15.7.19

in questo assordante silenzio e strumentalizazione politica Voi avete capito quello che succedeva a Bibbiano (Reggio Emilia)?

 è un piacere essere bloccato da ignorati e faziosi ed che vedono tutto il male colpa della sinistra ( vedi #fattidibibiano #angeliedemoni ) e credono acriticamente alla propaganda . quando in fatti cosi vergognosi sono coinvolti ( vedere post precedenti ) tutti e non solo una parte politica. Infatti come  antonella  serafini di  www.censurati.it mi  chiedo

Avete capito che portavano via i figli alle famiglie, accusando i genitori di abusi inventati di sana pianta, per lucrare e darli in affido a strutture ?
Avete capito che gli davano scariche elettriche per manipolarne i ricordi? Che falsificavano i disegni per avvalorare le accuse?
Che omettevano di consegnare ai bambini lettere e regali dati dai genitori naturali?
Che tutto questo veniva fatto oltre che per soldi anche per garantire il diritto ad avere un figlio a tutti i costi a coppie che non potevano averne naturalmente, calpestando così il diritto dei genitori naturali?
Avete capito che per 20 anni, senza che nessuno alzasse un dito verso questo sistema tanto lodato e portato a esempio in tutta la regione, centinaia di bambini ai quali hanno fatto il lavaggio del cervello, sono stati strappati alle famiglie, mantenuti in affido incassando i relativi contributi regionali e sottoponendoli a un circuito di cure private a pagamento?
Perché non vedo tutto questo sui giornali, tv come se rispondessero tutti a un ipocrita e complice ordine di scuderia?
Perché non leggo articoli dei soliti noti giornalisti e opinionisti radical chic?
Questo silenzio è il fallimento delle istituzioni.
Questo silenzio è la violenza più profonda.
Questo silenzio è inaccettabile.

P. S. Fate girare
Grazie

Ora  sono  D'accordo  per il  90  delle cose  di questo  scritto  in quanto  il silenzio  è inaccettabile .  Soprattutto    dagli intellettuali radical  chic  op   prezzemolini  se preferite  .

L'immagine può contenere: 19 persone, persone che sorridono, testo


ecco alcuni stralci e  mie  risposte    del dibattito a  cui  ho partecipato   sulla sua bacheca  fb

Raffaele Mangano Pure qui pet una vicenda così angosciante si scomoda il termine " radical chic " ? Ma che due palle!
1
inoltre pero  bisogna  stare  attenti  a :  non  strumentalizzare  fatti cosi delicati    e   alle   fake  news  \  notizie  false  che  circolano su di essi  . Infatti

Maurizio Lepiscopia Mentana ha detto: non strumentalizziamo l'accaduto. Se lo dice lui..
4


Concludo con  quanto dice  in uno dei tanti  di fba  post  l'amico

Vincenzo Zamboni Di solito non seguo e non commento vicende di violenze come quelle di Bibbiano, perché sono istintivamente spinto ad assimilarli alla cronaca nera, un genere che non mi piace affatto.
Ma in questo caso c'è qualcosa di più della violenza esercitata da s
ingoli individui che, sa dio perché, godevano delle qualifiche di "psicologi" e "assistenti sociali".
La apparente scientificità del loro comportamento coordinato appare far parte, come una tessera di un grande puzzle, di un progetto politico, e un progetto molto ampio.
L'attacco distruttivo contro le relazioni familiari ed affettive si affianca a quello contro lo stato nazionale.
Ovvero un attacco a due strutture sociali tradizionali che generano la coesione di una società (come riconoscevano Platone,Aristotele, Hegel...), e questa società deve essere distrutta in nome di un ordoliberismo che non vuole coesione, vuole disgregazione formata da masse di individui isolati, apolidi, senza radici e senza diritti, semplici consumatori di una grande società commerciale manipolabile a piacere.
La mia generazione ha giustamente combattuto l'autoritarismo familiare e statale, ma qui si tratta di una operazione che nega la facoltà di scelta: gli aspiranti al nuovo potere non vogliono rendere migliori famiglie e stati, vogliono proprio distruggerli, in modo da riscrivere completamente le "regole della vita" a modo proprio.
Si tratta di un progetto estremamente totalitario, che reifica la vita umana come semplice elemento di produzione e consumo, come semplice ingranaggio di una macchina economica funzionale agli interessi della élite dominate.
Al pari delle garanzie di uno stato democratico anche le relazioni affettive familiari sono un nemico agli occhi dei conquistadores del nuovo potere, e perciò vogliono distruggere gli ostacoli.
L'imbarazzo con cui i media sembrano cercare di accantonare il problema fa pensare che lo temano.






e dicendo no ad un uso strumentale della cosa ed alle fake news . Infatti apprendo ( e rivendo il video ho ricordato ed mi sembravano già note quelle immagini ) da https://www.tpi.it/2019/07/14/bibbiano-bambini-video-fake/ che Il video, come riporta il sito www.olbia.it era stato pubblicato dalla Onlus comitato dei cittadini per i diritti umani (Ccdu) per contestare la decisione del tribunale di Tempio Pausania che aveva rigettato la richiesta del padre di riportare il figlio tra le sue braccia dopo l’allontanamento.A diffondere il video sui social nel 2019 è stato un utente Facebook del foggiano di nome Leonardo Bollino già noto in passato per uno scontro con il sindaco di Firenze Nardella.
In verità, il video era stato rimosso su richiesta della madre, ma come sempre il web è troppo veloce, per questo motivo il video era già stato scaricato e riproposto su altri canali e account social. L’ultima persona ad aver donato nuova fama al video è stato, SIC  ,  il ministro Salvini,

14.7.19

Rocco Petrone, l'italoamericano che ci ha portati sulla Luna La storia (poco nota) dell'uomo, figlio di immigrati lucani, che arrivò a dirigere i lanci del programma Apollo e spedì l'umanità sulla Luna ed laLa donna che fece scendere Armstrong sulla Luna

 A proposito dei 50  dello  sbarco sulla luna  ecco due  storie pèoco note  e poco diffuse  dai media  ,  se  non  in coda   o  con piccolissimi trafiletti  . la  prima  è  ( anche   una risposta    al #cazaroverde  e  i suoi seguaci  che    odiano gli immigrati  )  è la  storia    di  Rocco Petrone, l'italoamericano che ci ha portati sulla Luna .La storia (poco nota) dell'uomo, figlio di immigrati lucani, che arrivò a dirigere i lanci del programma Apollo e spedì l'umanità sulla Luna
 tratta  da    https://www.wired.it/scienza/spazio/2019/07/13/





È un’alba di Luna nuova quella del 16 luglio 1969, un mercoledì di mezza estate destinato a scrivere la storia. Rocco Petrone, che non ha quasi dormito, sta guardando quello spicchio luminoso nel cielo, consapevole che dove sono nati i suoi genitori, a migliaia di chilometri di distanza, in Basilicata, la Luna crescente è d’auspicio per le grandi imprese.
Quarantatré anni, ingegnere meccanico, un metro e novanta per 100 chili, Petrone è noto come “il computer con l’anima“, anche se per i suoi collaboratori più stretti rimane la “tigre di Cape Canaveral” (un documentario su di lui, Luna italiana, sarà trasmesso su History Channel il 18 luglio alle 22:40). Ed è proprio lì, a Cape Canaveral, che Petrone si dirige poche ore dopo. Quindi, qualche minuto prima delle 9:00, come fa sempre comincia nervosamente a gironzolare per la fire room numero 1, quella con le console di comando, dove centinaia di tecnici, ognuno incollato a uno schermo, ripetono da giorni le migliaia di verifiche contenute nella check listche proprio lui, la tigre, ha redatto personalmente. Fra 45 minuti gli toccherà, da direttore del lancio, dare il “Go” alla missione Apollo 11. Quella che, se tutto andrà bene, porterà per la prima volta l’uomo a calpestare un suolo extraterrestre.
Niente male per uno la cui storia è iniziata a Sasso di Castalda, paesino di 1100 abitanti abbarbicato sull’Appennino lucano, a pochi chilometri da Potenza.
Da lì, da Sasso, erano partiti mamma Teresa e papá Antonio subito dopo la grande guerra. Destinazione America, che come si canterà qualche anno più tardi, per 100 lire poteva regalare un sogno.Rocco Petrone a Cape Kennedy nel 1969 (foto: Nasa)

Il sogno aveva portato Teresa e Antonio fino ad Amsterdam. No, non la capitale olandese, ma un piccolo paese – di 30mila abitanti, comunque gigantesco rispetto a Sasso – a un paio d’ore da New York, nella contea di Montgomery; più precisamente, lì ad Amsterdam, Teresa e Antonio erano arrivati in una casetta all’incrocio fra Church Street e East Main Street, la strada che qualche anno dopo sarebbe diventata Petrone Street, proprio in onore al loro secondo genito: Rocco Anthony, arrivato dopo il fratello John, era nato il 31 marzo del 1926. L’avevano chiamato così: Rocco, come il santo protettore di Sasso di Castalda, e Anthony, come il padre, che in realtà non avrebbe mai conosciuto.
L’american dream di Antonio, infatti, si era infranto subito, in un incidente, fatale, al cantiere ferroviario dove aveva trovato lavoro. Teresa aveva 27 anni. Rocco sei mesi.
Il risultato? Una determinazione e una disposizione al sacrificio che Teresa trasmise ai figli. A Rocco in primis: studente modello di mattina, il pomeriggio vendeva il ghiaccio per raggranellare qualche dollaro. Un’attività che non gli aveva impedito, nel ’43, in un periodo in cui gli immigrati non erano visti di buon occhio, di distinguersi fra i migliori diplomati della Wilbur Lynch Highschool. A scuola Petrone si era fatto anche una certa fama grazie alla memoria prodigiosa – che gli permetteva di citare testi letti una volta sola e diversi giorni prima – e per l’abilità nei calcoli, per cui primeggiava in gare di velocità (arrivando senza carta e penna a fare moltiplicazioni e divisioni fino a quattro cifre).
Poi, sebbene fosse un antimilitarista convinto, l’ambizione, la stazza e la mancanza di soldi lo avevano obbligato per proseguire gli studi a iscriversi a West Point, “la fabbrica delle migliori intelligenze dell’esercito americano” (la stessa che in quegli anni ospitava Buzz Aldrin e Michael Collins). Anche lì Petrone si era fatto notare subito: fra i migliori dell’academic program, soprattutto in matematica e nuove tecnologie, primeggiava anche nel physical program, tanto da essere ammesso nella squadra universitaria di football (dove avrebbe condiviso gli spogliatoi con Doc Blanchard e Glenn Davis, premi Heismen Trophy, sportivi dell’anno per il “Time” e futuri amanti di Elizabeth Taylor).
Ci aveva messo poco, Petrone, a laurearsi ufficiale dell’esercito americano; era successo nell’autunno del ’46, a guerra (che detestava) appena conclusa. Spedito tre anni in Germania per garantire l’assistenza dei rifugiati in rientro, era finalmente andato a Sasso di Castalda per conoscere la nonna e quindi era rientrato negli Stati Uniti, per iscriversi senza troppe difficoltà al Mit. In quattro anni ne era uscito con una laurea in ingegneria meccanica e una passione per lo sviluppo e la sperimentazione di razzi e missili balistici.
Rocco Petrone e Wernher von Braun (foto: Nasa/MSFC)

Fu per queste predisposizioni che, nel settembre del 1952, entrò al Redstone Arsenal, in Alabama, come ufficiale assegnato al laboratorio per i lanci missilistici dell’esercito, dove un tedesco, Wernher von Braun, stava più o meno segretamente realizzando il sogno della sua vita: spedire un razzo oltre l’atmosfera terrestre.
Il primo incontro fra i due non era andato benissimo: schivi e di poche parole entrambi, per von Braun il cognome italiano del nuovo arrivato non era una grande premessa. Di suo, Petrone, forgiato dal rigore etico di West Point, non poteva ammirare uno col passato nebuloso dell’ex SS nazista.
A Petrone vennero comunque affidate la progettazione e la realizzazione delle rampe di lancio del nuovo Redstone, il figlio legittimo delle V2 tedesche. Fu per questo che, per la prima volta, arrivò a Cape Canaveral, ai tempi ancora in costruzione. Petrone adorò quel posto e il suo lavoro dal primo giorno. Quando, il 20 agosto 1953, un Redstone volò per la prima volta, lui era già stato nominato responsabile per tutte le operazioni di controllo e di lancio. Il ruolo lo rimise accanto a von Braun; sia letteralmente, nella blockhouse di fronte alla console di comando, che metaforicamente: come scrive Renato Cantore fra le pagine della biografia La tigre e la Luna, “l’ingegnere figlio di immigrati stava diventando un ingranaggio insostituibile nel sistema che per i successivi 20 anni avrebbe rappresentato l’asse portante della sfida tecnologica americana“. Dopo il primo incontro e nonostante il cognome italiano, anche per von Braun la cosa era diventata chiara.
Non fu quindi gradito a nessuno che il primo giugno del ’56 Petrone venisse nominato vicecapo dello staff per la logistica presso lo Stato maggiore dell’esercito, al Pentagono. Era stato chiamato a Washington per occuparsi dello schieramento sul territorio americano dei dodici principali sistemi missilistici destinati a rappresentare l’asse strategico della difesa nazionale. A trent’anni appena compiuti era uno dei massimi esperti in un campo in rapida espansione e in un mondo ossessionato, da una parte, dalla paura nucleare e, dall’altra, dalla corsa per la supremazia dello spazio. Ed è quasi certo che avrebbe suo malgrado fatto carriera politica se i sovietici, a sorpresa, non si fossero dimostrati molto più avanti degli americani nella gara oltre l’atmosfera.
Lo Sputnik e Jurij Gagarin al Museo della cosmonautica di Mosca (Foto: Afp/Getty Images)

Fallita la risposta statunitense, con il Vanguard progettato dalla Marina militare schiantatosi pochi secondi dopo il decollo, fu dato il via libera a qualsiasi progetto di von Braun. “E allora, tanto per cominciare – disse il genio tedesco – ridatemi Rocco Petrone“. A pochi mesi dal suo arrivo al Pentagono, Petrone ripartiva, questa volta verso una destinazione nota e che di lì a poco gli avrebbe valso il suo soprannome: la tigre tornava a Cape Canaveral e per rimanerci a lungo.
Quando arrivò in Florida, von Braun e il suo staff stavano già lavorando a un nuovo razzo, il Saturn, il cui primo lancio, programmato alla fine del 1961, sarebbe stato solo l’anticipo del progetto destinato a spedire Neil Armstronge compagni sulla Luna, a bordo di un mostro tecnologico di duemila e ottocento tonnellate. Eppure ai tempi nessuno – tranne forse von Braun – avrebbe immaginato di trasportare uomini oltre l’atmosfera. Servirono due fatti per avviare il progetto: il primo volo orbitale di Jurij Gagarin, il 12 aprile del 1961, e l’elezione a presidente di John Fitzgerald Kennedy, che contrariamente al suo scettico predecessore, Dwight Eisenhower, impose, a suon di miliardi di dollari, che i sovietici fossero battuti nella tappa finale della corsa cosmica: il primo piede a toccare il suolo lunare avrebbe dovuto essere americano.
Quando Kennedy tenne il famoso discorso al Congresso in cui prometteva che gli Stati Uniti avrebbero conquistato la Luna entro la fine del decennio, Jim Webb, appena eletto amministratore della Nasa, commentò: “La strada sarà lunga e accidentata, ma va costruita mattone per mattone, qui sulla Terra“. A chiunque fu subito chiaro chi fosse il primo a dover posare quei mattoni: toccava a lui, Rocco Petrone, cui erano state affidate la progettazione e la realizzazione delle rampe di lancio per tutto il programma spaziale.
Duro, rigoroso, mai spaventato dal compito, l’ormai tenente colonnello Petrone notte e giorno si concentrava, come una tigre, sull’obbiettivo di realizzare il moonport. Sarebbero serviti cinque anni per terminare il Complex 39, un’opera mastodontica. Fu a lui che spettò la decisione di costruire la nuova rampa a Merrit Island, proprio di fronte a Cape Canaveral, su un’area di 54mila ettari acquistata dal governo per 72 milioni di dollari. Fu sempre lui a decidere che il Saturn V, alto 110 metri per oltre 10 di larghezza, venisse assemblato in verticale. Per cui fu lui a stabilire la costruzione del Vertical Assembly Building, un edificio grande quanto il Pentagono in cui montare, pezzo per pezzo, la gigantesca creatura volante di von Braun.
E fu ancora lui, che nel frattempo era diventato capo dell’ufficio dedicato a tutto il sistema dei veicoli pesanti, che istruì Jfk sulle specifiche tecniche del Saturn, in occasione dell’ultima visita del presidente a Cape Canaveral, la mattina del 16 novembre 1963, sei giorni prima che venisse ucciso a Dallas. Petrone, quella chiacchierata, non la scordò mai e fu orgoglioso come forse mai prima quando, nel 1964, diventò il direttore di piani, programmi (lo stesso programma Apollo) e risorse del centro spaziale appena ultimato, battezzato Kennedy Space Center.
Il presidente John Fitzgerald Kennedy al briefing di Rocco Petrone (foto: Nasa)

Nacquero in quel periodo le famose check list, i puntuali elenchi di verifiche scritti da Petrone, che ognuno, nel suo ruolo, era obbligato a ripetere migliaia di volte prima di certificare, a proprio nome, l’eventuale “ok”.
Quando, nel 1975, Petrone si ritirò dalla Nasa, lo fece da direttore del programma Apollo, direttore del Marshall Space Center di Huntsville e amministratore associato. Morì il 24 agosto 2006 a Palos Veders Estates, dove si era ritirato per dedicarsi ai suoi amati studi di storia americana.
Per capire quanto fosse esigente la tigre, basterebbe sapere che all’operaio incaricato di posare le 40 tonnellate del secondo stadio del Saturn sul primo, Petrone aveva consigliato di addestrarsi stringendo tra i potenti bracci della gru un uovo fresco senza romperlo.
Una battuta? Non troppo. Se ne accorse anche chi, non in grado di rispondere alle domande tecniche, veniva sollevato letteralmente di peso, oppure chi dovette costruire il crawler, il mezzo cingolato progettato per trasportare il Saturn alla rampa di lancio, un’altra idea passata dall’ufficio di Petrone. Ma da allora erano trascorsi 5 anni e diversi lanci con il Saturn V, dal 9 novembre 1967 tutti coronati da successo


.
Petrone posa davanti al Saturn V (foto: Nasa)

Eppure, quella mattina del 1969, pare che anche la tigre fosse emozionata. Quando Petrone, accanto a von Braun, diede il Go, lo fece quasi sottovoce. Erano le 9:32 del 16 luglio. Il lancio dell’Apollo 11 aveva rispettato il programma al centesimo di secondo. Il mattino era stato salutato da uno spicchio di Luna crescente.

La  seconda  è quella di  Margaret Hamilton e le sue compagne dell’informatica al femminile

Margaret Hamilton
da  https://www.lastampa.it/scienza/  del 8.72019 



.Quando si parla di storia dell’informatica, vengono in mente soltanto due donne: Ada Lovelace Byron e Hedy Lamarr. Ada, figlia del celebre poeta romantico inglese, perché nell’Ottocento, ispirata dalla “macchina analitica” del matematico Charles Babbage, fu la pioniera del software, tanto che si chiama ADA uno dei linguaggi di programmazione della Difesa americana. Hedy per le sue geniali invenzioni tuttora applicate alle telecomunicazioni e all’informatica, nonché per la straordinaria bellezza che ne fece una diva fatale di Hollywood: la storia del cinema le deve la prima (fugace) scena di nudo integrale nel film “Estasi” del 1932.
Da Eniac a Internet
Ma Ada Lovelace e Hedy Lamarr sono solo le punte emergenti. Il contributo delle donne alla scienza dei computer è ben più vasto. Nel libro “L’informatica al femminile” (Neos Edizioni, 144 pagine, 17 euro) Cinzia Ballesio e Giovanna Giordano tracciano la biografia di una trentina di donne quasi sconosciute ma che hanno avuto un ruolo decisivo nel costruire il mondo digitale in cui viviamo. Furono donne le programmatrici di Eniac, il primo computer completamente elettronico (Usa, 1946), tre informatiche nere nel 1962 resero possibile il volo in orbita dell’astronauta John Glenn (come racconta il film “Il diritto di contare”), innumerevoli sono le donne hanno ideato i programmi che fanno funzionare Internet e quelle che oggi lavorano all’Intelligenza Artificiale.
Il software dell’Apollo11
L’imminente cinquantenario del primo sbarco sulla Luna (Apollo 11) ci solleva dall’imbarazzo della scelta: parleremo qui di Margaret Hamilton. Due fotografie riassumono la sua importanza nella più grande impresa tecnologica di tutti i tempi. Una la ritrae rannicchiata davanti ai 170 comandi del Modulo Lunare, l’altra in piedi accanto a una pila di scartafacci che dal pavimento le arriva all’altezza della fronte: contengono il codice sorgente del sistema di guida delle missioni Apollo, decine di migliaia di pagine scritte da Margaret e dal gruppo che dirigeva alla Nasa. Fu la sua preveggenza, sorretta da un rigore quasi maniacale, a salvare Armstrong e Aldrin da un disastro e a farne i primi due uomini che abbiano calpestato la Luna.
Allarme 1202
Tre minuti prima dell’allunaggio del 20 luglio 1969, il computer del modulo lunare (Lem) accese il segnale “1202”: allarme grave. Il protocollo prevedeva che in quel caso, se l’allarme si fosse ripetuto, l’allunaggio abortisse, il Lem avrebbe dovuto tentare la risalita in orbita lunare dove, sul modulo di comando, era rimasto Michael Collins. A causare l’allarme era un sovraccarico di dati. Oltre ai dati del radar-altimetro di terra, necessario per l’allunaggio, arrivavano al computer anche quelli dell’altro radar, in contatto con il modulo di Collins. L’aveva lasciato acceso Buzz Aldrin per una misura si sicurezza che in pratica si rivelò molto pericolosa.
Dieci secondi di panico
Sappiamo come andarono le cose: 1202 lampeggiò un’altra volta, poi anche 1201, e di nuovo 1202. Armstrong ricordava di aver visto quei segnali di allarme durante le simulazioni al suolo, li aveva ignorati e la manovra era riuscita ugualmente. Fece così anche nella situazione reale, ignorò il computer e prese i comandi manuali. La sala di controllo di Houston taceva. Pare che i tecnici scartabellassero i manuali alla ricerca del da farsi. Dopo 10 secondi di silenzio il direttore di volo Gene Kranz comunicò l’autorizzazione a tentare l’allunaggio.
Un mucchio di scartafacci
Ma ormai Armstrong aveva deciso da solo. O quasi. Scrivendo il software, Margaret Hamilton aveva previsto l’eventualità di un allarme da sovraccarico: il suo programma segnalava il problema, ma era concepito in modo da smistare i dati dando la precedenza ai più importanti, quelli del radar altimetro, lasciando indietro i dati non essenziali. Pur essendo preoccupanti, gli allarmi 1202 e 1201 non erano drammatici. Fu così che Neil Armstrong approdò nel Mare della Tranquillità e Margaret Hamilton ricevette il Premio Ada Lovelace e il Nasa Exceptional Space Act. Il programma scritto nella pila di scartafacci oggi è disponibile online e “pesa” appena un megabyte, quanto una fotografia scattata con il cellulare.




La Luna 50 anni fa 1969-2019

Ieri  notte  Partecipando all'annuale appuntamento con l'osservazione astronomica della Sardegna  organizzato dall'associazione culturale  GDV  ( Gallura  da  Valorizzare  )  è dedicato, quest'anno, alla LUNA in occasione del 50° anniversario dello sbarco dell'uomo sulla d'essa    ho vissuto  la stessa emozione    : <<  è un piccolo passo per [un] uomo, un gigantesco balzo per l'umanità. >>  provata   da Neil Armstrong, nel compiere il primo passo sulla superficie lunare, 21 luglio 1969 (   anche  se  secondo altri non furono le  parole esatte  .  ma   poco cambia  )  .
 Ottima  l'iniziativa di  Gvi ( Gallura  da  valorizzare  )   per coinvolgere chi vuole consolidare la consapevolezza di essere una piccola componente del cosmo.Infatti  ha tenuto in collaborazione  con l'associazione astronomi  sardi   una  lezione   scientifica    sulle caratteristiche  della  luna   ,  che poi si andava  a vedere  ad uno dei telescopi  professionali  .  Ecco  alcune mie  foto  mi scuso  per la non brillante  qualità  di alcune  d'esse  ma non so usare  il flash   nel  cellulare  sono abituato a quello della macchina  fotografica


L'immagine può contenere: una o più persone

L'immagine può contenere: schermo

Una lezione  anche  ai  terrapiattisti *  nel  smontare ( per  non dire altro  )  la loro assurda teoria   della terra piatta   con questa  foto

Risultati immagini per foto delLA LUNA

 nel mostrare oltre  il lato oscuro
Risultati immagini per il lato oscuro della luna

  non visibile  con i telescopi neppure  i  più potenti .

  tra  gli approndimenti     trovate   :  film , musiche  ,  ed   altri  link che  mi hanno   affascinato

FILM
STREGATA  DALLA LUNA Regia di Norman Jewison.Usa 1987
cosmonauta Susanna Nicchiarelli italia  2009
  2001  odissea   nello spazio Stanley Kubrick 1968

Musica
il disco  the  dark said  of  the  moon  (1973 ) pink floyd
Hardvest Mon   Neil Young
La luna  eduardo bennato
Luna  Gianni Togni
Zig Zag  Renè Aubry
La luna Tetes de Bois
Meravigliosa (La Luna) francesco renga
Space  Oddity  ( bonus track)   Chirs Hadfield


Link
https://www.avvenire.it/agora/pagine/anniversario-luna-complotto
https://it.wikipedia.org/wiki/Flat_Earth_Society



13.7.19

Facebook ha un grosso problema con i gruppi di polizia e forze dell'ordine che coltivano l'odio

 leggi anche
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2019/07/credevo-che-le-donne-sapessero.html

mi sa che combattere contro l'odio e per rimanere umani sia inutile ed una battaglia persa.  Infatti, oltre   gli odiatori   " comuni "  e  di " professione " come  certi giornalisti  \opinionisti lacchè e nonm  o  pseudo tali     fra  cui anche  donne   che insultano altre  donne (   vedere    approfondimenti   in cima  al post  )  ci  sono anche  quelli che dovrebbero



  garantire   la  tranquillità  . Infatti Facebook ha un grosso problema con i gruppi di polizia e forze dell'ordine
Dai gruppi chiusi degli ufficiali delle frontiere negli Stati Uniti al "Finanziere" in Italia, dove si invoca il golpe e si minaccia di morte Carola Rackete: perché Facebook l'ha permesso ?

(foto: CHRISTOPHE SIMON/AFP/Getty Images)

 Ecco come    secondo  questa  inchiesta  di  https://www.wired.it/
L’ultimo caso riguarda i gruppi che sul social network hanno lo scopo di riunire persone accomunate dalle stesse passioni o dagli stessi interessi. Uno strumento sul quale Facebook – durante l’ultima conferenza G8 – ha affermato di voler puntare sempre di più, rendendo “facile per le persone passare dagli spazi pubblici a quelli più privati”.

L'immagine può contenere: testo

Come fa, sbaglia. Si potrebbe riassumere così il percorso di Facebook negli ultimi anni, incapace di tirarsi fuori dalle continue polemiche che colpiscono la società fondata da Mark Zuckerberg. Dalle fake news a Cambridge Analytica, dalla mancata protezione dei dati all’incapacità di distinguere tra la foto di una persona nuda (e quindi da rimuovere) e un’opera d’arte (o una cover dei Led Zeppelin).
Ogni volta che Facebook pensa di aver trovato una soluzione a qualcuno dei suoi problemi, ecco che puntualmente i problemi riemergono sotto una nuova forma.
I gruppi di Facebook
Circa 400 milioni di utenti di Facebook (su oltre due miliardi complessivi) fanno parte di qualche gruppo. Musica, politica, cinema, fumetti, animali, famiglia e chi più ne ha più ne metta: ci sono gruppi per tutti i gusti, comprese le nicchie più ricercate e alternative. La ragione per cui Facebook sta puntando molto su questi gruppi è facilmente comprensibile. Al riparo dallo sguardo di familiari e colleghi – e alle prese solo con chi si percepisce come proprio simile – le persone si sentono più libere di condividere ciò che piace e postare le proprie opinioni.
Come ormai dovremmo sapere, però, sentirsi completamente liberi di postare tutto ciò che si vuole, senza temere sguardi indiscreti, può avere conseguenze impreviste e in alcuni casi – come quelli divenuti noti negli ultimi giorni – semplicemente intollerabili. Il primo caso ha riguardato il gruppo segreto di cui fanno parte 9.500 agenti della polizia di frontiera statunitense: I’m 10-15 (un riferimento al codice usato per indicare che si è preso in custodia un clandestino), adesso ribattezzato America First.
Il razzismo degli agenti di frontiera
Nel gruppo, secondo quanto riportato per primo in un’inchiesta di ProPublica, l’occupazione principale degli utenti – che sono tutti poliziotti, vale la pena ricordarlo – è postare meme razzisti e sessisti, foto ritoccate della democratica Alexandria Ocasio-Cortez, battute sulla morte dei migranti e altro materiale di questo genere. Lo stesso avviene anche in un secondo gruppo, chiamato The Real Cbp (dove Cbp sta per Custom and Border Protection).Fonte: ProPublica

La stessa forza di polizia ha fatto sapere di aver aperto un’indagine sugli autori dei post offensivi. Secondo quanto riportato da Vox, però, i massimi dirigenti della Cbp erano al corrente di cosa accadeva in quel gruppo fin dal 2016.
Senza controllo
Ma come ha potuto un gruppo del genere sfuggire all’attenzione di Facebook per così tanto tempo? La ragione sta nella natura privata (in cui si può entrare nel gruppo solo dopo fatto richiesta) o segreta (invisibile alla ricerca e accessibile solo su invito) di questi gruppi. Così, ciò che avviene dentro al gruppo rimane ignoto agli altri utenti di Facebook, che non possono segnalare i contenuti offensivi come avviene in molte altre occasioni.
Ovviamente, il materiale condiviso da questi gruppi è nascosto a tutti tranne che a Facebook, che può utilizzare i suoi filtri automatici e i moderatori umani per rimuovere i contenuti che infrangono le regole. Ma questo sistema ha comunque dei grossi limiti: secondo Recode, circa il 65% dei contenuti che violano le politiche in termini di hate speech viene rimosso prima di essere segnalato dagli utenti. Il che significa che molto di questo materiale sfugge ai controlli automatici e ai moderatori.
Discorsi di odio
Quando si tratta di hate speech, l’intelligenza artificiale ha grosse difficoltà a distinguere tra ironia, sarcasmo, condanne del razzismo e razzismo o sessismo puro e semplice. Mentre per i moderatori non è semplice stare dietro ai milioni di post che i troll di tutto il mondo pubblicano ogni giorno. Fare a meno della collaborazione degli utenti, com’è inevitabile che avvenga nei gruppi privati e segreti, rende insomma i controlli molto meno efficaci.
“Anche se il pubblico generale non può vedere i contenuti di questi gruppi, il nostro sistema di rilevamento è in grado di farlo. Grazie a una combinazione di tecnologia e revisioni umane, rimuoviamo in continuazione molti tipi di contenuti inaccettabili prima che qualcuno possa segnalarli”, ha spiegato Facebook in un comunicato stampa.
Ma è sufficiente cercare “no vax” o “fascismo” su Facebook per rendersi conto di quanti gruppi e contenuti di questo tipo siano ancora diffusi. E lo stesso vale anche per teorie del complotto molto meno innocue della Terra Piatta (per esempio, la famigerata QAnon).
Il caso Italia
Il 10 luglio, però, è emerso un caso che riguarda direttamente l’Italia: la redazione di The Vision ha infatti visionato i contenuti del principale gruppo privato di Facebook popolato da attuali o ex finanzieri (chiamato semplicemente Il Finanziere), che conta 16mila membri ed è stato fondato nove anni fa dal sottoufficiale della Guardia di Finanza Alessandro Capace.
I contenuti presenti in questo gruppo fanno venire la pelle d’oca: minacce di morte dirette contro i migranti, i membri delle ong e i parlamentari del Partito democratico, dopo lo sbarco a Lampedusa delle persone soccorse dalla Sea Watch 3. Auspici di colpi di stato militari in Italia “Sparatela questa bastarda, assieme quelli del Pd”, scrive un utente facendo riferimento a Carola Rackete, la comandante della Sea Watch. “Dovevano aprire il fuoco e farla fuori questa nazista compresi i suoi amici del Pd”, rincara la dose un’altro.Fonte: The Vision

“Non vedo l’ora che le forze armate perdano la pazienza, quello che ci vuole in Italia è un bel colpo di stato militare per ridare ordine e disciplina”, sostiene un terzo. Al di là del fatto che si sostenga la necessità di un colpo di stato contro l’opposizione e non contro il governo (una tesi abbastanza curiosa), l’aspetto più inquietante è che questi sono pochissimi esempi dei contenuti che The Vision ha trovato postati solo negli ultimi giorni. E a minacciare di morte, ricordiamolo, non sono troll frustrati, ma persone armate che per mestiere dovrebbero proteggere gli altri.
Oltre al razzismo, c’è inevitabilmente anche una buona dose di sessismo, che su questa pagina è stato rivolto anche contro le due turiste americane che a Firenze hanno accusato due carabinieri di stupro. “Ste americane zoccole bugiarde strafatte già le conosciamo”, scrive per esempio uno. Poco importa che uno dei due carabinieri sia stato condannato in primo grado in seguito alla testimonianza del collega (che aveva sentito i “no” urlati da una delle due ragazze).
Quando si parla di contenuti estremi e pericolosi si fa sempre riferimento a Reddit, 4Chan, 8Chan e altri luoghi virtuali in cui la cosiddetta destra alt-right, il suprematismo bianco e altro ancora hanno trovato terreno fertile. Ma per trovare il peggio che le persone hanno da offrire non c’è bisogno di navigare gli angoli reconditi del web: buona parte di tutto ciò avviene direttamente nei gruppi di Facebook. Proprio sotto il nostro naso.


Ed  m'ero illuso  che  dopo   i fatti  di Genova  2001  Diaz  ed Bolzaneto in particolare


Sequenza tratta dal film "Ora o mai piu' di Lucio Pellegrini , l'unica riduzione cinematrografica dello scempio poliziesco nella caserma Bolzaneto, Genova, luglio 2001

Una rappresentazione incompleta ma efficace degli abusi verificatisi a Bolzaneto in quei giorni, cercate sul web le testimonianze dei detenuti per capire la gravita' degli abusi. Il processo e' in corso,il primo verdetto e' atteso per la prima meta' del 2007.scaricabile qui

A questo indirizzo potete trovare una sintesi delle testimonianze raccolte dai PM nell'inchiesta sugli abusi di BOLZANETO, prese pari pari dal settimanale Diario "Speciale Genova - la Verità" del 21 luglio 2006:http://g82001.altervista.org

Sono scenari sconcertanti quelli raccontati dalle vittime di quelle violenze, fisiche e psicologiche. Scenari che risultano via via più verosimili confrontando e incrociando le testimonianze di tutti coloro siano passati dalla caserma di Bolzaneto in quei giorni.
  ed altre  violenze    ed  abusi come quello di Stefano Cucchi    fosse  cambiato  qualcosa invece ......

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