22.5.11

questa è la vera chiesa La guerra contro il Vaticano del sacerdote senza parrocchiani ma solo sbandati

  sull'unione  sarda  d'oggi  22 c.m  leggo  questo articolo

 

La guerra contro il Vaticano
del sacerdote senza parrocchiani


Governa una parrocchia senza parrocchiani nel centro storico di Genova. Una chiesa vuota, insomma. Che riempie di sbandati, quelli che nel Vangelo si chiamano ultimi. Visto che l'acustica è perfetta, ne approfitta anche per ospitare concerti di musica sacra che hanno avuto finora risonanza internazionale.

Raccontato così, sembrerebbe il profilo di un tranquillo e buon curato, a mezza strada tra Dio e gli altri 
ma senza esagerare. In realtà Paolo Farinella è un bazooka umano. Ha dato molte preoccupazioni ai suoi vescovi e prosegue imperterrito sulla strada della disobbedienza. «Al contrario», dice lui, «resto un prete obbediente fino in fondo: sono loro che non rispettano le Scritture». Peccato però che le sue idee non coincidano con quelle della gerarchia ecclesiastica, peccato che rifiuti l'abito talare («perché dovrei travestirmi da donna?»), peccato che prenda iniziative da brivido. Mesi fa, per dirne una, ha presentato in Procura un esposto contro Silvio Berlusconi per attentato alla Costituzione. Aspetta di essere convocato per spiegare le sue ragioni.
Attenzione a non fraintendere: Paolo Farinella è un sacerdote vero, profondamente coerente fra idee e vita. Si richiama senza sosta ai principi della dottrina: nel frattempo spara a raffica contro i farisei del nostro tempo, contro la politica del Vaticano, contro «la degenerazione di tutti quelli che dicono sono cattolico ma non praticante».
Ce l'ha con l'industria che crea il bisogno e la paura per alimentare una fede sotto ricatto. La sua, intanto, resiste o vacilla? «La mia fede non resiste e non vacilla. Vive. Non posso essere prete senza essere Paolo, non posso essere Paolo senza essere prete».
La parrocchia di San Torpete (versione ligure di Saint Tropez) è un punto di riferimento per sacerdoti come don Gallo e mille altre voci di dissenso. Gliel'hanno affidata proprio per tenerlo a distanza di sicurezza, stringergli intorno una cintura sanitaria. «Ma non sanno di aver fatto di me un privilegiato: non avere parrocchiani mi lascia mano libera su molte iniziative». Si riferisce a due associazioni che aiutano disperati di ogni specie offrendo un tetto, un pasto e, se occorre, una buona parola.
Sessantaquattro anni, nato in Sicilia, Farinella è il secondo dei cinque figli di un muratore. Non sa dire quando abbia sentito la chiamata «per il semplice motivo che nella vita non volevo e non voglio essere altro. Anche se oggi fare il prete è una professione più che una consacrazione». Ha studiato a Genova, a Verona (Seminario per l'America latina), Milano, Gerusalemme (dove ha vissuto per cinque anni, aveva bisogno di «risciacquare i panni nel Giordano»).
Il suo esordio da sacerdote (nel 1972) è in missione sotto un ponte. «Ci viveva una vecchia barbona e il suo cagnolino. Provavo un senso di pena e di vergogna a tirar dritto e far finta di niente. Me li sono portati a casa tutt'e due». Biblista raffinato, affida la sua personalissima rivoluzione al rispetto delle Regole. Proprio per questo non sono mai riusciti ad emarginarlo del tutto. Sostiene, giusto per capirci, che un buon sacerdote cattolico debba essere necessariamente anticlericale «perché il clericalismo è un tentativo di imporre una visione religiosa con la forza. Un prete clericale è quanto di peggio possa capitare alla Chiesa». Nel 1999 ha scritto un romanzo: Habemus papam, Francesco .
La banca vaticana (Ior) è sotto inchiesta: se l'aspettava? «L'inchiesta arriva tardi. Doveva essere aperta già venti, trent'anni fa, ai tempi del cardinale Marcinkus, che la presiedeva. Lo Ior è l'inferno in terra, è stato certamente un covo di malaffare. Non è un caso che si sia apparentato con personaggi come Calvi, Sindona, Andreotti. Andrebbe chiuso. Il Vaticano non può avere banche».
Libera Chiesa in libero Stato: è questa la condizione dell'Italia di oggi? «Il problema dell'Italia è la presenza del Vaticano nel suo territorio. Il papa ha una duplice veste: successore di Pietro e Capo di Stato. Ne risulta un condizionamento evidente. L'Italia vive della protezione della Santa Sede».
In che senso? «Tanto varrebbe abolire il Parlamento e metter tutto nelle mani della Segreteria di Stato. Segreteria che da sempre ispira le leggi più significative e che il governo fa proprie. Non è una casualità che il cardinal Bertone e il cardinal Bagnasco, uno Segretario di Stato e l'altro presidente della Conferenza episcopale, non abbiano mai detto una parola sul comportamento di Silvio Berlusconi».
Ragioni di interesse. «È stato proprio il premier a dire che non varerà mai una legge sgradita al Vaticano. Ce ne siamo accorti quando si è parlato di testamento biologico, coppie di fatto, fine vita».
Perché ha contestato la beatificazione di Wojtyla? «L'ho vista come un'operazione di marketing per risollevare l'immagine della Chiesa, riempire le piazze di fedeli come ai vecchi tempi. C'era premeditazione anche nella scelta della data: primo maggio, festa dei lavoratori. Gliel'hanno scippata».
Non apprezza la figura di Giovanni Paolo II? «Non si tratta di gradire o non gradire. Papa Wojtyla è stato un uomo grandissimo, carismatico, capace di parlare a chiunque. Come Pontefice si è rivelato un vero disastro: ha affidato la Chiesa alle sette».
Alle sette? «Ha dato forma giuridica all'Opus Dei, una struttura precisa a Comunione e liberazione, riconosciuto perfino quei Milites Christi guidati da un degenerato poi allontanato dalla Chiesa. Insieme all'allora cardinale Ratzinger ha falcidiato la Teologia della Liberazione: delle cinquantaseimila comunità di base del Brasile non è rimasta che terra bruciata».
Cosa condivide della politica di Ratzinger? «Non amo i papi che fanno politica. Il papa deve essere un pastore. Fossi in lui, viaggerei di continuo: per incontrare genti e problemi. Ma non in pompa magna, non con 50 discorsi preparati in anticipo e un seguito principesco».
Per questo ha scritto il romanzo su Francesco? «Sì. Ho immaginato che nel 2000, alla morte di un pontefice chiamato Stanislao I, il Conclave scelga un prete qualunque, Francesco. Da quel momento, spogliatosi dei beni che possiede, il nuovo papa smonta pezzo per pezzo il Vaticano per occuparsi solo dei fedeli».
Invece Benedetto XVI?

«Sarà pure, come dice qualcuno, un teologo di prim'ordine. Io ho studiato i suoi due ultimi libri sulla figura di Gesù e francamente non lo trovo innovativo e tantomeno moderno. È un Gesù edulcorato il suo, che c'entra solo fino a un certo punto con quello del Vangelo».
Conclusione? «Ho la sensazione che Ratzinger non si sia aggiornato molto. Fino al '68 è stato un intellettuale originale e costruttivo, poi ha iniziato una lenta marcia indietro: per paura, credo».
Lei è dichiaratamente anti-Berlusconi e anti Lega. «Non sono anti. Il fatto è più complesso: c'è incompatibilità, tutto qui. Non si può essere berlusconiani o leghisti e dirsi contemporaneamente cristiani».
Perché? «Perché la loro politica non punta al bene comune, ingrassa su appetiti personali e interessi di parte, poggia su una presunta realtà padana che non esiste neppure sulle carte».
Il Pd, al contrario, è immacolato? «Prima di tutto, una domanda: il Pd esiste davvero? Detto questo, non ha la potenza mediatica ed economica di quello che io chiamo il Grande Corruttore. In ogni caso, nessun partito dell'opposizione ha manifestato tanta protervia o si è servito delle istituzioni in modo così sfacciato ed osceno».
Ecco perché ha scomodato un'enciclica in nome dell'insurrezione. «Io faccio ipotesi di scuola, non invito la gente a imbracciare il fucile. Nella Populorum progressio Paolo VI dice testualmente che in caso di tirannia evidente e prolungata, che attenti ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Paese, l'insurrezione è legittima».
Sta insinuando che la nostra non è una democrazia? «Esatto. Si sta imponendo una dittatura, stiamo andando verso un regime».
Fosse vero non ci sarebbe Santoro o giornali come Il Fatto. «Ho detto che stiamo andando verso un regime, non che ci siamo già. Se Santoro va avanti con la sua trasmissione televisiva è solo perché si è rivolto al giudice».
Aprire le porte della chiesa a tossici e prostitute è una provocazione? «Non è affatto una provocazione ma la vita che faccio da sempre. Se Gesù tornasse in terra, sono sicuro che non andrebbe nel nuovo seminario di Cagliari costruito coi soldi dei sardi e desolatamente vuoto. Non andrebbe certamente dal vostro vescovo, Giuseppe Mani che, nella veste di ordinario militare, è perfino generale di Corpo d'Armata».
Tra le gerarchie ecclesiastiche, c'è qualcuno che ammira? «Sì, due incidenti di percorso diventati cardinali per sbaglio: Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, che è stato anche mio vescovo a Genova. Voci illuminate nell'oceano di conservatorismo voluto Giovanni Paolo II».
È genovese, suo vicino di parrocchia, l'ultimo prete arrestato per pedofilia. «Siamo di fronte a un disturbo evidente e grave. Il pedofilo non ha consapevolezza di quello che fa perché è immaturo psichicamente...».
Non le pare che la pedofilia sia diventata una malattia professionale dei preti? «Lo è da sempre. È l'inevitabile il risultato di chi viene formato in un ambiente chiuso, tutto maschile. Nei seminari non c'è educazione sessuale, nulla di nulla. Quando escono, i giovani sacerdoti si ritrovano così in un mondo che non capiscono, che parla una lingua a loro sconosciuta».
E allora? «Si rifugiano tra i più fragili. Oggi il problema ha assunto dimensioni spaventose: bisogna reagire, bisogna affrontare la questione del celibato obbligatorio che non ha più ragion d'essere».
La crisi delle vocazioni è legata a questo? «Non credo. La pedofilia è uno dei tanti segnali che sollecita una svolta radicale. Occorre rinnovare la figura del prete: se ne metti uno per chiesa, certo che non bastano mai. Se invece ne fai un punto di collegamento per la comunità, il discorso cambia. Basti dire una cosa: se togliessero ai sacerdoti la gestione economica delle parrocchie, almeno due terzi abbandonerebbero l'abito talare».
Sicuro di essere prete e credente? «Dentro di me convive il credente e il miscredente. Sono relativista».
Il Papa lo considera un peccato. «Lo so. Purtroppo per lui però Dio è relativo e non assoluto, è la condizione più concreta e autentica per vivere la fede. L'assoluto lo scopriremo dopo la morte. Il dubbio deve restare».
Sempre? «Mi spiego: io, Dio non l'ho mai visto. Nessuno lo ha visto. Lo trovo nella gente che incontro, nella meraviglia del mondo, nella natura, nei poveri. Dunque non conosco l'Assoluto. Tutt'al più lo immagino».
Qual è oggi la via di salvezza di un buon cristiano? «Dare l'esempio, che vuol dire impegnarsi, pagare le tasse, non dimenticare mai il prossimo. Perché il prossimo, in fondo, siamo noi».
pisano@unionesarda.it
 di GIORGIO PISANO

Una "sin papeles" recibió un doctorado honoris causa en Estados Unidos quando in italia ?

dalle pagine  del http://www.clarin.com/mundo/
del   20/05/11 - 16:16

 
Tiene 26 años y aunque se graduó de trabajadora social no puede ejercer porq del  ue no tiene documentos. Una universidad de California la distinguió y pide por "la legalización de estudiantes como ella''.


Estudió con mucho esfuerzo. Y casi no faltó a clases. Cada día, Isabel Castillo, una inmigrante ilegal que vive en Estados Unidos, salió de la casa rodante en la que vive para ir a la universidad. Y lo logró. Se recibió con honores de trabajadora social. Sin embargo, esta mexicana de 26 años no puede ejercer su profesión y se ve obligada a trabajar en bares y restaurantes. Es que por ser una "sin papeles" no puede hacer lo que le gusta. En reconocimiento a su enorme dedicación, hoy, otra universidad le otorgó un doctorado honoris causa.
La Universidad de San Francisco le entregó el doctorado en letras honoris causa por su militancia en favor del proyecto de ley llamado Dream Act, que busca que se le otorgue la residencia legal a los estudiantes como ella, que fueron traídos al país ilegalmente por sus padres cuando eran niños.
"Estoy impresionado con la manera como pone en riesgo su vida al abogar abiertamente por la aprobación del Dream Act'', dijo el rector de la Universidad de San Francisco Stephen A. Privett.
"Es una joven muy segura y osada, brillante, comprometida con la vida, que le ha truncado las oportunidades debido a una prohibición ridícula', disparó Privett.
"Honramos a Isabel para llamar la atención de la comunidad a esta propuesta que apoyamos y que pide la legalización de estudiantes como ella'', señaló el rector de la universidad fundada en 1855.
La historia de Castillo como inmigrante ilegal comenzó en 1991, cuando tenía seis años. Ella y sus padres, procedentes de Michoacán (México), ingresaron ilegalmente en Estados Unidos en auto. Se instalaron en una casa rodante y la necesidad hizo que Isabel tuviera que trabajar desde muy chiquita ayudando a su mamá a vender tacos.
"Siempre ha sido ahorrativa. Desde que tenía cinco o seis años. Así ha juntado dinero para pagar sus estudios y, claro, también le ayudaron, pero ella hizo lo demás'', dijo Amparo Saldivar, su mamá. "Por eso me da tristeza que no pueda trabajar en lo que estudió, porque ha sufrido mucho''.
En su humilde casa rodante, Isabel desarrolló el espíritu dinámico y servicial que luego le ayudarían como activista y estudiante en la Universidad Menonita Eastern.
"Es dinámica, muy activa, estricta. Le gustan las cosas bien hechas y no le gustan las injusticias'', dijo su madre. "Es inteligente y la alegría de sus amigos y cuando tenemos fiesta, es el centro de la fiesta''.
En Harrisonburg (Virginia) donde vive, la joven se graduó de la secundaria Turner Ashby y decidió seguir estudiando, sabiendo que difícilmente podría ejercer su profesión al no tener papeles.
"Ha sido difícil pero no tengo miedo porque no soy un delincuente", dijo Isabel, que trabaja de moza los fines de semana. "Si me deportaran sería como regresarme a un país extraño porque este país es mi hogar''.
Para ahorrar dinero para la universidad, Isabel trabajó como moza 13 horas por día, de 9 de la mañana a 10 de la noche, seis días a la semana, durante todo un año después de terminar la secundaria. Y los domingos trabajó de 9 a 15. Luego de tres años y medio, se graduó con altos honores como trabajadora social.
En ese tiempo no dejó de servir. Durante 30 horas a la semana se siguió poniendo su uniforme de moza. También perdió el miedo y pidió becas a empresarios e iglesias. "Tuve la ayuda de la comunidad y de profesores. Pero tuve que pelear por mí misma y pedir ayuda y becas'', contó.
"Siendo bilingüe, siempre me ha gustado ayudar a la comunidad, más que nada por experiencia propia, al ver lo difícil que es para un inmigrante vivir aquí, sin conocer el país, la cultura, el idioma'', explicó Isabel.
Como no pudo conseguir trabajo en su campo, se fue a vivir con su hermana mayor Laura y su hijo Alexis en una casa rodante. Y volvió a trabajar en bares y restaurantes. También fue cajera e intérprete y gestora de documentos para inmigrantes.
"A veces llevaba gente a las oficinas de Inmigración. Qué irónico, ¿no? Es un poco loco. Yo que no tengo papeles llevando a gente a Inmigración. Pero no tengo miedo, quizás por eso hago lo que hago'', dijo. "Lo que va a pasar, va a pasar. No soy delincuente y no tengo por qué esconderme''.
Aunque se graduó en el 2008, recién la semana pasada fue a buscar su título. "Acabo de recoger mi diploma, después de tres años. No podía recogerlo hasta pagar todo y hoy hice el último pago'', contó Isabel el viernes pasado.
En octubre de 2009 creó en donde vive un grupo pequeño de "dreamers" (soñadores), como se hacen llamar los jóvenes indocumentados que podrían beneficiarse del Dream Act. Son unos 65.000 ilegales que se reciben cada año.
El año pasado, durante una reunión comunitaria, Isabel logró hablar con el gobernador de Virginia, Bob McDonnell, un republicano que impulsa duras políticas contra los indocumentados.
También ha liderado manifestaciones en la capital del país y ha declarado como inmigrante ante un subcomité de la Cámara baja del Estado de Virginia.
"Pedimos firmas en favor del Dream Act aquí en Harrisonburgh y cientos de personas firmaron. Las presentamos ante el concejo municipal y aprobaron una resolución unánime en favor del Dream Act'', recordó. "También hicimos la primera marcha en favor de inmigrantes en Harrisonburgh y llegaron más de 300 personas, y este es un pueblo muy conservador. Fue un gran logro para nosotros''.
Ahora se dedica a promover el Dream Act hablando sobre su vida, los obstáculos que tuvo que superar y las oportunidades que está perdiendo por no tener documentos.
La vida de Isabel y su militancia son una inspiración para otros "dreamers'' como Iván Soto, de 18 años, amigo de Castillo que va a la misma secundaria donde ella se graduó.
"Estoy tan motivado, tan animado por ella. Si ella lo pudo hacer, yo también lo puedo hacer. Me da energía para pelear por una buena causa y seguir adelante'', dijo el estudiante, quien quiere seguir la carrera de Administración de Empresas o Informática.
Para obtener los beneficios del Dream Act, los indocumentados jóvenes deben tener un diploma de secundaria o equivalente, y haber cursado dos años en una institución educativa superior o alistarse en las Fuerzas Armadas. Deben también haber tenido menos de 16 años cuando llegaron a Estados Unidos.
Si aprobaran el Dream Act o legalizara su estatus migratorio -ha solicitado la residencia a través de su padrastro- Isabel dice que le gustaría cursar una maestría.
"Si no sigo estudiando –explicó Isabel- es porque no tengo dinero y no dan becas para maestrías. Mientras tanto, a seguir peleando por el Dream Act

20.5.11

metamorfosi


 mentre  il  cd incanna  nello stereo diffonde loe note  di questa  canzone 


ùMi ritorna  a mente  questo passo del libri che sto rileggendo  .il giorno del giudizio di sebastiano Satta


Le difficoltà che trovo  che rovo in questo ritorno al passato  è quella di mantenere  le prospettive  . E vi si capisce il perché : ogni uno di noi , anche se  si limita  a guardare  in se stesso, si vede nella fissità di un ritratto , non nella successione dell’esistenza .La successione / vita  è una trasmissione continua  ed è pressoché impossibile  cogliere e fermare gli attimi di questa trasformazione .Sotto questo profilo, si può dubitare  del nostro stesso esistere , o la nostra realtà  è solo nella morte  .La storia , poi  ovviamente dipende da  noi  se  vivere  come monumento o  come qualcosa  di dinamico  è un museo delle cere

p.s
i  corsivi  e  i link  sono miei

concludo con questo  post  preso dala mia bacheca , non mi ricordo chi lo ha scritto    di facebook


Metamorfosi

L'Anima elevata vive in un corpo umano, ma si è comportata come una farfalla. Ha trascorso una fase della sua vita nei luoghi più bassi dell'Essere, avvolta nel suo bozzolo sicuro. Poi ha deciso di mettere in atto una metamorfosi spirituale. Ha distrutto il bozzolo con dolore, tenacia e coraggio, ricordando il motivo per il quale era destinata alla sua vita. Ha respirato aria nuova e ha preso il volo. L'Anima elevata riporta le cicatrici di quel passaggio, ma sa che sono solo i segni di una lotta vinta. (V. Suyren) 

conforme a chi conforme a cosa ?

per  chi non la  vedesse  la  trova  qui in file pdf oppure  cercando nell'archivio  di D ( http://periodici.repubblica.it/d/ ) la  rubrica di Galimberti   del n 742

 tale articolo mi  conferma  che la mia strada intrapesa   da  quando ascoltai  questa  canzone




Fanculo all'ipocrisia  e al conformismo a tutti i costi

19.5.11

Maktub.di http://www.lucyvansaint.com/blog/


Salam ‘alaykum gente! Che in arabo è in pratica il saluto principale. Significa “pace a te”.
Nel mio caso, mica tanta pace visto che tornai ieri dal Marocco con la dissenteria. Non vi dico che bellezza! Vabbè, cose che capitano in questo tipo di viaggi.
Vi lascio le mie impressioni su Fez e sul Marocco.
I MAROCCHINI NON VANNO TANTO PER IL SOTTILE: diciamo che di questa cosa ho cominciato a farmene un’idea già seduta sull’aereo che mi portava a Fez. Dietro di me c’erano tre marocchini che per due ore e mezzo di fila non hanno fatto altro che parlare fra loro in arabo urlando e dandomi calci dietro al sedile. Una goduria. Quando poi arrivi lì e vedi che nella medina di Fez ci sono teste di capra gocciolanti su banchetti improvvisati senza frigorifero, accompagnati da cervelli, lumache, interiora varie il tutto esposto in bella vista con le mosche che gli girano attorno capisci che tu, occidentale abituato al frigorifero, non resisterai molto tempo a quella vista e a quella puzza. Grazie santa amuchina di avermi salvato almeno un po’.
Idem dicasi per gli sguardi maschili… che, siccome lì le donne sono per la maggior parte tutte coperte, e i turisti sono pochi ti guardano come se fossi un pezzo di carne appeso al macello. Meno male che avevo gli occhiali da sole e non sono andata in giro scollata. In ogni caso hanno comunque tentato di comprarmi per 1000 dromedari.
I MAROCCHINI AMANO LE SPEZIE: avevo l’odore di cumino e di menta che mi usciva da tutte le parti. E a questo punto credo che amino le spezie appunto perchè hanno imparato ad usarle per conservare i cibi, vista la scarsissima igiene e il caldo africano.
Alla fin fine il cibo marocchino è buono però non è che si siano inventati niente di che. Voglio dire il tajine è semplicemente una sorta di spezzatino arricchito con le spezie.
E il cous cous? Molto meglio quello freddo che facciamo noi in estate. Insomma a un certo punto io anelavo un bel piatto di spaghetti. Pur tuttavia loro sono molto gentili, molto ospitali, il Riad dove stavamo era bello seppur mal tenuto. I Riad sono ex case nobili trasformate in guest-house. Sono bellissime, con arredamento arabo e il nostro aveva persino il wi-fi gratuito.
LA MEDINA DI FEZ: si tratta di un dedalo di stradine piccole e tortuose all’interno della città vecchia dove gli abitanti di Fez hanno il suk, il mercato. Se non hai una guida ti ci perdi sicuro. Così noi ci siamo fatti accompagnare da una guida locale anche per evitare le faux guides, i ragazzini che vogliono farti da guida per avere dei soldi in cambio e che non te li scolli di dosso se non sei insistente. Immaginate delle stradine tortuose piene di gente che cammina, asini carichi di roba (perchè le auto non ci passano),
banchi di frutta, verdura, carne, spezie in bella mostra e tutto ammucchiato, con odori non proprio piacevoli che si mescolano (visto che pure le fognature sono ridotte una schifezza e che i marocchini a mio parere non si lavano e hanno un concetto dell’igiene totalmente opposto al nostro). A questo seguono viuzze dove trovi i venditori di tappeti artigianali. Questi poveretti fanno stoffe, tappeti, sciarpe al telaio, guadagnano due lire e si fanno un mazzo così.
Stesso dicasi per le ceramiche. Quelle marocchine sono fatte a mano e sono bellissime e i poracci che le fanno lavorano tutto a mano per pochissimi soldi.
Tenete conto che 100 Diram marocchini equivalgono più o meno a 10 euro, per cui… Loro dicono “Maktub” cioè che tutto è scritto. Sarà… però allora il loro è un destino proprio beffardo.
LE CONCERIE: si tratta dell’attrazione più bella della medina di Fez. Vedendole nelle immagini di “O clone”, la serie brasiliana che in parte era ambientata a Fez, me le immaginavo come un luogo magnifico. Ebbene, sono bellissime e suggestive ma di magnifico non hanno nulla visto che le pelli di animali che vengono immerse nelle vasche delle tinture puzzano terribilmente (le guide ti danno dei rametti di menta da metterti sotto al naso per sfuggire l’odore) e perchè in queste vasche lavorano immersi nelle sostanze chimiche dei coloranti dei poveri disgraziati a cottimo per pochi Diram. Più pelli lavorano e più guadagnano.
IL RE E’ UNA POP STAR: è un po’ come il Grande Fratello di Orwell. La sua immagine sta dappertutto. Agli angoli delle strade principali, in tutti i negozi in cui entri, nei ristoranti, nei Riad. Ovunque. E tutti i marocchini si chiamano Mohammed come lui e come il profeta. In tre giorni noi abbiamo beccato un tassista, una guida, uno dei lavoratori all’interno del Riad, l’altro autista che ci ha portato nelle foreste nei dintorni di Fez… tutti che si chiamavano Mohammed. Peccato che lui sia ricco sfondato e abbia un palazzo reale in ogni città e che la maggior parte dei marocchini sia invece povera in canna.
ANCHE IL MAROCCO HA LA SUA SVIZZERA: si chiama Ifrane ed è un paesino che sta a sud di Fez, sulle montagne. Ci sono tutte casette con i tetti spioventi ben curati e d’inverno ci nevica parecchio. Fa impressione pensare che anche questo sia Marocco visto che sembrava di stare a Livigno più che in un paese africano.
I TAXI MAROCCHINI: sono sporchi, vecchissimi (vanno in giro con le Uno che noi usavamo 20 anni fa), cumulativi e si contratta per tutto. Innanzitutto devi contrattare il prezzo della corsa perchè quelli che hanno il tassametro sono pochissimi e poi può capitare che tu ti siedi dietro e poi davanti il tassista prenda anche un altro passeggero che deve fare la stessa tratta. A noi è capitato di dividere il taxi con un marocchino che poi abbiamo scoperto che parlava italiano e metà dell’anno viveva a Trento. Tra l’altro sono pochi quelli che a Fez parlano italiano, visto che non vedono molti turisti e se li vedono sono soprattutto francesi e spagnoli. Uno dei taxi su cui siamo saliti aveva percorso 800.000 km e ancora camminava!
LE DONNE: la maggior parte di loro, soprattutto nella città vecchia, vanno vestite alla marocchina, con tuniche e i capelli coperti dal velo. Niente braccia scoperte, niente gambe scoperte. Sono molto belle nel loro abito tradizionale. Pur dovendosi abbardare come delle carampane non perdono la femminilità quindi le vedi in giro che vanno a comprarsi i foulard colorati da mettersi in testa. Pur tuttavia quelle ricche e agghindate con gioielli e il kajal sugli occhi alla “O clone” non ci sono, se non quelle veramente ricche, ma di certo non se ne vanno in giro per la medina vecchia di Fez.
In ogni caso vale la pena di andare in Marocco almeno una volta nella vita. Gli edifici musulmani sono bellissimi,
i paesaggi attorno alla città sono proprio belli
e vedere un paese islamico fa un certo effetto. Avendo visto come sono le donne marocchine mi stupisco sempre di più del fatto che la ragazzina che ha scandalizzato l’Italia, Ruby Rubacuori, provenga da questo paese. Noi siamo troppo esagerati in un senso e loro forse in un altro. Chissà. Sta di fatto che, quando e semmai andrete in Marocco, state attenti perchè lui
vi guarda. Inshallah!

ma che c... se ne fa di tutti quei soldi Prende una pensione da 125mila euro al mese. Ma non gli bastano: chiede 20milioni di euro (e i danni morali)

a pagina 71 di Sanguisughe (  coprina  sotto ) di Mario  Giordano si legge  questa storia 

 

A pagina 71 di “Sanguisughe” racconto la storia di Antoine Bernheim,  ex presidente delle Assicurazioni Generali che nel luglio 2010 è andato in pensione con un vitalizio pari a 1,5 milioni di euro l’anno, cioè 125mila euro al mese, cioè 4100 euro al giorno (4100 euro al giorno, avete presente? In 24 ore prende quello che un pensionato al minimo prende all’incirca in un anno…). La superpensione non è pagata dall’Inps (il più ricco pensionato dell’Inps resta mister 90mila euro, Mauro Sentinelli) ma nasce da un accordo privato con la compagnia di Trieste, un accordo che prevede anche la reversibilità della pensione (al 60 per cento) e la conservazione di alcuni benefit (casa a Parigi e a Venezia con motoscafo, caso mai con 4mila euro al giorno mancassero gli spiccioli per il traghetto). Da notare che Antoine Bernheim, francese, quando arrivò in Italia attaccò il presunto “sfarzo mediterraneo” degli italiani… Meno male che c’è lui a insegnarci la sobrietà.
E a proposito di sobrietà:  veniamo ora a sapere che l’arzillo 87enne Bernheim non s’accontenta di 125mila euro al mese, 4 mila euro al giorno. Macché: appena ha saputo che il suo successore Cesare Geronzi ha intascato 16,7 milioni di euro per meno di un anno da presidente è andato su tutte le furie e ha chiesto alla Generali altri 20 milioni di euro cash. E il pagamento dei danni morali. Avete capito capito bene: prende 125mila euro al mese (4mila al giorno), ma non gli bastano. Vuole altri 20 milioni e i danni morali. Che ci resta da aggiungere?

 

 






 

 

 

 

 

 

 

17.5.11

alla spocchia dei ricchi nonare noi ? c'è mai fine . perchè .... se hai i soldi gli extra te li dobbiamo pagare noi ?

 dall'unione  sarda   del 15\5\2011

Porto Rotondo. 

Lite col 118, la madre del magnate della vodka rifiuta il ricoveroL'ambulanza per ricchi non c'è I russi pretendevano un soccorso di lusso: è polemica


 
Mercoledì mattina, la mamma ottantenne del magnate della vodka è stata male ma la centrale del 118 non ha inviato a Porto Rotondo l'ambulanza medicalizzata.
 
 I ricchi, si sa, sono abituati ad avere tutto e il meglio. Anche quando stanno male. In Sardegna, e questo forse loro non lo sapevano, i servizi pubblici non sono sempre al top e le risorse a disposizione non si possono sprecare. Ma alla famiglia Tariko di Mosca, che vive a Porto Rotondo quasi stabilmente, il concetto risultava troppo difficile da capire. E per questo, mercoledì mattina, quando la mamma del magnate è stata male, pretendevano che nella villa di Punta Volpe arrivasse un'ambulanza con medico a bordo. Non era necessario, secondo gli operatori della centrale del 118 di Sassari che hanno ricevuto la richiesta di soccorso per l'ottantenne. Un dottore, in realtà, si è anche presentato all'interno della tenuta di Roustam Tariko (uno dei più grossi produttori di vodka), ma una visita veloce è bastata a capire che l'anziana non aveva niente di grave.
L'AMBULANZA Valutata con attenzione la situazione, i responsabili del servizio di emergenza hanno deciso di non far arrivare l'ambulanza “medicalizzata” fino a Punta Volpe. Anche per evitare di lasciare scoperta la città Olbia per una situazione che non era particolarmente preoccupante. Tant'è vero che aver scaricato l'ira al telefono, lady Tariko ha persino rifiutato il ricovero.
IL PERSONAGGIO Tariko Roustam a Olbia lo conoscono tutti. Non solo perché grazie al suo intervento (finanziario) la squadra della città è stata salvata dal fallimento. Ma anche per altri gesti di grande generosità. Aveva promesso un assegno per aprire il museo, ma alla fine il Comune ha fatto da se. Ha portato in Russia, con il suo aereo, il sindaco e altri imprenditori per avviare nuovi accordi commerciali. Ora magari regalerà una nuova ambulanza.
Nicola Pinna

16.5.11

non cìè più rispetto delle nuove generazioni per i morti

Per evadere dall’atmosfera ancora luttuosa e dai ricordi che vengono su di mat  zia  materna  ( vedere postda parenti ed  amici di famiglia che telefonano o vengono a casa , dopo il letargo invernale  con la primavera  esco e riprendo a camminare più a lungo
Intendo  il camminare  anche  in senso  psicologico . Infatti  <<   l'utopia sta all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l'orizzonte   precedenti )si allontana di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai,ma  almeno ci provo  . A cosa serve l'utopia? A questo: serve a camminare. (Edoardo Galeano ) >> e come dice una mia compagna di strada  << soprattutto non ammette troppe soddisfazioni e questo non perchè io sia una "stacanovista" ma perchè per "tenere" un sogno, dentro di noi,ci impone di rafforzare in continuazione la nostra identità umana,solo così  "l'utopia " può trasformarsi lentamente ma realmente, nella realtà "nuova" che cerchiamo. Non ci sono alternative.>>
Ieri ho camminato  solitario e ramingo  come al solito  , sulla solita strada, stavolta nel senso inverso  )   fonte nuova - panoramica – casa . Stavolta cammino non tanto per i  soliti problemi di saluti  o perché a Mens sana in corpore sano (lett. mente sana in un corpo sano della  locuzione latina che   appartiene di Giovenale (Satire, X, 356,.ma per non essere oppresso dal ricordo e dai rimorsi del tempo perduto in mille  rivoli  \  interessi  . Cammino  su strade in salita con il vento dritto in faccia.
Assorto  nel mio  camminano , arrivo al monumento ai caduti  delle prime due  guerre mondiali  e mi viene  lo sconforto nel vedere , come alla polvere del tempo  e all’oblio  ( salvo le  retoriche ed ampollose celebrazioni ufficiali  del 4  novembre  ) ci sia da parte delle nuove generazioni ( dei bimbiminkia o filipilizzate)[1], è  ridotto tale monumento :  nomi cancellati e sostituiti  con altri di persone  in vita  o di bande  rivali   e  cosi via  vedere  foto  sotto .
Non dico  che per il secolo XX  cioè il  novecento  è  difficile (  se  non impossibile fin quando  prevarrà una visione ideologica  e strumentale )
Assorto  nel mio  camminare, arrivo al monumento ai caduti  delle prime due  guerre mondiali  e mi viene  lo sconforto nel vedere , testimonianola foto sotto tale  io digidi viagfatte con la mia compagnia


come alla polvere del tempo  e all’oblio  ( salvo le  retoriche ed ampollose celebrazioni ufficiali  del 4  novembre  ) ci sia da parte delle nuove generazioni ( dei a  con persone  in vita  che  stanno antipatiche o di bande  rivali   e  cosi via  vedere  foto  sotto .
Non dico  che per il secolo XX  cioè il  novecento  è  difficile (  se  non impossibile fin quando  prevarrà una visione ideologica  e strumentale ) creare  una memoria  e collettiva   come dimostra  anche  il bellissimo film  documentario \ musicale  , diventato anche un cd musicale  materiale resistente [2] di cui trovate  su youtube  so in 8 parti [3], ma  un minimo di rispetto .
Concludo  con  questo  verso  di De  Andrè[4]

cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.

appello  a voi, oh nuove  generazioni  , se non volete  né studiare né ricordare  tale  evento , rispettate la loro memoria  di tali ,eventi

Ps
Si rassicurino gli amici \ che non ho abbandonato le mie idee per servire i  valori \ miti  della patria  e dell'eroe [5] tipici del pre  fascismo  ( la colonizzazione italiana  pre fascista  in Africa nel  1896 e  nel 1911 )  e poi  fascista e  del nazista  ma mi da fastidio  che s’insulti la memoria  e i morti , specie  perché ho avuto  un prozio materno morto  a 17\18 anni  ( era  la generazione dell'ult saltimo decennio del  XIX sescolo saltato su una mina  durante la ritirata di caporetto[6] tutto qui


15.5.11

Uvetta, farina e arancia: il pane per grazia ricevuta paqne tradizionale di tuili ( s'antioco )

Uvetta, farina e arancia:
il pane per grazia ricevuta

Venerdì 13 maggio 2011
Dal nostro inviato Lello Caravano
 TUILI Farina di grano duro, lievito naturale, uvetta e scorza d'arancia. Per grazia ricevuta. O da chiedere. A Sant'Antioco, medico e martire che diede il nome all'isola scelta da fenici e cartaginesi. Quel santo faceva miracoli, guarigioni e altri prodigi. Le donne gli offrivano un pane propiziatorio ma Natalina decise che l'impasto andava arricchito. Erano gli anni Trenta, quasi un secolo fa. «Nell'impasto mia madre aggiunse l'uvetta e la scorza d'arancia, il pane povero diventò più ricco, su pai arrubiu , adatto a un santo a cui si chiedono ancora oggi miracoli», ricorda Efisia Vinci, la figlia di Natalina, una delle maestre del pane con l'uvetta di Tuili.

PANE DELLA FEDE Un civraxiu figlio della fede e della tradizione (e della passione delle donne del paese della Marmilla), un prodotto unico, delizioso, che non dovrebbe mai mancare in un paniere di dolci tradizionali, accanto a pardule, amaretti, gueffus. Invece raramente supera i confini di questo centro ai piedi della Giara, mille abitanti, che vanta uno dei centri storici meglio conservati di tutta l'Isola: una delizia che non si trova neppure a Barumini, Turri, Siddi, Villamar, Sanluri, figuriamoci a Cagliari.
Sono questi i giorni de su pai arrubiu , il pane che comincia a colorarsi di rosso quando uva passa e bucce d'arance si mischiano all'impasto di acqua e semola di grano duro, qualità Senatore Cappelli, il frumento dei nonni. Lunedì scorso - il terzo dopo Pasqua, così vuole la tradizione - il pane preparato dalle donne tuilesi è stato portato nell'antica chiesa di Sant'Antonio Abate e depositato ai piedi dell'altare nelle corbule vicino alla grande statua in legno di Sant'Antioco, dove don Edmondo l'ha benedetto. Alla fine della messa è stato distribuito gratuitamente, a piccole fette, a tutti. C'è stato invece un tempo in cui un vecchio parroco aveva quasi cacciato il pane cun pabassa dalla chiesa: «Non ha alcun senso», sentenziò, provocando malumore in tutto il paese. «Un senso ce l'ha, eccome», replica oggi Efisia. Il senso della devozione popolare, dell'attaccamento a una tradizione che unisce riti sacri e profani della civiltà contadina. «Anch'io ho cominciato a prepararlo per un voto, negli anni Settanta mio marito si ammalò di febbri maltesi. Pietro è guarito, non ho più smesso», racconta Maria Lugas, un'altra maestra. Nella sua casa, al confine tra i vicinati di Sa Panga manna e Pascasi 'e josu, impasta, prepara le piccole focacce, sforna un pane dietro l'altro. La sua fragranza riempie di profumi la stanza e il cortile. «Occorrono una buona farina e una lunga lavorazione. Nonostante la fatica mi piace farlo, è una gioia», dice con un sorriso. Alla Fiera di Cagliari, nei giorni scorsi, ha catturato l'attenzione di decine di visitatori, ammirati dalla preparazione delle focacce con l'uvetta, che ben pochi conoscevano. «Cosa mi dicevano? Che sono coraggiosa. Ma lo faccio volentieri, lo preparo ogni sabato».
UNA DOLCE DELIZIA Tuili si raccoglierà attorno al suo pane-delizia anche domani e domenica. Chiusi i riti religiosi, i più genuini e sentiti, per due giorni il centro con le vecchie case in basalto ospiterà la sagra de Su Pai arrubiu. È la sesta edizione, da quando il sindaco Antonino Zonca pensò di organizzare - insieme con la Pro loco - una festa per il prodotto che è un vanto per Tuili (e che potrebbe diventare il volano per nuove imprese artigianali e magari finalmente superare i confini della Marmilla e conquistare il posto che merita sulle tavole dei sardi). «È una forte tradizione per il paese, spero che i giovani capiscano che su pai arrubiu può avere un futuro, proprio perché unico», spiega il sindaco.
RICCO E SAPORITO Ciò che stupisce, ancora una volta, è come l'intraprendenza e la fantasia delle donne abbia trasformato sa promittenza , il voto, in un civraxiu dolce e gustosissimo, che proprio perché dedicato al santo delle guarigioni, doveva essere ricco e saporito. Perché come ricorda Efisia Vinci, il pane preparato e consumato nella cittadina di Sant'Antioco veniva considerato troppo povero nella Marmilla, dove grazie ai campi di grano e al lievito naturale, su frumentu , si producono eccellenti focacce. Ancora oggi nella piccola isola della costa occidentale sarda, in onore del santo martire, si prepara un pane azzimo, non lievitato, simile a quello che celebra la Pasqua ebraica e ricorda l'esodo dall'Egitto. «Mia mamma - ricorda ancora Efisia Vinci - era solita spargere un po' di zafferano con una penna di gallina sulle fette appena tagliate. Oggi si usa meno». Anche se alcune donne tuilesi preferiscono “colorare” l'impasto con un pizzico di oro rosso.
FRAGRANZA Su pai arrubiu è un piccolo tesoro gastronomico. Qualcuno lo chiama il panettone sardo, è forte anche la somiglianza con il pan dolce genovese. Ma questi civraxiu hanno in più la fragranza e la consistenza del buon pane sardo, da consumare però come un dolce, magari accompagnato da un moscato o una malvasia. Il sindaco Zonca racconta che il presidente della Provincia Fulvio Tocco ha trovato un pane simile in un paesino spagnolo, vicino a Madrid. Misteri delle contaminazioni, anche in campo alimentare. Intanto, domani e domenica Tuili accoglie i visitatori nelle stradine ben curate dove le bancarelle esporranno su pai cun pabassa . A forza di promozione e di sagre qualcuno comincia a crederci. Nel panificio di Ginetta e Luigi Cadeddu, il pane rosso non manca mai: «Siamo di Sanluri, il civraxiu lo sappiamo fare, ma questo pane lo abbiamo conosciuto solo qui, a Tuili. È davvero buono».
LE MAESTRE Le maestre Maria e Efisia ricordano di seguire i consigli di mamme e nonne: «Mi raccomando, uvetta e scorza d'arancia vanno aggiunte all'impasto solo alla fine della lavorazione». Sono pronte a fare scuola per tramandare la tradizione. Per devozione, per i voti che hanno rivolto tanti anni fa al santo, per le guarigioni passate e future. Ma anche perché sanno che su pai arrubiu - il pane per grazia ricevuta - è un tesoro che ha soltanto Tuili.
caravano@unionesarda.it

13.5.11

E' morto da 34 anni ma la Rai continua a chiedergli il canone e porta gli eredi da equitalia . Poi ci si lamenta se il terrorismo trova terreno fertile e simpatizzanti

Leggendo tutti i giornali    a  360  gradi  e senza cascare nelle "ideologie" di colore:tipiche del secolo scorso .leggo  sul messaggero online del  13\5\2011  questa  news    che riporto integralmente . L'unico  commento  che mi sento di fare    che  poi  è riportato  anche sulla mia bacheca  di fb ---mi perdonino i miie utenti   se lo legeranno  due  volte --- non ci si lamenti  poi se i terroristi o i boss mafiosi godono di simpatia  oppure c'èmolto astensionismo   d'indifferenza o ci s'avvicina all'antipolitica .O si  constinui a gridare  nellle piazze  slogan  come questi :  nè con lo statro nè con le br .
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E' morto da 34 anni ma la Rai  cosntinua a chiedergli il canone













 







di Luca Lippera
ROMA 
A casa del fu Mario Sementilli, a Grotte Celoni, la Rai tenta di imporre da trentaquattro anni un concetto quantomeno particolare: anche la morte, quando c’è di mezzo il canone tv, può diventare un evento relativo. La conferma di questa filosofia l’eternità dunque esiste è giunta con un sollecito di pagamento dell’Agenzie delle Entrate. «Abbonamento N. 1225808, ci risulta che Lei non è in regola». Non risulta, è ovvio, un dettaglio non da poco: il signor Mario è sepolto a Ceprano, Ciociaria, dal 1977 
La storia mai stupirsi, l’Italia è questa, si trascina da decenni. «L’ultima raccomandata porta la data del due maggio - rivela Rosanna Sementilli, 63 anni, unica figlia e unica erede di Mario, casa in via Villa Castelli 22 a Grotte Celoni, abbonata Rai senza macchia - e questa volta si è pure aggiunta una cartella esattoriale della Gerit-Equitalia. La Rai (Ufficio Sat di Torino) chiede il pagamento del canone per gli ultimi cinque anni. Totale circa duemila euro tra sovrattasse, interessi e mora. Gli abbiamo detto e ridetto, a quelli di Torino, che mio padre è deceduto e che se vogliono possono scrivere al cimitero. Niente. È come se non sentissero».
Il signor Mario, morto a cinquantanove anni, era un costruttore. Riposa nella tomba di famiglia nella cittadina vicino Frosinone e la figlia, all’indomani del decesso, è subentrata a lui nell’abbonamento Rai (che in realtà è una tassa ormai contestata da molti). L’ultimo sollecito i Sementilli ne ricevono un paio l’anno è firmato dal «Responsabile Sat, Dr.ssa Cristina Varesano». «Abbiamo cercato di metterci in contatto con lei - racconta Rosanna Sementilli - Niente da fare. Ci passano, a nostre spese, un call-center. E intanto continuano a mandare raccomandate. È una cosa che dà fastidio, una questione di principio, una riprova del Paese che siamo».
A casa Sementilli, tra l’altro, le armi sono affilate. Pietro Barone, 64 anni, marito della figlia di Mario, è avvocato. Per anni, lui ex repubblicano, è stato presidente del VIII Municipio quando i municipi si chiamavano ancora circoscrizioni. «Le lettere di contestazione le scrivo io - dice - È una pazzia. Non hanno mai risposto. Al postino, sull’ultima raccomandata, ho fatto scrivere: «Deceduto». Come parlare al vento. Ma non si tratta solo di un puntiglio. È che qui, pazzescamente, si rischiano conseguenze pratiche». La Rai, rifiutandosi di prendere atto che Sementilli, il costruttore, è morto, ha chiesto alla Gerit di emettere una cartella (sempre contro il de cuius) per il recupero del presunto credito. «Scendendo per i rami - spiega l’avvocato Barone -alla fine mia moglie, in quanto unica erede, verrà chiamata a risponderne. Bisognerà fare ricorso, starci dietro, andare in Tribunale, pagare i bolli, presenziare alle udienze e via dicendo. Tutto per una persona che purtroppo non c’è più».
L’Agenzia delle Entrate, Ufficio Territoriale di Torino, ricorda nel sollecito al signor Sementilli che «il mancato pagamento costituisce una violazione tributaria». Ci sono, in certe storie, i connotati di un sistema e di una Nazione. La Finanziaria del 2008 ha abolito il canone Rai per tutte le persone che hanno più di 75 anni e un reddito non superiore a 6.713,18 euro l’anno. Esclusi, evidentemente, i morti, come se l’aldilà desse frutti e contribuenti.
  Concludo  riportando uno dei  commenti più  interessanti   nel sito   da cui  ho preso la news   :
E siamo seri una volta.
Alla RAI i soldi dei morti gli servono, se no come fa a pagare stipendi e liquidazioni milionari, come fa a pagare ingaggi milionari ai vari presentatori, come fa a dare carte di credito che vengono ripetutamente usate senza il dovuto peremesso, alla Rai i soldi occorrono per tenere in piedi un carrozzone di amici degli amici con un eccesso di personale che fa paura. Anzi ci dovrebbe essere una legge che il canone deve essere pagato anche da quelli che dovranno nascere. Per ogni coppia si dovrá stabilire quanti figli vorranno, dopo di che applicare il canone dovuto. Io non sono di sinistra, ma ricordo quando si diceva: "a da vení baffone"
commento inviato il 13-05-2011 alle 18:54 da arnaldo40