10.4.24

Jannik realizza il sogno di Arthur, un ragazzo affetto da paralisi cerebrale, palleggiando insieme a lui 💙

Jannik realizza il sogno di Arthur, un ragazzo affetto da paralisi cerebrale, palleggiando insieme a lui 💙

Pappagalli e cornuti, vizi incendiari, figurine stupefacenti, incursori alcolizzati, residenze insolite, scoperte cacofoniche , diplomazie bestiali

 

  • l Fatto Quotidiano
  • » Tommaso Rodano



  • Turchia I pappagalli ripetono: “Mio marito non c’è, puoi venire”. E la coppia divorzia Questa notizia che arriva dalla Turchia somiglia alla sceneggiatura di un cinepanettone, potremmo chiamarlo Natale allo zoo: gli insoliti protagonisti sono due pappagalli che fanno la spia. Un uomo infatti ha scoperto il

    tradimento della moglie proprio grazie alla preziosa testimonianza dei pennuti canterini. “Tornando a casa – spiega Leggo – ha sentito ripetere dai suoi pappagalli la frase: ‘Mio marito non c'è vieni’. Ha unito subito i puntini e capito che sua moglie stava approfittando delle ore in cui lui non era a casa per avvisare il suo amante”. Dopo la spifferata dei pappagalli, il marito tradito ha chiesto il divorzio alla moglie. Ma non è finita qui, perché gli uccelli sono stati accompagnati in tribunale e usati come testimoni chiave nella causa per la separazione: l’avvocato del distinto cornuto, Ted Buckland, ha postato su X l’immagine dei due pappagalli fuori dal palazzo di giustizia di Istanbul.

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    Un incidente drammatico e grottesco all’ospedale di Ribera (Agrigento): un paziente ha mandato a fuoco il suo reparto fumando una sigaretta. Il 53enne Costica Brustureanu, pace all’anima sua, è l’unica vittima del suo sventurato gesto: “Durante una seduta di ossigenoterapia si è tolto la mascherina per

    fumare – spiega Repubblica –. La scintilla dell'accendino ha generato le fiamme e l’immediata esplosione della macchia dell’ossigeno”. Poteva andare ancora peggio: “Le squadre dei vigili del fuoco hanno evacuato gli altri quattro ricoverati, trasportandoli nelle sale del pronto soccorso, tra fiamme e fumo che hanno invaso il reparto al primo piano del nosocomio”. Non era necessario specificare in modo tanto fantasioso che fumare fa male, o addirittura uccide, come c’è scritto sulle scatole delle sigarette. Dopo l’incidente l’intero reparto è stato dichiarato inagibile e anche il piano superiore, dove si trova la chirurgia, è stato evacuato per motivi precauzionali.

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    In Italia per una coppia di adulti è già un’impresa eroica potersi permettere un contratto 3+2 in un bilocale a Centocelle. In altri luoghi e altre epoche c’era spazio per la fantasia: due coniugi americani hanno vissuto per 15 anni dentro Disneyland (ma lontani dagli occhi di tutti). La notizia è diventata virale nei giorni di Pasqua. “Owen e Dolly Pope – scrive il Messaggero – hanno vissuto nell’enorme parco divertimenti in California tra il 1955 e il 1971 (...): la coppia era responsabile della ‘Fattoria dei

    pony’, la principale attrazione equestre di Disneyland. Alloggiavano a Frontierland, un’area del parco divertimenti californiano dedicata al selvaggio West, nascosta alla vista della maggior parte dei visitatori”. Owen e Dolly, a quanto risulta, sono gli unici due abitanti di Dinseyland della storia, selezionati dal fondatore in persona: “Furono contattati nel 1951 da Walt Disney come consiglieri per le attrazioni equestri. Ai coniugi fu consentito di stabilirsi in un’elegante casa bianca e verde di 120 mq situata dietro al ranch aperto al pubblico”.



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    La prossima notizia è tremenda e allo stesso tempo irresistibile perché mescola e ribalta in modo paradossale due estremi dell’esperienza umana: l’innocenza della fanciullezza e lo squallore tragico che può soffocare l’età adulta. La poesia è tutta nel titolo: “Compra le figurine Panini ma nei pacchetti trova l’eroina”. Il protagonista è un 43enne di Pompei, aveva comprato dei pacchetti di figurine dei calciatori online, quando li ha aperti ha trovato la sorpresina. Leggiamo dal sito di Sky Tg24: “L’uomo, incensurato, si è presentato ad una stazione dei Carabinieri piuttosto preoccupato. In mano aveva una

    scatola imballata, ricevuta alcuni giorni prima. Si trattava di un box di 50 figurine di calciatori. Una volta aperta, però, la scatola non conteneva solamente le immagini dei campioni, ma anche due buste di cellophane sigillate al cui interno era stata sistemata della polvere bianca”. Per l’esattezza 180 grammi di eroina pura, un carico da migliaia di euro.


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    Forse non c’è nemmeno bisogno della scienza per stabilire con un ragionevole grado di certezza che l’umanità si sia progressivamente istupidita negli ultimi 40 anni. Tuttavia la ricerca di un gruppo di studiosi in Austria ha raccolto i dati in supporto di una tesi suggestiva: anche l’arte è diventata più scema. “Studiando 12mila canzoni pubblicate tra il 1980 e il 2020 – si legge su Today – i ricercatori

    hanno messo in evidenza come la musica sia sempre meno complessa sul piano lessicale e strutturale, mentre aumentano le parole di rabbia e i testi auto riferiti”. In sostanza, brutalmente, le canzoni ci rendono più stronzi. “I risultati hanno rivelato una tendenza ad utilizzare una minore varietà di parole e a ripetere più spesso strofe e ritornelli senza variazioni. In particolare, questa minore complessità lessicale e strutturale è accentuata nelle canzoni rock e nei pezzi rap degli ultimi decenni. Per tutti i generi analizzati, inoltre, si nota una tendenza a testi sempre più rabbiosi e autobiografici”.




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    Ci sono ladri gentiluomini e pure ladri alcolizzati. A Roma un uomo senza fissa dimora ha scassinato la porta di una pizzeria di notte, è entrato nel negozio e non ha rubato niente, si è giusto calato qualche bicchierino per scaldarsi il cuore. Forse qualcuno di troppo, perché si è addormentato sul posto e

    l’hanno trovato lì la mattina successiva, mentre dormiva come un bimbo. “A raccontare la vicenda – scrive Repubblica Roma – con una sana dose di ironia, è stato il pizzaiolo Errico Porzio. ‘Non è un pesce d’aprile. Sede Al Solito Porzio di Roma: scassina di notte, entra, si ubriaca, si addormenta e viene arrestato. Non so se piangere o ridere”, ha scritto sui social. Tra i commenti, per una volta, non manca l’umanità, c’è chi sdrammatizza e giustifica la goffa intrusione del clochard: “Per una pizza di Errico si fa di tutto. Poverino non è arrivato in tempo per l’apertura e non ha resistito. Va perdonato”.

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    Poche settimane fa il mondo si rallegrava per la “diplomazia del panda”, il disgelo tra Cina e Stati Uniti avviato con il trasferimento di una manciata di ursidi dagli zoo del Dragone a quelli americani. In modo speculare – ma non bonario – il Botswana ha avviato la “diplomazia dell’elefante” contro il governo tedesco. “Inviare 20 mila elefanti in Germania – scrive il Corriere della Sera –. È questa la proposta
    polemica del presidente del Botswana, Mokgweetsi Masisi, per rispondere all’intenzione del ministero dell’ambiente tedesco di tutelare gli animali limitando l’importazione di trofei di caccia. Una posizione che, secondo Masisi, finirebbe con l’impoverire la popolazione del Botswana”. Popolo di poeti, di artisti e di bracconieri. “Masisi ha dichiarato al quotidiano tedesco Bild che, dopo decenni di iniziative messe in campo per tutelarli, gli elefanti sono diventati quasi troppi nel Paese. Dal suo punto di vista, la caccia va vista come una risorsa preziosa”. Come ce li portano 20mila elefanti in Europa? Su un barcone come i poveri cristi?

    8.4.24

    DIARIO DI BORDO N 43 ANNO II . Depressione incurabile, a 28 anni Zoraya ter Beek sceglie l'eutanasia: «Morirò a maggio, nel salotto di casa, con i gatti e il mio fidanzato» ., Per il regime dei talebani anche l’amore è un ‘crimine morale’: la storia di Qadria e Atiq ., Sono nata da un utero in affitto: mi batto per vietare questo abominioil caso di Olivia Maurel, 32 anni.,

    Non sono  d'accordo   con la  scelta  di   Zoraya ter Beek . Ma  riuspetto   la  sua  celta 

       da   https://www.msn.com/it-it/salute  tramite  www.leggo.it 

    Il suo corpo è sano, la sua mente segnata da anni di lotta contro la 
    depressione. Una battaglia in cui ha deciso di alzare bandiera bianca, scegliendo la strada dell'eutanasia per porre fine alle sue sofferenze. La storia di Zoraya ter Beek  ( foto  a  sinistra ) , 28 enne olandese con un disturbo della personalità e dello spettro autistico, ha attirato l'attenzione internazionale e riacceso il dibattito sul suicidio assistito dopo aver reso pubblica la sua decisione.
    L'eutanasia in Olanda

    La legge olandese sull'eutanasia, una delle più progressiste al mondo, permette agli individui di fare questa scelta nel caso in cui siano affetti da malattie incurabili che provocano sofferenze insopportabili, senza prospettive di miglioramento. La decisione di Zoraya segue una lunga riflessione e il consiglio del suo psichiatra, il quale ha concluso che le sue condizioni non avrebbero mai visto un miglioramento significativo, lasciando come unica opzione l'alleviamento della sofferenza. La 28enne, che vive con il compagno e due gatti, ha pianificato di sottoporsi all'eutanasia all'inizio di maggio.
    La scelta
    Nel corso di un'intervista concessa a 'The Free Press', un media americano, Zoraya ha condiviso il suo percorso e le ragioni che l'hanno portata a questa dolorosa scelta. Ha descritto la sua battaglia quotidiana con una malattia mentale debilitante e come, alla fine, la prospettiva di un sollievo permanente dalla sua sofferenza l'abbia portata a considerare l'eutanasia come una soluzione definitiva. La decisione ha sollevato questioni etiche e morali complesse, alimentando il dibattito sull'autodeterminazione e il diritto di scegliere la propria fine in condizioni di estrema sofferenza. La legge olandese sull'eutanasia stabilisce criteri rigorosi, tra cui la richiesta che la decisione sia volontaria e ben ponderata, e che il paziente sia in uno stato di sofferenza insopportabile e senza speranza di miglioramento.
    Le ultime volontà
    Zoraya ha pianificato di sottoporsi all'eutanasia all'inizio di maggio. Vuole morire nel salotto di casa, con il suo fidanzato accanto. Un medico le somministrerà prima un sedativo, poi un farmaco che le fermerà il cuore. Come ultima volontà, la 28enne vuole che i suoi resti vengano cremati e le ceneri sparse in un bosco vicino casa. 





    di    (valigiablu.it) 7 Aprile 2024

                         Zahra Nader e Kreshma Fakhri (Zan Times)

    Era la fine di luglio del 2023 quando la notizia iniziò a circolare sui social media: i talebani stavano per lapidare una coppia non sposata che si era

    data alla fuga. La notizia venne ripresa da diversi media locali in Afghanistan, oltre al noto quotidiano 8 Am, che il 28 luglio, attraverso le fonti sentite, indicava il giorno successivo come data della lapidazione.  
    Alla fine, la coppia non venne lapidata. Invece, i talebani li hanno condannati a cinque anni di prigione nella provincia di Baghlan, secondo quanto riferiscono fonti vicine alla coppia sentite da Zan Times. Quando il giorno della loro esecuzione è passato senza una lapidazione pubblica, l'interesse per la storia dei due amanti è svanito. Ma negli ultimi cinque mesi Zan Times ha ricostruito quanto accaduto a Qadria e Atiq. Lei è un'insegnante di 28 anni, madre di tre figli, mentre lui è un preside di 35 anni, padre di sei figli. Entrambi sono sposati.  Il crimine di cui i talebani li hanno accusati non è chiaro: portavoce locali e di alto livello dei talebani, tra cui Zabihullah Mujahid, si sono rifiutati di fornire informazioni sul caso a Zan Times, anche dopo che è stato chiesto loro almeno 14 volte di fornire o confermare i dettagli. Nonostante ciò, attraverso le famiglie, i parenti e gli amici della coppia possiamo mostrare come una decisione personale - quella di amare qualcuno e fuggire - possa cambiare la vita di due persone e delle loro famiglie. 

    Chi sono Qadria e Atiq e come è iniziata la loro relazione?

    Qadria era una studentessa liceale di 17 anni quando la famiglia decise di darla in sposa al cugino, Mohammad Azam. "Non era d'accordo con il matrimonio, non le piaceva il marito e voleva studiare e diventare avvocato", spiega una compagna di scuola. Il suo matrimonio è stato uno scambio di spose, il che significa che anche il fratello di Qadria ha sposato la sorella del marito.  Dopo il matrimonio, il marito di Qadria l'ha portata in un distretto remoto di Baghlan, dove non ha potuto sostenere l'esame di ammissione all'università e seguire il sogno di una carriera legale. A malincuore, Qadria accetta il suo destino e diventa madre. Mentre cresce i figli, segue un corso di formazione per insegnanti e inizia a lavorare come maestra.Alla fine si trasferiscono nella città di Pul-e Khumri, capitale della provincia di Baghlan, dove vivono i genitori di Qadria. Lì la donna trova lavoro a Zamirabad, una scuola primaria per ragazzi e ragazze fino alla sesta classe. A scuola conosce Atiq, che lavora come direttore. Poco dopo il marito di Qadria parte per l'Iran, in cerca di lavoro.Diverse fonti, tra cui amici e colleghi di Qadria, affermano che è stato durante il periodo di permanenza del marito in Iran che la donna ha iniziato una relazione sentimentale con Atiq. "Nei giorni in cui il marito era assente, Qadria passava il tempo con i suoi tre figli", racconta un amico intimo a Zan Times. "Le notti piene di desiderio e disperazione hanno fatto crescere l'attaccamento ad Atiq, e alla fine ha deciso di stare con il suo amore".Il marito, Mohammad Azam, sostiene invece che lui e Qadria "hanno avuto una vita felice insieme" durante i 12 anni di matrimonio. Dice di non aver mai immaginato che Qadria lo avrebbe lasciato per un altro uomo e sostiene che Qadria non lo ha fatto di propria volontà.
    Il padre di Qadria, Abdul Khalil Rahmani, racconta che la crisi della sua famiglia è iniziata mercoledì 5 luglio 2023, quando la figlia è andata a lavorare a scuola ma non è più tornata a casa quella sera. Stando al suo racconto, insieme al resto della famiglia ha cercato Qadria per giorni, prima di scoprire che Atiq l'aveva portata a Kabul. Nella loro prima intervista con Zan Times, i genitori di Qadria hanno affermato che Atiq l'ha "rapita". Abdul Khalil Rahmani ha presentato una denuncia contro Atiq ai talebani, che hanno dato la caccia alla coppia. 
    Settimane dopo la denuncia, i talebani hanno arrestato la coppia a Kabul e l'hanno trasferita nella prigione di Kelagai, nella provincia di Baghlan, dove Qadria e Atiq sono ancora detenuti.  La versione del padre di Atiq è completamente diversa. Najibullah Sediqi ha dichiarato a Zan Times che Atiq e Qadria non avevano una relazione sentimentale. Secondo la sua versione, il marito di Qadria le ha comunicato il divorzio per telefono, e quando lei ha espresso la volontà di formalizzare il divorzio in tribunale il padre glielo ha impedito, minacciando di ucciderla. Qadria si è quindi rivolta ad Atiq, chiedendo il suo aiuto per sfuggire al padre violento.  A sostegno della sua storia, Najibullah Sediqi ha condiviso un breve messaggio vocale di una donna che si è presentata come Qadria. Nel file audio, della durata di un minuto e 26 secondi, la donna afferma: "Due anni fa, mio marito ha divorziato da me per telefono, ho informato mio padre e lui mi ha picchiato, dicendomi che anche se divorziasse 100 volte e non tornasse mai più per altri 10 anni, resterei comunque sua moglie. Gli ho ricordato molte volte di essere divorziata, ma loro mi hanno picchiata e minacciata di morte".La voce femminile suona stentata, come per chi sta leggendo da un copione. Non potendo verificare se si tratti di Qadria, abbiamo fatto ascoltare la registrazione al padre, il quale ha riconosciuto la voce di Qadria. Sia il padre che il marito insistono sul fatto che non c'è stato alcun divorzio. Il padre di Qadria nega di aver mai tentato di farle del male, ma dice di aver portato Qadria e i figli a casa propria, per prendersi cura di lei. Dice di essere stato informato della relazione sentimentale quando la moglie di Atiq è venuta a casa sua e gli ha chiesto di impedire a Qadria di incontrare il marito. Uno dei vicini conferma l'incidente: "C'era agitazione nel vicinato. La moglie di Atiq era venuta ad affrontare Qadria, dicendole: 'Sei una donna svergognata e disonorata. Sei sposata e hai dei figli, perché parli con mio marito?".

    L'arresto con l'accusa di "crimini morali"

    Scappare o fuggire di casa è stato a lungo un "crimine morale" punibile, anche se molte donne fuggivano dalla violenza domestica. Nel maggio 2013Human Rights Watch (HRW) chiese al governo afghano sostenuto dagli Stati Uniti di "prendere provvedimenti urgenti per fermare l'allarmante aumento di donne e ragazze imprigionate per 'crimini morali'". A maggio 2013, HRW riferì che circa 600 donne e ragazze erano imprigionate per "crimini morali", un numero in rapido aumento. Nel 2012, HRW "ha documentato che circa il 95% delle ragazze e il 50% delle donne imprigionate in Afghanistan sono state accusate dei 'crimini morali', di 'fuga da casa' o di zina (sesso al di fuori del matrimonio)".E le lapidazioni per il "crimine" di fuga non sono iniziate con il ritorno dei talebani. Nel 2015, un'adolescente di nome Rukhshana è stata lapidata a morte dopo essere stata sorpresa a fuggire con il suo amante. "Nell'ottobre 2015 è stata sepolta nella terra fino alla vita e lapidata a morte da una banda di uomini che il governo ha dichiarato essere talebani", hanno scritto Mujib Mashal e Zahra Nader in un articolo del New York Times, pubblicato nel luglio 2017. L'incidente sconvolse il paese.  All'epoca, potevamo parlare di una o due "province afghane fuorilegge", dove per le donne non esistevano giustizia e dignità. Ora che i talebani sono al comando, tutto l'Afghanistan è un paese dove le donne non hanno diritti. Non esistono infrazioni lievi al duro codice dei talebani. Dal gennaio 2024, le forze talebane hanno arrestato donne in pubblico con l'accusa di non aver osservato correttamente il codice di abbigliamento prescritto dai talebani.    Il risultato di queste misure rigidissime è che molti innamorati non possono uscire di casa il giorno di San Valentino, tanto meno per festeggiare il loro amore. I giorni in cui una giovane generazione di afghani celebrava il giorno romantico con torte, rose rosse e palloncini a forma di cuore sono ormai un lontano ricordo. Negli ultimi due anni, i talebani hanno vietato qualsiasi celebrazione di San Valentino. Impediscono qualsiasi traccia di festeggiamento, pattugliando le strade e i negozi di souvenir il 14 febbraio. Chiunque sfidi le regole viene perseguitato. Ora, più della speranza è la depressione ad assalire i giovani del paese, che non possono festeggiare il loro amore in pubblico.

    Le conseguenze sociali dell'arresto di Qadria e Atiq

    Se la relazione tra Qadria e Atiq è una scelta personale di due individui adulti, in Afghanistan è anche un crimine che si ripercuote sulle loro famiglie e sui loro parenti. Gli individui e le famiglie ne risentono in base alla maggiore o minore vicinanza all'accusato. In questa gerarchia parentale, ovviamente, è sempre la donna o la ragazza ad avere la colpa di aver disonorato la famiglia, portandole vergogna.La famiglia di Qadria si è isolata socialmente da quando la notizia dell'arresto di Qadria e Atiq è diventata di dominio pubblico, racconta a Zan Times un amico di famiglia che vive nello stesso quartiere. La madre partecipa raramente agli incontri sociali e molti parenti hanno tagliato i ponti con loro. "Hanno smesso di frequentarli perché sono arrabbiati con loro, perché non hanno ucciso Qadria per ripristinare l'onore della famiglia e della tribù", spiega l'amico.Abdul Khalil Rahmani, padre di Qadria, afferma che la figlia ha più volte detto di essersi pentita delle sue azioni: "Dice 'ho commesso un errore, padre, ho commesso un grosso errore. Ho rovinato la mia famiglia e il destino dei miei figli'. Ma anche se ora ammette l'errore, non serve a nulla. L'onore della famiglia non può essere ristabilito".Fawzia, la madre di Qadria, racconta che i parenti e i vicini l'hanno rimproverata e umiliata quando si è diffusa la notizia della scomparsa della figlia. "Il dolore e l'umiliazione sono schiaccianti. Che Dio non faccia cadere il mio destino anche sul mio nemico!" racconta a Zan Times in un'intervista telefonica. Ora si occupa dei figli di Qadria. "Dalla mattina alla sera i bambini piangono, mi chiedono della madre", racconta Fawzia. Il più piccolo non ha ancora tre anni.  Per Qadria, la vita nella prigione di Kelagai, a Baghlan, è stata dura. È stata picchiata diverse volte, ricevendo anche 150 frustate per una presunta protesta all'interno della prigione, dice una fonte che conosce la sua situazione dietro le sbarre. "È stata picchiata così duramente che riusciva a malapena a muovere il corpo", spiega la fonte. "Tutto il suo corpo era pieno di lividi".

    ma  quest  articolo :  quest articolo  : <<  Il delitto d’amore sotto i talebani >> di  osservatorioafghanistan.org)    da cui  è tratta   la  foto agiunge     che 

     [...] Una versione diversa della storia

    Il padre di Atiq fa un resoconto completamente diverso di quanto accaduto. Najibullah Sediqi dice a Zan Times che Atiq e Qadria non avevano una relazione romantica. Sostiene che il marito di Qadria ha divorziato da lei per telefono e quando Qadria ha voluto formalizzare il divorzio in tribunale, suo padre glielo ha impedito e ha minacciato di ucciderla. Quindi Qadria si è rivolta ad Atiq, chiedendo il suo aiuto per sfuggire al padre violento.  A sostegno della sua storia, Najibullah Sediqi condivide un breve messaggio vocale di una donna che si è presenta come Qadria. Nel file audio di un minuto e 26 secondi la donna afferma: "Due anni fa, mio marito ha divorziato da me per telefono, ho informato mio padre e lui mi ha picchiato e mi ha detto che anche se divorziasse 100 volte e non tornasse più per altri 10 anni, dovevo stare tranquilla come moglie con il suo nome. Gli ho ricordato molte volte di essere divorziata, ma loro mi hanno picchiata e minacciata di uccidermi”.La voce femminile appare artificiosa, come se stesse leggendo da un copione. Poiché non siamo riusciti a verificare se si tratta della voce di Qadria, abbiamo fatto ascoltare la registrazione a suo padre, il quale ha confermato che la voce apparteneva a lei.  Sia suo padre che suo marito insistono sul fatto che non c'è stato alcun divorzio. Il padre di Qadria nega di aver mai tentato di farle del male, dice che invece ha portato Qadria e i suoi figli a casa sua per prendersi cura di lei. Dice di essere stato informato della relazione romantica quando la moglie di Atiq andò a casa sua e gli chiese di impedire a Qadria di incontrare suo marito. Uno dei vicini conferma l'accaduto: “C'era trambusto nel vicolo. La moglie di Atiq era venuta ad affrontare Qadria, dicendole: "Donna spudorata e disonorata". Sei una donna sposata con figli, perché stai parlando con mio marito?'”Arresto con l'accusa di aver commesso crimini morali Scappare o fuggire di casa è stato da lungo tempo un "crimine morale" da punire, anche se molte donne fuggivano dalla violenza domestica. Nel maggio 2013 Human Rights Watch (HRW) chiese al governo afghano sostenuto dagli Stati Uniti di "prendere provvedimenti urgenti per fermare l'allarmante aumento di donne e ragazze imprigionate per "crimini morali", riferendo che circa 600 donne e ragazze erano imprigionate per tali "crimini morali", un numero in rapido aumento. Nel 2012 HRW "aveva documentato che circa il 95% delle ragazze e il 50% delle donne imprigionate in Afghanistan erano accusate di "crimini morali" per "fuga" da casa o per zina (sesso al di fuori del matrimonio)".E la lapidazione per il “reato” di fuga d'amore non è iniziata con il ritorno dei talebani: nel 2015, un'adolescente di nome Rukhshana è stata lapidata a morte dopo essere stata sorpresa a fuggire con il suo amante. "È stata sepolta nella terra fino alla cintola e lapidata a morte nell'ottobre 2015 da una banda di uomini che il governo ha definito talebani", hanno riferito Mujib Mashal e Zahra Nader in un articolo per il New York Times pubblicato nel luglio 2017. L'incidente aveva scioccato la nazione. A quel tempo potevamo indicare una o due "province afghane senza legge" dove non c'era giustizia e valore per le donne. Ora che i talebani sono al comando, tutto l'Afghanistan è un paese senza legge per le donne. Nessuna infrazione al codice duro dei talebani è troppo piccola. Nel gennaio 2024 le forze talebane hanno arrestato donne in pubblico, accusate di non rispettare adeguatamente il codice di abbigliamento prescritto dai talebani.Il risultato di misure così dure è che a molti innamorati non è permesso uscire di casa il giorno di San Valentino, tanto meno festeggiare il loro amore. I tempi in cui una giovane generazione di afghani festeggiava il giorno romantico con torte, rose rosse e palloncini a forma di cuore sono ormai un lontano ricordo. Negli ultimi due anni i talebani hanno vietato qualsiasi celebrazione del giorno di San Valentino, impediscono ogni accenno di celebrazione pattugliando le strade e i negozi di souvenir il 14 febbraio. Chiunque sfidi le regole è perseguitato. Ora è la depressione più che la speranza a pervadere i giovani del paese, che non possono celebrare il loro amore in pubblico. Le conseguenze sociali dell'arresto di Qadria e Atiq Sebbene la relazione tra Qadria e Atiq sia una scelta personale di due individui adulti, in Afghanistan è un crimine che colpisce anche le loro famiglie e i loro parenti, che ne sentono gli effetti in base alla loro vicinanza o meno dall'accusato. Ovviamente, in questa catena di parentela è sempre la donna o la ragazza ad avere una responsabilità significativa nell’aver disonorato e portato vergogna alla famiglia.  La famiglia di Qadria è diventata socialmente isolata da quando la notizia dell'arresto di Qadria e Atiq è diventata pubblica, ha detto a Zan Times un amico di famiglia che vive nello stesso quartiere. Sua madre partecipa raramente a momenti sociali e molti parenti hanno tagliato i legami con la sua famiglia. "Hanno smesso di frequentarla arrabbiati perchè non hanno ucciso Qadria per ripristinare l'onore della famiglia e della tribù" spiega l'amico. Abdul Khalil Rahmani, il padre di Qadria, dice che sua figlia ha ripetutamente affermato di pentirsi delle sue azioni: “Dice che ha fatto un errore, un grosso errore, ha rovinato il destino della sua famiglia e dei suoi figli. Ma ora, anche se ammette il suo errore, non serve; l’onore della famiglia non può essere ripristinato”. Fawzia, la madre di Qadria, racconta che parenti e vicini di casa l'hanno rimproverata e umiliata quando si è diffusa la notizia della scomparsa della figlia: “Il dolore e l'umiliazione sono schiaccianti. Possa Dio non affidare il mio destino nemmeno al mio nemico!”, dice Fawzia a Zan Times in un'intervista telefonica. Ora si prende cura dei figli di Qadria. “Dalla mattina alla sera i bambini piangono chiedendomi di portargli la mamma”, racconta Fawzia. Il più piccolo non ha ancora tre anni”.  Per quanto riguarda Qadria, la sua vita nella prigione di Kelagai a Baghlan è dura. “È stata picchiata diverse volte, tra cui 150 frustate per una presunta protesta all'interno del carcere”, dice una fonte che conosce la sua situazione dietro le sbarre. "È stata picchiata così duramente che riusciva a malapena a muovere il corpo", spiega la fonte. "Tutto il suo corpo era ferito." 

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    Sono nata da un utero in affitto: mi batto per vietare questo abominio. Olivia Maurel, 32 anni, spiega perchè i bambini non possono essere comprati

    Olivia Maurel ha 32 anni, i capelli lunghi neri, un viso solare e un sorriso aperto. Ma la sua vita non è stata sempre rosa e fiori, quando aveva 17 anni ha capito di essere stata concepita attraverso la maternità surrogata e soltanto due anni fa ha avuto la prova definitiva che i suoi genitori avevano pagato una donna in Kentucky per portare avanti la
    gravidanza
     con i suoi stessi ovuli, quello che si chiama una surrogata tradizionale.
    Una scoperta che le ha creato gravi problemi psichici tanto da arrivare a tentare il suicidio. Oggi Olivia, che vive a Cannes in Francia, si batte con tutte le sue forze per l’abolizione universale della pratica ed è stata tra le promotrici della Dichiarazione di Casablanca, firmata nel marzo dell’anno scorso da 100 tra medici, giuristi, psicologi e sociologi di 75 nazionalità per arrivare a vietare la gestazione per altri in tutto il mondo come è accaduto per le mutilazioni genitali femminili. Quando ha realizzato di essere nata attraverso una madre surrogata?«Ho sempre saputo che c’era qualcosa che non andava: non avevo foto della mia nascita, mia madre era più grande delle altre madri. I miei genitori non me l’hanno mai detto ma io avevo comunque tanti segnali. Poi a 17 anni ho iniziato a fare qualche ricerca e ho visto che nel 1991, anno della mia nascita, la maternità surrogata era legale in Kentucky, dove sono nata. Allora qualcosa è scattato nella mia testa. E poi ho cominciato a parlarne apertamente ma non con miei genitori. Ma la prova l’ho avuta quando avevo 30 anni con il test del Dna che mi aveva regalato mia suocera. Ed è così che l’ho scoperto».Perché non l’ha mai detto ai suoi genitori?«Perché c’è un conflitto di lealtà, loro hanno fatto di tutto per averti, non vuoi andare loro contro quindi non gliene parli. Tutti i figli avuti tramite madre surrogata con cui sono in contatto fanno lo stesso. Non vogliamo ferire le persone che amiamo. Non ce l’ho con i miei genitori ma con le leggi che permettono questo commercio. Perché se fosse vietato il mercato non esisterebbe. Non ci sarebbe questo ignobile giro di denaro».Lei ha avuto problemi psicologici a causa di come è venuta al mondo?«Depressione, alcolismo, droghe, tentativi di suicidio. Ne ho passate di tutti i colori. Ancora oggi che ho un marito e tre figli sono seguita da uno psicanalista. Ho dovuto affrontare i problemi di identità causati dal fatto di non conoscere le mie origini. È importante sapere da dove vieni. Oggi con la maternità surrogata finisci con l’avere tre madri: quella che porta avanti la gravidanza, quella che ha venduto i suoi ovuli e la madre che ti ha cresciuto. È orribile».Come hanno preso i suoi genitori questo suo attivismo contro la surrogata?«All’inizio li ho persi, hanno pensato che ce l’avessi con loro e non con il sistema. Ancora oggi non ci parliamo ma sono in contatto con mio marito e conoscono, naturalmente, i bambini. Ma ora capiscono perché lo faccio. È una missione che compio per puro spirito altruistico, non sono di certo pagata. Io e mio marito abbiamo un solo stipendio, tre figli, e copriamo tutte le spese. Perché crediamo sia giusto».C’è chi dice che è un gesto di altruismo, di amore verso chi non può avere figli.«La ragione principale per cui sono contro la maternità surrogata è che i bambini non possono essere comprati. È contro qualsiasi principio etico. Io capisco che ci siano persone che soffrono di infertilità e che desiderano avere un bambino. Le capisco, so quanto sia difficile. Ma non è che siccome tu hai un desiderio devi calpestare i diritti delle donne e dei bambini. Non è un diritto avere un figlio»



    Giovane mamma uccisa da una brutta malattia: il matrimonio negli ultimi istanti di vita . , vita, forma e sostanza nello sport.., forza del dialogo Gino Cecchettin, la rivelazione: “Con i genitori di Filippo Turetta ci sentiamo per messaggio

      THE  SOCIAL  POST  10/04/2024 11:14 


     Una storia straziante, di amore e dolore, quella che arriva da Macerata. Una giovane mamma si è spenta dopo aver combattuto contro una malattia che non le ha lasciato scampo. E, adesso, una famiglia ed una comunità intera, stanno attraversando un momento di profondo sconforto. Fedez a Belve: “Cosa è successo davvero con Chiara Ferragni” Sabrina Cruciani muore per una bruttissima malattia Sabrina
    Cruciani si è spenta a 46 anni all’hospice di San Severino Marche. Mamma e impiegata di banca, da tempo combatteva contro una malattia terribile: lascia il marito Federico Bovetti, la figlia 13enne, la sorella gemella Sonia e le altre due sorelle Patrizia ed Emanuela. Il matrimonio negli ultimi istanti di vita Proprio nei giorni scorsi aveva coronato il suo sogno d’amore: il matrimonio con Federico Bovetti. La scomparsa sconvolge due intere comunità: non solo Castelraimondo, dove la donna viveva ma anche San Severino dove lavorava nella sede locale di Banca Macerata. Il funerale, come rivela il Corriere Adriatico, si svolgerà giovedì, 11 aprile alle 10,30, nella chiesa della Sacra Famiglia. Gaza, il dolore di una madre che ha perso la figlia: “Morta in auto tra i cadaveri, sotto i colpi dei tank israeliani” La morte di Federica Pallosi È il secondo lutto, nel giro di pochi giorni, che colpisce Castelraimondo. Nei giorni scorsi, infatti, la comunità ha vissuto anche la prematura scomparsa di Federica Palossi, spentasi a 53 anni, anche lei all’hospice di San Severino per una malattia.




    su fabcebook , ho trovato questa storia e su cosa s'intende per sport quello vero

     



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     da  thesocialpost  Pubblicato: 08/04/2024 11:46

    Gino Cecchettin, la rivelazione: “Con i genitori di Filippo Turetta ci sentiamo per messaggio” Domenico Camodeca
    Gino Cecchettin ospite di Verissimo

    Gino Cecchettin, il padre di Giulia, la ragazza barbaramente uccisa dal suo ex Filippo Turetta, è stato ospite di Silvia Toffanin durante l’ultima puntata di Verissimo. Ed è nel salotto televisivo di Canale 5 che il signor Cecchettin si è lasciato andare ad alcune sorprendenti dichiarazioni sui suoi rapporti con i genitori dell’assassino di sua figlia.
    Leggi anche: Gino Cecchettin: “Abbraccerei i genitori di Filippo, hanno tutta la mia comprensione”
    “Con i genitori di Filippo inizialmente ci siamo confrontati, siamo andati a cercarli anche insieme per capire se ci fosse qualche posto dove potessero essere andati insieme. – rivela Gino Cecchettin davanti alle telecamere di Verissimo – Oggi ci sentiamo per messaggio, l’ultima volta per gli auguri di Pasqua. Gli sono molto vicino, li esorto a tener duro e a guardare avanti. Anche per loro la vita continua, devono essere forti per l’altro figlio”.
    Il video di Gino Cecchettin a Verissimo  ( https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/verissimo/gino-cecchettin-lintervista-integrale_F312803001058C05  )  Poi l’uomo ripercorre il periodo che ha preceduto l’omicidio di sua figlia. “Esortavo Giulia a una chiusura più decisa con Filippo. – ricorda – Ma la sua sindrome da crocerossina glielo ha impedito. Mi diceva sempre: lui sta soffrendo perché io l’ho lasciato.Gino Cecchettin, la rivelazione: “Con i genitori di Filippo Turetta ci sentiamo per messaggioQuando quel sabato Giulia non è tornata a casa speravo in un incidente, capisco che può sembrare un paradosso per un genitore, ma era per me l’unica spiegazione. Del suo rapporto con Filippo chiedevo spesso anche se non volevo invadere la sua privacy, era un adulta, aveva 22 anni”, conclude Gino Cecchettin.


    Leggi anche: Gino Cecchettin riceve una telefonata inaspettata: “Un dono di Giulia, sono sicuro


    7.4.24

    Il femminismo vince solo se trasforma tutta la società., Medioevo USA la deputata trumpiana Marjorie con armi in pugno invita doic e : << dio ci esorta a pentirci >>., per il comune di milano la statua è divisiva polemiche per una stratua dedicata alla maternità valori no condivisi da tutti



    editorialedomani  06 aprile 2024 • 13:40
    JESSA CRISPIN

    Il femminismo vince solo se trasforma tutta la società




    Un fotogramma da un documentario di Pbs su Womantown



    Alla fine degli anni Ottanta un gruppo di donne decise di formare un quartiere collettivo occupando e acquistando case nel centro di Kansas City. Quell’esperienza è fallita A quanto pare uno dei motivi per cui i beghinaggi sono sopravvissuti molto più a lungo delle utopie socialiste è il fatto che si fondavano su una reale esigenza, non sull’idealismo politico. Non cercavano necessariamente di trasformare la società, bensì di aiutare le donne a sopravviverle. E lo facevano con un impegno che un tizio di Brooklyn che si dilettava dell’idea che fosse fantastico avere tre mogli in una fattoria sui monti Catskill non avrebbe mai potuto metterci.
    La chiesa cattolica sosteneva quelle cittadelle per un caritatevole riconoscimento del bisogno, sì, ma anche perché consapevole dei rischi che le donne correvano con i loro corpi e le loro anime all’interno del matrimonio e della famiglia. Per i cattolici il matrimonio era appena un gradino più su della dannazione: «Meglio sposarsi che bruciare all’inferno» e via dicendo. 
    Ma con la crisi degli alloggi in quasi ogni grande città americana, con la solitudine che è ormai un’epidemia, con un fiume di malattie e disperazione, e con i tassi di suicidio alle stelle – in particolare in tutto il Midwest e la Rust Belt – abbiamo un gran bisogno di modi nuovi di organizzare le case e l’appartenenza, senza nemmeno un’istituzione ricca e potente come la chiesa che possa o voglia soddisfare tali necessità.
    IL BISOGNO NON BASTA
    C’è un’altra deplorevole realtà: il bisogno non basta. Alla fine degli anni Ottanta, trovandosi sottoposte a ostilità e violenze da parte del mondo intorno a loro, un gruppo di donne decise di formare un quartiere collettivo occupando e acquistando case nel quadrilatero racchiuso tra la Venticinquesima e la Trentunesima Strada e tra Gillham Road e Troost Avenue, al centro di Kansas City. Lo chiamarono Womantown.
    Era a pochi passi da dove avrei abitato io, vicino all’angolo tra la Quarantacinquesima e Troost, e mi sarei potuta fermare fuori da Womantown come avevo fatto fuori dal beghinaggio, con una differenza sostanziale. Womantown raggiunse il culmine con un centinaio di lesbiche alloggiate nelle case, ma come progetto formale fallì dopo pochi anni. Non c’è più nulla a indicarla, non ne restano tracce visibili.
    In questo tranquillo quartiere residenziale, in edifici del primo Novecento dai sorprendenti dettagli art déco, un gruppo di donne cercò di ricreare il progetto utopistico per cui tante altre si erano battute. Formarono una comunità eliminando le recinzioni tra i singoli cortili, propugnando una politica delle porte aperte, condividendo il lavoro domestico e riunendosi regolarmente per i pasti e le assemblee.
    UNO SPAZIO NECESSARIO
    C’era senz’altro la necessità di qualcosa come Womantown. Negli anni Ottanta, pur essendo una città cosmopolita, Kansas City era contaminata dalla natura conservatrice della regione. Il diffondersi dell’epidemia di Aids aveva riportato l’attenzione sulla comunità gay, contribuendo alla lotta per l’accettazione degli omosessuali, ma facendone anche un bersaglio dell’odio.
    Un odio che, nei primi anni Novanta, si concretizzò nella vicina chiesa battista di Westboro, la cui missione divenne quella di far sapere al mondo che Dio Odia i Froci, organizzando picchetti ai concerti di Tori Amos, ai funerali dei veterani della guerra del Golfo e ad altri raduni a caso. Womantown era un modo per le donne di assistersi a vicenda in un mondo che per lo più le voleva morte.
    Si sgretolò per motivi forse prevedibili. Una coppia interrazziale fu oggetto di discriminazione e di critiche da parte degli altri membri di Womantown, il che mandò in pezzi la solidarietà. Il razzismo era un problema diffuso nella comunità gay, come in tutta Kansas City. Per la gente, avere voce equivaleva ad avere il controllo.
    Le più forti, convinte di sapere quale fosse un comportamento accettabile e quale no, cercarono di assumere il controllo del progetto. È difficile dire che cosa esattamente fece precipitare le cose – come gran parte della storia degli omosessuali al di fuori delle principali città costiere, anche questo è un capitolo poco documentato e studiato – ma alla fine degli anni Novanta la comune era sparita e la zona era tornata a essere un quartiere qualunque.
    Poi nel corso del decennio la discriminazione si attenuò e divenne più difficile sostenere simili spazi paralleli. L’emarginazione spesso induce le persone a crearsi i propri bar, chiese, librerie e quartieri, ma una volta che la minaccia diventa meno pressante è più facile integrarsi nella massa piuttosto che continuare a distinguersi. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se una volta passato il peggio dell’emergenza dell’aids il matrimonio egualitario è diventato la parola d’ordine del movimento per i diritti dei gay.
    È più facile chiedere tolleranza che accettazione. Ed è anche più facile considerarsi individui anziché parte di un gruppo, se la tua identificazione con quella specifica categoria non è rafforzata ogni giorno dalla condanna altrui.
    QUESTIONE DI LIBERTÀ
    Simili progetti sono tutti destinati a fallire? La definizione americana di libertà – «non devo niente a nessuno, né tasse, né attenzione, né assistenza» – è radicata troppo a fondo in ciascuno di noi? La cultura consumistica in cui viviamo ha avvelenato perfino la nostra immaginazione.
    Quando, rientrati a casa esausti dal lavoro, ordiniamo qualcosa da mangiare su internet o divoriamo cornflakes appoggiati al lavello della cucina, non sogniamo una cucina comune in cortile, dove agguantare una scodella di minestra appena fatta e un po’ di pane e commiserarci a vicenda.
    Fantastichiamo soltanto di poterci permettere di pagare qualcuno che cucini per noi. Come nel caso dei fourieristi, che credevano nell’uguaglianza di genere ma proprio non ce la facevano a prendere in mano uno scopettone, mi chiedo se l’idealismo sia sufficiente a sconfiggere decenni di socializzazione.
    Come scrive Simone Weil in La prima radice, il suo saggio su ciò che dà alle persone un senso di appartenenza, «La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto». Prima di poter pensare a ciò che ci è dovuto, è necessario pensare a ciò che dobbiamo gli uni agli altri. Altrimenti ce ne stiamo lì, con le mani tese, indignati, senza alcuna intenzione di soddisfare i bisogni di chicchessia se prima non sono stati soddisfatti i nostri.
    È semplice e ovvio, eppure è totalmente contrario al nostro odierno modo di pensare. Ciò vale in particolare per i gruppi che si sono trovati per decenni a condurre lotte per l’uguaglianza alimentate da resoconti dettagliati dei danni subiti, dal ricordo reiterato di ciò che è stato fatto ai membri del gruppo, di ciò che gli è stato negato e di ciò che gli è dovuto.
    Una mentalità vittimistica ci dice che abbiamo bisogno di protezione e la forma migliore di protezione è il controllo. Gli oppressi si trasformano in oppressori in un attimo, ed è per questo che una storia d’amore interrazziale può diventare un punto critico in una presunta utopia femminista.
    Ma per superare l’idea tradizionale della famiglia che ti dice di chi devi prenderti cura e chi non se lo merita, non basta sostituire «persone che condividono il mio patrimonio genetico» o «persone raccolte sotto questo tetto fisico ed economico» con «persone che condividono questo specifico segno identificativo», sia esso la sessualità, la razza, il genere o il reddito.
    L’idea di comunità non basta. È un concetto troppo ampio, troppo nostalgico e indistinto. Non significa soltanto circoli della maglia e qualcuno che ti porta la spesa quando sei malato. Significa gruppi di persone che la pensano allo stesso modo ed escludono ogni dissenso. I neonazisti hanno un grande senso della comunità, e così pure i no-vax e i miliziani. Quello di cui abbiamo bisogno è la società.

       e sempre   la stressa  fonte  suggerisce  tale  libro 



    I miei tre papà. Come liberarsi dai fantasmi del patriarcato (BigSur 2024, pp. 260, euro 18,50) è un libro di Jessa Crispin





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     da  twitter

     Medioevo USA.

    Sul terremoto a New York la deputata trumpiana Marjorie Taylor Greene dichiara che è arrivato perché
    "Dio ci esorta a pentirci", e aggiunge che "L'altro forte segnale è l'eclissi che oscurerà lunedì prossimo il sole". Qui mentre sta andando in chiesa a pregare.
    🤦🏻‍♂️😂










    InclusivU del menga, vergogna
    Pubblicato da Daniela Tuscano 23 h 







    Laura Marrucci
    Ieri alle 04:28 ·

    Da Ilaria Durigon ho preso questa foto, che commento così.
    A quanto pare la rappresentazione plastica del potere generativo del corpo di una donna, secondo il comune di Milano, è divisiva.
    Infatti, secondo l’amministrazione meneghina l’opera intitolata “Dal latte materno veniamo”, della scultrice Vera Omodeo, rappresenta valori certamente rispettabili, ma non condivisibili da tutte le cittadine e tutti i cittadini, e pertanto non può essere esposta in luoghi pubblici.
    Dunque secondo tale illuminata amministrazione il fatto che tutti noi esseri umani siamo nati, nasciamo e nasceremo da una femmina adulta della specie, altrimenti detta donna, non solo non è un’evidenza fattiva ma un valore, ma bensì che questo valore non è universalmente condiviso.
    Secondo costoro l’esistenza di noi tutti, compresi loro stessi, è un principio, un’idea, non la realtà. Perché se fossimo realtà non ci sarebbe modo di considerare come valore teorico, decisionale e spirituale, la nostra nascita. La nostra avventura fuori dall’utero e dal corpo materno, attaccati per sopravvivere al seno di lei che dà nutrimento.
    L’estremizzazione superficiale dell’inclusività, la lotta a chiacchiere per eliminare le discrepanze di genere, porta a questi assurdi nonsense.
    Il corpo scolpito di una donna, seminudo, è accettato in pubblica piazza se testimonia altri “valori”, poiché altri “valori”, propugnati da una donna, vengono compresi meglio se la suddetta è rappresentata in abiti succinti e nelle sinuosità sensuali del suo corpo. Ricordo una recente statua della spigolatrice di Sapri, troneggiante per l’appunto proprio a Sapri.
    Quando invece il corpo di una donna viene svelato nella sua primitiva natura e funzione, quando il seno viene scoperto e mostrato nell’atto di farsi tramite di sopravvivenza per i figli della nostra specie, dunque si restituisce al corpo delle donne la sua naturale potenza generatrice di vita, allora e solo allora il “valore” diventa divisivo.
    Ma crescere dentro il corpo della nostra madre, nascere da lei e venirne nutriti non è un “valore”. È la realtà, la nostra di specie e di individui.
    Tutti siamo nati da una donna. Una donna che ha rischiato se stessa per farci uscire da lei.
    Nascere significa soltanto uscire dal corpo della propria madre.
    Il comune di Milano tenta di negare questa realtà. La ascrive nel territorio semantico dei valori.
    Secondo loro non è universalmente vero che “dal latte materno veniamo”. E non credo che si riferissero a coloro donne che non hanno latte e nutrono i lattanti con quello artificiale.
    Ascrivere la maternità a mero valore è quanto di più misogino possa esistere. Ma anche misantropo. È negare la nostra stessa esistenza, ripeto.
    È tentare una volta di più di annichilire il potere più grande che esista: quello di creare la vita.
    E lo hanno solo le donne, che lo usino o meno.
    Non è il destino delle donne procreare e diventare madri, ma tutti gli esseri femminili si interrogano durante tutta la loro vita sul proprio corpo generativo.
    Non per niente gli uomini, forti della maggiore forza fisica, si sono inventati nei secoli divinità maschili a cui imputare per fede la nascita del mondo, e di noi esseri umani. Ma le prime comunità umane veneravano la madre terra e il corpo femminile. Veneravano l’origine reale della vita.
    Per il comune di Milano tutto questo non è condivisibile da tutti, perciò una statua simile non può stare in pubblica piazza.
    Per il comune di Milano noi tutti siamo nati per davvero sotto un cavolo.
    Per il comune di Milano noi tutti non esistiamo ontologicamente, ma solo come valori dei valori non universalmente condivisi.
    E non l’abbiamo un problema enorme con le donne? Anche nel 2024 in Occidente?

    Quando il make-up diventa uno strumento di empowerment femminile, la storia di Beatrice Gherardini

     Fin ora   credevo che il  trucco cioè il make  up femminile  (  ovviamente  non  sto  vietando  niente  ogni donna   è libera  di  fare  qu...