tra le tante iniziative per celebrare i 700 anni della morte di dante nella speranza che quest’anno sia un nuovo rinascimento dopo la crisi sanitaria e culturale che stiamo vivendo questa di Leonardo Frigo mi sembra la più interessante e la più originale rispetto a quelle ufficiali \ maistream e date ai soliti volti noti e pagate a peso d'oro per ripetere \ replicare il suo spettacolo . Oppure si riciclano ( e fin qui niente di male se le storie sono fuori ristampa o visti i tempi lunghi della produzione fumettistica non si
fa in tempo a creare in tempo una storia originale per quel determinato evento ) storie vecchie aggiungendovi inediti e contenuti extra raschiando il classico fondo del barile o si sfrutta la tecnica pubblico la prima puntata sull'edizione settimanale e poi avviso che lle altre puntate continuano nella raccolta che riguarda Una celebrazione originale quella dell'artista di Leonardo Frigo ( foto ak centroi sotto presa dal suo facebook a finire post trovaste fra i riferimenti del post l'url ) che unendo le sue passioni per la musica e le arti visive, il giovane italiano disegna a mano sugli strumenti a corda, trasformandoli in racconti unici nel loro genere.
Questa storia è la risposta a chi dice che con la cultura non si mangia , non crea lavoro , è il solito culturame , ecc .
Come dimostrano anche i i due video riportati
Nel 2021 si celebreranno i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Leonardo Frigo, giovane musicista e disegnatore, vuol rendere omaggio al Sommo Poeta rappresentando i 33 canti dell'inferno e il canto introduttivo della Divina Commedia su altrettanti violini e un violoncello. Il processo creativo ha avuto inizio nel suo studio di Londra, dove cinque anni fa si è trasferito per lavorare per un laboratorio che realizza mappamondi fatti a mano e dove ha anche creato per conto dei magazzini Harrods pezzi unici, come una scacchiera e i relativi scacchi disegnati sempre a mano. Il progetto "L'inferno di Dante" si concluderà esattamente tra un anno in vista di una mostra itinerante che giungerà anche in Italia.
Dante's Inferno is an allegorical masterpiece. That's been retold by countless painters. Then there is Leonardo Frigo. He is taken this epic to a different kind of canvas. The Venetian has mixed his talents as both illustrator and musician. He has told the story of one man's descent into the underworld by drawing it across dozens of musical instruments.
L’artigiano in questione si chiama Leonardo Frigo, ha 26 anni ed è originario di Asiago, in provincia di Vicenza. Parliamo di 33 violini più un violoncello (uno per ogni canto dell’Inferno e il proemio). Tutti dipinti a mano con china, impiegando un pennino a immersione. Una tecnica, come pote vedere dai video sopra , particolare che ricorda quella dei moderni tattoo. Ad ognuno il ragazzo ha dedicato ben 150-200 ore di lavoro. L’artista ha presentato gli strumenti musicali in anteprima al museo Royal Institution of Great Britain (dove a marzo 2019 sono stati esposti 10 violini e il violoncello), ad Harrods e all’evento Bond Street Awards a
Londra (entrambi a dicembre 2019).Vedendo le foto ed in vieo riportati ( ma anche no ) in questo post , di denota che il suo è un progetto pensato e studiato . Infatti Leonardo Frigo non lo ha concepito solo come una elaborazione espositiva ma anche come un modo di condividere, attraverso forme alternative che attirino il visitatore, l’arte e la cultura italiana. E chi meglio di Dante può essere considerato come maggiore esponente della cultura italiana, colui che è stato il padre della lingua italiana. Ogni strumento musicale è dedicato a un canto specifico. Sulla sua superficie, i violini mettono in mostra simboli, scene e personaggi chiave tratti dall'immaginario del poema scritto da Dante Alighieri centinaia di anni fa. iI suo lavoro nasce da una ricerca profonda che ha radici nella mia passione per la lettura, per l'arte, per il racconto visivo e, in particolare, per il capolavoro di Dante.
[...] Su “Vicenza Today” l’intervista a Leonardo Frigo, che ha “conosciuto” Dante per la prima volta a sei anni, quando sua madre gli regalò la prima “Divina Commedia” illustrata per bambini. Da allora il suo interesse per l’Inferno non si è mai smorzato. Classe ’93, il giovane è uno dei tanti cervelli italiani in fuga all’estero Dopo una laurea in restauro presso l’Università Internazionale dell’Arte di Venezia si è trasferito a Londra, dove vive da circa cinque anni. «Sono riuscito a riunire musica, poesia, design e artigianato in un unico pezzo d’arte unico. Si tratta di 34 strumenti musicali, 33 violini e 1 violoncello, sui quali ho realizzato disegni ispirati al primo capitolo della Divina Commedia: l’Inferno. Ogni strumento musicale è dedicato a un canto specifico. Sulla sua superficie, i violini mettono in mostra simboli, scene e personaggi chiave tratti dall’immaginario del poema scritto da Dante Alighieri centinaia di anni fa», ha spiegato l’artista.
«Il mio lavoro nasce da una ricerca profonda che ha radici nella mia passione per la lettura, per l’arte, per il racconto visivo e, in particolare, per il capolavoro di Dante. L’Inferno di Dante mi ha sempre ispirato fin da bambino, probabilmente posso dire che mi ha insegnato a immaginare e sognare», ha chiarito Leonardo Frigo. Come portare a compimento un progetto tanto ambizioso? «Dopo aver
preso appunti e annotazioni su ogni canto, inizio a cercare simboli, nomi e bei disegni che, messi insieme, raccontino la storia scritta da Dante. Quando il progetto finale è chiaro nella mia mente, sono pronto a dipingere i disegni in bianco e nero a mano, con inchiostro nero, sull’intera superficie del violino. Lo strumento viene quindi verniciato e installato sulla sua base. Ma non finisce qui. Ogni violino è accompagnato da un accurato testo descrittivo, sia in italiano che in inglese, che ne evidenzia e analizza tutti i dettagli», ha dichiarato sempre il 26enne. [.... CONTINUA QUI ]
Cercando una canzone di Ligabue , mi sono imbattu.to fra i risultati nel pittore Antonio Ligabue in realtà nato Antonio Costa ( cognome della madre ) poi Antonio Laccabue ( riconosciuto , ma non accettato da lui che scelse appunto di chiamarsi Ligabue ) . Incuriosito dalla sua biografia sono andato a vedermi il film " Volevo nascondermi" di Giorgio Diritti.
Un film tristissimo , ma bello ed intenso . Esso descrive benissimo la sua vitra travagliata come testimonia l'Epitaffio sulla tomba di Antonio Ligabue a Gualtieri
«Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all'ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore»
Unico neo ( per me essendo casinista e un disordinato , chi mi legge e mi segue lo sa , nell'esporre fatti e nello scrivere nessun problema ) secondo i canoni ufficiali cinematografici
Se si leggono le recensioni dei grandi siti statunitensi – Variety, Hollywood Reporter – “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti sarebbe un film senza un filo narrativo. Lo scrivono sessanta volte. Come se fosse un difetto. Una di quelle mancanze scritte nel libretto delle istruzioni del bravo cineasta che prima vende nei circuiti art house degli Stati Uniti il proprio talento visivo, e poi finisce a girare serie tv spiritose ed insignificanti come una lavastoviglie a colori. Paolo Sorrentino, per dirne uno. Pensate un po’, la storia del pittore naif Antonio Ligabue, quella di un appestato, decerebrato, idiota, sgorbio isolato da tutti (“tu sei un errore”), che si scopre suo malgrado artista finanche celebrato, con le dovute distanze umane e sociali, deve avere un filo narrativo. Magari una voce fuori campo come ne “L’amica geniale” su Rai1 che sottolinei l’impossibile. Oppure un bravo sceneggiatore che costruisce scenetta dopo scenetta, rigorosamente in ordine cronologico, la nascita, l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, la fine del pittore emiliano che perì appena 53enne. [ ... ]
anche i matti si reali sia quelli che noi facciamo diventare o etichettiamo come tali perchè non omologati e diversi sono creativi . Un bellissimo film . un ottimo elio germano
Nonostante il film sia stato premiato con l'orso d'oro a Berlino, esce indebolito dall’apertura di soltanto metà delle sale italiane causa coronavirus
indebolito dall’apertura di soltanto metà delle sale italiane causa coronavirus. Peccato sacrificarlo così questo film, anche perché mancano all’appello le sale emiliane, lombarde e piemontesi che in un modo o nell’altro tanto hanno dato al regista Diritti, quando era ed a suo modo è rimasta questo sconosciuto, apostrofo garbato e controcorrente del cinema italiano contemporaneo. Ma soprattutto , è il mercato purtroppo , sacrificato anche online . Infatti è assente sulle piattaforme legali ( Netflix , prime vision, almeno quelle a cui sono registrato ) disponibile SIC solo a noleggio o vendita e non tenendo conto costringendo a chi : occupare spazio in memorie informatiche o fisico negli armadi \ mensole casa a ricorre allo streaming illegale o semilegale visto che ***** sito a meta strada fra il free ( con pubblicità e banner ) o il pagamento la versione premium deve cambiare l'indirizzo ogni 15 giorni
Unico Neo che appesantisce ( a pazienza non si può essere perfetti al 100 % 😁👍 ) il film con il rischio di un probabile abbandono è l'eccessivo realismo \ verismo del regista che sottotitola la maggior parte del film ( le scene dell'infanzia in Svizzera ed in Germania dello stesso Ligabue ) e lasciando parlare gli attori in tedesco . Ma a parte questo , Dritti ha messo su un altro dei suoi capolavori , facendoci anche stavolta piangere ed commuovere .
[..] Non so che cosa accadde, perché prese la decisione, Forse una rabbia antica, generazioni senza nome Che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore: Dimenticò pietà, scordò la sua bontà [....]
Francesco Guccini
Lo so che bisogna aspettare la fine per dare un giudizio completo di un opera , soprattutto quando raccontano direttamente o indirettamente di periodi complessi con cui ancora da una parte e dall'altra non si ancora voluto fare i conti e li si fa ancora troppo lentamente . Infatti
[...] alcune settimane fa è uscito il libro di uno scrittore che conosco da molti anni e che scriveva sulla mia “Stampa”, Giuseppe Culicchia. Il libro che si intitola “Il tempo di vivere con te” racconta la vita dell’assassino di Vittorio, quel Walter Alasia che di Culicchia era cugino e che venne a sua volta ucciso, mentre fuggiva dopo aver sparato ai poliziotti. Si
racconta un ragazzo, le sue idee, i pranzi e i giochi di famiglia, perché anche i terroristi non sono numeri ma vite. Quando sono arrivato alle ultime pagine le ho lette con sconforto perché ci ho trovato un vizio vecchissimo e pericoloso, quello di giustificare il terrorismo e di ammantarlo di idealismo. Quello di parificare i morti, di pareggiare il conto, mettendo su un piatto della bilancia i terroristi caduti e sull’altro i poliziotti, magistrati, professori o sindacalisti uccisi. Ma non si può fare, perché da una parte c’erano persone che avevano deciso di combattere una guerra che nessuno aveva dichiarato e si erano messe a sparare, dall’altro chi ha difeso e salvato questa democrazia.[...]
Ora potrebbe essere vero che ( sempre dalla stessa fonte ) << [...] Chi lo legge senza sapere niente di quegli anni può pensare che Walter Alasia sia stato un eroe, ma purtroppo per la sua famiglia, per quelle di Vittorio Padovani e Sergio Bazzega e per tutti noi non è così. >> anche se nei primi , punto in cui sono arrivato nella lettura , ci sono dei cenni alle violenze e vari omicidi di una parte e dell'altra che fanno da sfondo alla vicenda di Walter Alasia , basta fare delle ricerche via web per soddisfare la propria curiosità .
Ma da da li a definire come ha fatto , nonostante sia un ottimo giornalista , Cesare Martinetti, il libro scabroso e << un libro prigioniero della gabbia ideologica degli anni Settanta e che non riscatta Walter, anzi lo sigilla intatto nel suo destino, vittima anch’egli del fanatismo, ma pur sempre colpevole.>> ce ne passa perchè vuol dire o che non si letto per intero il libro olo si è letto con pregiudizi e preconcetti . Infatti e lo dice uno che non ha vissuto , se non in maniera indiretta , visto che cronologicamente sono del 1976 , quel periodo da parte di Culicchia rispetto ad altri libri memorialistici soprattutto si è si cercato di comprendere [ OVVIAMENTE COMPRENDERE NON VUOL DIRE NECESSARIAMENTE GIUSTIFICARE ] il perchè quella persona in questo caso cugino Walter abbia commesso tale gesto e vedere la figura umana non solo la "colpevolezza" come dichiara lo stesso autore a la lettura inserto domenicale del corriere della sera del 14\3\2021 in una doppia intervista \ conversazione a cura di CRISTINA TAGLIETTI fra Lui ( cugino di Walter Alasia ) e Giorgio Bazzega figlio di Sergio colpito a morte insieme al vicequestore Giovanni Vittorio Padovani. dal brigatista Walter Alasia, 20 anni, a sua volta ucciso nella casa dei genitori a Sesto San Giovanni durante il blitz della polizia.
Ecco il passo significativo :
[...]
GIORGIO BAZZEGA — Quando mi hanno segnalato il libro di Giuseppe mi ci sono immerso. Ho capito subito che mi permetteva di aggiungere il pezzo che mi mancava di questa storia, quello che nessuno aveva potuto raccontarmi fino a quel momento: non Walter il terrorista ma Walter il ragazzo, nella sua umanità.
Eppure una recensione apparsa online accusa Culicchia di aver fatto, con questo libro, apologia di reato.
GIORGIO BAZZEGA — Giuseppe lo ha scritto come andava scritto, con una sensibilità e un’onestà intellettuale inattaccabili. Non c’erano altri modi.
GIUSEPPE CULICCHIA — Non si trattava di farne un eroe ma di raccontare chi era, com’era. Ho profondo rispetto per il dolore delle famiglie Bazzega e Padovani, per quei ragazzi, gli altri poliziotti, anche loro giovani, che alle 5 di mattina vedono uccidere due colleghi. Non c’è niente di giusto in questa storia, però bisogna capirla. Finora erano usciti libri di memorialistica scritti da reduci di quell’epoca oppure dalle vittime. Il mio forse è il primo in cui si racconta il dolore dall’altra parte. Ho cercato di mostrare Walter nella sua complessità umana. Credo che in tanti, come lui, sia maturata quella scelta che io non cerco di giustificare ma di capire. Come può un ragazzo di vent’anni decidere di impugnare una pistola e uccidere? Io non andai al funerale perché avevo 11 anni ma mia sorella, che ne aveva 17, sì. Quando vide i calzini bianchi sporchi di sangue nella bara capì che era tutto vero. Fino a quel momento aveva pensato che potesse essere uno scherzo di Walter. Per anni è stato identificato con una fototessera, quasi una cupa foto segnaletica in cui noi non riconoscevamo il ragazzo affettuoso che amava scherzare e disegnare. Io non lo lasciavo in pace, gli ero sempre appiccicato e non mi sono mai sentito dire un no.
Quindi sfido Voi critici, voi personaggi austeri, militanti severi a raccontare quel periodo senza pregiudizi , odio ideologico , ecc . Infatti leggendo i vostri giudizi impregnati di pregiudizi e del rifiutare del comprendere mi viene da dire : non occupiamoci nè delle vittime della follia ideologica di quel periodo nè degli assassini lasciamo che il tempo faccia giustizia trasformandoli in polvere ed in oblio , che le nuove generazioni non conoscano tali eventi e rifacciano in misura più grave gli stessi errori . Vietiamone quindi le biografie , o che essi parlino , come si faceva un tempo con il sacrosanto rito purificatore della damnatio memoriae . Ma riflettendo mi accorgo è meglio scriverle invece queste biografie , inchiodiamole come lapidi agli angoli della strada della nostra memoria , perchè nessuno dimentichi cosa sono stati ed il loro banale essere iniqui .
Un libro onesto e doloroso come riconosciuto da un altro giornalista "conservatore " come Francesco merlo .
da repubblica
Caro Merlo, cosa pensa del libro dedicato da Giuseppe Culicchia a Walter Alasia "Il tempo di vivere con te"?
Marino Della Cioppa
Penso a Giorgio Bazzega, che aveva due anni quando suo padre, il maresciallo Sergio, fu ammazzato insieme al vicequestore Vittorio Padovani dal brigatista Walter Alasia, che fu poi colpito e ucciso mentre fuggiva. Ha raccontato Bazzega a Giovanni Bianconi: «Da ragazzo mi facevo di cocaina e giravo con la P38, pensando di ucciderli tutti, specialmente Renato Curcio che aveva indottrinato Alasia che, a freddo, aveva ammazzato il mio papà». Bazzega, durante un dibattito, si avvicinò al fondatore delle Br (che oggi ha 79 anni): «Quando Curcio ha capito chi ero, si è spaventato e io mi sono sentito libero dal mio odio. Gli ho dato una pacca sulla spalla: "Stai tranquillo... volevo che mi guardavi in faccia"».
Tra le altre sfortune, Bazzega non ha un cugino romanziere, e Culicchia è un romanziere formidabile. In Italia c’è un gusto speciale per la psicologia degli assassini di quegli anni. Io non credo che appartengano, neri e rossi, alla storia della politica, se non come sfondo scenografico e come alibi, ma alla storia della criminologia che, grazie a Dio, non è più razzismo lombrosiano. Non esistono i mostri, nessun criminale lo è. E chissà com’erano dolci e generosi i nazisti con i loro bimbi tra una tortura e l’altra. E così i bombaroli neri e i mafiosi, tutti figli del loro tempo. Ma c’è un momento in cui il tempo esce di scena e rimani tu, con la pistola in mano: o spari o ti liberi dell’odio, come Giorgio Bazzega. Ho letto il bene che del libro hanno scritto Maurizio Crosetti sul Venerdì e, sull’ Huff Post , Pigi Battista e Giampiero Mughini.
Obietto solo che non è vero che la generazione del ‘68 fu complice degli assassini. Posso testimoniare che anche (persino) in Italia la ribellione della stragrande maggioranza non fu quella robaccia, non fu materia preparatoria per il terrorismo e porcheria omicida.
Ora palle pagine che ho letto fin ora ( vedremo se confermare o smentire questa mia osservazione dopo che l'avrò finito ) è un libro senza a differenza di altri libri di memorie ( da una parte e dall'altra ) senza vittimismo, senza retorica, giustificazione ed esaltazione ideologica, c'è il dolore di quello che all'epoca era un bambino che a undici anni perde in una sola notte un affetto immenso e tutte le certezze che credeva di avere, unito alla lucidità di quello che con gli anni è diventato un grande scrittore che ha cercato ed aspettato per oltre quarant'anni la giusta distanza per raccontare questa storia.
Un memoir asciutto e allo stesso tempo accorato ( per questo ad alcuni ancora indigesto ) in cui Culicchia ricostruisce la sua questione privata e a smesso di di temere il proprio tempo e quel problema si spazio per parafrasare la famosa Linea Gotica degli ex C si
ciò che da bambino sapeva di Walter, scavando nei propri ricordi alla ricerca dei germi di ciò che sarebbe stato, e lo confronta con quello che crescendo ha appreso di lui dalla sua famiglia, ma anche dai giornali e dai libri di storia. E così facendo racconta gli anni della lotta armata e del terrorismo da una prospettiva assolutamente ( o quasi visto il precedente di Ero in guerra ma non lo sapevo libro di Alberto Torregiani figlio di Pier Luigi Torregiani era un gioielliere titolare di un piccolo esercizio nella periferia nord di Milano, in via Mercantini, nel quartiere della "Bovisa" ucciso dal gruppo terrorista i PAC di Cesare battisti ) originale .
Infatti
Giuseppe Culicchia tiene in serbo queste pagine da più di quarant'anni. Perché la morte di Walter Alasia, al cui nome è legata la colonna milanese delle Brigate Rosse, è una storia dolorosa che lo tocca molto da vicino: per il Paese è un fatto pubblico, uno dei tanti episodi che negli anni di Piombo finivano tra i titoli dei quotidiani e dei notiziari televisivi; per lui e la sua famiglia è una ferita che non guarirà mai. Walter Alasia, di anni venti, era figlio di due operai di Sesto San Giovanni. Giovanissimo aveva cominciato la sua militanza in Lotta Continua, ma poi era entrato nelle fila delle Brigate Rosse. Nella notte tra il 14 e il 15 dicembre 1976 la polizia fece un blitz a casa dei suoi genitori per arrestarlo. Lui aprì il fuoco, e nel giro di pochi istanti persero la vita il maresciallo dell'antiterrorismo Sergio Bazzega e il vicequestore di Sesto San Giovanni Vittorio Padovani. Subito dopo tentò di scappare, ma venne raggiunto dai proiettili della polizia. Giuseppe all'epoca ha undici anni e Walter è suo cugino. Ma in realtà è molto di più: è il fratello maggiore con cui non vede l'ora di passare le vacanze estive, che gli insegna a giocare a basket, che lo carica sul manubrio della bicicletta e disegna per lui i personaggi dei fumetti che ama. È un ragazzo affettuoso, generoso, paziente, e agli occhi di Giuseppe incarna un esempio.
dalla retrocopertina del libro
per
capire l' oggi bisogna conoscere il passato frase abusatissima ma è vera questo non è un libro qualunque e un libro di storia la storia
degli anni di piombo del secolo scorso leggetelo senza preconcetti e giudizi apriori e capirete che certi commenti
sono fuori luogo e dimostrano quanto dicevo nelle righe precedenti e con quanto dice : « A quarant'anni di distanza, Culicchia ha scritto un libro, Il tempo di vivere con te, che è insieme memoria, ricostruzione storica, elaborazione del lutto, lontano da ogni forma di giustificazione o indulgenza verso i crimini delle Brigate Rosse» - Cristina Taglietti, in la Lettura. Ma soprattutto con il fatto che
Culicchia era più piccolo di lui di nove anni, ma gli era legato con infantile adorazione. Il tempo di vivere con te, pubblicato da Mondadori, racconta la contraddizione – anzi la convivenza – nella stessa persona di un “mostro”, raffigurato così pubblicamente e responsabile della morte di due agenti di polizia, e di un ragazzo amabile e amato da tutta la famiglia, e il dolore della famiglia stessa, cercando di mettere insieme i pezzi della storia personale e di quella italiana per costruire delle spiegazioni. La morte di Alasia è raccontata oltre la metà del libro.
Non è ancora il momento di raccontare quel 15 dicembre 1976, e quel che ne seguirà. No. È, questo, il tempo di vivere con te. Ancora un poco. Almeno nello spazio di queste pagine. Perdonami, Walter, se ci ho messo così tanto. Trenta libri, e più di quarant’anni. È per raccontare la tua storia che ho cominciato a scrivere, il giorno dopo la tua morte. È per questo che ho continuato a farlo in tutto questo tempo. Eccolo qua, il primo libro che avrei voluto scrivere. Ma avevo appena undici anni, facevo la prima media, e anche se dalle elementari i miei temi venivano letti in classe da maestre e professori di Lettere, non ne ero capace. Ne sarò capace, ora? Giuseppe Culicchia, Il tempo di vivere con te
Il tempo di vivere con te di Giuseppe Culicchia è un racconto tenuto in serbo per oltre quarant’anni. Rievoca “gli anni di piombo”, una stagione troppo recente per essere metabolizzata e pienamente compresa. [....]
premetto che ho un altra idea sulla prostituzione dev'essere lasciata libertà alla donnao anche se minoritaria quella maschile se vuole esercitarla in proprio o unendosi facendo una cooperativa se maggiorenne e non sotto pappone \ magniaccia magari pagando le tasse ed avendo una pensione . Ma un conto è una discussione( come quella avvenuta sui social fra me ed alcune femministe ) anche dura con qualche insulto da parte delle femministe dure e pure , ma arrivare come è successo recentemente , vedere per ulteriore approffondimento articolo sotto , proprio non ci sto . Questo è un attivismo che anziché costruire e lottare per un proprio spazio, condivisibile o meno che sia distrugge e invade quello degli altri. Il preludio a tale atto di vandalismo è stata l‘agguato alla manifestazione del Collettivo abolizionista Anti Prostituzione CAPP a Place de la République del 7 marzo. Un manipolo di adolescenti ha assalito le donne che manifestavano contro la prostituzione con insulti, lanci di uova, minacce, cartelli stracciati e aggressioni fisiche. Le stesse scene sono state viste in Italia, a Firenze. L’episodio ha creato sconcerto sui social e non solo, coinvolgendo numerose associazioni e collettivi femministi.
Parigi, se la parola “donna” fa paura: mostra di ritratti femminili vandalizzata dalle transfemministe
“Il tempo è arrivato, per le donne, di riprendere il loro posto nello spazio pubblico.Non dobbiamo più avere paura negli spazi comuni. Dobbiamo vivere senza la paura di uscire, di giorno come di notte. Dobbiamo essere libere di vestirci come vogliamo, frequentare i luoghi che ci piacciono, senza imporci coprifuoco. Lo spazio pubblico deve essere condiviso, tra donne e uomini.
Dobbiamo essere libere.Sono gli aggressori a non doverlo essere, sono le loro azioni a dover essere condannate, non la nostra libertà di essere e di esistere.La paura deve cambiare fronte”. Sguardo dritto verso l’obiettivo. Mani incrociate o appoggiate sui fianchi. Dietro, il buio della notte. In primo piano, la fierezza di essere, di esistere. Senza paura. Si chiama proprioWomen are not afraid, la mostra fotografica dell’artista Pauline Makoveitchoux. Circa 150 ritratti di donne che non posano ma si stagliano in quel buio che per molte ha significato aggressione, violenza di strada, paura, stupro. L’artista ne ha scelti sessanta perl’esposizione cominciata l’8 marzo scorso a Vitry-sur-Seine, comune a sud diParigi. Non è questo il primo lavoro dedicato alle donne per Makoveitchoux. Intenso e quasi ancestrale il suo lavoroLes Sorcières, le streghe,sul sapere antico e guaritrice delle donne e il valore della sorellanza, o ancora sulla compagniaLes Clameuses,in periferia. Nasce invece dal movimento dei collage (affissioni) contro il femminicidio la serieLes Colleuses. Sono diverse, diversissime le donne di Makoveitchoux, ma nonostante tuttola sola parola “women” è ormai offensiva per l’attivismo transfemminista locale che non ha tardato a reagire,affiancando ai collage di Makoveitchoux altre affissioni,esigendo una maggiore rappresentanza di trans e “sex worker”.Un intervento quanto mai inopportuno, semplicemente perché i soli ritratti non identificano le donne né dal punto di vista del genere, né della professione. “Non abbiamo vandalizzato, ma completato” è stata la loro unica spiegazione sull’account instagram di Collage Féministes Vitry. Intorno al movimento dei collage femministi a Parigi e dintorni si assiste a una vera e propria spaccatura. Pioniera e iniziatrice dei collage contro il femminicidio è stata Marguerite Stern, autrice del volumeHéroines de la rueletteralmente “eroine della strada”, che ha progressivamente preso le distanze da numerosi collettivi di collage soprattutto dopo la deriva transattivista di questi ultimi e gliatti vandalici presso l’edificio L’Amazone, a Parigi,casa rifugio per donne vittime di violenza, oltraggiato con falli e altri insulti. Quella all’esposizione di Makoveitchoux è cronologicamente solo l’ultima ingerenza di un attivismo che anziché costruire e lottare per un proprio spazio distrugge e invade quello degli altri. Il preludio a tale atto di vandalismo è stata l‘agguato alla manifestazione del Collettivo abolizionista Anti Prostituzione CAPPa Place de la République del 7 marzo. Un manipolo di adolescenti ha assalito le donne che manifestavano contro la prostituzione con insulti, lanci di uova, minacce, cartelli stracciati e aggressioni fisiche.Le stesse scene sono state viste in Italia, a Firenze. L’episodio ha creato sconcerto sui social e non solo, coinvolgendo numerose associazioni e collettivi femministi.
Makoveitchoux ha chiuso le discussioni rilasciando una potente dichiarazione su Instagram:
“Io Pauline Makoveitchoux, residente in periferia, figlia di immigrati poveri, attivista femminista e fotografa autodidatta, rivendico la maternità e il rispetto della mia serie fotografica Women are not afraid.
Noi, donne, siamo il 52 per cento della popolazione francese e la metà dell’umanità, e subiamo le violenze sistematiche, misogine, universali e millenarie. La mia serie fotografica Women are not afraid mette in prospettiva la legittimità delle donne a essere nello spazio pubblico e denuncia le aggressioni sessuali e sessiste quotidiane, commesse nell’indifferenza generale. Da un anno e mezzo realizzo gratuitamente questi scatti e diffondo il mio lavoro con l’intenzione di offrire alle donne il potere di riappropriarsi degli spazi e di interpellare gli uomini sui loro comportamenti da aggressori o da testimoni passivi. Dopo aver posato, tutte le donne hanno manifestato le emozioni forti e potenti che hanno provato durante le sedute fotografiche.
Alcune mi scrivono ancora adesso, mesi dopo, per dirmi che quando si sentono male tornano a guardare il loro ritratto per ritrovare forza. Ho realizzato due mostre gratuite, la prima a Ivry-sur-Seine (periferia sud di Parigi), a ottobre scorso, pagata da me stessa. La seconda a Vitry-sur-Seine, lunedì 8 marzo 2021, con il sostegno economico della municipalità di Vitry, che è anche il mio comune d’origine. Queste mostre mirano a offrire gratuitamente il mio lavoro a tutte le ragazze e a tutte le donne attraverso spazi accessibili a tutte e lontani dai musei e dalle gallerie d’élite. Oggi, la mia esposizione a Vitry-sur-Seine è stata vandalizzata. Questo atto di vandalismo è stato rivendicato da un gruppo di donne dissimulate dietro uno pseudonimo. Durante tutta la mia vita, gli uomini mi hanno spiegato come dovevo agire, in quanto donna, inferiore. Come dovevo parlare, perché venivo dalla periferia, senza educazione né linguaggio appropriato. Oggi, rifiuto le invasioni sui miei pensieri, le mie azioni, il mio linguaggio. Queste persone hanno scritto numerose frasi, uscite dalla propoaganda liberale alla moda e lontana dalla realtà:
il femminismo deve essere inclusivo: vi sfido a trovare un’altra serie fotografica che rappresenta tante donne differenti quanto la mia
le donne trans sono nostre sorelle: le donne trans non sono donne, le mie sorelle non hanno il pene
non esiste femminismo senza sex worker: non conosco sex worker, conosco solo la mia storia violenta di prostituzione e quelle delle sopravvissute alla prostituzione, con le quali lotto ogni per esigere diritti e mezzi perché le donne possano uscire da questo inferno.
Un promemoria: le statistiche mostrano che più del 90 per cento delle donne in prostituzione (soprattutto donne) vogliono uscirne. La media delle età d’entrata nelle maglie della prostituzione in Francia è di 14 anni, e questo unico dato è sufficiente a dimostrare che questo non è un “lavoro”, un’attività come le altre. La speranza di vita per le persone in situazione di prostituzione è di 39 anni, e il tasso di suicidio tra le persone che si prostituiscono è 9 volte più alto che nel resto della popolazione”.