A chi mi dice nn è vero che sono un antisportivo eo un sognatore o un complottista quando dico che ome nell'antica roma i giochi del colosseo erano un arma di distrazione di massa cioè Panem et circenses (letteralmente, Pane e corse dei cavalli) è una locuzione in lingua latina molto conosciuta e spesso citata. Era usata nella Roma antica.
Rispondo con questa storia trovata stamattina Sfogliando al bar " il giornale "
Un ragazzino di Trieste vittima della lite tra genitori separati. La mamma non vuole che vada a scuola calcio e non firma il permesso per iscriverlo nella squadra. Ma il Tribunale dei minori interviene e stabilisce che il piccolo ha diritto ai suoi 90 minuti di svago
DIFESA Il magistrato ha ascoltato il figlio e ha voluto mettere al centro i suoi desideri VERDETTO Fare parte di un gruppo in un periodo così difficile fa bene alla sua crescita
I GENITORI SEPARATI LITIGANO, DECIDE IL GIUDICE
Il bimbo che gioca a calcio per sentenza
di Cristiano Gatti
Il bimbo che gioca a calcio per sentenza
di Cristiano Gatti
Forse, quando sarà il centravanti della Triestina e vincerà la classifica cannonieri, alle domande dei cronisti sportivi darà la risposta più singolare: «Se sono qui, devo dire grazie a chi ha creduto in me e mi ha lanciato nel mondo calcio: il presidente del tribunale».
Succede anche questo, nelle liti matrimoniali. Padre e madre si rinfacciano tutto e non si risparmiano niente. In mezzo, tirati da una parte e dall'altra, i ragazzini che ci capiscono poco. A dieci anni c'è ancora tutto un mondo di cristallo che va maneggiato con cura: la scuola, gli amici, le passioni. Questo
piccolo triestino, che il giornale della sua città chiama Walter ribattezzandolo con nome di fantasia, non chiedeva niente di più: di continuare la vita come sempre, nella sua scuola, con i suoi amici, seguendo la sua grande passione, il calcio.
Purtroppo, anche se i grandi dicono durante una separazione che i figli devono starne fuori, tutelati e protetti, ad andarci di mezzo sono immancabilmente loro. La mamma di Walter vuole trasferirsi a Pordenone, un altro lavoro e un'altra vita a debita distanza dall'uomo dei suoi fallimenti. Il papà invece resta a Trieste, sperando di poterci tenere anche Walter, che qui è nato, è cresciuto e ha messo radici. Tra i turbini di questa bufera familiare, il ragazzino viene sballottato come foglia al vento. Inizialmente la mamma riesce a portarselo nella casa di Pordenone. Ma poi entra in scena il Tribunale dei minori, chiamato a disinnescare questo materiale ad altissimo contenuto esplosivo. È in gioco il futuro dei figli. Ogni giorno, in ogni parte d'Italia, lo stesso problema si perpetua con modi e sfumature sempre diversi. Già, cosa è davvero meglio per loro, che non possono ancora scegliere? È un dannatissimo compito, per un giudice che davvero voglia esercitare la missione. Il presidente Paolo Sceusa sente tutte le parti. La mamma dice che Walter sta benissimo a Pordenone. Il papà dice che Walter sta benissimo dov'è sempre stato, a Trieste. Lungo questo asse friulano corre il destino di una creatura che non è ancora padrona del proprio destino. Il buon giudice chiama Walter: sa che la sua parola, i suoi sentimenti, i suoi desideri valgono pur qualcosa. Quando viene sentito, il ragazzino esprime un chiaro orientamento: vuole stare a Trieste, nella sua casa, nella sua scuola. Alla fine, la sua opinione è quella che conta. Il Tribunale dei minori decide per Trieste, con il papà. È un primo passo. Poi però subentra il calcio. Walter gioca da tempo nella squadra degli amici, ma la società non può tesserarlo senza il consenso di entrambi i genitori. Ovviamente il papà lo firma subito. Alla mamma, chissà, questa firma sembra l'ultima arma per vincere qualcosa, anche una minuscola battaglia, perché non si dica che il marito ha avuto vita facile su tutto. La firma viene negata. Può giocare a Pordenone, se vuole.
Walter però è ancora nella fase sentimentale del pallone, di questo mondo del pallone in cui i grandi non hanno più maglie del cuore e spirito di bandiera, pronti ad andare in due o tre città diverse nella stessa stagione. Walter vuole giocare a Trieste perché lì c'è la sua squadra, il suo allenatore, i suoi compagni. Lo dice chiaramente anche al giudice, in una seconda udienza del laborioso processo. Ancora una volta, il giudice mette al centro il ragazzino: stare con gli amici, sentirsi parte di un gruppo, in un periodo così difficile della sua crescita, questa è presumibilmente la migliore delle strade possibili. Walter giocherà a Trieste, nella sua squadra, per decreto. In attesa che un giorno, quando il tempo avrà affievolito molte pulsioni e smussato molti spigoli, la mamma accetti di lasciarlo lì, dove vuole correre, saltare, tirare, scalciare, sudare, piangere, gioire. Dove ancora riuscirà ad essere bambino spensierato, per novanta minuti almeno.
Poi si sa che il calcio non è la soluzione di tutti i problemi. Si sa che Walter, come tutti i figli contesi e divisi, avrebbe bisogno di ben altro. A questa età, dopo una bella sudata e una doccia calda, gli servirebbe l'armonia dentro casa. Ma qui non c'è giudice che possa aiutarlo. Non c'è speranza che una sentenza, come gli ha restituito il pallone, gli ricostruisca una famiglia. Quando un matrimonio arriva in tribunale, è solo per distruggere .
Purtroppo, anche se i grandi dicono durante una separazione che i figli devono starne fuori, tutelati e protetti, ad andarci di mezzo sono immancabilmente loro. La mamma di Walter vuole trasferirsi a Pordenone, un altro lavoro e un'altra vita a debita distanza dall'uomo dei suoi fallimenti. Il papà invece resta a Trieste, sperando di poterci tenere anche Walter, che qui è nato, è cresciuto e ha messo radici. Tra i turbini di questa bufera familiare, il ragazzino viene sballottato come foglia al vento. Inizialmente la mamma riesce a portarselo nella casa di Pordenone. Ma poi entra in scena il Tribunale dei minori, chiamato a disinnescare questo materiale ad altissimo contenuto esplosivo. È in gioco il futuro dei figli. Ogni giorno, in ogni parte d'Italia, lo stesso problema si perpetua con modi e sfumature sempre diversi. Già, cosa è davvero meglio per loro, che non possono ancora scegliere? È un dannatissimo compito, per un giudice che davvero voglia esercitare la missione. Il presidente Paolo Sceusa sente tutte le parti. La mamma dice che Walter sta benissimo a Pordenone. Il papà dice che Walter sta benissimo dov'è sempre stato, a Trieste. Lungo questo asse friulano corre il destino di una creatura che non è ancora padrona del proprio destino. Il buon giudice chiama Walter: sa che la sua parola, i suoi sentimenti, i suoi desideri valgono pur qualcosa. Quando viene sentito, il ragazzino esprime un chiaro orientamento: vuole stare a Trieste, nella sua casa, nella sua scuola. Alla fine, la sua opinione è quella che conta. Il Tribunale dei minori decide per Trieste, con il papà. È un primo passo. Poi però subentra il calcio. Walter gioca da tempo nella squadra degli amici, ma la società non può tesserarlo senza il consenso di entrambi i genitori. Ovviamente il papà lo firma subito. Alla mamma, chissà, questa firma sembra l'ultima arma per vincere qualcosa, anche una minuscola battaglia, perché non si dica che il marito ha avuto vita facile su tutto. La firma viene negata. Può giocare a Pordenone, se vuole.
Walter però è ancora nella fase sentimentale del pallone, di questo mondo del pallone in cui i grandi non hanno più maglie del cuore e spirito di bandiera, pronti ad andare in due o tre città diverse nella stessa stagione. Walter vuole giocare a Trieste perché lì c'è la sua squadra, il suo allenatore, i suoi compagni. Lo dice chiaramente anche al giudice, in una seconda udienza del laborioso processo. Ancora una volta, il giudice mette al centro il ragazzino: stare con gli amici, sentirsi parte di un gruppo, in un periodo così difficile della sua crescita, questa è presumibilmente la migliore delle strade possibili. Walter giocherà a Trieste, nella sua squadra, per decreto. In attesa che un giorno, quando il tempo avrà affievolito molte pulsioni e smussato molti spigoli, la mamma accetti di lasciarlo lì, dove vuole correre, saltare, tirare, scalciare, sudare, piangere, gioire. Dove ancora riuscirà ad essere bambino spensierato, per novanta minuti almeno.
Poi si sa che il calcio non è la soluzione di tutti i problemi. Si sa che Walter, come tutti i figli contesi e divisi, avrebbe bisogno di ben altro. A questa età, dopo una bella sudata e una doccia calda, gli servirebbe l'armonia dentro casa. Ma qui non c'è giudice che possa aiutarlo. Non c'è speranza che una sentenza, come gli ha restituito il pallone, gli ricostruisca una famiglia. Quando un matrimonio arriva in tribunale, è solo per distruggere .
Cristiano Gatti
Invece il piccolo ditriste ne da una versione simile .
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All’udienza in cui il presidente del Tribunale dei minori ha assunto questa decisione, la mamma non si è fatta vedere ed è stata presentata dal proprio legale.
«Sono disperata. Non solo mio figlio non vive più con me ed è rientrato a Trieste nell’abitazione del papà, ma molti mi dipingono come fossi un mostro, una donna che pone continui veti a un bambino di dieci anni e ne penalizza le scelte. Non è vero e non è giusto».
Questo aveva dichiarato nei primi giorni di ottobre la mamma di Walter a una cronista pordenonese cercando di mettere a fuoco la propria ”verità”. «Walter è sempre vissuto a Trieste con me e ha visto suo padre costantemente nei fine settimana. Poi io ho avuto l’ occasione di trasferirmi a Pordenone, una scelta dettata da ragioni diverse, tra cui anche quella di cercare un lavoro migliore. Avevo anche trovato per lui una squadra di calcio dove avrebbe potuto farsi valere. Invece non è più rientrato nella mia nuova abitazione. Non so cosa sia accaduto a Trieste nel weekend che aveva passato col padre. Certo è che Walter a Pordenone si era ambientato benissimo».
Opposta la versione del ragazzino, quando era stato sentito dai giudici. «Voglio ritornare a vivere a Trieste con mio papà: così potrò frequentare di nuovo i miei amici, la mia scuola e la mia squadra di calcio».
In altri termini ha rivendicato un po’ di rispetto per la sua sensibilità e per i suoi desideri. E i giudici hanno capito il dramma di un ragazzo di dieci anni ”estirpato” dall’ambiente in cui aveva vissuto e hanno deciso di conseguenza. A fine settembre è rientrato nella sua scuola; ora fa di nuovo parte legittimamente della ”rosa” della sua squadra. Corre, salta, dribbla, stoppa di petto e cerca il gol. Come un vero bomber.
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o voi decidere qual'è la verità