16.6.06

Senza titolo 1339


1 Professor Popper, nei Suoi scritti Lei ha affermato di aver imparato da Einstein non solo che un'ipotesi non può mai essere certa, ma anche che ci sono dei requisiti che rendono l'ipotesi verificabile. Può chiarirci meglio questo aspetto del Suo pensiero?


Si tratta del problema della controllabilità di una teoria. Se una teoria può essere sottoposta a prova, allora essa è certamente una teoria degna di considerazione, e sottoporla a nuovi controlli è sempre interessante, qualunque sia il risultato. Se i controlli portano al crollo della teoria, la cosa è comunque importantissima e di enorme significato, e, in un certo senso, potremo parlare di successo della teoria, anche se non del successo sperato. Insomma, se una teoria può essere confutata, allora è proprio la confutazione la cosa più importante: è senz'altro un fattore positivo l'aver ottenuto una nuova informazione che ci deriva dalla confutazione della teoria.


Einstein affermò che esistevano severi controlli per la sua teoria, e più volte affermò che se tali controlli - che egli si augurava che venissero realizzati - avessero confutato la sua teoria, egli avrebbe accettato la confutazione. E questa è la cosa veramente molto importante. Chiunque propone una nuova teoria, dovrebbe specificare in qualicircostanze egli ammetterebbe di venir sconfitto; o, meglio, dovrebbe specificare in quali circostanze la propria teoria crollerebbe. In tal modo, se la sua teoria resiste, egli ha fatto qualcosa di apprezzabile, proprio in quanto la sua teoria poteva venir  confutata.


2 Qual è il criterio di scientificità di una teoria?


Nelle mie prime pubblicazioni proposi come criterio del carattere empirico di una teoria scientifica o, se preferisce, del carattere scientifico di una teoria - visto che in inglese il termine "scienza" denota la scienza empirica - la falsificabilità o controllabilità, la possibilità, cioè, di sottoporre le teorie a controllo. Cercai di mostrare che la controllabilità è equivalente alla falsificabilità: vale a dire, che una teoria è controllabile se esistono, se si possono concepire dei controlli che possono confutarla. Si tratta di qualcosa di simile all'esame di uno studente. Uno studente è esaminabile se esistono possibili domande che consentono di accertare che egli non sa nulla, o non abbastanza da superare quel dato esame.


Analogamente una teoria è controllabile o, diciamo, sottoponibile ad esame se implica predizioni oppure - in modo del tutto equivalente - retrodizioni che possono risultare sbagliate, che possono non concordare con le nostre scoperte. Se si dà questo, allora vuol dire che la nostra teoria implicava una predizione falsa, ed una teoria che implica una predizione falsa è una teoria falsa. Ma ciò non significa che essa sia da gettare nel cestino solo perché ha condotto ad una predizione falsa. Possiamo, infatti, correggere la nostra teoria, possiamo apportare delle modifiche. Falsificabilità vuol dire che la teoria può essere sottoposta a controllo, e nel caso che fallisca può o essere gettata nel cestino o essere corretta. E talvolta le correzioni, pur essendo limitate, possono fare una tremenda differenza, può accadere che una piccola correzione rafforzi la teoria in modo tale che essa finisca con lo spiegare molto più di quanto originariamente non ci si aspettasse. Queste sono cose che accadono.


Non possiamo perciò concordare con l'affermazione di Kuhn - che chiamava questo procedimento "falsificazionismo stereotipato". Ora, il falsificazionismo non può essere stereotipato perché le teorie non sono stereotipate. Il  falsificazionismo può condurre, in casi estremi, al rigetto totale della teoria, cosa che può essere sbagliata o azzeccata;oppure, in altri casi, può portare ad un meraviglioso miglioramento della teoria.


Secondo questa concezione tutti i controlli scientifici, gli esperimenti, sono dei tentativi di confutazione. E rivestono perciò un grande valore. Non si può avere una confutazione senza imparare qualcosa di nuovo ed importante.


3 Questo è vero, però, per quel che riguarda una confutazione riuscita. Ma nel caso di una confutazione mancata, di una confutazione che non riesce a provare la falsità di una teoria?


Se il controllo non confuta la teoria possiamo dire solo che la teoria ha superato la prova. Non possiamo dire molto di più. Non significa effettivamente molto il fatto che la teoria superi una certa prova, significa solo che non siamo costretti ad abbandonare la teoria, e se fino ad allora non abbiamo preso troppo sul serio quella teoria, vuol dire che faremmo bene a farlo. Ma tutto ciò non porta a molto.


Ovviamente questo dipende, poi, dalla particolare teoria. Se la teoria è così illuminante, se la teoria è capace di spiegare tante cose che prima non eravamo in grado di spiegare, allora si tratta di una buona teoria, una teoria che comincerà a piacerci e che probabilmente ci piacerà di più dopo che l'avremo messa alla prova. Ma questo non significa, sul piano logico, che la teoria sia vera. Questo significa solo che la teoria è stata controllata e niente di più.


Tutto questo è in forte contrasto con coloro che credono nell'induzione, con coloro cioè per i quali il superamento dei controlli è la cosa davvero importante. Costoro possono chiamare "verifica" il superamento di un controllo. Ma, se con "verificazione" si intende che una teoria ha superato un controllo, allora questo non vuol dire molto, proprio per la ragione che non dice molto superare un controllo. Tuttavia, è chiaro che quando si parla di verificazione - verificazione sta per verum facere - noi pensiamo prendiamo alla lettera questa parola, e riteniamo che la verificazione significa "fare vera" una teoria, "veri-ficarla".


In realtà noi non possiamo fare vera nessuna teoria. O anche solo mostrare che sia vera. Se una teoria ha un grande potere esplicativo, noi la ammireremo. E se essa, alla fine, nonostante il suo potere esplicativo, si rivelerà falsa, allora forse concluderemo che c'era comunque qualcosa di interessante in quella teoria e dovremmo ancora riflettervi.


L'unico fine per cui si effettuano i controlli è quello di falsificare la teoria, non di verificarla.


4 Possiamo dire lo stesso delle osservazioni? Tutte le nostre osservazioni sono realizzate allo scopo di confutare le teorie scientifiche, così come avviene con gli esperimenti?


Sì, naturalmente. È ovvio che le osservazioni o gli esperimenti sono entrambi, nella sostanza, nient'altro che controlli di una teoria. Prendiamo ad esempio il caso, molto importante, della scoperta di Nettuno. Certamente si può dire che fu un nuovo controllo a comportare una nuova scoperta, una cosa molto interessante. Si trattò, in quel caso, di un controllo della teoria newtoniana, di un controllo particolarmente severo per la teoria della gravitazione universale. La teoria newtoniana aveva condotto ad una determinata previsione del movimento del pianeta Urano, che si rivelò falsa. Si pose perciò la questione se si dovesse abbandonare la teoria di Newton.


Alcuni sostennero di no, e affermarono che si dovesse ricercare la causa della discrepanza notata non già nella teoria newtoniana, ma nella nostra imperfetta conoscenza, nel nostro modello del sistema solare, il quale poteva essere falso in quanto avrebbe potuto esserci un altro pianeta più esterno rispetto ad Urano: il modello planetario, dunque, poteva non essere completo. Ora, in una situazione come questa le cose non sono tanto semplici. Si poteva tentare di cercare questo pianeta; ma poteva essere una cosa disperata cercare un oggetto tanto minuscolo come un pianeta fra tutte le altre stelle. Poteva trovarsi molto lontano, poteva essere molto piccolo.


In ogni caso, però, si poteva calcolare e questa fu certamente una grande fortuna. Due uomini riuscirono a calcolarla, Adams e Le Verrier. Quest'ultimo informòl'astronomo Galle, a Berlino, dei propri calcoli. Galle puntò il telescopio verso il punto predetto e non esattamente in quel punto, ma in una posizione estremamente prossima, trovò una minuscola stella che gli sembrò che si muovesse. Dopo un'ora di osservazione ebbe l'impressione che si stesse muovendo un po' più rapidamente e dopo qualche ora ancora apparve evidente il suo moto rispetto alle stelle fisse: perciò si trattava di un pianeta.


5 Se le osservazioni sono dei piccoli esperimenti, questo vuol dire allora che la scienza non inizia dalle osservazioni?


Questo è un punto di grande rilevanza, perché è la ragione principale che porta a credere nell'induzione: alla credenza cioè che la conoscenza, e specialmente la conoscenza scientifica, inizi con l'osservazione. E questa è una credenza, che ritengo che sia ancor'oggi diffusa, come sempre. Solo poche persone, in realtà, si rendono conto che non è così e che non può essere così. Qualsiasi osservazione presuppone una previa conoscenza. Non si può osservare nulla senza sapere che esistono certe cose, che le cose dovrebbero andare in un certo modo, perché è la nostra conoscenza che ci dice che esse vanno in un modo o nell'altro.


L'osservazione ci mostra allora che esse sono proprio così come ce le aspettavamo, oppure no. Per essere estremamente chiari, qualsiasi osservazione presuppone una grandequantità di conoscenze: possiamo riferirci, per fare un esempio, l'auscultazione, che è l'indagine del mio interno tramite l'orecchio o mediante uno stetoscopio. È l'indagine che viene fatta dai medici. Se uno, che non è medico, poggiasse l'orecchio sul mio torace, udirà solo rumori che non avranno alcun significato; potrà forse sentire il mio cuore battere, ma anche questa, che è la cosa più semplice, è comunque il frutto di una conoscenza precedente. È la conoscenza pregressa del fatto che ho un cuore e che questo cuore batte, a portare all'identificazione o dell'interpretazione di quello che si è udito. Ma per un dottore l'auscultazione dei miei battiti cardiaci o del rumore all'interno della mia cassa toracica ha un significato molto superiore, perché egli già sa come interpretarli.


La mia tesi, insomma, è che tutte le nostre osservazioni sono di questo tipo. Così, un bambino deve apprendere come guardare, come ascoltare. All'inizio, le percezioni visive, gli occhi gli restituiscono solo informazioni prive di significato, nient'altro che caos. Ed è solo dopo aver imparato molto che il bambino è capace di osservare veramente qualcosa. La conoscenza, quindi, non inizia dalle osservazioni. Dobbiamo apprendere. Ma la capacità di apprendere è basata sulla conoscenza innata. Sappiamo che gli animali hanno certe conoscenze innate. Nascono intelligenti nella stessa esatta misura in cui moriranno. Sanno, sin dagli inizi, tutto quello che sapranno in seguito, grazie all'ereditarietà. Ci sono poi altri animali, che hanno un apparato cognitivo superiore - e noi siamo tra questi - che sono in grado di apprendere. Ma anche questa è conoscenza innata: è conoscenza di come apprendere.


6 Questa conoscenza deve necessariamente essere innata, perché non è possibile apprendere attraverso l'esperienza il modo di apprendere o il modo di osservare.


Logicamente sarebbe un regresso all'infinito. Sul piano logico è impossibile imparare come imparare come imparare come imparare. Ci deve essere della conoscenza innata. Sto parlando della conoscenza, in qualche modo propria del bambino, di come imparare. Naturalmente poi egli imparerà e acquisirà sempre più conoscenze, e fra queste la conoscenza di come osservare e di come apprendere dalle osservazioni. Un altro argomento, che è estremamente importante e che mostra chiaramente quanto sia sbagliata l'idea che la conoscenza o la scienza o un qualunque altro apprendimento muovano dalle osservazioni, è il seguente: che le osservazioni sono basate sui nostri organi sensoriali. Ma gli organi sensoriali hanno chiaramente una funzione iologica ben determinata. E precisamente hanno il ruolo di aiutarci, una volta appreso come osservare, di darci informazioni circa lo stato momentaneo del nostro ambiente, uno stato momentaneo, piccoli ritagli transitori di ciò che l'ambiente è realmente. Ma questo presuppone che noi abbiamo già una certa conoscenza dell'ambiente in senso lato; che sappiamo già che c'è un ambiente; che sappiamo, per fare un esempio, che se siedo qui c'è qualcosa alle mie spalle, anche se non lo sto osservando.


Io posso vedere che cosa c'è dietro di Lei e Lei può osservare quello che c'è dietro di me. Ma entrambi sappiamo che esiste qualcosa alle nostre spalle, anche in questo momento che non lo stiamo osservando. In altre parole, dobbiamo avere una conoscenza dettagliata dell'ambiente, se vogliamo che osservazioni momentanee significhino qualcosa per noi. La vista può, ad esempio, informare un animale dell'arrivo di un nemico, ma l'animale deve già sapere qualcosa circa gli amici ed i nemici. È necessaria pertanto una grande quantità di conoscenze affinchè sensazioni momentanee abbiano per noi un qualche significato. E questo viene facilmente dimenticato dalla gente perché ciò che ci colpisce maggiormente è l'informazione momentanea.


Questo dà origine all'idea che si conosca aprendo gli occhi e le orecchie ed osservando e ascoltando. Ma si tratta di un vero errore. Un errore che è compiuto da tanti filosofi. Rudolf Carnap, per esempio, nel trattare il problema della conoscenza, si chiede come si conosca e dice che questo è equivalente a determinare attraverso quale osservazione sia acquisita tale conoscenza. Quindi egli presuppone l'idea che la conoscenza inizi dalle osservazioni. Come si arrivi a conoscere significa, per lui, come si acquisisca questa o quella conoscenza attraverso le osservazioni. Lo sostiene in molti luoghi ed egli è un filosofo molto considerato ed una figura molto influente per quel che riguarda la teoria della conoscenza. Ma ciò è fondamentalmente errato.


Conduce all'induzione, perché se uno pensa che io ottenga la mia conoscenza mediante le osservazioni, la domanda successiva èinevitabilmente: come si acquisisce la conoscenza delle leggi generali? E la risposta è: attraverso molte osservazioni. Quale altra potrebbe essere la risposta se la conoscenza è ottenuta tramite l'osservazione? E come potrei acquisire la conoscenza di leggi generali se non tramite molte osservazioni ripetute?


Questa è l'induzione. È così che si è sospinti direttamente alla teoria dell'induzione e a credere nell'induzione: a causa del fondamentale pregiudizio che si conosca attraverso le osservazioni. In questo pregiudizio consiste, per così dire, la forza e la debolezza dell'induzione. Forza, perché molti credono in essa e debolezza perché si tratta di una teoria sbagliata.


7 Si può forse riassumere il Suo pensiero, dicendo che, sebbene apprendiamo dall'esperienza e per mezzo dell'esperienza, non conosciamo però nulla attraverso l'esperienza. Ciò che conosciamo è ipotetico e deriva da una precedente conoscenza o è un tentativo di indovinare. Mentre invece apprendere dalle osservazioni significa eliminare delle ipotesi. È esatto?


Sì. Noi impariamo tanto spesso da rapide eliminazioni di ipotesi. E qui il discorso cade sulla percezione. In
realtà, le percezioni sono molto importanti, ma una percezione è sempre un'ipotesi. Anche ciò che è chiamato percezione di una Gestalt è un'ipotesi. Percepisco che questo è un libro, ma anche questa è un'ipotesi. Infatti potrebbe essere un pezzo di legno tagliato a forma di libro allo scopo di ingannare me o qualcun altro. Cose del genere càpitano. Potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa, ma io faccio l'ipotesi che sia un libro.


Un'ipotesi è sempre un'aspettativa. Mi aspetto che quando lo prenderò e lo aprirò, vi troverò delle pagine stampate. Questa è un'aspettativa e tutte le nostre percezioni implicano aspettative. Ed è l'aspettativa che accompagna le percezioni a dare un significato, in senso biologico, ad esse. La funzione delle percezioni è quella di formarsi, in base ad esse, ub'aspettativa, ovvero di ipotizzare ciò che accadrà negli istanti successivi. La conoscenza momentanea, l'informazione momentanea che i nostri sensi ci danno, ha la funzione di farci prefigurare quello che accadrà nei prossimi momenti, nei prossimi minuti e così via, cosa che è biologicamente molto importante. Possiamo pertanto affermare che ipotesi ed aspettazioni sono dal più al meno equivalenti: il termine "aspettazione" è, per così dire, l'equivalente biologico del più sofisticato termine epistemologico "ipotesi" o "congetture".


I due termini sono praticamente equivalenti, e le nostre percezioni sono un modo di formare aspettazioni di ciò che accadrà nei prossimi secondi, o nei prossimi minuti o nelle prossime ore. Quindi, perfino le osservazioni o le percezioni sono vere ipotesi. L'osservazione libera da ipotesi non può esistere. E per questa ragione l'idea che la scienza parta dalle osservazioni per arrivare ad ipotesi o a leggi o a qualsiasi altra cosa del genere, è radicalmente sbagliata, nonostante sia così diffusa e sia di fatto alla base di tutte le teorie della conoscenza. Ad eccezione, però, della teoria che dice che noi nella scienza lavoriamo formulando ipotesi e tentando poi di eliminarle, con ipotesi o, come ho detto nel titolo del mio libro, con congetture, ovvero con il metodo che consiste nell'avanzare ipotesi e nella loro confutazione. In questo, a mio avviso, consiste il processo della conoscenza, in congetture e confutazioni, nel concepire delle ipotesi, naturalmente nel lavorare con le ipotesi e nel continuare a lavorarci finché queste non crollano, finché non sono confutate.


8 Professor Popper, Lei ha indicato nella falsificabilità il criterio di demarcazione delle teorie. Questo significa che una teoria non falsificabile è sempre una cattiva teoria?


Il criterio dice che dobbiamo essere sempre critici. Questo è il nocciolo. Se una teoria non può venir criticata sulla base di osservazioni sperimentali, allora non deve essere considerata una teoria empirica. Ciò non significa, però, che una teoria non sottoponibile a riscontri sperimentali sia una cattiva teoria.


Si prenda il caso della teoria atomistica, che è un buon esempio. La teoria atomistica non è stata falsificabile per tutto il periodo che va dal 500 prima di Cristo, quando fu inizialmente proposta, fino all'anno 1905, l'anno in cui Einstein propose la teoria del moto browniano, che la rese falsificabile trasformandola, in realtà, in una teoria molecolare. Ora, in tutto quel periodo non fu sottoponibile a controlli, ma ciò nonostante offrì agli scienziati suggerimenti eccellenti e rappresentò un'ipotesi che, per così dire, fu da tutti tenuta in mente come una specie di idea di sfondo - potremmo chiamarla una idea metafisica - e fu estremamente utile nel suggerire idee più precise e falsificabili. Ho menzionato questo tipo di teorie già nella mia prima pubblicazione nella rivista "Erkenntnis", dove chiarivo che esistono idee pre-scientifiche - come allora le definii - che, pur non essendo falsificabili, hanno tuttavia un grande valore.


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