Da oggi , con questo post , inaugurerò una nuova categoria “ miti sfatati “ .per dimostrare che i miti e le leggende metropolitane sono labili ed ingigantiti ( come nel mio caso ne ho già accenato in questo blog ma che prima o poi lo riprenderò perchè mi stanno arrivando email in cui mi si chiede di chiarire e approfondire alcuni aspetti ) lo facciio con due storie .
la prima è quellla sui Kamikaze Giapponesi che in realtà non erano sempre pronti alla morte
Infatti c'è uno studio di Emiko Ohnuki-Tierney Nata e cresciuta in Giappone, si è trasferita negli Usa e si è laureata in Antropologia. Ora è ricercatrice presso il Dipartimento di Antropologia dell’Università di Wisconsin-Madison. Ora nel suo libro La vera storia dei kamikaze giapponesi ( Kamikaze, cherry blossoms and nationalisms ) dimostra analizando le memorie ( diari , quaderni testimonianze dei familiarti ecc ) e documenti ufficiaòli che essi non volevano morie a tutti costi ma anche quali idee, quali passioni hanno spinto migliaia di giovani universitari giapponesi ad arruolarsi come volontari per le operazioni militari suicide (tokkotai) verso la fine della seconda guerra mondiale anche se la sconfitta del Giappone era ormai segnata? Con una spregiudicata militarizzazione dell’estetica e mediante la scientifica manipolazione di una cultura millenaria, il regime di Tokyo mise in atto un’operazione senza precedenti creando dal nulla una cultura basata su un feroce nazionalismo imperialista. Lettere dei piloti suicidi, documenti segreti, brani poetici e di propaganda ci riportano ad uno dei momenti più drammatici della storia del Novecento. Sull'inserto di Domenica di republica del 17\9\2006 qui per scaricarvi il pdf un ulteriore approffondimento
La seconda ( sempre dalla stessa fonte e sempre dallo stesso link per chi volesse leggersi l'articolo ) è questa : Piras, l’emigrato mamoiadino, non era Peron Un film documentario smonta una leggenda nata nel 1951 L’intera storia sarà raccontata dall'inserto della domnica di repullica ( vedere collegameno precedente )
C'è una teoria, sostenuta e argomentata da alcuni studiosi sardi (Peppino Canneddu: Giovanni Piras-Juan Peron : due nomi una persona, Gabriele Casula: Donde Naciò Peron? un enigma sardo nella storia dell'Argentina- 2004 Ed. Condaghes, Raffaele Ballore: El Presidente www.piras-peron.it ) secondo cui Perón sarebbe stato, in realtà, un emigrato sardo ,tale Giovanni Piras di Mamoiada ( foto a destra ) inventatosi natali argentini per sfuggire alla coscrizione durante la prima guerra mondiale .La notizia del Peron Sardo appare per la prima volta nel marzo del 1951 in un articolo a firma di un avvocato-giornalista di Mamoiada Nino Tola . Data e luogo di nascita sono in discussione anche in Argentina. L'anagrafe è contestata da Hipolito Barreiro che nella sua pubblicazione "Juancito Sosa, un indio Teuelche" del 2000-Buenos Aires sostiene che Juan Peron non è nato a Lobos l'8 ottobre 1895 ma a Roque Perez il 7 ottobre 1893. Recentemente è stato richiesto l'esame del DNA, non dai parenti del Piras (che non hanno mai avuto pretese sulla successione), ma dall'argentina Marta Susana Holgado, che ha promosso una causa presso la magistratura argentina sostenendo di essere figlia di Perón e reclamando una parte della sua eredità.. Ora si scoperta che tale cosa è falsa . La scoperta è stata fatta da una giovane regista, Chiara Bellini, e da uno dei pronipoti di Giovanni Piras, il nuorese Piero Salerno. Essa una lunga storia, cominciata nel 1951 quando su L’Unione sarda apparve un articolo dal titolo “Nato a Mamoiada il dittatore Peron ?”.
La storia proseguì nel 1984 con la pubblicazione del libro del mamoiadino Peppino Canneddu “Giovanni Piras - Juan Peron, due nomi-una persona” e poi nel 2004 con l’uscita di “Donde naciò Peron?” del tonarese Gabriele Casula. Una storia sostenuta non solo da una serie di coincidenze sorprendenti, ma anche da numerosi testimoni oculari che, negli anni, hanno riconosciuto senza esitazione Giovanni Piras nelle fotografie del capo de los descamisados.
La scoperta è avvenuta durante la realizzazione del film-documentario “Identità - la vera storia di Juan Piras Peron”, realizzato dalla “Morgana srl” del produttore indipendente Francesco Scura che, a fine mese, sarà proiettato in prima nazionale a Nuoro.
Per realizzare il film-documentario, Francesco Scura, Chiara Bellini, Piero Salerno e la giornalista argentina Faustina Hanglin hanno trascorso, nell’estate del 2005, oltre due mesi tra la Patagonia e la Pampa, hanno interrogato decine di testimoni e visitato un’infinità di archivi e di cimiteri. A guidarli, le poche informazioni contenute nelle cinque lettere (le uniche superstiti di un carteggio ben più ampio) che Piras scrisse ai familiari tra il 1911 e il 1912.Il primo a pubblicarle fu Peppino Canneddu. Le prime quattro sono datate San Cristobal e l’ultima Tostado, due piccoli centri della provincia di Santa Fè. Piras scrive ai familiari di essere diventato un “macchinista di macchine” e di essere impegnato nellla costruzione di una linea ferroviaria . E’ stato questo l’indizio decisivo: ha consentito di individuare la compagnia per la quale Giovanni Piras lavorava e di risalire all’archivio storico. È emerso il fascicolo personale (con l’esatta data di nascita: 26 marzo 1891, il nome del padre, Antonio, e della madre, Marianna Massidda) e soprattutto si è scoperto che nel 1955 Piras presentò una domanda per la ricostruzione della carriera a fini pensionistici.
Secondo i sostenitori dell’identità tra l’emigrato e il dittatore argentino, lo scambio di persona doveva essere avvenuto attorno al 1920. Dalla ricerca è invece emerso che nell’anno successivo, cioè il 1921, Giovanni Piras si sposò.
Rientrati in Italia, gli autori del documentario hanno preso contatto con le anagrafi comunali dei diversi centri della provincia di Santa Fè che comparivano nel fascicolo della compagnia ferroviaria e, all’inizio dell’estate, hanno individuato il luogo dove Giovanni Piras visse.Due settimane fa, la conferma definitiva: una telefonata tra Piero Salerno e una delle sue zie argentine.Giovanni Piras non diventò Peron ma condusse una vita agiata ed ebbe tre figlie, tutte viventi, e morì il 15 giugno del 1959. Piero Salerno andrà a incontrare i parenti ritrovati quanto prima e, per questa ragione, mantiene ancora il segreto sul nome della città dove vivono e anche sul luogo dove si trova la tomba del prozio. A La Repubblica ha però voluto manifestare una speranza: «Mi auguro - ha detto - che non fosse peronista». Pero i miti si sa sono difficili da smentire percjhè oltre gli studi di cui parlavo prima c'è soprattutto dal fatto che è molto radicato nefglio abitanti di mamoiada ( e come non dargli torto vedere questa foto di J. Peron e confrontarla con quella sopra riportata di Piras ) infatti come dice la nuova del 18\9\2006
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MAMOIADA.
Il paese respinge la tesi di un nipote-regista del «colonnello» Giovanni Piras I mamoiadini non credono alla rivelazione di un regista che presenterà un film-verità su Peron. Il film smonta la certezza che dietro il colonnello ci fosse Giovanni Piras emigrato dal centro nuorese. Poco conta che a documentarsi sia stato un pronipote di Giovanni Piras.La piccola patria dei mamuthones ha accolto con scetticismo la rivelazione che Giovanni Piras, emigrato in Argentina agli inizi del secolo scorso, e passato poi nella storia locale come Juan Domingo Peron, in realtà non era il capo dei descaminados dell’America Latina.Non vogliono proprio credere che dopo 30 anni di ricerche si sveli improvvisa un’altra verità. «La Nuova» e «La Repubblica» ieri mattina sono andati a ruba per un servizio sulle ultime scoperte fatte da un pronipote di Giovanni Piras, Piero Salerno, in un archivio della compagnia El Ferrocarril General Belgrano, presso la quale il giovane mamoiadino emigrato avrebbe lavorato. «Un ritrovamento emozionante» dicono Faustina Hanglin e Piero Salerno (che hanno realizzato un film sulla vera storia di Juan Peron, in uscita alla fine di questo mese), scrive Bellu. Si tratta della domanda di pensionamento di Giovanni Piras, nato a Mamoiada, figlio di Antonio Piras e Marianna Massidda, sposato con Errera Maria Marenco, dalla quale ha avuto due figlie, tuttora viventi. Tutto coinciderebbe tanto da far crollare tesi precostituite con anni e anni di lavoro sulla vera identità del generale argentino.
Ma nonostante tutto oggi a Mamoiada si continua a credere alla prima versione dei fatti che vede un loro concittadino salire le scale del potere. E tanto mistero sulla sua improvvisa scomparsa viene giustificato proprio col ruolo che il giovane andò a occupare. «Quando gli altri emigrati sono rientrati in paese - dice Francesco Piras (figlio di un cugino in secondo grado del personaggio), oggi 96 anni - hanno raccontato dell’avventura del loro compagno. Sta bene - avevano detto - meglio di tutti noi. Ma per questioni di sicurezza non avevano potuto andare oltre perchè lo stesso Giovanni Piras avrebbe rischiato grosso già solo per aver dato una identità fasulla. Lui aveva cercato fortuna in “Bona agheras” - aggiunge tziu Franziscu - voleva chiudere con la vita del pastore che rendeva ben poco. Aveva dieci vacche che pascolava nella tanca di Janna e erru, tra Mamoiada e Nuoro, e a 18 anni decise di mollare e partire. La madre gli diede il suo anello in segno di ricordo e di fortuna. Scrisse e mandò pure dei soldi fino ad un certo punto - continua con trasporto l’anziano nipote - poi è sparito. Solo le notizie dei suoi compagni hanno rincuorato i parenti che iniziavano a pensare al peggio. Che motivo aveva Giovanni Piras - si chiede il vecchio - di nascondere la sua identità se non per motivi importanti tali da fargli rischiare pure la galera? Non aveva senso che sparisse perchè era affezionato alla sua famiglia d’origine». A pensarla come tziu Franziscu sono anche altri anziani. C’è chi ha pure parlato di indiscrezione nei confronti di Juan Peron che ha sempre cercato di occultare la propria identità. «Perchè dobbiamo essere noi a cercare di identificarlo, se da sempre lui ha deciso il contrario?». Ma ad essere scettici dopo la lettura dei quotidiani di ieri sono gli stessi ricercatori che da più di trent’anni hanno cercato di svelare il mistero. «Sono tanti gli elementi che portano lontano le due figure tra di loro - dice Raffaele Ballore - e in questa situazione, mi viene solo da sottolineare, che se Juan Peron non è stato il nostro Giovanni Piras è senza dubbio comunque un altro sardo. Il generale ha sempre esternato la sua sardità. Ci sono testimonianze che non si possono ignorare - aggiunge -. Peron parlava bene l’italiano, e nonostante il nonno lo fosse è impossibile che gli avesse insegnato la lingua tanto bene. Non ci resta che aprire un tavolo di confronto con gli storici con la speranza che prima o poi si riesca a chiudere definitivamente questa storia». Ad essere del tutto contrario a questa nuova teoria è il ricercatore Peppino Canneddu, autore del primo libro sul caso. Lui ritiene di aver appreso dell’esitenza delle due figlie di un certo Giovanni Piras dell’Iglesiente però, e non di Mamoiada. «Le ho pure conosciute - afferma Canneddu - e sono state loro ad affermare che la madre del padre era tale Melis e non Massidda. Erano pure rientrate in Sardegna qualche anno fa, erano curiose di conoscere la terra natale del genitore. Il certificato di matrimonio di questo Giovanni Piras e quello di morte parlano chiaro e cancellano ogni dubbio. Forse solo il test del Dna potrebbe dare una svolta alla vicenda». Che dire: un nuovo punto e a capo per tutti. A meno che Piero Salerno, non stupisca con altre scoperte.
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la terza è invece la sfasamento di uno dei principaali miti degli Stati Uniti più precisamente quello della prima donna immigrata La sua statua, celebrazione dello spirito del pioniere, è vista da milioni di turisti.Ma l'irlandese che inaugurò il centro sull'isola non andò nel W est, andò a New YorNon fu Annie Moore a sbarcare a Ellis Island 114 anni fa: scoperta la vera eroina del Sogno americano. La leggenda smontata attraverso ricerche in vecchi archivi e su internet . Eccovi l'articolo da cui hopreso talòe news
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WASHINGTON - C'è una falsa santa sull'altare del sogno americano. La prima persona che sbarcò a Ellis Island e da lì si incamminò verso il nuovo mondo, non era quella che da un secolo la nazione celebra. Si chiamava Annie Moore ed era una ragazza irlandese di 15 anni. Con il cappellino premuto in testa contro il vento gelido della baia di New York, Annie raggiunse il West, la frontiera, il Texas e la leggenda.
Dal primo gennaio del 1892, quando "l'isola delle lacrime" fu aperta, la ragazza del West è divenuta monumento, letteratura, sillabario, culto, simbolo e soprattutto mito. Dunque, come tutti miti, un falso. La vera Annie Moore, non andò mai nel West, non raggiunse il Texas, non morì a 46 anni sotto un tram a cavalli come vuole l'agiografia ufficiale. Divenne la moglie di un fornaio a New York dove morì anziana e stanca, dopo avere messo al mondo 11 figli e raschiato la vita dell'emigrante senza soldi. Per centoquattordici anni, gli americani hanno venerato la ragazza sbagliata.
Maledetta internet, e maledetti revisionisti della storia, la ballata americana di Annie Moore si è sfarinata quando una ricercatrice di genealogie dal nome impossibile, uno di quei nomi che i bruschi funzionari di Ellis Island avrebbero certamente storpiato e anglicizzato per pigrizia, la signora Smolenyak Smolenyak (non è un refuso, è nata Smolenyak e ha sposato uno Smolenyak) si è voluta divertire a compiere qualche indagine su Annie Moore. Il New York Times, al quale la Smolenyak in Smolenyak ha raccontato la sua scoperta, spiega che molto presto la ricercatrice cominciò a sospettare che nel puzzle della eroina irlandese ci fosse qualche pezzo che non quadrava. Anche nella approssimativa anagrafe della fine Ottocento, soprattutto in quel Texas da poco divenuto Stato, le impronte della "ragazza del West" andavano in direzione diversa da quella celebrata nel folklore ufficiale.Può non sembrare una scoperta sconvolgente questo caso di "identità sbagliata" se non fosse che la vita e le avventure della ragazza di Cork, in Irlanda, che un rude marinaio gentiluomo fece passare avanti a tutti nella fila al marinaresco grido di "ladies first", prima le signore, era diventata un santino della mistica americana, come il tè inglese gettato a mare a Boston, il grido di "Gli inglesi stanno arrivando!" del ribelle Paul Revere, o la difesa disperata di Fort Alamo contro i Federales del generale Santa Ana. La statua di bronzo di Annie, cappellino in testa trattenuto da una mano e borsetta nell'altra dopo settimane di viaggio nella stiva del piroscafo "Nevada", erano vista dai milioni di turisti che compiono il pellegrinaggio della baia di New York sul Ferry, dopo la Statua della Libertà. Era additata ai fanciulli come l'incarnazione dello spirito del pioniere che si avventurava verso il West senz'altro capitale che il proprio coraggio e i propri sogni. Ogni anno, per le feste comandante dell'orgoglio nazionale, i discendenti e pronipoti texani di Annie Moore erano portati a Ellis Island - che nel 1954 chiuse i battenti e dal 1990 funziona soltanto come museo - ed esibiti come gli scrigni del dna che ha fatto l'America. Peccato che fosse la famiglia sbagliata.
Smontare la leggenda è stato facile. La "falsa" Annie Moore già viveva in Texas nel 1880, dunque non poteva essere la "vera" Annie Moore, la prima donna a Ellis Island, e fu inaugurata il primo gennaio del 1892.
La Annie vera aveva avuto un'esistenza assai più lunga, ma anche molto meno glamorous. Non aveva mai attraversato il fiume Hudson, quello che separa Manhattan dal resto del continente verso l'Ovest. Era stata inghiottita da quella New York che risucchiava immigrati per costruire sé stessa, secondo la celebre frase attribuita a un italiano: "Venni in America credendo che le strade fossero lastricate d'oro e ho scoperto che non erano affatto d'oro e che toccava a me lastricarle", mentre le loro donne facevano figli. Annie la cattolica ne aveva fatti 11, dei quali soltanto cinque erano sopravvissuti. Aveva sposato un fornaio nella East Side di Manhattan e morì di vecchiaia, nella propria coraggiosa miseria. Non travolta da un tram a cavalli come l'eroina del melodramma ufficiale, finta e sfortunata.
Naturalmente, è stata la potenza di Internet a infliggere il colpo mortale alla epopea della "fanciulla del West". Quando la Smolenyak, una Ceca di origine, fece appello ad altri curiosi e storici via il Web, in una settimana le arrivarono fotografie, documenti, certificati e reperti che stabilirono senza dubbio l'errore. E' stato un semplice caso di "identità confuse", quali certamente abbondano nel folklore e nella leggende in tutto il mondo? O la vita e i tempi di Annie Moore sono stati volutamente distorti per creare un apologo di propaganda popolare offerto alla mitologia del "sogno americano", come il falso aneddoto del piccolo George Washington "che non diceva mai bugie al papà" o del campione di football Pat Tillman, volontario nella guerra in Afghanistan ucciso dai Taliban, prima che si scoprisse che era stato in realtà abbattuto per errore da un commilitone che gli aveva sparato alle spalle.
Questo della "Annie sbagliata" è probabilmente un errore innocente, un mito gentile e non credo che la statua della ragazza con il cappellino smosso dal vento sarà abbattuta come un falso storico. Non doveva essere poi molto diversa, fisicamente, dalla "Annie vera" e in fondo la sua storia è ancora più bella e commovente dell'altra. Una vita negli slums di New York, tra italiani, irlandesi, polacchi, ebrei dell'est europeo, e 12 milioni di morti di fame che attraversano Ellis Island, richiedeva anche più coraggio che la traversata delle praterie. Tra i pronipoti della "vera Annie", oggi ci sono medici, avvocati, insegnanti e un economista che ha fatto fortuna. Il monumento è falso, ma il sogno americano per la contadina irlandese ha funzionato. Ci sono voluti 114 anni perché funzionasse, ma i poveri devono avere molta pazienza.
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( repubblica online del 15 settembre 2006 )
Questa storia mi ha fatto ricordare la storia di un mio lontano parente da parte di amdre che era emigrato per due anni in argentina e che proprio a Ellis Island come dice questo sito globalivision : << Oltre il 40 percento della popolazione americana, circa 100 milioni di persone, è diretta discendente di quei 22 milioni di immigrati che approdarono ai moli di Ellis Island, nella baia di New York, tra il 1892 e il 1924: la più grande migrazione mai registrata nella storia dell’umanita’ sino a che la Grande Depressione prima e l’aereo poi ridussero e diversificarono le modalita’ di ingresso. E tutti sono passati per questa isoletta, gemella di quella sulla quale poggia Miss Liberty, la Statua della Liberta’, oggi in vista di uno splendido panorama delle Torri del WTC e di Downtown Manhattan, e allora alla soglia del Paese del Burro e del Sogno Americano. Ellis Island non era niente più che una stazione di controllo sanitario e di identita’ che rigistrava arrivi alla media di 5mila al giorno con punte che raggiungevano le 10mila teste, una tappa obbligata prima che le masse si spargessero sul Continente. Genti di tutto il mondo che si mescolavano: l’origine del melting pot, il grande calderone della societa' multietnica, è qui. E oggi è anche su Internet all'indirizzo www.ellisislandrecords.com, oltre che sui computer del Center, un archivio di 22 milioni di nomi, appunto, completo di Paese di provenienza, città di partenza, nome della nave, e altre indicazioni personali. Tutto questo è il frutto del lavoro di centinaia di volontari Mormoni che hanno impiegato 5,6 milioni di ore per listare tutti i passeggeri arrivati in quegli anni.>> ( contiunua qui ) . Infatti è pèer questo c che essa sia “un antenato” di quello che oggi sonoi i Cpt per i migranti, istituiti i [ sic ] dal centro sinistra e e resi ancora peggiori con la Bossi-Fini del centro destra , come dimostra la storia di Ellis Island per chio fosse interessato la può leggere nel primo link riportato ala fine di questo post
Ora dopo avervi raccontato queste tre storie mi rendo conto che è sempre frustante e trista quando ti mettono indiscussione un mito o una leggenda ( come Babbo Natale o il topolino per denti che ti cadono ) ma è la vita e poi d'altronde eè meglio cosi perchè nella vita nulla è eterno e definitivo altrimenti si finisce come una barzelletta degli anni '70 \ 80 : << Pierino e la sorela : Nonna dove siamo nati ? Nonna ; i maschi sotto un cavolo e le femmine sotto una rosa . Pierino ( rivoolto ala sorella ) senti gli la diciamo al veriità o la lasciamo morire idiota ? >> . Inoltre tutto questo mi fa venire in mente : 1) il film “ il figlio di bakunin di Gianfranco Cabiddu del 1997 ; 2) un episodio della serie tv i Simpsons più precisamente “ Lisa l'iconoclasta" qui ( in inglese ) e qui ( in italiano ) potete trovare dele news su questa puntata
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