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La guerra contro il Vaticano
del sacerdote senza parrocchiani
Governa una parrocchia senza parrocchiani nel centro storico di Genova. Una chiesa vuota, insomma. Che riempie di sbandati, quelli che nel Vangelo si chiamano ultimi. Visto che l'acustica è perfetta, ne approfitta anche per ospitare concerti di musica sacra che hanno avuto finora risonanza internazionale.
Raccontato così, sembrerebbe il profilo di un tranquillo e buon curato, a mezza strada tra Dio e gli altri
ma senza esagerare. In realtà Paolo Farinella è un bazooka umano. Ha dato molte preoccupazioni ai suoi vescovi e prosegue imperterrito sulla strada della disobbedienza. «Al contrario», dice lui, «resto un prete obbediente fino in fondo: sono loro che non rispettano le Scritture». Peccato però che le sue idee non coincidano con quelle della gerarchia ecclesiastica, peccato che rifiuti l'abito talare («perché dovrei travestirmi da donna?»), peccato che prenda iniziative da brivido. Mesi fa, per dirne una, ha presentato in Procura un esposto contro Silvio Berlusconi per attentato alla Costituzione. Aspetta di essere convocato per spiegare le sue ragioni.
Attenzione a non fraintendere: Paolo Farinella è un sacerdote vero, profondamente coerente fra idee e vita. Si richiama senza sosta ai principi della dottrina: nel frattempo spara a raffica contro i farisei del nostro tempo, contro la politica del Vaticano, contro «la degenerazione di tutti quelli che dicono sono cattolico ma non praticante».
Ce l'ha con l'industria che crea il bisogno e la paura per alimentare una fede sotto ricatto. La sua, intanto, resiste o vacilla? «La mia fede non resiste e non vacilla. Vive. Non posso essere prete senza essere Paolo, non posso essere Paolo senza essere prete».
La parrocchia di San Torpete (versione ligure di Saint Tropez) è un punto di riferimento per sacerdoti come don Gallo e mille altre voci di dissenso. Gliel'hanno affidata proprio per tenerlo a distanza di sicurezza, stringergli intorno una cintura sanitaria. «Ma non sanno di aver fatto di me un privilegiato: non avere parrocchiani mi lascia mano libera su molte iniziative». Si riferisce a due associazioni che aiutano disperati di ogni specie offrendo un tetto, un pasto e, se occorre, una buona parola.
Sessantaquattro anni, nato in Sicilia, Farinella è il secondo dei cinque figli di un muratore. Non sa dire quando abbia sentito la chiamata «per il semplice motivo che nella vita non volevo e non voglio essere altro. Anche se oggi fare il prete è una professione più che una consacrazione». Ha studiato a Genova, a Verona (Seminario per l'America latina), Milano, Gerusalemme (dove ha vissuto per cinque anni, aveva bisogno di «risciacquare i panni nel Giordano»).
Il suo esordio da sacerdote (nel 1972) è in missione sotto un ponte. «Ci viveva una vecchia barbona e il suo cagnolino. Provavo un senso di pena e di vergogna a tirar dritto e far finta di niente. Me li sono portati a casa tutt'e due». Biblista raffinato, affida la sua personalissima rivoluzione al rispetto delle Regole. Proprio per questo non sono mai riusciti ad emarginarlo del tutto. Sostiene, giusto per capirci, che un buon sacerdote cattolico debba essere necessariamente anticlericale «perché il clericalismo è un tentativo di imporre una visione religiosa con la forza. Un prete clericale è quanto di peggio possa capitare alla Chiesa». Nel 1999 ha scritto un romanzo: Habemus papam, Francesco .
La banca vaticana (Ior) è sotto inchiesta: se l'aspettava? «L'inchiesta arriva tardi. Doveva essere aperta già venti, trent'anni fa, ai tempi del cardinale Marcinkus, che la presiedeva. Lo Ior è l'inferno in terra, è stato certamente un covo di malaffare. Non è un caso che si sia apparentato con personaggi come Calvi, Sindona, Andreotti. Andrebbe chiuso. Il Vaticano non può avere banche».
Libera Chiesa in libero Stato: è questa la condizione dell'Italia di oggi? «Il problema dell'Italia è la presenza del Vaticano nel suo territorio. Il papa ha una duplice veste: successore di Pietro e Capo di Stato. Ne risulta un condizionamento evidente. L'Italia vive della protezione della Santa Sede».
In che senso? «Tanto varrebbe abolire il Parlamento e metter tutto nelle mani della Segreteria di Stato. Segreteria che da sempre ispira le leggi più significative e che il governo fa proprie. Non è una casualità che il cardinal Bertone e il cardinal Bagnasco, uno Segretario di Stato e l'altro presidente della Conferenza episcopale, non abbiano mai detto una parola sul comportamento di Silvio Berlusconi».
Ragioni di interesse. «È stato proprio il premier a dire che non varerà mai una legge sgradita al Vaticano. Ce ne siamo accorti quando si è parlato di testamento biologico, coppie di fatto, fine vita».
Perché ha contestato la beatificazione di Wojtyla? «L'ho vista come un'operazione di marketing per risollevare l'immagine della Chiesa, riempire le piazze di fedeli come ai vecchi tempi. C'era premeditazione anche nella scelta della data: primo maggio, festa dei lavoratori. Gliel'hanno scippata».
Non apprezza la figura di Giovanni Paolo II? «Non si tratta di gradire o non gradire. Papa Wojtyla è stato un uomo grandissimo, carismatico, capace di parlare a chiunque. Come Pontefice si è rivelato un vero disastro: ha affidato la Chiesa alle sette».
Attenzione a non fraintendere: Paolo Farinella è un sacerdote vero, profondamente coerente fra idee e vita. Si richiama senza sosta ai principi della dottrina: nel frattempo spara a raffica contro i farisei del nostro tempo, contro la politica del Vaticano, contro «la degenerazione di tutti quelli che dicono sono cattolico ma non praticante».
Ce l'ha con l'industria che crea il bisogno e la paura per alimentare una fede sotto ricatto. La sua, intanto, resiste o vacilla? «La mia fede non resiste e non vacilla. Vive. Non posso essere prete senza essere Paolo, non posso essere Paolo senza essere prete».
La parrocchia di San Torpete (versione ligure di Saint Tropez) è un punto di riferimento per sacerdoti come don Gallo e mille altre voci di dissenso. Gliel'hanno affidata proprio per tenerlo a distanza di sicurezza, stringergli intorno una cintura sanitaria. «Ma non sanno di aver fatto di me un privilegiato: non avere parrocchiani mi lascia mano libera su molte iniziative». Si riferisce a due associazioni che aiutano disperati di ogni specie offrendo un tetto, un pasto e, se occorre, una buona parola.
Sessantaquattro anni, nato in Sicilia, Farinella è il secondo dei cinque figli di un muratore. Non sa dire quando abbia sentito la chiamata «per il semplice motivo che nella vita non volevo e non voglio essere altro. Anche se oggi fare il prete è una professione più che una consacrazione». Ha studiato a Genova, a Verona (Seminario per l'America latina), Milano, Gerusalemme (dove ha vissuto per cinque anni, aveva bisogno di «risciacquare i panni nel Giordano»).
Il suo esordio da sacerdote (nel 1972) è in missione sotto un ponte. «Ci viveva una vecchia barbona e il suo cagnolino. Provavo un senso di pena e di vergogna a tirar dritto e far finta di niente. Me li sono portati a casa tutt'e due». Biblista raffinato, affida la sua personalissima rivoluzione al rispetto delle Regole. Proprio per questo non sono mai riusciti ad emarginarlo del tutto. Sostiene, giusto per capirci, che un buon sacerdote cattolico debba essere necessariamente anticlericale «perché il clericalismo è un tentativo di imporre una visione religiosa con la forza. Un prete clericale è quanto di peggio possa capitare alla Chiesa». Nel 1999 ha scritto un romanzo: Habemus papam, Francesco .
La banca vaticana (Ior) è sotto inchiesta: se l'aspettava? «L'inchiesta arriva tardi. Doveva essere aperta già venti, trent'anni fa, ai tempi del cardinale Marcinkus, che la presiedeva. Lo Ior è l'inferno in terra, è stato certamente un covo di malaffare. Non è un caso che si sia apparentato con personaggi come Calvi, Sindona, Andreotti. Andrebbe chiuso. Il Vaticano non può avere banche».
Libera Chiesa in libero Stato: è questa la condizione dell'Italia di oggi? «Il problema dell'Italia è la presenza del Vaticano nel suo territorio. Il papa ha una duplice veste: successore di Pietro e Capo di Stato. Ne risulta un condizionamento evidente. L'Italia vive della protezione della Santa Sede».
In che senso? «Tanto varrebbe abolire il Parlamento e metter tutto nelle mani della Segreteria di Stato. Segreteria che da sempre ispira le leggi più significative e che il governo fa proprie. Non è una casualità che il cardinal Bertone e il cardinal Bagnasco, uno Segretario di Stato e l'altro presidente della Conferenza episcopale, non abbiano mai detto una parola sul comportamento di Silvio Berlusconi».
Ragioni di interesse. «È stato proprio il premier a dire che non varerà mai una legge sgradita al Vaticano. Ce ne siamo accorti quando si è parlato di testamento biologico, coppie di fatto, fine vita».
Perché ha contestato la beatificazione di Wojtyla? «L'ho vista come un'operazione di marketing per risollevare l'immagine della Chiesa, riempire le piazze di fedeli come ai vecchi tempi. C'era premeditazione anche nella scelta della data: primo maggio, festa dei lavoratori. Gliel'hanno scippata».
Non apprezza la figura di Giovanni Paolo II? «Non si tratta di gradire o non gradire. Papa Wojtyla è stato un uomo grandissimo, carismatico, capace di parlare a chiunque. Come Pontefice si è rivelato un vero disastro: ha affidato la Chiesa alle sette».
Alle sette? «Ha dato forma giuridica all'Opus Dei, una struttura precisa a Comunione e liberazione, riconosciuto perfino quei Milites Christi guidati da un degenerato poi allontanato dalla Chiesa. Insieme all'allora cardinale Ratzinger ha falcidiato la Teologia della Liberazione: delle cinquantaseimila comunità di base del Brasile non è rimasta che terra bruciata».
Cosa condivide della politica di Ratzinger? «Non amo i papi che fanno politica. Il papa deve essere un pastore. Fossi in lui, viaggerei di continuo: per incontrare genti e problemi. Ma non in pompa magna, non con 50 discorsi preparati in anticipo e un seguito principesco».
Per questo ha scritto il romanzo su Francesco? «Sì. Ho immaginato che nel 2000, alla morte di un pontefice chiamato Stanislao I, il Conclave scelga un prete qualunque, Francesco. Da quel momento, spogliatosi dei beni che possiede, il nuovo papa smonta pezzo per pezzo il Vaticano per occuparsi solo dei fedeli».
Invece Benedetto XVI?
Cosa condivide della politica di Ratzinger? «Non amo i papi che fanno politica. Il papa deve essere un pastore. Fossi in lui, viaggerei di continuo: per incontrare genti e problemi. Ma non in pompa magna, non con 50 discorsi preparati in anticipo e un seguito principesco».
Per questo ha scritto il romanzo su Francesco? «Sì. Ho immaginato che nel 2000, alla morte di un pontefice chiamato Stanislao I, il Conclave scelga un prete qualunque, Francesco. Da quel momento, spogliatosi dei beni che possiede, il nuovo papa smonta pezzo per pezzo il Vaticano per occuparsi solo dei fedeli».
Invece Benedetto XVI?
«Sarà pure, come dice qualcuno, un teologo di prim'ordine. Io ho studiato i suoi due ultimi libri sulla figura di Gesù e francamente non lo trovo innovativo e tantomeno moderno. È un Gesù edulcorato il suo, che c'entra solo fino a un certo punto con quello del Vangelo».
Conclusione? «Ho la sensazione che Ratzinger non si sia aggiornato molto. Fino al '68 è stato un intellettuale originale e costruttivo, poi ha iniziato una lenta marcia indietro: per paura, credo».
Lei è dichiaratamente anti-Berlusconi e anti Lega. «Non sono anti. Il fatto è più complesso: c'è incompatibilità, tutto qui. Non si può essere berlusconiani o leghisti e dirsi contemporaneamente cristiani».
Perché? «Perché la loro politica non punta al bene comune, ingrassa su appetiti personali e interessi di parte, poggia su una presunta realtà padana che non esiste neppure sulle carte».
Il Pd, al contrario, è immacolato? «Prima di tutto, una domanda: il Pd esiste davvero? Detto questo, non ha la potenza mediatica ed economica di quello che io chiamo il Grande Corruttore. In ogni caso, nessun partito dell'opposizione ha manifestato tanta protervia o si è servito delle istituzioni in modo così sfacciato ed osceno».
Ecco perché ha scomodato un'enciclica in nome dell'insurrezione. «Io faccio ipotesi di scuola, non invito la gente a imbracciare il fucile. Nella Populorum progressio Paolo VI dice testualmente che in caso di tirannia evidente e prolungata, che attenti ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Paese, l'insurrezione è legittima».
Sta insinuando che la nostra non è una democrazia? «Esatto. Si sta imponendo una dittatura, stiamo andando verso un regime».
Fosse vero non ci sarebbe Santoro o giornali come Il Fatto. «Ho detto che stiamo andando verso un regime, non che ci siamo già. Se Santoro va avanti con la sua trasmissione televisiva è solo perché si è rivolto al giudice».
Aprire le porte della chiesa a tossici e prostitute è una provocazione? «Non è affatto una provocazione ma la vita che faccio da sempre. Se Gesù tornasse in terra, sono sicuro che non andrebbe nel nuovo seminario di Cagliari costruito coi soldi dei sardi e desolatamente vuoto. Non andrebbe certamente dal vostro vescovo, Giuseppe Mani che, nella veste di ordinario militare, è perfino generale di Corpo d'Armata».
Tra le gerarchie ecclesiastiche, c'è qualcuno che ammira? «Sì, due incidenti di percorso diventati cardinali per sbaglio: Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, che è stato anche mio vescovo a Genova. Voci illuminate nell'oceano di conservatorismo voluto Giovanni Paolo II».
È genovese, suo vicino di parrocchia, l'ultimo prete arrestato per pedofilia. «Siamo di fronte a un disturbo evidente e grave. Il pedofilo non ha consapevolezza di quello che fa perché è immaturo psichicamente...».
Non le pare che la pedofilia sia diventata una malattia professionale dei preti? «Lo è da sempre. È l'inevitabile il risultato di chi viene formato in un ambiente chiuso, tutto maschile. Nei seminari non c'è educazione sessuale, nulla di nulla. Quando escono, i giovani sacerdoti si ritrovano così in un mondo che non capiscono, che parla una lingua a loro sconosciuta».
E allora? «Si rifugiano tra i più fragili. Oggi il problema ha assunto dimensioni spaventose: bisogna reagire, bisogna affrontare la questione del celibato obbligatorio che non ha più ragion d'essere».
La crisi delle vocazioni è legata a questo? «Non credo. La pedofilia è uno dei tanti segnali che sollecita una svolta radicale. Occorre rinnovare la figura del prete: se ne metti uno per chiesa, certo che non bastano mai. Se invece ne fai un punto di collegamento per la comunità, il discorso cambia. Basti dire una cosa: se togliessero ai sacerdoti la gestione economica delle parrocchie, almeno due terzi abbandonerebbero l'abito talare».
Sicuro di essere prete e credente? «Dentro di me convive il credente e il miscredente. Sono relativista».
Il Papa lo considera un peccato. «Lo so. Purtroppo per lui però Dio è relativo e non assoluto, è la condizione più concreta e autentica per vivere la fede. L'assoluto lo scopriremo dopo la morte. Il dubbio deve restare».
Sempre? «Mi spiego: io, Dio non l'ho mai visto. Nessuno lo ha visto. Lo trovo nella gente che incontro, nella meraviglia del mondo, nella natura, nei poveri. Dunque non conosco l'Assoluto. Tutt'al più lo immagino».
Qual è oggi la via di salvezza di un buon cristiano? «Dare l'esempio, che vuol dire impegnarsi, pagare le tasse, non dimenticare mai il prossimo. Perché il prossimo, in fondo, siamo noi».
pisano@unionesarda.it