VI PIACE QUESTA VIGNETTA ? :-)
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
7.9.09
La Casa Delle Conchiglie
E' una villa della Romagna. Il davanti della cancellata, il pozzo,
le aiuole e tutte le decorazioni, sono completamente ricoperte
di conchiglie. Da qui il romantico nome.
Un effetto piacevole, che mostro con alcune foto, per darne
un'idea.
. Foto di Marilicia.
Sosteniamo le donne.
Mercoledì indossiamo qualcosa di bianco per sostenere la lotta alla violenza sulle Donne
A proposito di lettere anonime
A proposito di lettere anonime, pare che adesso sia sufficiente una di queste per infangare una persona, al pari di una calunnia diffusa sapientemente per screditare un avversario o una persona odiata. Ma la Civiltà romana che è alla base della civiltà occidentale aveva capito da tempo che le denunce anonime sono da cestinare. Perciò rinfresco le idee di chi ha dimenticato il famoso carteggio all'inizio del secondo secolo d.C. tra Plinio e Traiano.
Plinio fu governatore della Bitinia dal 111 al 113 d.C. e durante il suo mandato aveva avuto a che fare con le persecuzioni dei cristiani e, essendo una persona retta, davanti alle delazioni e alle lettere anonime, chiese appunto con una lettera il parere dell'imperatore Traiano. Eccola (il testo latino e la traduzione che copio è qui) insieme alla risposta dell'imperatore:
Gaio Plinio all’imperatore Traiano
È essenziale per me, signore, riferirti tutti i miei dubbi. Chi infatti potrebbe meglio di te guidare le mie esitazioni o correggere la mia ignoranza?In realtà non sono mai stato presente a un interrogatorio di Cristiani, così non so quale punizione sia richiesta o quanto debba essere spinta avanti. Non comprendo nemmeno le basi legali per un atto di accusa, né quanto stringente tale atto debba essere.
Nemmeno ho chiaro il tipo di accusa relativamente all’età delle persone, se cioè nessuna distinzione debba essere fatta tra giovani e anziani, e ancora se un perdono debba essere concesso in caso di ravvedimento o se invece non vi sia alcun riconoscimento per chi cessi di essere Cristiano. È forse il nome “Cristiano” a essere perseguibile di per sé, anche se non vi sono atti criminali, o la “criminalità” è inevitabilmente connessa al nome stesso?
Nel frattempo con coloro che mi sono presentati come Cristiani io mi comporto in questo modo: chiedo loro direttamente se sono Cristiani, lo chiedo anche, per essere sicuro, una seconda e una terza volta, e indico loro il pericolo della loro situazione. Se essi persistono, ordino la loro esecuzione. Non ho problemi riguardo a questo, perché qualunque sia la loro ammissione o dichiarazione, ho deciso che la loro ostinazione e irremovibile fermezza dovrebbe essere ragione sufficiente per la punizione.
Ho mandato a Roma per il processo alcuni che erano virtualmente folli per questo culto, ma erano cittadini romani.
Man mano che procedo in questo modo di affrontare la situazione, come spesso accade il numero e il tipo di accuse diviene sempre più ampio.
È stata fatta pervenire una lista anonima che contiene i nomi di molte persone autorevoli. Io ho deciso di lasciar cadere le accuse su chiunque, tra quelli nella lista, affermasse di non essere e di non essere mai stato Cristiano, a patto che essi ripetessero con me un’invocazione agli Dei e offrissero vino e incenso alla tua statua, che io ho fatto condurre nell’aula insieme con le statue degli Dei, proprio a questo scopo. Oltre a ciò, essi dovevano formalmente maledire Cristo, cosa che, ho ben compreso, un vero Cristiano non farebbe mai.
Altri, sempre in quella lista anonima, erano indicati come Cristiani nel passato, ma ora ravvedutisi. Alcuni dicevano che essi lo erano stati e avevano smesso di esserlo da tre, da molti o addirittura da venti anni. Tutti costoro onorarono la tua statua, quelle degli Dei e maledirono Cristo.
Essi affermarono che tutto ciò che avevano fatto era stato di andare a un incontro in un dato giorno, prima dell’alba, di cantare in risposta un inno a Cristo come Dio, giurando con una santa ostia di non commettere alcun delitto, di non rubare o rapinare, di non commettere adulterio, di non giurare il falso o di rifiutare di restituire una somma affidata loro. Quando tutto ciò era finito, era usanza che se ne andassero per vie diverse e poi si riunissero per consumare assieme un cibo semplice. Dopo però il mio editto che proibiva tutte le associazioni politiche, essi avevano smesso di frequentare tali riunioni.
Ho pensato a questo punto che fosse necessario ottenere informazioni da due schiave, che esse chiamano ministrae, per mezzo della tortura. Non ho trovato alcunché degno di biasimo se non la cieca e incrollabile natura della loro superstizione.
Così, posposto ogni atto di accusa, mi sono rivolto a te. Occorre prendere sul serio questa situazione, specialmente a causa del gran numero di persone che cadono in questo pericolo. Un gran numero di persone di ogni età, di ogni classe sociale, donne e uomini, vengono messi sotto accusa e tutto lascia pensare che la cosa continuerà. Il contagio di questo culto prende non solo le grandi città, ma anche quelle minori e perfino i villaggi e le campagne. Per ora sembra possibile controllare la situazione e addirittura rovesciarla,
Perché è abbastanza evidente che i templi degli Dei, che sono stati per lungo tempo vuoti, ora cominciano a essere di nuovo pieni, si compiono i sacri riti che erano stati lasciati perdere, si vende di nuovo nelle botteghe, anche se per un certo tempo nessuno la comprava, la carne sacra per i sacrifici. Sembra ragionevole pensare che molti potrebbero essere convinti ad abiurare, se ci fosse una procedura legale per l’abiura stessa.
L’imperatore Traiano a Plinio
Ti sei comportato bene, caro Plinio, nell’affrontare il caso di quanti ti venivano condotti con l’accusa di essere Cristiani. Ma non è possibile affrontare una questione così delicata con una forma fissa o una formula specifica. Bisogna evitare di andare in cerca dei Cristiani, ma se vengono portati davanti a te e l’accusa contro di loro viene provata, essi devono essere puniti. Se qualcuno però afferma di non essere Cristiano e rende ciò evidente offrendo preghiere ai nostri Dei, costui deve essere perdonato sulla base del suo pentimento presente, per quanto sospetto possa essere stato nel passato.
Lettere anonime non vanno però prese in esame nei procedimenti legali: sono infatti un pessimo esempio e non sono proprie del nostro tempo
6.9.09
Quello che i morti non dicono Ernesto D'Aloja, misteri e silenzi di un medico legale
dall'unione sarda del 6\9\2009
Gli hanno riservato un compito difficile: interrogare i morti. Da un cadavere deve riuscire a farsi dare il maggior numero di informazioni, comprese quelle ultra-riservate, quelle che da vivo custodiva come un privatissimo segreto e non avrebbe mai confessato a nessuno.
Finora Ernesto D'Aloja ha svolto non meno di millecinquecento autopsie ma sarebbe riduttivo ricorrere a questo numero per definire il suo ruolo di medico legale. C'è molto di più: una sacrale osservazione del corpo umano e dei suoi silenzi post mortem, una minuziosa ricerca scientifica che non deve mai sconfinare col lavoro degli investigatori, la battaglia interiore per conservare rispetto verso il materiale da lavoro e non lasciare che la routine da bisturi diventi tran tran impiegatizio. D'Aloja, che ha 49 anni e un figlio, dice di essere credente e di sorprendersi ancora davanti alla meraviglia dell'uomo. «Più lo studio e più mi rendo conto che il nostro organismo è una macchina strepitosa e irraggiungibile, un insieme che sfiora la perfezione».
Presidente dei genetisti forensi italiani, professore ordinario da quattro anni all'università di Cagliari, si è formato alla scuola di un fuoriclasse (Angelo Fiori) alla Cattolica di Roma e perfezionato negli Stati Uniti. È finito dentro le indagini più clamorose degli ultimi anni: dal delitto di via Poma a quello della contessa Filo della Torre all'Olgiata. Ha lavorato nel cimitero criminale aperto dalla banda della Magliana, seguito e frugato nella morte, più o meno misteriosa, di molti intoccabili. Una grande capacità comunicativa l'ha fatto finire tra gli ospiti di Superquark, trasmissione televisiva che non è certo passerella di pacchisti e prezzemolini.
A salvarlo dal pericolo di una tetraggine che vada oltre l'orario d'ufficio è l'educazione all'ironia, al distacco. Anche nei momenti più delicati. Per esempio quando, in un camposanto del nord Italia, stava esumando un cadavere sotto l'occhio attento di un becchino che non l'ha mollato un istante mentre smanettava tra poveri resti dentro una bara mordicchiata dal tempo. Alla fine il becchino si è fatto coraggioso: professore, posso dirle una cosa? Il suo mestiere fa veramente schifo.
D'Aloja, forte di una stazza notevole, ha gli ammortizzatori per incassare senza traumi. Da quattro anni abita a Cagliari, prima stava nel romanissimo quartiere di Trastevere. «La differenza? Lì non sei nessuno, qui sanno dove vai e cosa fai». Dei sardi, visto che non ha perso l'abitudine di studiare anche i vivi, s'è fatto un'idea precisa: «Vissuta da dentro, quest'isola è molto più bella di quella che visitavo in vacanza. Ma siete talmente fieri di essere sardi che vi capita di isolarvi dal resto del mondo. Appena arrivato all'università ho scoperto, con grande stupore, che avete difficoltà a lavorare insieme. Meglio soli, vero?».
Grazie alle tecnologie, la medicina legale ha fatto enormi passi avanti. Attraverso l'analisi di un capello è possibile sapere non solo se si è cocainomani ma pure l'ultima volta che si è sniffato; un banale esame del sangue consente di calcolare quanto si è bevuto nelle ultime due settimane.
Professor D'Aloja, qual è il suo rapporto con la morte?
«Quotidiano, e senza pentimenti. Non ne ho paura, non mi ha mai messo i brividi. Frequentare la morte aiuta ad apprezzare le cose belle della vita».
È vero che i morti dicono moltissimo?
«Sì, soprattutto cose che non vorrebbero raccontare. La nostra è una strana professione: entriamo in maniera violenta nella vita di un cittadino. Scopriamo che aveva in frigo, cosa aveva mangiato prima di morire, quali erano i vizi privati e le pubbliche virtù. Non ho mai dimenticato un acclamato professionista che indossava mutandine da donna o il gioielliere che nascondeva diamanti nei calzini: aveva paura che glieli rubassero».
Dietro un cadavere c'è sempre qualcosa di non detto?
«No. Di solito sono storie di desolazione, solitudine. Colpiscono gli omicidi in famiglia perché nascondono una ferocia particolare. Ricordo un ragazzo malato di mente che ha ucciso prima il cane, poi la madre con venti coltellate e infine si è messo a letto zuppo di sangue. Quando la polizia ha fatto irruzione nel suo appartamento era apparentemente sereno. Ho avuto un incubo, ci ha detto».
Un caso risolto grazie all'autopsia.
«Succede il 90 per cento delle volte. L'autopsia, se eseguita con scrupolo, offre elementi fondamentali, per capire. Può durare da un'ora e mezza a una giornata intera ma svela con assoluta precisione dettagli-chiave: l'epoca della morte (con un certo grado di approssimazione) e il mezzo».
Allora com'è che tanti assassini sono liberi?
«Sono errori di valutazione, non tecnici. Prendete l'epoca della morte: si basa su fenomeni naturali molto evidenti. Eppure, come sta accadendo nella vicenda di Garlasco, uno scarto di quindici-venti minuti può rivelarsi determinante per stabilire l'innocenza di una persona».
Spesso non si viene a capo di nulla.
«Gli unici omicidi risolvibili sono quelli con un movente chiaro. Ma il movente, oggi, non è quello di una volta».
Cioè?
«Una volta si uccideva per furore, interesse, gelosia. Tutto questo ora non vale più: abbiamo perso la tolleranza, il che spiana la strada a delitti assurdi, difficili da ricostruire. Non abbiamo più la forza per controllarci prima di fare una follia».
Questo spiega, secondo lei, il flop di tante indagini?
«Non credo che ci si ammazzi adesso più di ieri. E neppure che i suicidi siano cresciuti in misura esponenziale. È vero invece che ci siamo abbrutiti, è vero che col prossimo cerchiamo lo scontro perché viviamo immersi nella nevrosi ma la verità è più banale: oggi abbiamo le informazioni in tempo reale, un lampo e sappiamo tutto. Ci sembra di vivere in un'apocalisse di violenza ma in realtà non è cambiato molto rispetto al passato».
Il medico legale fa spesso anche l'investigatore.
«Certo. Ma solo nei film. Il medico legale non deve essere malato di narcisismo ricostruttivo. Per le inchieste ci sono polizia e magistratura. A ciascuno il suo».
La tentazione comunque deve essere forte.
«Chi può negarlo? È umano essere curiosi».
Quindi lei un'idea su chi ha assassinato la contessa dell'Olgiata ce l'ha?
«Ce l'ho. Ma non la racconto ai giornali».
Ce l'ha anche per il delitto di via Poma?
«Sì, però appartiene a congetture personali che non possono essere oggetto di un articolo di cronaca».
Suicidi camuffati da omicidi.
«Succede. E c'è una ragione netta: il suicidio è un messaggio per i vivi. Rammento il caso di quel dentista che si è fatto trovare incaprettato, una busta di cellophane in testa e la casa a soqquadro in un quartiere-bene di Roma. In bella vista, vicino al comodino, aveva lasciato copia d'una polizza-vita in favore del figlio».
E allora?
«Siccome l'assicurazione non paga in caso di suicidio, aveva montato una sceneggiata per farci pensare a una rapina. Ma le corde che lo avevano strangolato erano troppo lente e abbiamo intuito che si trattava di una patetica finzione».
Capita di frequente?
«No. Ma capita. Il suicidio, che viene considerato un gesto inconsulto e irrazionale, è quasi sempre premeditato, studiato e messo in atto con lucidissima ragione. Di irrazionale c'è forse solo l'ultimissimo atto, il colpo di pistola, la corda sul collo».
Morte apparente.
«Esiste solo nelle fiction. In Italia c'è una legge che dice esattamente cos'è la morte: non è l'anima che fugge con l'ultimo respiro, non è il battito cardiaco che sfuma ma il blocco dell'attività dell'encefalo».
Per questo si parla di cadaveri a cuore battente?
«È la definizione più moderna della morte. Ci dice che il cervello si è fermato e il cadavere può essere utilizzato per i trapianti. Se invece si muore di crisi cardiaca possono essere impiantate solo le cornee».
Ha mai trovato corpi rimasti intatti?
«Sì, in alcuni casi perchè sono stati sottoposti a un trattamento di conservazione. Padre Pio, ad esempio, è stato ritrovato incredibilmente integro. In queste circostanze penso comunque che stiamo perdendo il senso profondo della vita. Ricordate polvere eri e polvere tornerai? ».
L'Italia è disseminata di omicidi rimasti senza colpevole: il delitto perfetto esiste.
«Mi spiace no, non esiste. Esiste il delitto difficile da interpretare, che consente di mettere insieme prove che reggano il confronto in un'aula di Tribunale. Il che è una cosa diversa».
Ma Scientifica e Ris hanno preso colossali cantonate.
«Un attimo, si tratta sempre di interpretare. Faccio un esempio: trovo un cappello sulla scena del crimine, faccio un esame di tracce pilifere e scopro che non appartengono all'indiziato. Significa che è innocente? Può darsi. Ma significa anche, come mi è capitato di osservare in una vicenda recente, che l'assassino ha casualmente utilizzato il cappello di un altro: ovvio che le formazioni pilifere lasciate nella trama del tessuto non fossero le sue».
Il sospetto di un'incapacità investigativa non le viene mai?
«La qualità media dei nostri investigatori è molto alta. Pensate a un serial killer che ogni due-tre anni decide di colpire: credete sia semplice stanarlo?».
Bisogna scoprire tutto nelle prime 48 ore, altrimenti addio.
«Le prime 48 ore sono molto, molto importanti. La vera difficoltà sta tuttavia nell'entrare e capire la mente umana: che non è più quella di un omicidio di Conan Doyle o di Agatha Christie. Oggi c'è un raggelante disinteresse perfino nell'uccidere».
pisano@unionesarda.it
5.9.09
BASTA CON IL FANGO ED I VELENI
dalla nuopva sardegna del 5\9\2009
Questura: non esiste. Belpietro: "C'era"
La storia di Dino Boffo sembrava chiudersi con le brusche dimissioni del direttore dell’Avvenire. Fino al giorno prima ha sparato pagine di autodifesa, raccogliendo consensi, per poi abbandonare la trincea così, come se si sentisse colpevole, oppure, peggio, solo o indifendibile. Non sappiamo se esistano altri motivi oltre a quelli indicati nel commiato, inviato al cardinale Angelo Bagnasco prima di lasciare la direzione. La domanda diventa concreta quando si apprende che in Questura a Milano da tempo esiste un fascicolo personale intestato “Boffo Dino”. Prima che si alzasse la buriana, il carteggio era custodito in archivio. Ora, non c’è più. Tecnicamente è “in trattazione”, ovvero un ufficio l’ha richiesto per “lavorarci” sopra. Per consultarlo, compiere verifiche o, magari, accertamenti. L’ufficio in questione è quello della Digos. Il dirigente, Bruno Megale, quello che aveva “gestito” la vicenda delle inchieste sulla rendition di Abu Omar, è in ferie. Impossibile saperne di più: nessuno dice nulla. Segreto. Se la Digos ha preso quelle carte quando la vicenda Boffo è finita sui giornali, quindi già una settimana fa, ci possono essere solo tre motivi. O si è voluto “blindare” il fascicolo. Impedire quindi che qualche “manina” passasse le informazioni ai cronisti. O gli investigatori su indicazioni del ministro Bobo Maroni hanno voluto verificare che all’interno non ci fossero informative, note, appunti sulla presunta omosessualità del direttore dell’Avvenire. Un dettaglio che ci avrebbe portato ai tempi bui del Sifar. Oppure, ipotesi remota, ci sono delle indagini in corso. Sapere perché questo fascicolo è finito sotto chiave sarebbe interessante. Ancor più interessante conoscerne il contenuto. Di certo né raccomandate, né multe della polizia municipale o verbali dell’annonaria ma documenti forse rilevanti, magari capaci di dare l’impronta a quanto accaduto e che oggi all’istante sono finiti lontani dagli scaffali degli archivi. Non c’era nessun anomalia sulla presenza di questi documenti. Boffo è residente a Milano e il fatto solo di aver subito una condanna determina l’apertura di un fascicolo personale. Cosa diversa è se da quel fascicolo dovessero uscire altre o diverse storie tali da posizionare Boffo in un inedito contesto. Non necessariamente negativo. L’ex direttore dell’ Avvenire poi potrebbe persino risultare parte lesa di un’attività informativa non legittima ma già smentita dal ministero dell’Interno.
In questo scenario si inseguono le indiscrezioni che in mancanza di un quadro certo alimentano solo, al momento, confusione come quella che vede nel “recupero” e nella “sparizione” del fascicolo un’iniziativa sì della Digos ma dettata da uffici esterni ovvero dall’Aisi, l’ex Sisde. Gli 007 avrebbero quindi voluto aver contezza di quanto era stato raccolto in Questura sul direttore del quotidiano della Cei? Difficile, improbabile anche perché non rientrerebbe nelle loro competenze. Di certo quel fascicolo dov’era non c’è più. E questo solleva interrogativi, dubbi che andrebbero chiariti. Anche perché della vicenda di Terni, di quelle molestie, di quella sentenza ancora oggi si conosce poco, pochissimo. Dettagli che non dicono abbastanza di quest’uomo che a un certo punto, proprio quando la Chiesa spende parole dure contro chi lo critica, mezza stampa lo eleva a martire, la redazione lo sostiene, la storia dell’informativa vacilla aprendo varchi insperati, ecco proprio adesso getta la spugna e si dimette. Non si può legare la storia del fascicolo alla scelta di Boffo, che può essere benissimo dettata solo dal peso della situazione. Né, ribaltando lo scenario, si può indicare nel fascicolo la causa delle mosse felpate del Vaticano, di quei segnali trapelati, delle parole di Vittorio Messori che scandivano la distanza gelida che stava creandosi. Ma considerare che questo carteggio nulla c’entra con tutta questa storia, che non offre chiavi prospettiche, ci porterebbe con ogni probabilità su una strada sbagliata.
Se cosi fosse perchè non citano la posizione nell'archivio dove 'era contenuto ?
influenza
LAVATI LE MANI!
ps- leggere non concorre alla diffusione del virus
Notte di San Lorenzo
Appoggiata alla balaustra del terrazzo
sulla sinistra le luci di San Marino
davanti, le navi da diporto
cento stelle sfrecciano nel Cielo.
E' un momento di magica bellezza
il mio pensiero raggiunge te lontano,
desiderio di averti accanto
di poggiare il capo sul tuo petto.
Sono sola
pur in mezzo a tanta gente,
che come me
guardano le stelle,
ognuno con un desiderio nascosto
ognuno con la propria malinconia.
Una virgola di luna mi sorride
sembra disegnata nel Cielo,
per una volta non è protagonista
sono le stelle
le regine della notte.
Scritto da Marilicia il 10/08/2009
3.9.09
RABBIA GIOVANE
RABBIA GIOVANE da blog http://www.diteloame.splinder.com di rossella drudi.
muovono come fronde al vento, nei fragili germogli sterili allo sbocciar d'idee ...
narcolessi di coscienze sotto spirito...
Sentimenti in scatola, emozioni da discount ...
Palpiti di cuore, battiti di ciglia stipate al buio delle cantine murate,
vuote, e replicanti ... Chiusi nell'io imperativo, ingannati
dal nuovo riflettente illusioni, nuotano nel sè dell'egoismo narciso, affogando l'un l'altro ... piccoli tenui vagiti del noi ...
Ancora una volta sordi alle risa cristalline dell'insieme, ciechi ai bagliori del futuro, muti nell'oceano del confrontarsi, sempre più nero e in secca, vinti nei deserti di rabbia, ove l'eco dell'incertezza, alimenta panico nella paura del dover soffrire poi, nel dolore dell'abbandono, fine di un amore o sconfitta ... Chiudono la vita fuori dai recenti sicuri, rinunciando ad essere per non darsi... Sperando in un domani che non è in vendita, nè plasmabile, nei ricordi appena passati e mai defunti, di una spenzieratezza eterna, mai reale,
meglio non darsi, continuando a fingere di esistere, facendosi schiacciare da chi ha interesse che sia così ...
Rossella Drudi.
2.9.09
Il diavolo fa le pentole... ma non sa fare i coperchi!
Dal blog del mio amico Berlicche:
Il pentolone
Tutto cominciò un giorno di fine agosto, forse un poco prima. O anche molto prima: in fondo è da migliaia di anni che la gente butta in faccia agli altri i loro difetti, le loro manchevolezze. Ma quella volta fu diverso da tutte le altre volte. Perchè se l'uomo rimane più o meno lo stesso, sempre falso, cinico, bestiale attraverso i secoli, i tempi cambiano. Quello che una volta era confinato nel raggio d'azione delle pettegole di paese, in una società complessa, connessa, collegata in banda larga è alla portata di orecchio di ogni persona da Oslo a Sidney. E così anche la diffamazione, la diceria, l'indiscrezione diventano armi di distruzione di massa.
Fu la rapidità e la drammaticità dell'escalation che colse tutti di sorpresa. Polemiche politiche costruite ad arte, fatti presi e sbattuti in faccia per distruggere l'avversario furono ritorti e rimandati al mittente. In un'era in cui la tecnologia consente di ascoltare la conversazione delle formiche, di filmare chi butta una carta di caramella e riprodurre un documento infinite volte cosa impedisce che ciò che un tempo era considerato privato, proprietario, segreto divenga aperto a tutti?
Qualcuno, la cui visione del mondo era un calderone ribollente in cui versare ingredienti per ottenere un pasto gustoso, sorrise della piega presa dagli avvenimenti. I suoi ingredienti preferiti erano l'invidia, l'odio, la menzogna.
Così cominciò il gioco al massacro. Come si distingue il vero dal falso, la bugia dal vero? Quando non si hanno più criteri anche la menzogna più plateale può ingannare. Quando si è convinti di una menzogna, difficilmente una smentita riesce a farci cambiare idea; anzi, spesso la difesa viene presa per debolezza, opportunismo, conferma indiretta delle più nere ipotesi.
Si dice che l'insistenza possa far perdere la pazienza ai santi; figurarsi a chi santo non è. Alle insinuazioni seguirono le ritorsioni, a loro volta fonte di altro livore, in un rimbalzo di rabbia che acquistava di volta in volta nuova energia. E presto questo cerchio si espanse oltre il pensabile. Se un importante politico non è intoccabile, perchè deve esserlo un direttore di giornale? Se posso additare pubblicamente sbagli veri o presunti di personaggi importanti, perchè il mio vicino deve restare impunito? Perchè non posso rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi fasulla, la sua denuncia penale, lei che scarica i rifiuti nel mio giardino, lui che se la fa con la bidella?
La spuma nel calderone ribollente montava, con la soddisfazione del suo padrone. Questa volta, ne era certo, avrebbe inferto un colpo mortale al suo nemico.
Come sempre, ci fu qualcuno che fiutò l'affare. I giornali scandalistici campavano sui potenti: c'è chi capì che si poteva prosperare anche sui piccoli. Che qualcuno avrebbe pagato per potere vedere quello che si mormorava, per potere gridare alla luce quello che aveva sussurrato nell'oscurità. I tribunali, i garanti della privacy, furono in breve così subissati di richieste che dovettero cedere le armi e ammettere di essere impotenti. Impossibile proibire quello che tutti facevano. In-Your-FaceBook, la rete internet del pettegolezzo, divenne così famosa da surclassare la sua progenitrice. Ognuno ebbe il suo dossier; ogni archivio fu aperto, ogni ombra fu portata alla luce, ogni vizio scoperto in una gara a chi cadeva più in basso. Bastava consultare un'applicazione sul telefonino per apprendere le depravazioni di chi stava di fronte. Era una gara a chi fotografava la situazione più ambigua, chi riportava la magagna peggiore. Ogni casellario, ogni log fu rovistato e ribaltato. I ragazzini in classe facevano a gara tra di loro; gli uffici erano colmi di pugnali.
Qualcuno solo rideva, rimestando il pentolone, soffiando sulle fiamme, sicuro che nessuno avrebbe trovato mai niente su di lui, non perchè fosse lontano dal fuoco, ma perchè ne era l'origine stessa. Tra poco sarebbe stato il suo momento.
Quello che un tempo era nascosto ora era in fronte ad ognuno. Quello che era scandalo divenne ben presto abitudine. Poi l'abitudine generò noia. Si cominciò a inseguire platealmente quello che una volta generava vergogna, l'offesa, la malvagità gratuita, il proprio comodo a spese altrui. A vantarsi dei propri errori, sicuri di restare impuniti. Errori? E perchè, se così fan tutti? Il disprezzo per l'altro, ormai conosciuto per quello che era, divenne la norma. I rapporti, puro egoismo. Le riviste scandalistiche decaddero e fallirono, una dopo l'altra, perchè che gusto c'è a vedere il già visto? Che eccitazione, se l'oltraggio non è più oltraggio, se il vizio diviene sbadiglio, e poi orrore? Sempre meno consultavano le gogne informatiche: non interessavano più.
La spuma ribollente traboccò dal calderone, cadde sulla fiamma, che sfrigolò, si spense mezza. Il proprietario della pentola guardò perplesso la piega inattesa degli eventi.
Nauseati dal troppo male, alcuni cominciarono a guardarsi attorno. E videro persone che non erano migliori delle altre, ma che invece di essere presi dalla foga di demolire avevano costruito. Che continuavano a vergognarsi delle cose compiute, ma che non si fermavano ad esse. Che invece di tollerare il male altrui, lo perdonavano; e dopo era come se, stranamente, questo non fosse mai esistito. Come madri che perdonano ai figli, usando quella strana cosa dimenticata che un tempo veniva chiamata misericordia. Un termine che non nasconde l'errore, anzi, lo presuppone. Ma che dice che c'è altro, c'è qualcosa di più grande del proprio sbaglio. Qualcosa che non può venire dall'uomo, perchè era ormai chiaro a tutti com'è fatto l'uomo.
E in mezzo a tutta l'immoralità, il vizio esibito, la mancanza di ogni regola, scoprirono qualcosa che non era una regola ma la fonte di tutte le regole, di ogni virtù, dello stesso essere uomini. Di antico e sempre nuovo. Una compagnia di uomini ottusi come sempre, bestiali come sempre, ma uniti da qualcosa che viene prima, da qualcuno che viene prima. E cominciarono, ricominciarono a seguirla.
Il fuoco è quasi spento, una fiammella ormai. Il contenuto del pentolone si è riversato a terra. E' il suo proprietario che ribolle, adesso, di una rabbia eterna, per il suo progetto ancora una volta frustrato. Il tempo non è ancora giunto. Non ha ancora imparato a fare i coperchi.
CAMMINAVO IN UNA NUVOLA DI DUBBI MORTI.
Dove tu vita, senso, giorno,destino,
luna sotto le fiamme di un eterna chimera.
Mille morti,sotto la luna che anima rincorse d'eterno,
rincorsa a spettri;
e io e te correvamo,
spettri che si prostrano già morti
sotto le nostre vene intrecciate da un riflesso di santità della terra,
allucinazione di Cristo,
rincorriamo la spiaggia, rincorriamo il chiaro di luna,
luna che lasci le stelle di sera,la notte,
il crepuscolo di rosse stelle libere di sparpagliarsi per il cielo
e ognuna tiene fantasmi d’argento che girano sotto le sue linee di seta,
distruzioni d’amore,omicidi di vene, stragi e amori universali
che stravolgono ogni riferimento mortale,
lasciandoti in balia di una resurrezione concepita,
geometrica ma immortale, monsonica,
lasciandoti in balia della incalcolabilità della floreale placenta casuale,
creazione innumerevole di risurrezione di umiltà,
lasciandoti in balia di uno spiazzato
grandezze di aperture alari più spietate degli asteroidi
asteroidi a cui apparteniamo per ogni ragione,ogni ragione?!
Dritti a fremiti del cielo che non esistono strade altrimenti,
camminavamo su una pietra franata, una costruzione in macerie,
era un filo già sfibrato;
semplice assassino della paura e dell’imbarazzo d’immenso,
una pace che è rubata
per spettri troppo semplici da mettere di fronte
agli angeli di clorofilla nelle vene e artigli nei pensieri,
filo sfibrato ribelle a se alla certezza della sua sfibratezza e di Dio.
Terra; angelo fra ala atlantica e pacifica,
fiore senza stelo nell'universo dell'era inventata dell'acquario,
paradiso lampante, giurato, furibondo, disarmante,
solo frasi mai dette, un faro rotto è come una stella.
Quando la carestia avvolge gli specchi che vivevano di luna,
mentre noi eravamo su quelle corse insieme;
e io e lei ne mia e ne suo che ci rende solo gioielli,
c’è una vicinanza con un creatore che legge nel pensiero millenario,
che ti rende un piccolo gioiello nelle sue mani,”il suo mondo; sospiravamo”.
E l’eterno si assorbe di un fazzoletto e basta.
La cecità corregge il tiro delle allucinazioni,
piume delle nostri frasi mai dette volano nella steppa,
come pilastri delle aurore,come sabotazioni di confini,
sazietà di leviatani,volano nella tundra,disparate,
riempiendo il nulla inimmaginato;
come se fossimo usciti brucianti da un sogno, noi due amore,
nel silenzio di questa luna di nivea teatralità e espressività al sole,
dove si perde vita, inferno, purgatorio e paradiso,
dove le fini accudiscono desideri,
e il rumore del mare ti mette a tu per tu con le tue morti e resurrezioni
e promesse e parole,urlate al giro del pianeta,ma poi è morta la notte,
abbiamo molti morsi da darci, eccoci morte,
solo insieme ci conosci, abbiamo rincorso la cenere per ucciderla,
abbiamo tradito l’universo
perché noi due eravamo per sempre prima che uscisse la lacrima del piacere,
senza pietà abbiamo bruciato il silenzio elettrico,
abbiamo rincorso solo la creazione per morirci sopra
e lasciare la nostra di cenere tatuata di frasi d’amore,
e morte che sei cenere sai che abbiamo vinto,
morsi amore,morsi e sposami,per sempre insieme, sposiamoci.
Lei disse nella fuga da un giglio, con le mani dalla fuga da una preghiera
e i piedi di alabastro invisibili;sangue,
ti taglio, sangue di purezza,fiori nemmeno da campo,sposiamoci urla lei; ti ammazzo urla lei
mondo che rinnega,gli apparve qualcosa,oh un miracolo vero disse lei,
guardò tutte le stelle tranne la luna non la guardò,anche sembrava che mille angeli evitasse per andare al sole riflesso. Non la guardò,guardò in un attimo
la claustrofobia impossibile,
un miracolo vero disse; oh chiamate tutte
le acropoli del tempo dell’era dell’acquario
con armate dei dittatori senza ombra,
che non la trovano mai sotto il sol leone le sue forze d’ordine con urgenza,
andiamo sulla luna a urlarlo ci arrestano altrimenti,
come se devo chiederne un altro.
Siamo piramidi sporche in maschera vestite di morte ,siamo la costellazione che ultima conosciuta da un computer di pompano nel cervello siamo la cecità a tutto dei satelliti pompata nel cervello siamo la morte diceva. Urlava e diceva la vostra paura è la notte di Dio per gli amanti.
Sposiamoci che tutti chiedono perdono di rendere
un fulmine un buco che uccide l’atmosfera che riflette le ide ovattate degli angeli,
la mente non ha il coraggio di rispondersi mai, mai, mai;
ti ammazzo urlava mondo che rinnega ma sa solo di masturbarsi.
Rincorriamo il chiaro di luna urlava lei con i nostri
peccati bardati sotto il cielo coperto con le borchie dei nostri errori in perdono a cavalcare,
che qui la fine è un concetto egoistico, che qualcuno ha paura della resurrezione qui.
Sposiamoci urlava lei sangue di purezza sulle mani e ciocche mosse nel giglio,nel giglio,il mio giglio.
Per sempre insieme che noi uniti sotto la pelle delle unghie,
radicati come piante nelle rispettive coscienze,
sposiamoci sotto la luna ubriachi che la fine è un concetto egoistico,
Il mondo ha paura della resurrezione.
ALESSANDRO IDISIUM LUPOEDITORE
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