propria tana. Soprattutto quando questi intuisce che sta per vivere l’ultima porzione della sua vita o vede allorizzonte una buriana tsunamica e di sovente, questi luoghi, sono i posti della propria infanzia, ma anche no. Pavana per Guccini, Macondo per Marquez, Samarcanda per Vecchioni, Porto Empedocle per Camilleri e tanti altri.
Roberto Vecchioni, Luci a san Siro
La definisco,
in quanto non è che sia una patologia, ma una mia virata mentale che vale il momento che serve per dirla, poi basta: “nostalgia dell’innocenza”. Diceva di essere più sardo di Mario Segni e Francesco Cossiga: “che in Sardegna ci tornano due volte all’anno per 15 giorni”. Fabrizio De André, in Sardegna, precisamente nella tenuta dell’Agnata, in mezzo alle campagne di Tempio Pausania, ci viveva 8 mesi su 12 da circa 25 anni  assieme a Dori Ghezzi, con la quale ha trascorso tre di questi mesi proprio nel cuore (malato) della Sardegna, ha detta degli stessi sardi: LAnonima Sarda. Lui, quel periodo, lo chiamò “Hotel Supramonte”, una catena montuosa dell'entroterra sardo, nascondiglio dei più famosi latitanti dell’isola, dove Faber vide la neve col freddo, ma la sua maglia era per Dori, e non è romanticismo balordo.
Martino Moreddu (nella foto all'epoca del processo per il rapimento De Andrè-Ghezzi), presunto compagno di scorribande del cantante e poi noto per essere stato il "vivandiere" del sequestro. Poi
è stato assolto da ogni accusa perché il fatto non sussiste
L'odore del sangue
Intervistato il giorno dopo della liberazione di Faber e Dori da un gruppo di cronisti, De André tracciò un racconto pacato dellesperienza: “ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo con le mani slegate e senza i cappucci che ci avevano messo in testa per non vedere alcun segno che poteva diventare di riferimento”. Ebbe parole di pietà per i suoi carcerieri: “Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai e se lo faranno, è per prendersi un colpo di pistola in testa. Dopo questa tragica esperienza vissuta con Dori, posso dire di conoscere meglio il popolo sardo”.
Questi     erano
i suoi     pensieri,
le sue conclusioni, come si trattasse di un fatto come un altro. Dopo il sequestro, in molti gli hanno chiesto perché decise di rimanere in Sardegna e se aveva paura del reiterarsi del rapimento: No, ormai non ci rapiscono più. Nessuno me l'ha detto a voce, ma gli occhi hanno parlato chiaro. Sono protetto ora! E guai a chi mi tocca!”, dice ridendo. Potrei urlare: GRANDE FABER! Il suo rapporto con la vita, natura, persone, codici di cultura e loro rispetto, una persona che intuiva lo stato d'animo, e non voglio fare di Faber una sorta di veggente, per carità e per essere precisi evitando fraintendimenti anche pelosi, non veri in breve, è che davvero, come nel caso di Princesa, il travestito a cui s'affezionò come amico, fino a fornirgli un'ingente parte della somma per l'operazione, il suo desiderio della vita, ora morta di aids da circa 10 anni.
L'aiutò     in altre situazioni,
 e spesso si vedevano e quando Princesa arrivava, Fabrizio De André, diceva ad alta voce: "Ed ecco arrivata la nostra principessa", da qui il titolo della stupenda canzone sul travestismo scritta con Ivano Fossati cosa che faceva con altre persone, ma non mi pare il caso di fare l'elenco delle buone azioni di De Andrè, lui per primo non lo accetterebbe pugnalandomi per come l'ho conosciuto. Si nutriva dell'intimità che creava il rapporto fra lui la persona, chiunque fosse e da qualsiasi parte del mondo arrivasse. Diceva che con la vita aveva un tipo d'approccio spiritualistico, cosa che in città non riusciva neanche ad immaginare, troppo distratto da tutto: “L’ambiente influisce sulla crescita di ogni persona, e a volte viene dato per scontato ciò che è sbagliato, come fare una stalla col tetto d'Eternit, ne ho viste. E’ da pazzi lasciare le pecore sotto l'Eternit nel luglio nuorese".
Fabrizio c'è, oltre il ricordo
Senza      Dori

non ce l'avrei        fatta
Il suo   essere quasi sardo, per così dire, non era il risultato del trascorrere del tempo di un’abitudine, né un effetto del trauma relativo al sequestro, ma semmai un percorso nel contempo lineare e tortuoso. A pagare il riscatto, 600 milioni di lire nel 1979, fu il padre, dirigente industriale, già braccio destro di Attilio Monti (quello che poi diventò il Gruppo Montedison del ravennate e dal sangue davvero romagnolo Raul Gardini). La presenza di Dori è stata fondamentale, - dice Fabrizio - affinché non succedessero fatti che avrebbero finalizzato molte cose, nel senso che avrei certamente cercato di scappare fossi stato solo. E' stata la mia salvezza e io la sua, per sua ammissione.
Hotel 
Supramonte

"E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome, ora il tempo è un signore distratto è un bambino che dorme, ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano, cosa importa se sono caduto se sono lontano. Perché domani sarà un giorno lungo e senza parole, perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole, ma dove dov'è il tuo cuore, ma dove è finito il tuo cuore".
Faber, il giorno del processo
Ho paura di    Brassens

Durante il processo, fu rilevato il paradosso del cantautore anarchico rapito dai banditi verso cui simpatizzava e salvato dal capitale famigliare. Furono in pochi a sapere, allora, che De André Senior, come Fabrizio avrebbe raccontato all’amica Fernanda Pivano, era un mazziniano convinto, quindi non lontano da idee libertarie. Quando tornava a casa dalla Francia per i suoi impegni di lavoro come A.D. dell’Eridania, non dimenticava mai di portare a Fabrizio un disco di George Brassens, a cui piaceva non solo come cantante, ma era per lui un riferimento culturale, che non volle mai incontrare per paura di rimanerne deluso, questo è quello che diceva, ma io non ci credo. Credo più alla sua universale timidezza che lo immobilizzava, pur riuscendo sempre a trovare il modo brillante per uscire da situazioni imbarazzanti.
De Andrè durante il processo dove sembra irridere in faccia al giudice

Un    piede in terra
l’altro in      mare
Qualcosa di  simile è successo con la Sardegna. Tra De André e l’isola esisteva un sostrato comune, una comune concezione del mondo, come se l’antistatalismo “naturale” di De André (caratterialmente, oltre che ideologicamente anarchico) e quello storico della Barbagia si fossero ad un certo punto incontrati e avessero deciso di stringere un patto di ferro. Un’amicizia poi cementata dall’amore per le sughere e per il vino, per il granito, il pane, il mare e le vecchie leggende che ad ogni racconto s’infarcivano di ulteriori aneddoti. Un mondo che fai fatica a scoprire in corso Buenos Aires a Milano. Un idem sentire che neppure il sequestro cominciato il 27 agosto e finito il 22 dicembre 1979, riuscì a spezzare. Anzi, per certi versi, la rese ancora più radicato e forte il culto della Sardegna in Fabrizio, definendo quella sarda un’etnìa rivolta al futuro e rispettosa del loro passato. “Gente - diceva – che ama i bambini e rispetta i vecchi”. 
La Barbagia è una vasta regione montuosa della Sardegna centrale
che si estende sui fianchi del massiccio Gennargentu.

Li per circa 3 mesi, all'aperto, hanno vissuto Fabrizio e Dori


Vado a correggere
la       fortuna
Murales di De André Orgosolo Associazione Cuncordu
E    questo potrebbe far sorgere il sospetto d’un approccio romantico, l’approccio che può permettersi chi ha fama e soldi ed una splendida famiglia. Una specie di recupero barbaricino del mito del buon selvaggio. Il fatto è che De André in Sardegna si è sporcato le mani, rischiando forse troppo,  ha combattuto, durante i primi anni della tenuta Agnata con le normative agrarie ed i contributi Cee di cui poteva beneficiare in quanto coltivatore diretto.
Colui, che    per 
isottoscritto è
stato il maggiore poeta italiano del secolo scorso, il più grande distillatore di emozioni in versi, spesso si svegliava presto al mattino per dare mangimi e latte alle sue bestie. Questa immagine incantevole, oltre che seducente fino alla meraviglia, mi offre il senso della grande bellezza nel silenzio, da solo con i suoi animali da allevare e di cui era innamorato. Ognuno è fatto a modo suo, no? Ha letto decine di libri sulle tecniche di coltivazione e di allevamento, ha tentato di far quadrare i conti della sua azienda agricola, l’ha cresciuta, sviluppata e ingrandita. Se nel 1978 decise di cantare in pubblico alla Bussola Viareggio per la prima volta, fu proprio per i debiti accumulati a causa dell’azienda Agnata. Avrebbe potuto chiedere aiuto alla famiglia, ma non volle neanche sentire parlare di questa opzione troppo comoda: “Hanno già fatto troppo col sequestro e adesso gli vado a chiedere altri soldi perché ho l’azienda in difficoltà? No, non si può”.

Ad ogni concerto 
una bottiglia di whisky per cercare di sedare quel mostruoso batticuore e paura di ritrovarsi all’improvviso davanti a migliaia di persone che non aspettavano altro che ascoltare il cantautore più conosciuto, ma anche il più sconosciuto, vista la sua ritrosia, timidezza, riserbo, l’estrema paura di sbagliare, qualche accordo non acciuffato. Disse: “Se non era per l’Agnata ed i debiti, non so se mi sarei sbloccato, perché per me era un blocco cantare davanti a migliaia di volti oscurati e nessuno conosciuto, non era usuale per me. Sarebbe come prendere Toro Seduto e sbatterlo davanti ad un computer, che ci fa?”. Ma l’Agnata aveva bisogno di mangime e le bestie non potevano aspettare certo le date dei tour e le vacche volevano essere munte. Chiese un credito ad una banca, nell’arco di 5 anni lo liquidò e i trattori che zollavano la terra divennero cinque.
Fabrizio, Dori e la figlia Luvi nella stalla della tenuta


I Marinai di foresta
Dopo  il sequestro, De Andrè coniò la fuorviante “Hotel Supramonte”, mentre un poeta sardo, nuorese per giunta, Sebastiano Satta, definì i banditi “belli, feroci e prodi”. De André li definì, più sobriamente: “marinaio di foresta”, i latitanti della Barbagia che negli anni '70 erano quasi una decina. Poi collaborò alle indagini senza incertezze e si costituì parte civile, però solo contro i capi, i mandanti, quelli che non si sono sporcate le scarpe di fango, ma da Milano, ogni tanto facevano un salto all’Hotel Supramonte per vedere come andava il sequestro e non contro i gregari, che in pratica facevano la vita di Faber e Dori, freddo, sole, acqua, neve e disagi enormi come imboccare i due sequestrati che hanno tenuto quasi sempre un cappuccio in testa.
Fabrizio "tra" le sue mura
Il      Giorno
del    Giudizio
Ma c’è un altro Satta, un altro sardo che ha qualcosa in comune con Fabrizio De André: Salvatore Satta, insigne giurista, poi scrittore. Se De André vedeva nei racconti dei vecchi di Tempio qualcosa che gli faceva pensare a Gabriel Garcia Marquez, Satta nel suo “Giorno del giudizio”, ha descritto un sistema di valori e di rapporti che sembrano parlare col mondo di De André. “Il pastore appartiene alla dinamica della vita, il contadino alla statica. Nessuna legge può impedire al pastore di considerare la sua proprietà in tutto quello che l’occhio può abbracciare”. Ha detto De André parlando dei suoi sequestratori: “Era come se dicessero: a me non manca nulla ma perché mi metti sotto il naso la tua villa con piscina, il SUV, tutti con i Rolex ai polsi, valigie di Louis Vuitton e di fianco sempre pronto per partire con l’aereo privato?

I codici imposti
“Mi pare che sempre di più sarebbe necessario che invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio americano”. (Fernanda Pivano, consegnando il Premio Lunezia 1997 a Smisurata preghiera). De André, giunto in Sardegna da contadino, è diventato pastore, sublimazione stupenda, soprattutto sul piano dell’immaginazione collettiva e la figura costantemente imprevedibile di Faber, come l'amico Gaber. Ha considerato “suo” quell’intero mondo, dove mari e odore salmastro, lo difendevano dal caos e dalle maggioranze silenziose ma assordanti delle grandi città del Continente.
Fabrizio al lavoro
"Eravamo fratelli"
Imparò alla perfezione il sardo, come fosse naturale saperlo, in neanche un anno e lo parlava da sardo, racconta il contadino che gli ha insegnato tutto dei lavori di un’azienda agricola. Oggi, questo anziano signore, quando parla di Faber, piange, dicendo con la voce interrotta dal pianto: “Eravamo due fratelli e respiravamo il rispetto che ognuno aveva per l’altro”. Arrivò a condividere anche le rabbie, i disagi, le illusioni fino ad aderire ad un movimento indipendista sardo, fino ad aprire la sua casa a tutti i visitatori facendone un agriturismo speciale, dove non ti sentivi ospite ma amico. E io sono ancora qui a mangiarmi le punta delle dita per non aver accolto nel 1998, al Teatro Turismo di Riccione, il suo invito ad andarlo a trovare a casa sua per tutto il mese d’agosto. Purtroppo avevo già prenotato un altro viaggio, pensando che avrei potuto esaudire questa grande emozione, quella di vivere a 360 gradi per un mese la vita del cantautore e poeta migliore del secolo scorso. E se qualcuno pensa che esageri, non me ne frega proprio nulla.

il cavaliere del tempio seconda volume dela saga gli dei del pozzo di gianluca turconi . per letturefantastiche

Il  romanzo science fantasy "Il Cavaliere del Tempio" dell'autore Gianluca Turconi,  ha  un seguito secondo capitolo della Saga del Pozzo, chiediamo cortesemente collaborazione per la diffusione della notizia tramite i canali a disposizione.

Di seguito riporto i collegamenti web per i romanzi della Saga attualmente disponibili, pagine in cui è anche possibile leggere un'anteprima di 75 pagine delle opere in diversi formati per ebook (ePub, Mobi, PDF) nonché trovare i link diretti all'acquisto sulle migliori librerie on line. In coda al messaggio è inclusa un'introduzione alla trama del nuovo romanzo e una breve biografia/bibliografia dell'autore.

GLI DEI DEL POZZO (Volume 1 della Saga)
http://www.letturefantastiche.com/gli_dei_del_pozzo.html

IL CAVALIERE DEL TEMPIO (Volume 2 della Saga)
http://www.letturefantastiche.com/il_cavaliere_del_tempio.html

TRAMA DE "IL CAVALIERE DEL TEMPIO"
Anno 817 dopo Cristo.
Sono trascorse tredici estati da quando Loki, il Dio Ingannatore, è tornato nel Tempo, sconvolgendo l'Europa medievale e dando inizio all'Era del Ritorno. Un solo elemento impedisce la sua piena reincarnazione: la ferita infertagli da Rollant di Bretagna durante la Battaglia dei Due Picchi che gli ha spillato sangue e lo obbliga all'incompletezza nel corpo e nel potere.
Dal suo rifugio nei pressi dell'apertura del Pozzo, in Dania, l'Ingannatore deve quindi attendere che la Ricerca del Sangue giunga al termine in suo favore, mentre mantiene ben stretto il giogo sui Popoli del Nord vichingo, per mezzo delle mostruose creature evocate tramite la fede di quegli uomini sottomessi.
Tuttavia, altre popolazioni ancora resistono.
In Hispania, i Cristiani asturiani e i Pagani sassoni sono anch'essi alla ricerca del Sangue per ostacolare Loki, grazie ai Cercatori, non disdegnando di servirsi del medesimo potere del Pozzo sfruttato dall'Ingannatore per le evocazioni, pur di salvare il Regno delle Asturie da vicini ostili.
I primi tra essi sono i principati islamici, dall'Emirato di al-Andalus in Occidente fino al Califfato di Baghdad in Oriente. Seguendo una fede pura, i Musulmani non attingono al potere del Pozzo per combattere Loki. Ricercano invece una soluzione definitiva per sconfiggerlo nella conoscenza, su antichi testi, in particolare presso la Bayt al-Hikma, la Casa della Sapienza di Baghdad, e ciò li porta a perseguire tanto i Cercatori quanto gli Evocatori.
Ma la resistenza contro Loki non avrebbe conquistato tempo per i propri tentativi se, dalla settentrionale Saxonia fino ai Pirenei nell'estremo sud, in terre un tempo appartenute al Regno dei Franchi di Carlo Magno, non si fosse scatenato il caos dopo il Ritorno dell'Ingannatore. Dallo sfaldamento dei legami feudali e religiosi, sono emersi i Cavalieri del Tempio della Fede nell'Uomo, guidati da uno spietato e misterioso comandante, conosciuto solo con l'appellativo che esprime i suoi fini: il Senza Dio.
Egli ha un unico scopo, estirpare con ogni mezzo qualsiasi fede, per porre un freno alle evocazioni legate al potere del Pozzo e forzare sulla difensiva Loki, insieme a qualunque altro Evocatore.
Questo precario equilibrio tra le diverse fazioni in lotta è però destinato a spezzarsi, perché oscuri personaggi si muovono dietro le quinte, con propri scopi imperscrutabili e sufficiente potere per conseguirli.
Sullo sfondo di tutto ciò, colpevolmente ignorato, lo "strumento di Dio" - come i monaci cristiani chiamano la macchina che ha annullato Tempo e Spazio, riaprendo il Pozzo - è ancora nelle lande fantasma di Aquitania, appartenenti ai domini dei Cavalieri del Tempio...
L'AUTORE
Gianluca Turconi, nato nel 1972, già più volte finalista al Premio Alien per la narrativa fantascientifica e vincitore della XIII Edizione del Premio Lovecraft per la narrativa fantastica, ha effettuato studi linguistici e giuridici, e attualmente vive e lavora in provincia di Monza e Brianza.
Da quasi un ventennio sostenitore del Software Libero, è stato tra i fondatori del progetto di marketing internazionale, di documentazione e di localizzazione italiana della suite software Apache OpenOffice, nonché curatore del dizionario italiano utilizzato dai programmi software Google Chrome, Mozilla Firefox e Thunderbird.
Nell’ambito della narrativa fantastica e sportiva ha pubblicato per case editrici e riviste specializzate nazionali e straniere (Eterea Comics & Books, Delos Books, Asociación Alfa Eridiani, Axxón, Graphe, DiSalvo, A3, Horror Magazine), ha rivestito il ruolo di editor per il romanzo "Figlio della schiera" di Giampietro Stocco (Chinaski) e di selezionatore e coordinatore della traduzione per l’antologia di narrativa fantascientifica latinoamericana "Schegge di futuro".
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19.10.14

Il potere che protegge la pornografia infantile. Lydia Cacho, I demoni dell'Eden.



"Se vivo sotto scorta, e sono costantemente minacciata, non è per ciò che scrivo ma per quello che voi potreste leggere".
Lydia Cacho, I demoni dell'Eden.




Questa non è la storia di un uomo che scopre quanto gli piaccia avere rapporti sessuali con bambine anche di soli cinque anni. Questa è la storia di una rete criminale che protegge e sponsorizza la pedopornografia infantile. È la storia di Jean Succar Kuri (distinto proprietario di alberghi), il capo di questa rete, che intesse relazioni con importanti uomini politici e influenti imprenditori messicani ai quali procura bambine e bambini per il loro piacere. Scrivere o leggere un libro sugli abusi sessuali infantili e sul traffico di minori non è un compito facile né un passatempo gradevole. Su questo
fenomeno, tuttavia, è più pericoloso mantenere il silenz io. Con la tacita connivenza della società e dello Stato, migliaia di bambine e bambini diventano vittime di trafficanti che li trasformano in oggetti sessuali a beneficio di milioni di uomini, che dalla pedopornografia e dall’abuso sessuale sui minori traggono un godimento personale esente da interrogativi etici. Benché gli episodi raccontati dalle vittime siano profondamente dolorosi, il coraggio dei testimoni e la chiarezza degli esperti ci consentono di scorgere la luce in fondo al tunnel e approfondire le conseguenze dell’inazione di fronte alla violenza e allo sfruttamento sessuale. Questo è un libro di Lydia Cacho, la giornalista più temuta e ricercata del Messico. Il primo libro di Lydia Cacho. Per questa inchiesta la giornalista è stata arrestata illegalmente, torturata e minacciata di morte numerose volte.
“Lydia Cacho è un modello per chiunque voglia fare giornalismo. È una donna di grande coraggio che ha sopportato la prigione e la tortura per difendere una minoranza che nessuno ascolta, per attirare l’attenzione sugli abusi che bambine e donne devono subire in Messico e nelle parti più povere del mondo. Ha raccolto informazioni mai venute alla luce prima, ha rischiato in prima persona facendo i nomi di politici e imprenditori.” Roberto Saviano
“Le mafie mi vogliono morta non per quello che so, ma per quello che voi e le vostre figlie saprete leggendo i miei libri.”

se la puntata della presentazione de libro alla trasmissione pane quotidiano rai3 del 16\10\2014 non si dovesse vedere  o avete  difficoltà  con il video  lo




 la trovate  qui  (  http://goo.gl/xIg733 )

14.10.14

Giovanni falcone si rivolterebbe nella tomba nel vedere la sorella che accetta l'onorificenza da Napolitano chiamato in tribunale per la trattativa con la mafia






Lo so  che  è riferito  a Berluisconi  ma  visto come si sta  comportando    è  addatta anche  per  lui  


 lo sa che il nappi  ops   Napolitano   dev'essere  interrogato  da i Magistrati che stanno indagando    sulla  trattativa  stato mafia  e  nonostante  ha detto che non ha niente da nascondere    ha  : 1) preferito lasciarsi interrogare lontano dal tribunale  ., 2)    far si che   le intercettazioni telefoniche  in cui compare il suo nome e il nome del  suo segretario fossero di strutte   ?   Forse  fa  buon viso a cattivo gioco  per  far  conoscere  la  sua  associazione   dedicata  al fratello Giovanni e  Francesca  ?

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...