21.11.14

le nuvole di De Andrè - di matteo tassinari

  nei momenti di crisi  o per  evadere   nom  solo uso  i fumetti o la  fantasia  , ma  anche  la musica  . Ed  è  leggendo questo articolo \  post  delll'amico  Matteo  che sono andato a riascoltarmi il disco  anime  salve 




















Vanno , vengono...

di Matteo Tassinari


Il problema vero è stato quello di concepire un album come Le nuvole, dove chi critica la società in cui vive ne è più che discretamente coinvolto e in parte responsabile. La contraddizione era in effetti solo apparente e derivava dal fatto di non volerla accettare mendicando dall'inconscio pudibondi istinti di dissociazione e di auto assoluzione.

"Afferrato il problema,
mi è stato facile
sdoppiarmi da un punto di vista oggettivo e quindi oggettivamente descrivere la vita dei porci continuando soggettivamente a fare il porco, tanto più che nessuno potrebbe descrivere il porcile meglio del maiale. Tenendo semmai presente soltanto una distinzione di carattere più quantitativo che non qualitativo: vale a dire che io, piccolo suino, avrei descritto i sentimenti e i comportamenti di suini molto più grandi di me", disse alla presentazione della conferenza stampa del cd Le nuvole come riferimento costante e misterioso sul senso della vita, oltre quelle bambagia, cosa c'è, già si chiedeva Aristofane? "Le nuvole sono un teatro permanente, uno schermo su cui proiettare le nostre visioni, ossessioni, premonizioni, profili e cornici tra la terra e il cielo", dichiarò Faber al Rockstar Magazine, ancora con la paura di dire una stronzata da dare in pasto ai critici musicali. Lui era molto vanitoso, come tutti, come te e tu e me, come loro e come essi.
Scritto con
Mauro Pagani,
una sorta di Brian Eno italiano, con interventi di Massimo Bubola (in Don Raffae'), il disco nasceva dopo due anni passati in Sardegna e le voci all'inizio del disco sono anche un omaggio all'inimitabile dizione profonda, scandita come la pietra, della gente di Sardegna. Per Faber era un momento difficile, tormentato. Nel 1989 era morto l'amico Emilio Fassio, e pochi giorni dopo a Bogotà anche il fratello Mauro. Il 7 dicembre dello stesso anno Fabrizio e Dori Ghezzi si sposarono dopo quindici anni di convivenza, in una cerimonia riservata. Il rapporto tra i due era profondo e stimolante, ammirevole per tutti quelli che avevano il piacere di condividere alcuni momenti con loro. Dori era la consigliera, l'altra faccia, la sponda, l'intimità, consolidata nei giorni del rapimento, giorni e notti passati insieme in una specie di capanno improvvisato.










La mel odia del 
mediterraneo
In quello     stesso anno Creuza de mà, venne definito il miglior disco italiano del decennio. Faber e Pagani venivano da un'esperienza decisiva. La ricerca e l'approdo al disco-capolavoro avevano radicalmente trasformato la storia musicale di De André, l'approccio da cantautore che bene o male era stato dominante. Non che De André non avesse sempre applicato la massima attenzione alla scrittura musicale, tutt'altro, ma Creuza era un enorme salto in avanti, era una sinfonia del Mediterraneo, un disco dove per la prima volta non era così determinante capire il testo, che infatti molti non capivano, visto che il dialetto genovese è una lingua a sé. Ma importava poco.
Creuza de mà scalinata che va al mare
Il disco    suggeriva
una inedita visione o revisione addirittura della musica italiana, come fosse bagnata dal mare, mossa e maestosa come una barca a vela, ricca di strade, rotte da riscoprire, frutto di un'etnia che come un doppiofondo viveva nei ritagli del paesaggio postindustriale italiano. Un traghetto che collegava porti lontani, immaginati come perle salgariane della fantasia esotica. Per una volta De André era stato veramente Ulisse, quello dantesco che va oltre le Colonne d'Ercole, nel senso del viaggio verso una meta non prevedibile, corsara, colma di sorprese tiranne e clementi, e quello omerico che gira l'universo per poi tornare a casa, forse più conciliante umanamente, ma profondamente diverso da appena 30 anni fa quella stessa visione. Difficile ipotizzare un seguito a un disco che, come all'unanimità si ritiene, ha segnato in modo indelebile la musica italiana. De André non rinunciò a quanto aveva acquisito, ma ora c'era di nuovo bisogno di parole, c'era bisogno di raccontare quello che stava diventando l'Italia. 
Per questo   Le nuvole è    meno
omogeneo, organico, indifferenziato di Creuza, va da sé, ma proprio in questa polifonia di toni è il suo fascino.  Si mettono lì, tra noi e il cielo, come stormi d'uccelli neri che volano compatti e senza paure. De André, perennemente autocritico, rimpiangeva la mancanza di unità dell'album, doveva essere un'intera opera, un concept, poi il filo si disperse in mille rivali creando un disco dai molteplici volti, disunito forse, ma ricco. Di dialetti ce ne sono ben tre diversi. C'è il nuovo De André con la sua nuova fonetica dialettale.



Ottocento
Così Mauro Pagani, che ha curato gli arrangiamenti e strumentistica varia adoperati in quel capolavoro che è 800, il tratto di satira più bello e creativo di questi ultimi anni, pur nella tragicità dei trattati, traffico d'organi, prostituzione, droga, ipocrisia, intellettuali che parlano solo per il loro "Io" vergognosamente dilatato (e mai che che nessuno paghi), spiega la genesi dell'album de Le nuvole:
"Tutto quello che avevamo tra le mani di nuovo trovò peso e collocazione, dai ricchi ateniesi di Aristofane, così simili ai nostri, all'ignavia di Oblomov, dall'incanto malinconico di Čajkovskij alla saggezza un po' guittesca e senza tempo del secondino Pasquale Cafiero". Il dove stavolta finì per essere l'Ottocento, l'Ottocento cattolico e borghese delle grandi utopie, del colonialismo e delle guerre senza senso, così simile per contenuti e scelte ai tempi odierni, in fondo solo un po' più veloci e molto più isterici. In Creuza in fondo ci eravamo divisi i compiti, lui i testi, io le musiche. Quando cominciammo a lavorare al disco nuovo ci rendemmo conto invece che con il passare degli anni il nostro rapporto si era fatto più profondo, che le nostre conoscenze sempre più si influenzavano e si intrecciavano a vicenda. Così stavolta tutto prese forma e identità davvero a quattro mani, chiacchierando, inventando, facendo e rifacendo. Soprattutto guardandoci intorno, con una attenzione al mondo del tutto diversa da quella del disco genovese.

OTTO

CENTO
Il primo brano de Le nuvole la parola è ironicamente aulica, la struttura ricorda l'opera buffa o la versione moderna de La gatta Cenerentola di Roberto De Simone nel 1976. In particolare il verso “quante belle figlie da sposar” ricorda da vicino il canto delle sorellastre di Cenerentola, ma il pezzo va da tutt'altra parte. Dietro lo stile antico c'è l'attuale.




 *Cantami di
questo tempo*

                                                                 *L'astio e il malcontento
*Figlio bello e audace

*Bronzo di Versace

*Figlio sempre più capace 
Di giocare in borsa 
Di stuprare in borsa











 La caduta morale
C’è tutta  l’Italia rampante del craxismo, quella che nella modernizzazione dettata dai tempi e i modi della crescente globalizzazione sta perdendo identità e senso della direzione. C’è l’orrore contemporaneo del commercio di organi, la caduta amorale nella turpitudine dell’opulenza, un frammento elegiaco del padre che ha perso il figlio suicida, ma è accecato dalla sua fraintesa condizione sociale “per ferirmi, pugnalarmi nell’orgoglio, a me che ti trattavo come un figlio”, una feroce danza macabra del gruppo sociale imbellettato che culmina in un grottesco canto jodel. Poi affonda nei vizi dilaganti del paesaggio sociale, come la corruzione politica, culturale ed economica. Doveroso ricordare che 800 è in ricordo all'amico poeta Ferdinando Carola, oppure versi tipo "la verdura di papà" è la maniera in cui Carola chiamava i figli, come anche "cantami di questo tempo/l'astio e il malcontento/di chi è sottovento/e non vuol sentir l'odore di questo motor,/che ci porta avanti/quasi tutti quanti/maschi femmine e cantanti,/su un tappeto di contanti/nel cielo blu", sempre per la propensione del poeta amico scomparso nel non divenire volutamente visibile e non entrare quindi nel meccanismo dei diritti d'autore e di prostituzione poetica.
*Moglie dalle larghe maglie
*Dalle molte voglie
*Esperta di anticaglie,
*Scatole d’argento ti regalerò!

*Ottocento, Novecento
*Millecinquecento, scatole d’argento
*Fine Settecento ti, regalerò!

*Quanti pezzi di ricambio,
*Quante meraviglie,
*Quanti articoli di scambio,
*Quante belle figlie da sposar!

*E quante belle valvole e pistoni,
*Fegati e polmoni,
*E quante belle biglie a rotolar!!!





















800,
Collasso sociale 

indolore
Era il momento adatto per farla - spiega De André. Anche perché nonostante la lucidità che ti permette di intravedere l'avvicinarsi di un collasso della nostra società, di questa società di cui fai comunque parte anche se non vuoi, le maggioranze inglobano a priori del tuo pensiero". L'aspetto satirico era ribadito sulla copertina del live del 1991, con un profluvio di maschere. Pulcinella? Certo, c'è l'irriverenza delle maschere italiane della commedia dell'arte, ma un più antico senso della rappresentazione per metafora dato dal riferimento ad Aristofane. Certo, le nuvole per Aristofane sono occasione di un racconto acuto e persuasivo sui temi della società, la giustizia, il conflitto tra generazioni, il giusto e l'ingiusto, vita, filosofia, Dio, la campagna, la città, vita di risparmio e lusso sfrenato, il vecchio che si dimentica del nuovo come il fumo passa ogni fessura. Le nuvole sono come il fumo, divinità antiche, totem semoventi e mutevoli passaggi evanescenti, attimi di vita, periodici, storie, tutto e niente, libri e ridicoli tentativi di capirli.

























Lirismo d'Ottocento 
Ottocento è un brano decisamente antiquatofuori epocainattualepassato, un'opera buffa che miscela numerosi ispirazioni musicali, il pezzo finisce con un brano cantato in jodeltirolese. Anche l'interpretazione vocale di De André è piuttosto anomala. Impostandola come si faceva nelle opere buffe con frack e papillon, al punto che il cantautore gioca a darsi aria di lirismo, coerente con l'andamento pseudo-operistico predominante nel brano. Ecco cosa disse De André alla presentazione del disco a Milano le motivazioni di questa scelta:
 Omero e la Musa. Cantami o diva del pelide Achille...
"E' un modo di cantare falsamente colto, un fare il verso al canto lirico, suggeritomi dalla valenza enfatica di un personaggio che più che un uomo è un aspirapolvere: aspira e succhia sentimenti, affetti, organi vitali ed oggetti di fronte ai quali dimostra un univoco atteggiamento mentale: la possibilità di venderli e di comprarli. La voce semi-impostata mi è sembrata idonea a caratterizzare l'immaginario falso-romantico di un mostro incolto e arricchito"
A De André è successo
di   essere divorato da una passione inarrestabile, di percepire come nessun'altro il potere della parola, la magia di lavorarla, levigarla laddove ci fosse il bisogno, svezzarla fino al punto giusto, in questo nessuno gli era sopra, fatto riconosciuto dai suoi stesi colleghi e amici, nonostante le tante rivalità e freddezze gratuite o vanitose, finché non emergeva "la parola", quella giusta, quella che aveva maggior potenza e significato, quella parola, non un'altra,  fusa ad una nota che ne svelasse le risonanze, che ne amplificasse la vibrazione lirica e la completezza. Si pensa soprattutto al poeta, ma ci si dimentica che De André era la sua voce, una voce nitida che chiunque di noi ha in questo in testa, ferma, profonda, scolpita, diamantina come un bassorilievo che nei dischi e nei concerti riempiva l'aria con un'autorità che pochi hanno dimostrato, anzi, se paragonati a lui, direi proprio nessuno.





La sua   storia è quella di un artista a tutto tondo (per dire che lo era anche nella vita) che aveva capito un grande segreto a cui i suoi colleghi non c'erano arrivati: la trasformazione della canzone o canzonetta, capire che con la musica si poteva far molto di più che passare 4 o 5 minuti ad ascoltare "acqua azzurra, acqua chiara" o "tutto il resto è paranoia", da eccesso di uso di cocaina. Ormai gli aveva scavato una parte della cartilagine destra del naso, come mancasse la parte ultima e sappiamo che i grandi consumatori hanno grossi problemi coi loro naselli, sgocciolano sempre, il fazzoletto sempre in mano, la paura che sia rimasto sul naso o labbra un pò di bamba e per questo lo gratti come avessi la mania di strofinarti le parti facciali centrali. I vizi si pagano, non solo coi soldi, quella è la meno, tutto è nella testa, tua, mia, vostra, nostra. 

Illusi d’esistenza 















Il Capoclan e il Brigadiero

Don Raffae' è una tarantella brillante dalla prima nota, prodigiosa per l'idea, dotata di un'illuminate bizzarria, tutt'altra che tarantella, ha un livello di profondità che solo i poeti sanno raggiungere nel nostro pensiero. Stravagante, inatteso, lucente fra una un caffè e un Martini o una spremuta. Un affresco di una vita (?) che si svolge in carcere, fotografata con una precisione stilistica ed obiettiva, alata e ammirevole per la realtà dei contenuti del brano Don Rafaè. Un momento dei tanti, chiusi e ambientati tutti, carcerati e guardie a Poggioreale di Napoli. C'è un brigadiero e un capoclan, l'incontro fra due realtà apparentemente diverse, ma così non è. Il contropotere della camorra e l'assenza dello Stato sono temi antichi ormai. La vergogna ci sovrasta. Il brano era in qualche modo ispirato a Raffaele Cutolo, il quale spedi, conseguentemente, a De André tre lettere e un libro di poesie.
Tra le sue varie insoddisfazioni
c'era soprattutto La domenica delle salme. Era contento del testo (“Era tutto quello che avevo dentro e che sentivo di dover dire, un brano che mi soddisfa molto, fatto che capita raramente”) e ci mancherebbe che non lo fosse stato, ma lamentava una eccessiva semplificazione musicale. Qualcosa comunque che non andava, c'era sempre. E' il virus dei perfezionisti, gli insicuri, dei tenaci, che temono lo sbaglio, quindi anche orgogliosi fino al midollo, questi sono gli artisti fino in fondo. Penso a quanti brani di Fabrizio ci hanno aperto la mente, quante novità ha portato quando si era fermi al ciarpame e vecchiume di Claudio Villa o più beat alla Domenico Modugno, dove un briciolo di rivolta già s'intravvedeva. Essere artista non l'ha mai saputo nessuno chi sia. E' vero invece che ci sono diversi artisti, ognuno è un folle alla sua maniera. Come fai paragonare Van Gogh che si tagliò un'orecchio e il godurioso e ridondante Oscar Wilde? O come metti sullo stesso bilancino il ruvido Bukowski con il metafisico Kafka? Non c'è l'artista, ci sono gli artisti.


 Il rispetto della parola
In realtà, se La domenica delle salme risalta come il testo più forte, quasi agghiacciante, dell'intera opera di De André, lo si deve anche alla sua scarna e spigolosa semplicità: un arpeggio di chitarra su cui il cantautore riversa una valanga di immagini violente, cupe, sferzanti. L'assenza di orpelli ne esalta la cattiveria, non ci si può distrarre in alcun modo. Le parole sono li, pesanti come macigni. Mauro Pagani sottolinea che la lentezza con cui procedeva il lavoro era dovuta alla precisione maniacale di De André e soprattutto al suo rispetto della parola.














Quanto giusto pensate che sia

Le virtù profetiche
di Faber

Ne avvertiva tutta la responsabilità, sapeva che dietro ogni parola ci poteva essere un senso, e questa tensione si avverte costantemente nella costruzione dei versi. Se il suo verseggiare è forte, carismatico, contagioso lo si deve al fatto che si percepisce perfettamente come ogni parola fosse meditata, pesata, metabolizzata a fondo. E per questo La domenica delle salme è una canzone che fa male, quasi fisicamente, e ha virtù perfino profetiche. De André sembra un predicatore amareggiato, a cui hanno tolto il beneficio della speranza. L'Italia pare sprofondare in una malsana palude di corruzione. Il potere qui è sinistro, malevolo, nudo, non ha maschere grottesche con cui coprire le sue vergogne.
Troie    di regime
Vivandieri di cose vietate, portaborse, galoppini, lacchè, fiduciari, adulatori, scagnozzi, e lustrascapre, troie di regime, addetti alla nostalgia che accompagnano tra i flauti il cadavere dell'Utopia, Milano che galleggia in una bottiglia di orzata, viandanti che si rifugiano nelle catacombe. Dopo Anime salve, De André chiamò Mauro Pagani per un nuovo progetto, che doveva essere un Requiem dedicato al secolo che finiva e allo sfacelo sotto cui viviamo. Una parodia della nostra vita quotidiana, ignobile e ripugnante. Non fece in tempo a farci anche questo regalo. La malattia aveva già ideato il titolo per il Requiem di Faber: Le nuvole.

Don't Worry | Playing For Change | Song Around the World


20.11.14

Bimbo nasce senza l'avambraccio E progetta da solo la mano di Lego

La storia   riportata  da  l'unione  sarda  online  del  Giovedì 20 novembre 2014 12:40 racconta questa storia
 
Aidan, bimbo americano di 9 anni, che ha deciso di abbandonare le protesi tradizionali, progettandone una tutta sua.
Aidan  e la sua protesi 
 
 
Aidan ha nove anni e vive negli Stati Uniti. Per una malformazione, è nato senza l'avambraccio sinistro e, quindi, sin da quando era piccolissimo, è costretto ad indossare protesi. Ma crescendo le protesi tradizionali hanno iniziato a stargli "strette". Troppo limitate, troppo poco funzionali. E così, dopo aver partecipato a un campus dedicato alle nuove tecnologie per ragazzi disabili, il "Superhero Cybercamp", ha deciso, in collaborazione con l'azienda no profit Kidmob di crearsi la sua protesi personale. E l'ha realizzata grazie ai mattoncini della Lego. Sembra incredibile, ma è proprio così. La storia è raccontata da The Atlantis. Grazie alla sua protesi modificata, e modificabile a seconda delle esigenze, Aidan può montare sul suo arto artificiale supporti utili a tenere in mano i telecomandi, il joypad della sua consolle di videogiochi, le posate e, addirittura, dotarsi di una mano prensile, in tutto simile a quella dei personaggi Lego, ma in scala maggiore

le ferite ancora aperte della grande guerra . il caso della fucilazione e decimazione della brigata Catanzaro

amo le STORIE di quelli che non hanno fatto la Storia, le STORIE dei vinti più che quella dei vincitori
 per  approffondire  sula  grande  guerra 
  sulla  brigata  catanzarro  :
Prima di raccontare la storia  dei  fatti  avvenuti  a Santa Maria la Longa  ovvero la  decimazione   della  brigata  Catanzaro  , una delle brigate  più importanti della  grande  guerra    , insieme  alla quella ai due reggimenti  il 151  e il 152  della brigata  Sassari   ,    rispondo  ad iuna Email di 
unonche  crede   soloed  esclusicamente  nei  <<  miti eterni della patria o dell' eroe >>

E accusa   di  disfattimo  e  mancanza  di rispetto  verso :  i morti i, reduci , i mutilati ,le  forze  armate  , ecc  chi  racconta   in maniera   a  tutto tondo  un periodo  storico  cosi  importante  e  fondante  per il secolo scorso  (  ed  ancora per  oggi  visto  che Spesso e volentieri mi sembra che la situazione attuale non sia troppo dissimile al 1914 , macchine statali decrepite, popoli alla fame (o quasi) ,un europa unita che di unito ha solo il nome e per il resto è un vecchio decrepito e paralizzato, focolai di rivolta e guerriglia ovunque  )  raccontando  , fatti sminuti o  ignorati  o  fatti passare in secondo piano a scapito  di  gesti eroici  fra  cui esempio quello  di  La prima è quella del Comandante Giovanni Airaldi di Cuneo . la  cui  storia  è raccontata  in Il caso Arialdi  di Gerardo Unia |-  Editore L'Arciere - 2002 - pp. 139 - ISBN 8886 398 913 .   (  ne  ho parlato precedentemente  qui  su queste  pagine  e  di  altri casi   che  racconterò prossimamente  da  qui al  2018  )    .
da  *******
a   redbeppe@gmail.com
il  5\11\2014 
Salve 
(.... ) 
Non mi piacciono  per  niente   i  suoi  articoli  offensivi  sui due  gruppi di  facebook :  prima guerra  mondiale  e  100 Anniversario della entrata in Prima Guerra Mondiale  riguardanti   le  fucilazioni   avvenute  durante la  1  guerra  mondiale  .  Di  disfattisti  e traditori si tratta  . Di gente   che non   ha  avuto  ordine  e disciplina  .  E poi in guerra   c'è  poco  da  scherzare e quindi  è inevitabile  che   tale  cose  si paghino  anche  con durezza ed  a volte  come alcuni casi da lei segnalati   posono capitare  errori   .  Se  non  avessimo   fatto valere   l'ordine  e la disclipina  tra le truppe  altro che  la sconfitta  di caporetto avremmo subito  .  Il nostro    risorgimento , vanificando   per  non dire  volgarità ,  sarebbe stato vano  ed incompleto .
(...)   Si potrebbe anche ricordare il " guerra alla guerra " del partito socialista dell'epoca che predicava la rivoluzione proletaria alla russa " e noi faremo come la russia ". Cosa che per fortuna non avvenne proprio grazie a quei giovanissimi intellettuali partiti volontari per difendere le libertà di tutti. Grazie a questi giovani eroi ci salvammo dalla dittatura del proletariato e dal medioevo senza fine degli imperi centrali. Che si celibri quindi il centenario di questo grande olocausto offerto dal popolo in difesa delle proprie libertà. rievocandone gli ideali interventisti e non uccidendoli una seconda volta per mano fraterna ( ricordo che i primi a partire in difesa della Francia e ben prima della dichiarazione di guerra furono i Garibaldini italiani, inclusi il figlio di Garibaldi ed i figli dei primi garibaldini ). fu miserabile che su istigazione dei socialisti i reduci vincitori i vennero accolti come traditori della causa del proletariato preparando così la base della DITTATURA REAZIONARIA ( REAZIONARIA VUOLE APPUNTO DIRE CHE FU REAZIONE A QUALCHE COSA ).
 
 a     ******@******* 
 
Ora Cari  ******** .Non sono disfatta  e non credo che  come fece  la  brigata catanzaro ,  per  citare il caso più  noto  ,   che  si ribellò a degli ordini sciagurati  , debba essere  considerato    ciò che lei  considera    atto vile  . E' vero che in guerra  ci vogliono disciplina  , ma  non credo che si risolva    con fucilazioni assurde  ( la maggior parte )  , decimazioni  ,  e  processi  sommari .  Come il caso   con  dei  4  alpini  fucilati a  Cercivento  (zona di Udine  )    con l'ingiusta  accusa  di diserzione  , solo  per  aver proposto al  comando  un piano alternativo  ad  attacchi inutili  . Io a  penso  come    questo post  su https://www.facebook.com/groups/centenarioprimaguerramondiale
Di spalle al Muro grigio furono messi. i fanti condannati alla fucilazione... le parole Di D' Annunzio sulla decimazione della Brigata Catanzaro.
La pratica usata e abusata dallo stato maggiore per costringere I fanti a combattere senza tregua causa gli errori di conduzione del conflitto. In particolare si ricorda il gen. Capello comandante la 2a armata. Lo stesso Cadorna nel caos di Asiago 1916 ordino la fucilazione Di ufficiali e soldati. Di costoro, vittime della insipienza altrui, non si parla mai, si nasconde l' esistenza stessa. Peccato, sono il lato oscuro di una guerra ufficialmente fatta Di eroi, in realta di gente qualunque

Inoltre   << Non si tratta di rivisitare la storia con gli occhi di oggi, ma con il necessario distacco aaffinché scavando scavando, non solo nella memoria che si tramanda ma essenzialmente nei documenti reperibili, si possa ricostruire - carte alla mano - quegli eventi con la massima asetticità possibile. >>  (  da  http://www.cimeetrincee.it/catanzaro.htm  ) . Ma una revisione seria ed onesta che ci porti ad ammettere errori e misfatti troppo spesso omessi. Insomma  a  fare  chiarezza   e   soprattutto   a  trovare  una    condivisa     e porre   fine  a strumentalizzazioni e ricordi  unilaterale    .  Fare  i  cinti  con  il nostro passato  e   chiudere  con  ferite  ancora  aperte  come  quella (  ne  ho parlato   sul blog  ) del  caso  dei  quattro alpini fucilati dai carabinieri : Silvio Gaetano Ortis da Paluzza, Basilio Matiz da Timau, Giovan Battista Corradazzi da Forni di Sopra, Angelo Massaro da Maniago. La loro colpa fu quella di aver proposto un piano alternativo ai loro comandanti.





da Wipedia alla voce Brigata Catanzaro

La Brigata "Catanzaro" fu una Grande Unità di fanteria del Regio Esercito italiano attiva nel corso della prima guerra mondiale e con il nome di 64ª Divisione fanteria "Catanzaro" un'unità motorizzata operante durante la seconda guerra mondiale.]
Venne costituita il 1º marzo 1915 a Catanzaro Lido in due reggimenti, il 141º e il 142º. I soldati (circa
6.000) che ne facevano parte erano in maggioranza calabresi.
All'atto della mobilitazione del 24 maggio 1915 fu dapprima inquadrata nelle truppe a disposizione del Comando Supremo poi, dopo pochi giorni, fu inviata in Friuli dove fu inquadrata nella 3ª Armata.
La «Catanzaro» fu una delle più sfruttate unità dell'Esercito. Logorata dai lunghissimi turni in trincea di prima linea nei settori più contesi, essa venne impiegata come brigata d’assalto sul Carso dal luglio 1915 al settembre 1917. In prima linea a Castelnuovo, ed a Bosco Cappuccio, nel 1916 combatté a Oslavia, e durante la Strafexpedition sul monte Mosciagh e sul monte Cengio. Tornò poi sul monte San Michele, a Nad Logen, a Nova Vas, sul Nad Bregom e a Hudi Log. Prima di Caporetto fu a Lucatic, sul monte Hermada ed infine a San Giovanni di Duino.
Nel 1918 dopo Caporetto combatté sul Pria Forà, in Val d'Astico ed in Val Posina. Nel giugno del 1920 fu sciolta. La bandiera del 141º fanteria fu decorata con la Medaglia d'Oro al Valore Militare e quella del 142º ebbe la Medaglia d'Argento. Considerata dal comando italiano tra le Brigate più valorose e tenaci (giudizio condiviso dagli austriaci).

«Su monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone»[modifica | modifica wikitesto]

Numerose furono le località che videro in azione i reggimenti della Brigata Catanzaro, ma, sicuramente, vanno ricordati i fatti che si svolsero sul monte Mosciagh. Questo monte fu scenario di aspre lotte.
I fanti recuperarono alcuni pezzi d'artiglieria da una posizione ancora tenuta dagli Austriaci sulla vetta della montagna e dopo circa due ore di attacchi alla baionetta, riuscirono a cacciare definitivamente il nemico dalle posizioni iniziali conquistandone in definitiva anche l'armamento. L'episodio meritò la seguente citazione sul bollettino di guerra del 29 maggio 1916 n.369 a firma del generale Luigi Cadorna: «Sull'altopiano di Asiago, le nostre truppe occupano attualmente, affermandovisi, le postazioni a dominio della conca di Asiago. Un brillante contrattacco delle valorose fanterie del 141º reggimento (Brigata Catanzaro) liberò due batterie rimaste circondate sul M. Mosciagh, portandone completamente in salvo i pezzi».
La cosa fu ripresa dalla stampa nazionale dell'epoca tanto da meritare la prima pagina su La Domenica del Corriere, che con una bella illustrazione di Achille Beltrame fece conoscere all'Italia intera come «Un brillante contrattacco dei valorosi calabresi del 141º fanteria libera due batterie rimaste circondate sul monte Mosciagh».
Da questo glorioso fatto d'armi il 141º trasse quello che da allora fu il suo motto: «Su Monte motu proprio alla bandiera del glorioso 141º Reggimento la Medaglia d'Oro al Valore Militare con questa motivazione: «Per l'altissimo valore spiegato nei molti combattimenti intorno al San Michele, ad Oslavia, sull'Altopiano di Asiago, al Nad Logem, per l'audacia mai smentita, per l'impeto aggressivo senza pari, sempre e ovunque fu di esempio ai valorosi (luglio 1915 – agosto 1916)».
Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone». Il Re, con decreto del 28 dicembre 1916, concesse
Anche la bandiera del 142º ebbe la sua meritata decorazione con la concessione della Medaglia d'Argento al Valor Militare.

La decimazione della Brigata "Catanzaro"[modifica | modifica wikitesto]

Motto della Brigata Catanzaro


Diversi mesi dopo i soldati dei due reggimenti della "Catanzaro" furono protagonisti della più grave rivolta nell'esercito italiano durante il conflitto. Questo episodio si svolse a Santa Maria la Longa dove la brigata era stata acquartierata a partire dal 25 giugno 1917 per un periodo di riposo. La notizia di un nuovo reimpiego nelle trincee della prima linea fece pian piano montare quella che in poche ore sarebbe diventata una vera e propria rivolta.
I fanti della Catanzaro protestarono e la protesta passò in rivolta. Alle ore 22.00 del 15 luglio 1917 iniziò il fuoco che durò tutta la notte. I caporioni di ogni reggimento assaltarono i militari dell'altro inducendo gli stessi ad ammutinarsi e ad unirsi a loro. Molti caddero morti sotto il fuoco dei rivoltosi, altri ne rimasero feriti. La rivolta durò tutta la notte. Per sedare la rivolta vennero impiegati una compagnia di Carabinieri, quattro mitragliatrici e due autocannoni con il preciso ordine di intervenire in modo fulmineo e con estremo rigore. La lotta durò tutta la notte e cessò all'alba.
Sedata la ribellione, il comandante della Brigata ordinò la fucilazione di quattro fanti, colti con le canne dei fucili ancora calde, e la decimazione della compagnia. All'alba del 16 luglio dodici fanti più i quattro colti in flagranza, alla presenza di due compagnie, una per ciascun reggimento, vennero fucilati a ridosso del muro di cinta del cimitero di Santa Maria La Longa e posti in una fossa comune.
I soldati della Brigata Catanzaro, dopo questi gravi fatti, continuarono a battersi con disciplina per tutta la durata della guerra, tanto da ottenere una seconda citazione sul bollettino di guerra del 25 agosto 1917, nel quale si riportava che: «Sul Carso la lotta perdura intorno alle posizioni da noi conquistate, che il nemico tenta invano di ritoglierci. Negl'incessanti combattimenti si distinsero per arditezza e tenacia le Brigate Salerno (89° - 90°), Catanzaro (141° -142°) e Murge (259° e 260°)».

Recentemente  l'Assoaciazione  ha  ( vedere  l'url  inizio post  )  ha  trovato  la croce  con i nomi  dei fucilati   per decviazione dela brigata  Catanzaro  . Ecco  L'articolo dalla  pagina  facebook  dell'associazione   https://www.facebook.com/tapum14.18/ qui  il post    originale  e  l'interessante  discussione  tra pro e contro 

Inedito: sull'Altopiano di Asiago, nella zona del Monte Zebio (e.c. Monte Mosciagh), abbiamo trovato questa croce con i nominativi dei fucilati per decimazione della Brigata Catanzaro. Lungo tutto il Cammino di Ta Pum si trovano cippi che r...icordano il coraggio, l'abnegazione e lo spirito di corpo della Catanzaro...i suoi fucilati lo furono per le proteste rivolte verso comandanti inetti nel gestire l'azione militare, quanto folli nel gestire gli uomini loro sottoposti. Fucilati per decimazione...presi a caso nel gruppo...Non è l'ora, cent'anni dopo, di restituire l'onore a questi poveri soldati ?




 quindi  riprendendono  la risposta  , vedi sopra  a  *****  e  a tuitti    coloro  che  vogliono continuare  a tacere o far  passare  in secondo piano o sminuire  ciò  che  è  stao  ,  ben  venga  il  dibattito  su questi fatti  ,  l'importante  è  non dimenticare  o ricordare  solo ciò che  ci  piace  . 
Concludo     per  chi fosse ionteressato  all'argomento delle fucilazioni   questi libri  (   fin qui  usciti  )

Il  primo  
da http://www.gasparieditore.it/
Per la prima volta un rigoroso studio storico fa il punto sulla giustizia sommaria nell'esercito italiano durante la Grande Guerra. 95 episodi analizzati individualmente, 300 vittime accertate tra civili e militari e 6 casi di fuoco sulle truppe che causarono un numero imprecisato di morti. Il volume presenta numerosa documentazione inedita tratta dalla Relazione sulle esecuzioni sommarie dell'Avvocato generale militare (1919), dall'Archivio centrale dello Stato e dall'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito

Ulteriori informazioni

AutoreMarco Pluviano, Irene Guerrini
TitoloLE FUCILAZIONI SOMMARIE NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
SottotitoloNo
Altre infoPrefazione di Giorgio Rochat
EditoreNo
ISBN88-7541-010-0
Anno di edizioneNo
Data inserimento08/lug/2004.
Prezzo

il secondo
€ 15,00


TitoloPlotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale
AutoreForcella Enzo; Monticone Alberto
Prezzo
Sconto -15%
€ 20,40
(Prezzo di copertina € 24,00)
Dati1998, 432 p., 2 ed.
EditoreLaterza  (collana Storia e società)

Nella promozione Laterza fino al 24 novembre  su  http://www.ibs.it/code/9788842054924/


 Maledetta la guerra, maledetto chi la pensò», «Non voglio morire per la patria», «Caro padre la guerra è ingiusta», «Molla, molla...»: la rivolta dei soldati della Grande Guerra documentata per la prima volta attraverso le sentenze delle condanne a morte.Non si può capire la tragica realtà dell'Italia del '15-'18 ignorando le manifestazioni di disfattismo in trincea e l'attività repressiva dei tribunali militari.Prefazione Apologia della paura di Enzo Forcella – Introduzione Il regime penale nell'esercito italiano durante la prima guerra mondiale di Alberto Monticone; Sentenze; 1915; 1916; 1917; 1918.



19.11.14

Comandante dei vigili in Puglia multa per due volte suo figlio e lui paga con le monetine


L'educazione non finisce tra le mura di casa...continua anche fuori !!! Bravo Vigile.


http://www.unionesarda.it/articolo/cronaca_italiana/2014/11/19/

Il comandante dei vigili di Oria, nel Brindisino, ha multato suo figlio per la seconda volta. E lui paga con le monetine.





Per ben due volte il comandante dei vigili urbani di Oria (Brindisi) ha multato per divieto di sosta suo figlio il quale, goliardicamente, l'ultima volta ha deciso di pagare l'importo del verbale rompendo il salvadanaio e consegnando 87 euro in monete da un euro.
Il comandante aveva notato il furgone del figlio Sandro Dell'Aquila parcheggiato in modo irregolare vicino a una chiesa dove il giovane, che fa il fotografo, stava scaricando l'attrezzatura per il servizio fotografico a un matrimonio. Il vigile non ci ha pensato due volte e ha detto all'agente che era con lui di scrivere il verbale e metterlo sul parabrezza del furgone. Il fotografo ha così trovato la firma del vigile e del comandante, suo padre. Non credeva ai suoi occhi, anche perché di quel lavoro aveva parlato ai genitori il giorno prima. Alla fine però la meraviglia si è limitata a constatare che anche qualche anno prima il padre lo aveva multato dopo aver parcheggiato la macchina in piazza in divieto di sosta.

17.11.14

invece di incazzarci contro la burocrazia usiamo le loro stesse armi o rispondiamo per le rime - Le mandano le bollette del marito morto Vedova porta le ceneri al negozio

 in sottofondo  Enzo Jannacci, Cochi e Renato - Ho Visto un Re!  
da  l'unione  sarda  del  17\11\2014


Il contratto era stato rescisso, ma la donna continuava a ricevere le bollette della T-Mobile. Succede nel Regno Unito. 


Era stanca di ricevere ingiunzioni di pagamento da parte della compagnia telefonica in merito a una linea telefonica intestata al marito morto e ha quindi portato le ceneri del defunto al negozio.
Succede nel Regno Unito, a Tongwynlais: Maria Raybould (  a  destra  )
  resta vedova lo scorso agosto, dopo che suo marito muore di cancro all'età di 57 anni. Tra le pratiche da sbrigare, il figlio della coppia rescinde il contratto con la T-Mobile con la quale il padre aveva un abbonamento da 26 sterline al mese. Qualcosa però va storto, e la compagnia continua a inviare le bollette, minacciando anche l'impiego di ufficiali giudiziari per recuperare il credito. Lei allora ha un'idea: "Sono andata nel negozio con il certificato di morte, la lettera del forno crematorio, i conti del funerale e persino le sue ceneri", ha raccontato al Daily Mirror. "Uscita dal negozio ho anche avuto una crisi di panico e ho dovuto prendere delle medicine". La compagnia non si arrende, e invia lettere di ingiunzione affinché venga pagato il debito di 129 sterline. Quando però la vicenda si diffonde sulla stampa, chiede scusa alla signora: "Possiamo confermare che il conto è stato chiuso e il debito cancellato", ha confermato un portavoce dell’azienda alla stampa anglosassone.


oppure  fare  come  


e fare impazzire   loro come fanno impazzire  noi  e fregarcene  se   ci scabino per  tipi strani , strampalati o matti  .  Perché  <<  Quando si parla di pazzia nel senso di diverso, nel senso di chi sta al di fuori delle regole, è necessaria una distinzione tra la "follia" della genialità e quella della scemenza.>>(  Immacolata  Ziccanu

La vicenda dei 4 fucilati della 109° compagnia alpini, VII° reggimento, battaglione Arvenis [ il caso Ortis ]





In questo quadriennio di centenari    del  primo confltto mondiale   per  evitare  che  la memoria  \  il ricordo diventi strumentalizzazione   e  gli eventi  aiano ricordati   solo  in maniera retorica   d  con un l'esaltazione nazionalistica (  uno dei fattori  se  non il  più  importante    che    ha  portato  non solo  alla grande  guerra   ma  a tutto  quello  che  n'è derivato cioè  fascismi  , nazismi  ,  guerra  fredda  , ecc  )  inaugurerò una serie  di post   , interviste  comprese   su tale periodo   ,  raccontando in particolare  storie  a margini   come   quella  dei 4  fucilati  della 109° compagnia alpini, VII° reggimento, battaglione Arvenis e  il  caso  Ortis    in quanto  

                                          La  storia  siamo  noi  - francesco de  Gregori
(...) 
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
 siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.
 E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia)
 quando si tratta di scegliere e di andare,
 te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
 che sanno benissimo cosa fare.
 Quelli che hanno letto milioni di libri
 e quelli che non sanno nemmeno parlare,
 ed è per questo che la storia dà i brividi,
 perchè nessuno la può fermare.
 La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
 siamo noi, bella ciao, che partiamo.
 La storia non ha nascondigli,
 la storia non passa la mano.


Perché  come  ho già detto  precedentemente in vari post  di questo blog   e   liberandoci  degli ultimi tabù   che   si potrà  chiudere  una ferita  ancora  aperta   e  arrivare  ad una memoria  condivisa
Inizio  a    parlare  del caso Ortis  ne  ho già raccontato per  sommi capi la storia    qui  in  un precedente  post       e  attraverso i link
Rporto   da   altri due  siti la  storia   
Silvio Ortis
Nato a Paluzza , in Carnia, Silvio Ortis, giovane muratore senza istruzione, partecipò alla guerra di Libia dove fu decorato con due medaglie al valor militare. Scoppiata la guerra fu arruolato negli alpini e combattè sul fronte carnico non lontano da suo paese. Per aver discusso, da conoscitore della montagna e sopratutto della zona di operazioni, un ordine d'attacco suicida impartito da un suo superiore, fu condannato a morte per rivolta e fucilato il primo Luglio 1916 assieme ad altri tre suoi commilitoni, Basilio Matiz di Timau, Giovan Battista Coradazzi di Forni di sopra e Angelo Massaro di Maniago, dopo un processo sommario condotto con spietata freddezza. Sulla sua memoria e sulla sua famiglia restò per troppo tempo il disonore della condanna. La riabilitazione richiesta da un suo discendente nel 1990, fu respinta delle autorità competenti . perchè "non richiesta dall'interessato" cioè da Ortis stesso!! Ma la battaglia giudiziaria non si fermò e sotto la spinta dell'opinione pubblica del paese nel Luglio del 2000 la Commissione Difesa del Senato ha annunciato la revisione del processo. Il 30 giugno 1996 a Cercivento in provincia di Udine, fu posto un cippo per ricordare i fucilati i cui nomi non avevano trovato posto sulle lapidi ufficiali dei caduti.


La vicenda della 109° compagnia alpini, VII° reggimento, battaglione Arvenis, consumatasi sul Cellonkofel a ridosso dei più famosi e conosciuti Pal Piccolo e Pal Grande viene così succintamente ricordata da Walter Schaumann:"Dopo l'attacco senza esito del 25 giugno, la compagnia d'alpini (109°) che occupava la cima Ovest del Cellon, si sarebbe rifiutata di ripetere un altro attacco, considerato dalla truppa, puro e semplice atto suicida. La compagnia fu tolta da lì, punita con grande severità (i quattro fucilati di Cercivento) e furono altri reparti ad espugnare il Cellon in mezzo alla nebbia".
Per una lettura più approfondita sulla vicenda si consiglia il bel libro di Maria Rosa Calderoni "La fucilazione dell'alpino Ortis" Ed. Mursia
Del fatto è stata ultimamente (A.2003) fatta anche un'opera teatrale : Prima che sia giorno di Carlo Tolazzi 

il secondo    http://www.cjargne.it/ortis.htm





Storia di un alpino morto ammazzato
recensione di Marino Plazzotta

Noi Carnici siamo sempre stati incapaci di protestare.
Nella nostra storia recente non esiste cronaca di gesti di protesta
.


Che quest'evento sia straordinario lo dimostra l'uscita del libro della giornalista Maria Rosa Calderoni "La fucilazione dell'alpino Ortis", edizioni Mursia-Milano, dove si racconta con documentazioni, testimonianze e ragionamenti comprensibili e ben argomentati, la triste storia dei quattro alpini Basilio Matiz di Timau, Corradazzi Giobatta di Forni, Massaro Angelo di Maniago, assieme ad Ortis Silvio di Paluzza, che benchè innocenti, in quel primo luglio 1916 finirono morti ammazzati condannati con l'infamante accusa di "rivolta in armi".
Un cippo eretto in un piccolo comune della Carnia in memoria di quattro soldati finiti davanti al plotone d'esecuzione, è davvero oltre che uno straordinario gesto di protesta, nata dal basso, un fatto unico in Italia, in Europa e probabilmente nel mondo. Sancisce e diviene testimone, sentenza, di una condanna alla condanna!
Un vero atto di protesta, il primo in assoluto che si sia riusciti ad esprimere in Carnia.
Ciò ha dato molto fastidio all'ufficialità militare codificata ed all'"ordine costituito", al punto da indurre il presidente dell'Associazione Nazionale Alpini, sezione di Tolmezzo, a "diffidare" i soci di Cercivento che avevano presenziato alla cerimonia.
La partecipazione a quella cerimonia di alcune penne nere paesane, cui la tradizione orale ha trasmesso il ricordo della agghiacciante "ingiustizia militare" tragicamente subita dai quattro alpini, è stata ritenuta "inaudita" e complice di quanti "strumentalizzano episodi non certo gloriosi per denigrare le forze armate".
Nonostante le retoriche proteste, finalmente, quei quattro nomi dimenticati, anzi nemmeno inseriti negli elenchi ufficiale dei caduti (i passati per le armi, condannati da un tribunale militare, non hanno diritto ad alcuna memoria) trovavano un semplice, anche se tardiva e simbolica riabilitazione , in attesa di quella ufficiale .
Probabilmente per una singolare coincidenza quei quattro nomi passarono sotto gli occhi della giornalista Calderoni che si incuriosì prima, poi si appassionò alla vicenda.
Iniziò un'indagine meticolosa. Venne su, da Roma, più volte in Carnia. Conobbe ed intervistò i pochi rimasti con la "memoria storica" dell'episodio. Scoprì il marchio della vergogna con cui quattro famiglie erano vissute per più di cinquanta anni e i nipoti cui furono rifiutate le domande di entrare nella Guardia di Finanza o dei Carabinieri. Incontrò Mario Flora che sulla base d'alcuni documenti processuali rinvenuti per caso in un mercatino di Parigi da Gian Paolo Leschiutta, ostinatamente cercava e cerca una riabilitazione per il prozio e i suoi compagni di sventura . Prese coscienza della miseria che segna questa terra bella, ma sfortunata. Il paesaggio carnico nasconde l'anima di un popolo che ha girato il mondo. Il suo breve orizzonte incita e spinge ad emigrare, a cercare spazi anche se ciò, spesso , significa sofferenza e cocenti lacrime.
Si rese conto di che cosa è stata l'emigrazione che trovava sfogo allora (1900-1916) anche nella vicina Carinzia , prospiciente a quelle postazioni sul monte Celledon, sul Pal Piccolo, Pal Grande e Freikofel , da dove alcuni alpini avrebbero dovuto, improvvisamente ed inspiegabilmente, cominciare a sparare per uccidere quelli che fino al giorno prima erano o amici o compagni di lavoro. Sintetizza la Calderoni: " per noi carnici era tutto il mondo che andava sottosopra e non sapevamo perché".
Capì che cosa significasse avere una mucca in stalla ed un maiale nel porcile: una banca per queste nostre povere famiglie!
Imparò parole nuove per lei come "mandi" o "scior santul". Provò ad infilare i "scarpez" e si fece fare il "frico di cartufules".
Poi si mise al lavoro ed oggi ci presenta la sua opera che in sé rappresenta una riabilitazione dignitosa, sebbene non ufficiale, per i parenti di Silvio Ortis.
La vicenda della 109° compagnia alpini, VII° reggimento, battaglione Arvenis, consumatasi sul Cellonkofel a ridosso dei più famosi e conosciuti Pal Piccolo e Pal Grande viene così succintamente ricordata da un Austriaco, studioso della Grande Guerra, Walter Schaumann: "Dopo l'attacco senza esito del 25 giugno, la compagnia d'alpini (109°) che occupava la cima Ovest del Cellon, si sarebbe rifiutata di ripetere un altro attacco, considerato dalla truppa, puro e semplice atto suicida. La compagnia fu tolta da lì, punita con grande severità (i quattro fucilati di Cercivento) e furono altri reparti ad espugnare il Cellon in mezzo alla nebbia".
Quella triste storia rimossa oltre che dai responsabili anche da quasi tutti i paesani, rivive nelle righe scritte dalla Calderoni con partecipazione e sincero desiderio che si faccia "giustizia" e venga finalmente fuori la verità. Nella presentazione al libro, lo storico Pietro Barcellona dice una cosa che mi ha colpito: "I soldati morti in guerra sono sempre vittime innocenti". Questa perentoria affermazione che condivido, rende ancora più drammatica e tragica la fine di Silvio Ortis e dei suoi compagni, condannati, innocenti, da un tribunale di guerra che per dei valori inutili, diramati da circolari vuote ed insensate, ha imbastito un indegno processo celebratosi, ironia della sorte, dentro la piccola chiesa di Cercivento ed ha avuto una fulminea soddisfazione in uno spiazzo poco sopra il cimitero.
La Calderoni è riuscita perfino a capire lo stato d'animo di alcuni di noi nei confronti della Italia, mettendo in bocca ai nostri sfortunati paesani questa considerazione che forse è ancora attuale.: : "Un'Italia che per noi restava un paese mai visto e conosciuto e quella Roma che era come in capo al mondo, chissà dove. Un'Italia dalla quale non ci veniva niente, solo la leva, la guerra e le tasse; che non aveva tempo per curarsi di noi e ci lasciava abbandonati come era sempre stato; con il lavoro che come sempre, dovevamo andare a cercare fuori e… " , quella Roma che aveva mandato gli alpini, anche Ortis, a combattere nel deserto Libico, quella Roma che poi premiava lo stesso Ortis con due medaglie, una nel 1912 per la guerra Italo-Turca, l'altra nel 1915 in quella che, non si sa perché, è chiamata "guerra per l'unità". Le schede di approfondimento che fanno da appendice al libro, sono particolarmente utili proprio perché aiutano a capire il clima, l'ambiente, la miseria in cui si è svolto il fatto di cui si parla. In una di queste schede si ricorda che "quando moriva un mulo c'erano verbali e verbali da riempire, mentre, quando moriva un soldato, erano sufficienti poche righe". Del resto si sa che i muli sono sempre costati, mentre i soldati, soprattutto se montanari o contadini, no!
Davvero questo libro potrebbe aiutare tutti noi a non morire "stupidi" come quel capitano della 109°, Ciofi, pretendeva da quei quattro alpini " morti ammazzati".
Anche se la stupidità regna fra le burocratiche disposizioni di Roma, pensate che la riabilitazione dei quattro innocenti è "inammissibile", perché l'istanza di riabilitazione, ai sensi dell'art. 683 del codice P.P., "deve essere proposta dall'interessato"!
Siamo certi che la nostra gente riuscirà ad esprimere ai parenti quella solidarietà e comprensione che uno stato o una patria matrigna è stata e , molto probabilmente, sarà incapace di esprimere.
Forse qualche blocco stradale (uno), una manifestazione con il clero e l'allora vescovo di Zuglio Brollo, finita , come sempre, in chiacchiere, cioè senza nulla di fatto. Pure quando andiamo a votare noi Carnici siamo sempre ed inutilmente tradizionalisti. Anche il "non voto" si riduce ad una inutile protesta, sempre inutile, ma in particolare per noi che siamo rimasti cosi pochi. Un episodio, forse, è rappresentato dalla Lega Nord, che per una volta è riuscita a mandare a Roma, non per scodinzolare, un senatore delle nostre parti.
In uno scenario che vede svuotate case troppo grandi da riscaldare e paesi troppo piccoli per giustificare certi servizi, e canoniche vuote, scuole chiuse, suore ed asili scomparsi, osterie, tradizionali punti d'incontro degli uomini, svanite, unico gesto concreto di protesta, quasi eversivo, controcorrente, non omologabile, in un certo senso "straordinario" è quello tenacemente voluto e perseguito da Mario Flora. Egli è riuscito a far erigere un cippo sul luogo dove il suo prozio, l'alpino Silvio Ortis assieme ad altri tre commilitoni , è stato fucilato nel lontano 1° luglio 1916.

16.11.14

anche un vecchio oggetto crea nostalgia

anche   un   vecchio  oggetto  la mia  generazione  (  quella  del  '76    che  io  chiamo di mezzo  )  ha  conosciuto l'ultimo periodo    e  quelle  precedenti   l'inizio e  il  suo sviluppo  , può generare  ricordi

foto scattata  da me  ad  u mercatino  di paese

che lotta quando mettevano il lucchetto perchè all'epoca c'era la teleselezione o facevi ( esperienza personale ) chiamate ai numeri erotici intercontinentali  o al 144

15.11.14

sfruttare e deridere il maschilismo e l'abuso del corpo delle donne ( lo stesso si potrebbe fare per il corpo degli uomini )

Lo so  che non è bello ed  sa  di sfruttamento  del corpo  della  donna  .  ma  visto ormai  come   noi maschi allupati  (  compreso il sottoscritto a  cui  certa esibizione   del corpo   femminile  ,  nausea   per  la  sua  volgarità  )   siamo attirati  da un organo femminile  in questo caso le tette  ,  mi  sembra  utile . voi  che ne  pensate  ? 


Tette per la scienza: poco chic, molto efficace

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Si sa, spesso le scoperte scientifiche non trovano un adeguato bacino di utenza, specialmente sui social, dove è più divertente condividere l’oroscopo del giorno, gattini che giocano, gli highlights dell’ultima partita di calcio e… tette.                                         Qualcuno ha riflettuto bene sulla cosa e ha pensato di unire scienza e tette, in un binomio oserei dire “perfetto” per una facile e veloce condivisione. Unire scoperte scientifiche e forme femminili significa arrivare anche al ragazzino delle medie per il quale l’ora di scienza è paragonabile alla fase REM.                                                                   L’idea è venuta a Lara, una 30enne paleoantropologa  attiva nel web marketing e nella comunicazione, da sempre amante della scienza e dei social network. Lara ha deciso di “arrivare a tutti”, sfruttando il fenomeno delle foto con i cartelli su Tumblr, unendolo a scritte su base scientifica e abbondanti seni come sfondo: nasce così “Tette per la scienza” . Nei cartelli sorretti da tanta abbondanza si parla di celiachia, vaccini, OGM, prevenzione, tagli alla ricerca, scoperte scientifiche (tutto sorretto da dati certi e pubblicazioni, nulla di campato in aria, per intenderci). E pare proprio che la cosa funzioni, sembra il nuovo paradiso dei nerd ! In pratica, come dice la stessa Lara, l’obiettivo  è divulgare argomenti pesanti in modo leggero: “Il tutto nasce dalla constatazione che certi messaggi sembrano non riuscire a penetrare e che forse, come espediente, poteva essere interessante utilizzare una cornice esteticamente gradevole, che attirasse l’attenzione. Sono convinta di non essermi sbagliata più di tanto, poiché leggo molti messaggi di persone entusiaste, che commentano questo o quell’altro post scrivendo di aver appreso grazie a me cose che non sapevano”. “Dove non può la Ragione possono le puppe” dice lo slogan di Tumblr.                                                                                                            Poco etico? Abbastanza. Svilente per l’immagine della donna? Anche. Per una buona causa? Senza dubbio. Lo farei? No, e non solo perché le foto su Tumblr mi hanno scoraggiata non avendo abbastanza “sostanza”. In ultimo, funziona? Decisamente sì. Come spesso accade su internet: scelta poco chic, ma molto efficace.