12.1.11

la passione t'aiuta nela malattia il caso di Erica ha 31 anni che balla nonostante la sclerosi multipa


  da corriere  della sera  


HA 31 ANNI E FA L’AVVOCATO A REGGIO EMILIA
Erica sul palco con la sua stampella
Una danza che regala emozioni
La sclerosi multipla non le ha impedito di ballare. Il suo spettacolo "Smania di vivere" racconta come si scende a patti con la malattia, senza rinunciare alle passioni








MILANO - Sul palcoscenico solo lei e la stampella che, come un fedele compagno di danza, accompagna i passi, sorregge i volteggi leggeri, misura lo spazio tra la libertà e il limite. Erica Brindisi ha la sclerosi multipla da cinque anni, balla da quando ne aveva sei e non ha mai pensato di rinunciare alla sua passione di sempre, nonostante la malattia. Un corpo sottile e asciutto, capelli lisci che incorniciano un viso regolare e uno sguardo fermo, il parlare deciso e coinvolgente: tutto nella presenza di Erica si traduce in energia, ma non solo. Anche in consapevolezza, in volontà, in voglia di vivere, anzi in "Smania di vivere", come recita il titolo dello spettacolo di teatro danza che la vede protagonista.
LO SPETTACOLO - Foggiana di nascita ma fidentina di adozione, Erica ha 31 anni e di mestiere fa l’avvocato presso il Centro servizi per il volontariato di Reggio Emilia. Ha iniziato da piccola a studiare danza classica e moderna, diplomandosi poi all’Imperial Society of Teachers of Dancing di Londra. Da pochi anni si è avvicinata al teatro danza, un genere, come lei stessa spiega, «in cui non c’è solo la tecnica, ma anche l’interpretazione. Gli spettacoli di teatro danza sono racconti veri in cui la musica accompagna movimenti e parole, racchiudendoli in una cornice di grande suggestione emotiva».
IL SOSTEGNO DELL’AISM - Grazie alla rete capillare delle sedi Aism del centro Italia, lo spettacolo sta facendo il giro dei piccoli teatri di provincia, riscuotendo un successo insperato. Sul sito www.smaniadivivere.com si possono conoscere le prossime tappe e lasciare commenti e contributi, così come si può partecipare al gruppo sempre più numeroso su Facebook. «Abbiamo ricevuto inviti anche dalla Sicilia e siamo impegnati fino a giugno 2011. Ci tengo a sottolineare che il ricavato degli spettacoli viene devoluto all’AISM e, dunque, alla ricerca. "Smania di vivere" è uno spettacolo che si serve dell’arte per comunicare in modo diverso la malattia e chi viene a vederlo lo fa anche perché vuole sapere e capire fino a che punto la sclerosi multipla condiziona e limita la vita di chi ne è colpito». Anche se, come recita uno dei testi di Rossetti che accompagnano Erica nella sua performance, «il limite dei limiti è pensare che a qualcosa possa non esserci rimedio. Alla morte forse, ma dimenticarsi che siamo vivi cos'è se non una pazzia?».

Mariateresa Marino
12 gennaio 2011




Due fratelli si ritrovano 52 anni dopo su Facebook. la rete allunga la vita ?

 dal il giornale di sicilia leggo questa news che sembra uscita dai felleuton\romanzo d'appendice del 800\900  la  storia  di  Due fratelli si ritrovano 52 anni dopo su Facebook
Antonio Ianellli e la sua famiglia

Antonino e Calogero Iannelli, residenti rispettivamente a Termini Imerese e negli Stati Uniti, si sono ritrovati dopo più di mezzo secolo grazie ad una ricerca dei figli sul social network



di VINCENZO MARANNANO
 
PALERMO. Il destino li separò 52 anni fa, quando ancora giravano con i calzoncini corti. Lui, Antonino Iannelli, ex dipendente dello stabilimento Fiat di Termini Imerese in pensione dal 2001, aveva appena 11 anni ed era cresciuto in collegio; il fratello Todd — al secolo Calogero, 55 anni, anche lui pensionato ma residente in Montana, a migliaia di chilometri dalla famiglia naturale — non aveva ancora compiuto 3 anni. Il 5 gennaio scorso, dopo più di mezzo secolo e senza mai essersi visti, il destino ha concesso loro un’altra possibilità: li ha fatti ritrovare grazie a una «diavoleria» elettronica come Facebook ma soprattutto grazie alla tenacia dei figli, che da vent’anni e con i pochi mezzi a loro disposizione cercano di creare un ponte tra la Sicilia e gli Stati Uniti. «Ci provammo la prima volta negli anni Novanta — racconta Ilaria Iannelli, figlia maggiore di Antonino —, grazie a un parente riuscimmo a rintracciarlo, ma siccome non avevamo la possibilità di affrontare il viaggio scrivemmo al programma di Raffaella Carrà, sperando che riuscissero a far incontrare mio padre e suo fratello. Purtroppo, a causa di alcune incomprensioni, non se ne fece più niente».
Le due famiglie non avevano a disposizione grandi mezzi per comunicare: «Ci scrivevamo — racconta ancora Ilaria — e per la traduzione ci facevamo aiutare da parenti italoamericani. Ma una ventina di anni fa abbiamo perso definitivamente i contatti». Una storia struggente, quella di Antonino e Calogero (Todd) Iannelli. Una parabola che comincia nel 1955, quando in poco meno di un mese la famiglia, originaria di Caccamo, è costretta ad affrontare due lutti. Prima, il 12 aprile, la zia di Antonino muore mettendo alla luce una bambina, che viene subito adottata dagli zii: «Mia madre, anche lei incinta, lo promise a sua cognata sul letto di morte», racconta oggi Antonino. Ma il 7 maggio la disgrazia si ripete: nasce Calogero, le complicazioni del parto si rivelano fatali per la mamma e gli orfani diventano quattro. «Mio nonno Agostino — racconta Ilaria Iannelli — non era in grado di badare a tutti quei bimbi, quindi decise di mandare mio papà in collegio e mio zio all’aiuto materno».
Per fortuna un cugino residente a Chicago (sposato e senza figli) prende a cuore i due neonati e decide di adottarli. Calogero diventa così «Todd», cresce con un’altra famiglia, chiama papà uno zio, mamma una signora irlandese e per almeno 15 anni crede di avere una sorella gemella, «Claudia», che in realtà è Maria, l’altra cugina rimasta orfana subito dopo la nascita. «Avrebbero dovuto richiamarci tutti — racconta oggi Antonino — ricongiungere i nipoti negli Stati Uniti. Ma dopo due anni abbiamo perso ogni contatto». Da allora la famiglia Iannelli cerca inutilmente notizie su Calogero. Ci prova papà Agostino negli anni Settanta: «Andò in America e girò invano per almeno un anno — spiega Antonino — ma alla fine per liquidarlo gli presentarono uno sconosciuto che lo trattò male invitandolo a non farsi più vedere».
Tutto sembra mettersi di traverso, incomprensibilmente. «Ancora oggi — dice Ilaria — non riusciamo a capire perché nessuno voleva che mio zio conoscesse suo fratello». Diciott’anni fa la svolta. Un cugino americano riesce a rintracciare Todd e a metterlo in contatto col fratello. I due cominciano a sentirsi, ma non si capiscono: «Mi chiamava anche nel cuore della notte — racconta Antonino —, ma riusciva a dirmi solo “I love you”». Poi i due si perdono di vista. Fino a mercoledì scorso. Quando, cercando tra i contatti di Facebook — il social network che oggi conta quasi 600 milioni di iscritti in tutto il mondo — Ilaria riesce a rintracciare lo zio e i suoi quattro cugini. «È stata un’emozione unica, quasi un miracolo», racconta Antonino Iannelli, che in questi giorni ha imparato a usare anche Skype e la webcam per comunicare col fratello. Dopo 52 anni, sette figli e mille vicissitudini, i due si sono così finalmente visti in faccia, ma la distanza è ancora tanta: «Vorremmo incontrarci — dice infatti Antonino, che oggi ha 63 anni e vive a Termini — purtroppo non siamo in grado di affrontare questa spesa». «Il nostro sogno — conclude Ilaria — è che qualcuno ci aiuti ad affrontare quest’ultimo passo».

In mezzo al guado



















Antonio, operaio in pensione, piange dopo l'annuncio del referendum alla Fiat Mirafiori (foto di Alessandro Contaldo).


E non credevi davvero,
anziano dal nome antico,
di tornare a capo basso
quelle mani, quella penna
raschiata per anni
nel desiderio d'un futuro
nella certezza della fatica
nel sangue e nella conquista

Quella penna è ora pugnale
o contro di te, o senza di te
ti hanno tolto le rose
strappandoti il pane


Lacrime smarrite

perdita di senno
sputo del mondo
un crollare di capo
tramonta per sempre
il sol dell'avvenire

e sei festuca vuota
in questo prato d'asfalto
senza fiori da mirare
condannato a un'attesa
e a una sordida speranza






Pedofilia, a 14 anni fotografa l'«orco» con il cellulare e lo denuncia

E poi dicono che i ragazzi fra i  12\25  sono tutti\e  bimbiminkia  . complimenti  a questa ragazzina coraggiosa  .  che  
  
Pedofilia, a 14 anni fotografa l'«orco» con il cellulare e lo denuncia Era perseguitata da quando aveva 8 anni. L'amico di famiglia è stato condannato ad 8 anni e 4 mesi



dal corriere della sera  

MILANO - A 14 anni da poco compiuti ha trovato la forza di incontrare quell'«orco» per l'ultima volta. Nel corso di quell'ultimo incontro ha avuto anche il coraggio di filmare di nascosto col suo telefonino le violenze che quell'uomo. E poi con i genitori è andata a denunciare tutto ai magistrati ad incastrare l'amico di famiglia che abusava di lei da quando aveva 9 anni. Quell'orco non ha rinunciare ad abusare di lei anche in quell'ultimo incontro. La tenacia della ragazzina, che ha deciso così di fornire agli inquirenti prove certe delle terribili violenze subite sulla sua pelle, ha permesso ai magistrati prima di arrestare il pedofilo e poi di condannarlo a 8 anni e 4 mesi di reclusione, con rito abbreviato. La sentenza è stata emessa martedì dal gup di Milano Luigi Varanelli, a conclusione dell'inchiesta coordinata dal pm Giancarla Serafini.LE IENE - La ragazzina, che vive in un comune alle porte di Milano, all'inizio dello scorso anno aveva visto in tv un servizio della trasmissione «Le Iene» che riportava il racconto di una bambina vittima di abusi sessuali. In  esso   la piccola invitava gli altri bambini a denunciare e a non rimanere in silenzio. Spinta da quelle parole, la ragazzina aveva cominciato a parlare della sua drammatica vicenda. Prima con le sue compagne di scuola, durante una gita scolastica lo scorso aprile. A loro aveva descritto ciò che aveva visto in televisione, aggiungendo poi che le stesse violenze le stava subendo una sua amica. In realtà stava raccontando la sua storia. Poco dopo si era confioi, oltre ad alcuni bastoni e coltelli con i quali la minacciava di non dire niente. 
l 22 giugno scorso, infine, l'uomo era finito in carcere, dove è tuttora detenuto, condannato per violenza sessuale aggravata. La ragazzina, parte civile nel processo, ha raccontato ai magistrati che a darle il coraggio di denunciare non è stato soltanto il servizio de «Le Iene», ma anche il fatto che l'uomo avesse già messo gli occhi addosso a un'altra bambina.data con un insegnante e poi con i suoi genitori, che le avevano detto subito di non incontrare più quell'uomo di 60 anni, il quale in passato aveva avuto una relazione anche con la madre della piccola. La ragazzina però non gli aveva dato retta e prima di presentarsi in Procura con i genitori per sporgere denuncia (il 5 maggio scorso), era andata all'appuntamento (il primo maggio) che l'uomo le aveva dato e aveva filmato le violenze subite ancora una volta. Stavolta però rimaneva il volto di lui ripreso nelle immagini come prova inconfutabile. Dopo la denuncia in Procura, il pm aveva disposto una perquisizione a casa dell'uomo. Erano stati trovati una serie di oggetti erotici utilizzati dal pedofilo per violentare la bambina per anni, dal 2006 in poi, oltre ad alcuni bastoni e coltelli con i quali la minacciava di non dire niente. Il 22 giugno scorso, infine, l'uomo era finito in carcere, dove è tuttora detenuto, condannato per violenza sessuale aggravata. La ragazzina, parte civile nel processo, ha raccontato ai magistrati che a darle il coraggio di denunciare non è stato soltanto il servizio de «Le Iene», ma anche il fatto che l'uomo avesse già messo gli occhi addosso a un'altra bambina.


ipocroisia politica la sinistra dice vede la pagliuzza nelll'occhio del vicino ma non la trave nel proprio parentopoli a venezia ed ipocrisia dei giornali prima tti emarginano e poi da morto ti osannano . Il caso di lietta Tornabuoni


Sergio Rizzo per il "Corriere della Sera"
GIORGIO ORSONI
Le giustificazioni, quelle fanno davvero cadere le braccia. «In una grande azienda con tremila dipendenti può capitare che ci siano parenti», ha risposto ad Alda Vanzan del Gazzettino il presidente della municipalizzata dei trasporti di Venezia Actv, Marcello Panettoni.
Sarà pure. Ma se i parenti, come ha denunciato il sindacato autonomo Usb, sono una trentina, e congiunti di sindacalisti e dipendenti, allora può sorgere il sospetto che non sia «capitato» per caso. E ad allontanarlo non vale nemmeno l'argomentazione che tutti, ma proprio tutti, sarebbero entrati dopo una selezione e un test psicoattitudinale fatto da una società specializzata.
7 MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI
Scusa simile a quella con cui si è difeso l'ex amministratore delegato dell'Atac: un'azienda che nei due anni della giunta capitolina guidata da Gianni Alemanno si è «irrobustita» con un certo numero, pare 854, di assunzioni pilotate. «Non sono chiamate dirette - ha detto Adalberto Bertucci - ma attraverso concorsi eseguiti attraverso una società, la Praxi».
Già. È stato così che un alto dirigente dell'azienda di trasporto romana si è ritrovata come assistente personale una ex cubista, Giulia Pellegrino, ritratta sorridente in una foto con il coordinatore del Pdl romano Gianni Sammarco?
Ed è stato così che l'Atac ha ingaggiato il figlio del caposcorta di Alemanno, Giancarlo Marinelli, mentre l'Ama, la municipalizzata dei rifiuti assumeva invece la figlia? E ancora così è entrato Francesco Bianco, ex militante dei Nar, organizzazione paramilitare fascista, assunto anch'egli per chiamata diretta e poi sospeso dall'azienda per le frasi antisemite apparse sulla sua pagina di Facebook? Difficile da spiegare a quei giovani che prima si spaccano la schiena sui libri, senza uno straccio di prospettiva, e poi disseminano inutilmente i loro curricula in giro per l'Italia. Per riuscire a conquistare, se va bene, un precariato da 800 euro al mese.

GIANNI ALEMANNO
Andateglielo a dire, che le municipalizzate, anche quelle come l'Atac che l'anno scorso ha perso 92 milioni di euro, o come l'Ama, che ha archiviato il 2008 con una voragine di 257 milioni, assumono «solo per selezione». Ma che però la lotteria Italia del posto fisso, a tempo indeterminato, la vinceranno quelli che sono parenti dei sindacalisti, amanti o amici di qualche politico, oppure chi ha una tessera di partito in tasca, o magari può contare sulla benemerenza di qualche sprangata assestata in gioventù. E loro, invece, quella selezione non la passeranno mai.
Per carità, l'Italia è il Paese nel quale esistevano (e in qualche caso esistono ancora) regole che offrono una corsia preferenziale ai figli dei dipendenti di alcune aziende pubbliche. Funzionava così, per esempio, al Banco di Napoli, dove i padri potevano liberare il posto per i figli. Ma questa storia è diversa. E fa ribollire il sangue pensare a quanto il fenomeno può essere esteso.
Certo, il caso di Venezia non può essere paragonato a quello di Roma. Dove non desterebbe sorpresa scoprire che le assunzioni clientelari hanno funzionato a tappeto nel sistema delle municipalizzate. La verità è che ormai in Italia la politica è l'unico ufficio di collocamento che funziona.
RICCARDO BOSSI
Al centro come in periferia. A settembre scorso Elsa Muschella ha raccontato sul Corriere che alla Regione Piemonte l'opposizione di centrosinistra aveva denunciato una piccola «parentopoli» locale, denunciando le assunzioni a tempo determinato di «mogli, figlie, fratelli e sorelle di assessori e consiglieri», grazie a «risorse messe a disposizione di ogni gruppo e nella più completa discrezionalità» .
Una denuncia nella quale il Pd ha coinvolto anche il governatore Roberto Cota, che ha reagito così: «Ovvio che ho portato con me persone di cui da anni mi fido, e tra queste una segretaria che già lavorava per il Movimento e che è militante della Lega. La sua unica colpa è quella di essere figlia di un altro militante della Lega che dopo diversi anni di mandato in Consiglio Comunale, è stato eletto in Consiglio Regionale» .
FRANCESCO BOSSI
Giustissimo: un politico ha diritto a farsi affiancare da persone di fiducia. Ma qual è il limite fra la fiducia e il favoritismo? Sarebbe lecito domandarsi se è per una pura questione di fiducia che Franco e Riccardo Bossi, rispettivamente fratello e figlio del leader della Lega vennero ingaggiati a Bruxelles da due eurodeputati leghisti come assistenti accreditati (12.750 euro al mese). E se per lo stesso motivo la parlamentare del Pdl Maria Elisabetta Alberti Casellati, quando era sottosegretario alla Salute, nominò capo della sua segreteria la figlia Ludovica.
Si potrebbero fare decine di altri casi: basterebbe dare uno sguardo nei gabinetti, negli staff e negli uffici stampa dei ministeri per scoprire quanto siano diffuse le omonimie. E se vale il detto che il pesce puzza sempre dalla testa... Fa bene perciò il Partito democratico a pretendere spiegazioni dalla giunta di centrodestra della Capitale, come fa bene il Pdl a chiedere chiarezza sulle assunzioni delle municipalizzate di Venezia, città amministrata dal centrosinistra. Anche se farebbero meglio prima di tutto a dare un'occhiata in casa propria.


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IN MORTE DI LIETTA - "LA STAMPA" POTEVA AVERE IL BUON GUSTO DI EVITARE DI SCODELLARE I SOLITI NECROLOGI LACRIMOGENI IN GLORIA DELLA "GRANDE GIORNALISTA" - LA TORNABUONI FU COSÌ "GRANDE" CHE PER LE SUE IDEE POLITICHE DI SINISTRA, SGRADEVOLI AL POTERE PARA-DEMOCRISTIANO DEL LINGOTTO, LE FU NEGATA, ANNO DOPO ANNO, ARTICOLO DOPO ARTICOLO, L’"AGIBILITÀ" DI EDITORIALI PER FINIRE EMARGINATA IN UNA SALETTA BUIA A RECENSIRE FILM....


Natalia Aspesi per "la Repubblica"
LIETTA TORNABUONI
È morta ieri al Policlinico Umberto I di Roma, dove era ricoverata da diversi giorni, la giornalista Lietta Tornabuoni. Aveva 79 anni. Domani la camera ardente alla Casa del Cinema di Roma.

Lietta Tornabuoni ed io eravamo una strana coppia; amiche, colleghe, sorelle: abitando in città diverse, ci trovavamo solo in occasioni professionali, per esempio ai Festival, da quello canoro di Sanremo nei suoi anni gloriosi, ai cinefestival di Cannes e di Venezia. Inseparabili, scansate, forse temute, certamente prese in giro dagli altri colleghi, ci divertivamo moltissimo: a vedere film, incontrare divi, parlarne tra noi. Come due adolescenti, ridevamo di tutto, il lavoro, insieme, era puro divertimento, anche se scrivevamo per giornali diversi, o forse proprio per quello.
LIETTA TORNABUONI
Quando ci siamo conosciute, io ero una tipica giornalista donna, disordinata e poco affidabile, della terribile categoria definita di costume; Lietta era già una grande giornalista, anzi, come si diceva allora per esaltarne la bravura, un grande giornalista; generosa come raramente sono i colleghi, apriva i suoi quadernini di appunti, che erano sempre quelli cinesi neri con gli angoli rossi, e mi passava preziose informazioni, numeri di telefono segreti,
Fu lei che rimproverandomi l´eccesso di leggerezza, mi insegnò che il giornalismo è una cosa seria, anche se mi occupavo di Claudio Villa o degli amori della Callas, dovevo essere precisa, rigorosa: controllando ogni nome, ogni notizia, circondandomi di dizionari, intervistando più persone possibile, leggendo libri: soprattutto restando lontana dai fatti e dalle persone, imparziale, e pensando solo ai lettori.
LIETTA TORNABUONI
Aveva cominciato giovanissima a Noi donne, il settimanale dell´Udi, era passata a Novella, poi all´Europeo e a L´Espresso di cui era tuttora il cinecritico (il suo ultimo articolo sul film Kill me please esce nel numero di dopodomani). Collaborava a La Stampa, negli ultimi anni come critico ma non solo, e, assunta nel 1970, con un breve periodo al Corriere della Sera, era stata uno dei più autorevoli e brillanti inviati del quotidiano torinese.
Scriveva di tutto, articoli sempre esemplari che si leggevano avidamente, memorabili pezzi sul cavallo Ribot o su Pasolini, interviste a Cossiga o a Fellini, inchieste sulle pantere nere negli Usa o in Cina sulla terribile vedova Mao, sull´attentato terroristico alle Olimpiadi di Monaco del ´72 e sul rapimento e omicidio di Aldo Moro nel ´78.
Insieme eravamo un po´ mascalzone: e per esempio a Cannes nel ´75 non avvertimmo i colleghi che il film La recita di Angelopulos, scansato da tutti perché greco e lunghissimo, doveva essere visto perché era un capolavoro, e nel ´89 scrivemmo meraviglie di Sweetie di Jane Campion che aveva orripilato i maestri della critica, in seguito pentiti.
LIETTA TORNABUONI
Quando muore un grande professionista, lo si ricorda come una persona che al lavoro ha dedicato tutta la sua vita. Lietta aveva molto amato il giornalismo, e lo amava ancora, malgrado le tante delusioni che negli anni capita sempre di subire. Ma aveva dedicato molto di sé stessa agli affetti, con una silenziosa generosità che faceva parte del suo stile di vita rigoroso e appartato.
Di sé non parlava mai: era stata una bella ragazza dal sorriso incantevole, ma degli uomini, sempre intellettuali, che avevano attraversato la sua vita, non erano rimaste tracce. Vagamente gli amici sapevano della sua nobile e colta famiglia, di una sorella suicida, di un matrimonio, giovanissima, con un compagno di partito, matrimonio pochi anni dopo annullato (il divorzio non c´era ancora) in quanto contratto tra due comunisti, cioè diabolici peccatori.
LIETTA TORNABUONI
Era stata molto vicina a sua madre, donna di grande cultura e aveva assistito il fratello Lorenzo, pittore di talento, per anni confinato a letto. Lo ricordo perché questo lato della sua vita, in nome di un senso segreto dell´eleganza e della discrezione, era solo suo, come lo fu la sua dedizione assoluta al compagno, il geniale scrittore Oreste Del Buono, nei lunghi anni di una sua drammatica malattia.
NATALIA ASPESI E LIETTA TORNABUONI AL FESTIVAL DI VENEZIA DEL 73
Lietta ha cominciato a staccarsi dal mondo quando, morte le persone che più amava, si è ritrovata senza più nessuno da accudire, cui dedicare i pensieri, le cure, le attenzioni, l´amore. Lei che era una grande cronista, un´opinionista severa, un´implacabile intervistatrice, una giornalista ironica, puntigliosa, acuta e generosa, una persona anticonformista, di profonda moralità laica, senza padroni, ha preferito appartarsi nei limiti inoffensivi della critica cinematografica perché la politica, che era stata una sua passione e che aveva settimanalmente raccontato nella sua rubrica "Persone", svelandone i peccati e i peccatori, si era ormai troppo insquallidita, criminalizzata, attorcigliata attorno a personaggi troppo privi di glamour, che era ciò che lei cercava in tutto.
ORESTE DEL BUONO
La sala buia era diventata un rifugio a stanchezza e delusioni, i film non disturbavano il suo bisogno di solitudine, scriverne nella sua casa silenziosa, invasa da migliaia di libri che alimentavano la sua instancabile cultura, era un modo per proteggere il suo orgoglio, la sua dignità, per non mostrarsi più e diventare finalmente invisibile.

 


11.1.11

Calendario Sarah Scazzi, Ripa di Meana ne chiede il ritiro

Non è  che mi stia  molto simpatica  però  a differenza  delle  altre    persone  coinvolte   in questa operazione   che   è (   è diventata  se  dovesse risultare  vera  la  loro notizia , ma  allora perchè  caspita  non la  si è sospesa  o rinviata )  un operazione      di business   della peggior  qualità,  concordo anche se  lo st  facendo per opportunismo e non perchè lo sente  realmente  

Continua a scatenare polemiche 
il calendario in memoria di Sarah Scazzirealizzato dall’associazione milanese Chiliamacisegua e i cui proventi, in accordo con il sindaco di Avetrana e con Claudio Scazzi, andranno a sostegno della costruzione del canile tanto voluto da Sarah per i randagi del suo paese. A rinfocolare il caso ci pensa Marina Ripa di Meana, tra i personaggi che hanno posato per il calendario: non sapeva che avrebbe avuto a che fare con il caso Scazzi e ora ne chiede il ritiro immediato dalla vendita. Le si scaglia contro Giovanni Conversano. Risultato? Una bella rissa a favore diPomeriggio Cinque.Sia L’Arena di Massimo Giletti che Stasera Che Sera, nuovo programma di Barbara d’Urso, si sono occupati ieri del caso del calendario in memoria di Sarah Scazzi, presentato lo scorso 4 gennaio ad Avetrana, i cui incassi saranno devoluti all’associazione Sarah Per Sempre, istituita dal fratello Claudio, per costruire un canile che accolga i randagi del piccolo centro pugliese, come desiderato da Sarah.
 L’Arena di Massimo Giletti che Stasera Che Sera, nuovo programma di Barbara d’Urso, si sono occupati ieri del caso del calendario in memoria di Sarah Scazzi, presentato lo scorso 4 gennaio ad Avetrana, i cui incassi saranno devoluti all’associazione Sarah Per Sempre, istituita dal fratello Claudio, per costruire un canile che accolga i randagi del piccolo centro pugliese, come desiderato da Sarah. 
Le polemiche scatenatesi alla notizia dell’iniziativa si sono arricchite di un nuovo capitolo, ovvero della protesta di Marina Ripa di Meana, tra i personaggi immortalati nel calendario, che ha attivato i suoi legali affinchè il calendario venga ritirato dal mercato. La motivazione? Non ha mai firmato alcuna liberatoria per la pubblicazione della sua foto, che non immaginava sarebbe stata legata a un’operazione che definisce puro sfruttamento e sciacallaggio di un drammatico caso di omicidio. 
Marina Ripa di Meana ha avuto modo di esprimere le sue ragioni nella puntata di oggi di Pomeriggio Cinque e come sempre lo ha fatto nei suoi ‘educati’ e ‘pacati’ modi da nobildonna. “Non sapevo che la mia foto sarebbe stata usata per un’operazione così bieca – dice la contessa – mi avevano detto che i proventi sarebbero dovuti servire alla costruzione di un canile al Nord. Se avessi saputo che si trattava di Avetrana avrei detto di no e in ogni caso non ho firmato alcuna liberatoria“. E sin qui la protesta e i modi ci sembrano legittimi. Poi si scivola nella rissa: “Vergognatevi - dice rivolgendosi a Giovanni Conversano, strenuo difensore dell’iniziativa e presente in studio, e alla presidentessa dell’associazione Chiliamacisegua - E’ una campagna infame che sfrutta e strumentalizza una ragazza uccisa! Vergognatevi! Avete fatto la conferenza stampa nella sua camera mortuaria… cialtroni!” e conclude con una sfilza di “Bestie, bestie, bestie…” sul modello dell’ormai noto ‘Capra, capra’ di Vittorio Sgarbi. 
I legali di Marina Ripa di Meana hanno già inviato una lettera all’associazione milanese, facendo presente che la loro assistita ha saputo dell’uso della sua foto solo alla vigilia della presentazione del calendario. Una cosa non improbabile, visto che la presidente di Chiliamacisegua ha spiegato che le adesioni sono state raccolte a settembre e il calendario è stato realizzato prima che si sapesse del tragico destino di Sarah; la decisione di girare il progetto, inizialmente dedicato a un canile del nord Italia, su Avetrana pare sia venuta, quindi, solo dopo, su pressione dei simpatizzanti dell’associazione. Da lì la decisione di contattare il sindaco di Avetrana e Claudio Scazzi. 
La sostanza non cambia, Marina Ripa di Meana sostiene di non voler legare la sua immagine a una campagna che ritiene squallida, un mero tentativo di strumentalizzare e monetizzare una tragedia. A sua volta Giovanni Conversano trova la tardiva reazione della nobildonna come un modo per cavalcare l’onda e tornare sulle prime pagine. Ne nasce una sapida semirissa tv dai toni come sempre poco adatti al pomeriggio: lui le dà della bugiarda e dell’apporfittatrice, lei minaccia querela anche nei suoi confronti e lo epiteta con ‘letame’. Le vacanze natalizie sono decisamente finite…